PARCHI EOLICI, IN CALABRIA È PROTESTA
SENZA POLITICHE SERIE È UN SACCHEGGIO

Di VINCENZO IMPERITURA – Se non è (ancora) muro contro muro, poco ci manca. Da una parte, la possibile trasformazione della Calabria in uno degli hub energetici dell’intero Paese – in compagnia di Sardegna, Sicilia e Puglia – inizia  a diventare concreta, con alcuni dei progetti di parchi eolici avanzati dai colossi delle rinnovabili in rampa di lancio per conquistare le caselle rimaste libere sul territorio regionale. Dall’altra, sempre più comitati spontanei a difesa dei boschi e dei mari calabresi si stanno rimboccando le maniche con ferme e pacifiche iniziative di protesta per bloccare i temuti cantieri.

Una presa di posizione netta che ha preso piede in tutte le aree dove sono previsti i nuovi, giganteschi, parchi e che, forse come mai prima in passato, ha visto anche sindaci e amministratori schierarsi decisamente a difesa del territorio. Una protesta compatta che viaggia veloce dal Pollino allo Stretto e che, alle temute speculazioni delle multinazionali americane e nord europee innescate dal decreto energia del ministro Pichetto Fratin e facilitate dal “piano integrato energia e clima” approvato dalla Regione nel luglio dello scorso anno, dice si all’energia pulita e rilancia con la richiesta per le istituzioni delle “comunità energetiche” che, seppur contemplate nel documento rilasciato dalla Giunta regionale, non hanno trovato finora la sponda giusta.

A rinverdire le polemiche legate ai nuovi parchi eolici in attesa di realizzazione è arrivata, storia di una manciata di giorni fa, il primo Sì ministeriale – ma i tempi del progetto sono ancora lunghi – per l’allestimento del gigantesco parco eolico galleggiante che “Acciona” vorrebbe costruire al largo della costa: l’ipotesi presentata dalla multinazionale spagnola prevede un parco galleggiante di 37 turbine per 555 MW di potenza stimata da collegare a terra con un cavidotto sottomarino fino a Scandale. Il nuovo parco dovrebbe sorgere proprio accanto ad un altro parco dalle medesime dimensioni, che la stessa Acciona vorrebbe realizzare poco più sud.
Anche in questo caso le turbine sarebbero 37 per una potenza di 555 MW e sarebbero collegate attraverso un cavidotto sottomarino di 51 km fino a Roccelletta, per poi collegarsi alla rete nazionale a Maida attraverso un nuovo cavidotto di 17 chilometri. Secondo il progetto, la costruzione delle gigantesche turbine è prevista nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa. E ancora, i due progetti “Fortevento” che la “Ocean Winds” vorrebbe allestire sempre nel golfo di Squillace per un totale di 78 torri e più di 1000 MW di energia da collegare direttamente all’interno del porto di Crotone, il “Krimisa Floating Wind” (62 torri alte 286 metri da allestire al largo di Isola Capo Rizzuto) a cui si aggiunge un altro parco galleggiante (28 turbine alte più di 300 metri) da realizzare al largo di Corigliano-Rossano.

«L’ipotesi di fare della nostra regione un hub energetico – scrive in una nota Gianmichele Bosco, presidente di quel consiglio comunale di Catanzaro che nei mesi scorsi aveva manifestato il suo convinto No all’opera  –  si è trasformata, in assenza di politiche serie a difesa degli interessi collettivi, in un saccheggio indiscriminato del territorio nell’interesse privato di pochi, che ora guardano anche allo sfruttamento della risorsa mare. Come al solito, chi sa fiutare il business è venuto qui, sapendo anche di poter trovare terreno favorevole per fare e disfare a suo piacimento, come è sempre accaduto in passato. Ma questo non è più accettabile ed è opportuno che si sappia».

Finora, i No di sindaci e amministratori hanno potuto ben poco (in sede di conferenza dei servizi il parere delle amministrazioni comunale non è comunque vincolante a causa delle semplificazioni amministrative dettate dal decreto che regola la transizione energetica) contro l’assalto dei colossi delle rinnovabili al territorio e al mare calabrese, ma la “grana” eolico è già esplosa e i comitati contrari alla costruzione delle gigantesche pale che già soffocano l’intero territorio regionale, promettono un autunno caldo. (vi)

[Courtesy LaCNews24]

SANT’AGATA DEL BIANCO, UN MODELLO PER
LA RIGENERAZIONE URBANA DEI BORGHI

di SANTO STRATI – Sant’Agata del Bianco non è soltanto il paese aspromontano che ha dato i natali allo scrittore Saverio Strati, ma, oggi, è un esempio riuscito di rigenerazione urbana. Un modello che dovrebbero imitare e mettere in pratica il Presidente della Regione e il sindaco Metropolitano di Reggio contro lo spopolamento dei borghi e la valorizzazione del capitale umano che essi conservano.

Non so se Roberto Occhiuto e Giuseppe Falcomatà siano andati negli ultimi anni a Sant’Agata del Bianco, nel caso rimedino al più presto e si facciano guidare dal giovane e intrepido sindaco Domenico Stranieri: è un “cicerone” straordinario, appassionatamente convinto della necessità di ridare ai cittadini lo spazio vitale della sua città, utilizzando – ahimè – solo valentissimi ed eccezionali volontari non pagati ma non per questo meno prodighi di attenzioni e impegno verso un territorio, che, a ben ragione, appartiene a loro.

Ero stato a Sant’Agata più di 50 anni fa, giovane cronista, di ritorno da San Luca dove una terribile alluvione aveva completamente devastato il paese di Corrado Alvaro. Ero curioso di vedere questo piccolo angolo d’Aspromonte, stuzzicato dall’idea di uno scrittore in ascesa che portava il mio stesso cognome (ma nessun legame di parentela) che sapevo nato lì e andato via molti anni prima. M’incuriosiva il fatto che in un così piccolo spazio di territorio (San Luca – Bianco – Bovalino) ci potesse essere una così ampia presenza “letteraria”. Era il 1972, Saverio Strati aveva pubblicato già diversi libri che mi avevano intrigato (soprattutto Tibi e Tascia) e stava lavorando a Noi Lazzaroni. A San Luca c’era la meravigliosa “presenza” di Alvaro e a Bovalino Mario La Cava “marcava” il territorio con una prosa efficace, avendo già delineato i Caratteri dei calabresi. A vent’anni mi era difficile non restare affascinato dall’idea di tre scrittori nati in Aspromonte di cui due in corsa verso il successo nazionale (Alvaro aveva già raggiunto l’apice del successo).

Sant’Agata – nei ricordi che sono ritornati limpidi appena ho rimesso piede nel borgo – mi era apparsa come tanti altri paesi abbandonati (nel senso della trascuranza da parte degli amministratori): strade acciottolate, rotte, mura scrostate, le immancabili pareti esterne con mattoni a vista (in Calabria mancano sempre i soldi per l’intonaco esterno), un paese di anziani. Chiesi di Saverio Strati, ma solo qualche maturo contadino ricordava vagamente che era nato lì uno che scriveva libri ma viveva da tanto tempo al Nord. Erano altri tempi, sia chiaro, le notizie avevano un loro lento percorso, c’era un solo canale televisivo e di Calabria non parlava mai nessuno se non in occasione di morti ammazzati di mafia o di tragedie naturali come l’alluvione. Terra di fiumare e di devastazioni, di fiumi che facilmente rompevano gli argini e allagavano le campagne. Ma quella di San Luca nella memoria storica superava tante altre alluvioni e devastazioni.

Il ritorno a Sant’Agata, però, mi riserva una sorpresa straordinaria: non ci sono più le polverose strade di ciottoli e l’antico borgo, il centro cittadino, intorno alla casa natale di Saverio Strati, è un meraviglioso museo all’aperto, con tanti murales e una quantità incredibile di sculture di metallo realizzate da un artista autodidatta, Antonio Scarfone, che raccoglie i rottami di ferro e dà loro una intensa ed eccezionale dignità artistica. Scarfone, peraltro, è anche l’ideatore, di fronte alla casa natale di Strati, di un “Museo delle cose perdute” che raccoglie testimonianze di vita, segni di una civiltà contadina che suggeriscono al visitatore un percorso di grande suggestione. Ma è tutto il paese che è un museo all’aperto, dove la rigenerazione urbana (pur in assenza totale di fondi  e basterebbero appena poche decine di migliaia di euro) compie un miracolo che deve divenire un modello per tanti altri borghi.

C’è voluta la testardaggine del sindaco Stranieri per ridare vita a un paese dimenticato e abbandonato, creando un’atmosfera di luce e di colore che da sola esprime il senso della gioia di vivere, soprattutto in un piccolo borgo. E attraversando i viottoli del centro storico si è affascinati dalla ricchezza di vitalità che muri un tempo scrostati oggi promanano, si è ammaliati dalle “porte pinte” che sono chiuse ma esprimono il grande senso di libertà che l’arte, un disegno, una scultura riescono a infondere nel visitatore. Non è turismo di massa, ma diviene passione e attenzione per un territorio rigenerato, dove i giovani artisti del luogo (quasi tutti autodidatti) hanno potuto far sgorgare il loro talento e raccontare con una narrazione pittorica il sentiment che accompagna le suggestioni del cuore.

Non bisogna aver letto Saverio Strati per appropriarsi, con autentica gioia, della ricchezza di queste case, di queste mura, di queste stradine dove il colore ha dato una dimensione nuova e unica. Ma poi, naturalmente, viene da sé il bisogno di cercare (e trovare) nelle pagine di Saverio Strati le emozioni e le suggestioni appena vissute.

Sant’Agata del Bianco domina la fiumara La Verde e le montagne all’orizzonte sembrano colorate di blu: è una sensazione di grande respiro quella che prende il visitatore, che non può fare a meno di innamorarsi di questo borgo, dove il tempo sembra essersi fermato per creare uno spazio infinito dove dimenticare i quotidiani affanni. Certo, la visita guidata dal sindaco o da uno dei tanti volontari diventa un elemento essenziale per gustare e poter raccogliere il messaggio che è ancora possibile una qualità della vita lontana dal logorio di corse infinite. Corriamo tutti, senza una vera e propria ragione, corrono tutti, corriamo anche noi, trascurando la bellezza della natura che in luoghi come Sant’Agata sono a portata di tutti: non ci accorgiamo di come sprechiamo gran parte della nostra vita trascurando quanto di bello e vitale abbiamo intorno.

Il miracolo di Domenico Stranieri – perché, sia chiaro, di miracolo si tratta – di far rinascere senza risorse il centro storico di Sant’Agata è qui davanti agli occhi di chiunque voglia avventurarsi a scoprirlo: ci son voluti la passione, l’ostinazione, l’entusiasmo di un giovane sindaco a compiere quella rigenerazione urbana di cui tutti amano oggi parlare, senza poi far seguire le azioni concrete, le realizzazioni.

Ecco la ragione per la quale Sant’Agata deve diventare un punto di riferimento essenziale per chiunque abbia voglia di far rinascere e prosperare un territorio: la Regione deve finanziare le opere necessarie per rendere stabile il precario, per dare ossigeno a un paese che merita di farsi scoprire. E il pretesto dell’aver dato i natali a uno dei più grandi autori del Novecento (la rivalutazione di Saverio Strati, grazie al cielo, è già partita) non sarà solo un elemento di orgoglio, ma un modello di trasformazione del modo di sostenere iniziative di cultura nel e del territorio. Non sono i murales a fare di Sant’Agata un borgo di straordinaria bellezza (ce ne sono a Diamante e in molti altri centri della Calabria che hanno fatto della street art un itinerario narrativo per il territorio) ma è l’idea che sta alla base che è vincente.

Domenico Stranieri ha coltivato il talento dei giovani locali, ha motivato cantastorie (uno di essi, Romano Scarfone, straordinario cantore, ha accompagnato con la sua chitarra e la sua musica la mia visita), ispirato iniziative, ha reso fruibile un territorio abbandonato: è questa la scelta vincente. Il borgo diventa centro di attrazione, per i giovani opportunità di lavoro e di crescita, per i bambini un segnale, un’indicazione-promemoria per non dimenticare le tradizioni, per gli anziani rivivere nelle strade e per le vie l’orgoglio dell’appartenenza e la sensazione di avere vissuto un sogno che si chiama vita, tra le mura di casa e gli odori, i profumi, i colori del cielo. Sant’Agata esprime tutto questo e merita la massima attenzione perché il suo modello – lo ripeto – è decisamente vincente.

Questo è il percorso intelligente per la rigenerazione della Calabria e dei suoi tantissimi, meravigliosi, borghi. Riscoprirne l’essenza vitale, valorizzare case, strade, angoli di suggestione unica. Un obiettivo neanche tanto difficile da raggiungere: le migliaia di bambini che le scuole della zona fanno arrivare in gita a Sant’Agata del Bianco sono il punto di partenza di un itinerario che fa scoprire la cultura dei borghi, ma esalta, allo stesso tempo, la cultura, la voglia di conoscenza che le nuove generazioni non nascondono. La scuola è determinante nella formazione dei nostri futuri concittadini, che si sentiranno, anche loro, figli di una terra meravigliosa ma un po’ matrigna (perché fa scappare i suoi figli), con l’orgoglio  di quella calabresità che Corrado Alvaro prima, Saverio Strati poi e insieme tanti altri autori nati in Calabria hanno saputo trasmettere. (s)

LA STRAGE CONTINUA SULLA STATALE 106
BASTA VITTIME: ANAS DEVE PROVVEDERE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Strada della morte continua a mietere delle vittime: è urgentissimo prendere provvedimenti perché non è possibile che la Calabria paghi un così alto tributo di vittime per mancanza di manutenzione e una viabilità su cui si continua a rinviare per i provvedimenti necessari.

Sono stati, per fortuna, appaltati diversi blocchi della SS 106, ma è evidente che tutto questo non è sufficiente: occorre individuare le aree di estremo pericolo e intervenire con provvedimenti ad hoc in grado di mettere in sicurezza questa vitale arteria della jonica.

Occorre un giusto forte segnale di discontinuità», poiché la Statale 106 versa in uno stato vergognoso ha chiesto l’Odv Basta Vittime sulla Strada Statale 106 alla direzione Generale di Anas Spa, alla Segreteria del ministro alle Infrastrutture e dei Trasporti, al presidente della Regione Calabria, al Dipartimento Infrastrutture e Lavori Pubblici ed a tutti i parlamentari eletti in Calabria alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica.

Una situazione insostenibile, in cui Anas «deve intervenire urgentemente», in quanto «la 106 versa in uno stato comatoso», aveva detto Fabio Pugliese, presidente dell’Odv nel corso della conferenza stampa dello scorso luglio in cui si è fatto il punto sulla Sibari-Corigliano e Crotone-Catanzaro.

Dall’incontro, infatti, è emerso che dal quadro economico stimato dal Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, i 3 miliardi stanziati per i due lotti Sibari-Corigliano Rossano e Crotone-Catanzaro della nuova Statale 106 non basteranno, anzi: ne serviranno 5 miliardi.

E «l’Anas è consapevole di tutto questo, tanto è vero che ha parcellizzato questi interventi», ha detto Pugliese, ribadendo che «la politica deve prendere una decisione. Se le risorse restano tre miliardi e non saranno implementate o si fa la Crotone Catanzaro o la Corigliano-Rossano Sibari perché non ha senso iniziare frammenti di queste opere che rischiano di essere incompiute».

L’Odv, infatti, ha stimato che serviranno 3 miliardi e 36 milioni solo per la Catanzaro-Crotone, mentre per la Corigliano Rossano-Sibari ne servono 1 miliardo, ma con possibili incrementi.

Nel documento divulgato da Basta Vittime, si legge che «il progetto esaminato non risulta corredato da valutazioni approfondite ed è caratterizzato da una serie di carenze rilevanti dal punto di vista impiantistico, geotecnico, di sicurezza delle gallerie che non giustificano né la scelta tecnica operata che potrebbe essere ulteriormente ottimizzata per conseguire risparmi, né il dimensionamento corretto dei costi» e che «non si intende impedire lo sviluppo infrastrutturale dell’Italia – si legge sempre nel parere – e comprende la necessità di accelerare i procedimenti ma non può non sottolineare che i Pfte non possono basarsi su dichiarazioni generiche o puramente apodittiche ma devono contenere descrizioni dettagliate in coerenza con il livello progettuale considerato, degli interventi selezionati che consenta di pervenire ad una corretta valutazione dei costi».

È stato, poi, evidenziato il mancato vincolo imposto ai fondi stanziati per la realizzazione dei due tratti della statale 106 che, secondo quanto riferito, sarebbero inclusi nel contratto di programma di Anas e non in una delibera Cipess. Inoltre, l’Associazione ha denunciato l’eventuale revoca dei finanziamenti nel decreto varato dal Mit, «nell’ipotesi di mancato rispetto dei termini previsti dei cronoprogrammi o di omessa alimentazione del sistema di monitoraggio».

E, in tutto questo, la strada della morte continua a mietere vittime. Da inizio anno a luglio, sono state 19 le persone che hanno perso la vita sulla Statale 106. Un numero che a oggi, 30 agosto, è aumentato. E il rischio che aumentino sono altre. Basta vedere le condizioni in cui versa la Strada, in particolare sulla chilometrica 316 nel Comune di Calopezzati, dove non sono stati ancora installati i guardrail.

Nel tratto, infatti, sei anni fa vi fu un incidente stradale e, da allora, l’Anas Spa ha collocato dei New Jersey in plastica vuoti senza mai intervenire per circa 2 anni, salvo poi sostituire i New Jersey in plastica con quelli in cemento che peraltro risultano mal segnalati.

«Alle suddette problematiche l’Anas Spa – ha riferito l’Odv – non ha mai risposto né tanto meno è mai intervenuta al fine di garantire sicurezza per tutti i cittadini automobilisti. In più, da circa 10 giorni, le condizioni di pericolo alla chilometrica 316 sono peggiorate poiché il guardrail lato monte è stato divelto e l’Anas Spa ha ben pensato di collocare i soliti New Jersey in plastica vuoti che non impediscono, ad un qualsiasi mezzo che percorre la Statale 106, di precipitare sul letto del torrente posto al di sotto e che, inoltre, può colpire uno dei tanti pedoni che utilizza un percorso pedonale attiguo per recarsi al mare».

Questo è solo uno dei tanti episodi di immobilismo da parte di Anas, che è stata denunciata dall’Organizzazione per omicidio stradale colposo», a seguito dello scontro mortale avvenuto lo scorso 21 agosto a Sant’Andrea Apostolo dello Ionio.

«La denuncia del 24 agosto nasce da una circoscritta testimonianza dalla quale si evince che l’Anas Spa era stata informata della presenza del problema ben 12 giorni prima che accadesse lo scontro mortale», ha spiegato Basta Vittime, illustrando lo stato vergognoso vergognoso in cui versa oggi la strada Statale 106: vegetazione che invade la carreggiata e copre la visuale degli automobilisti; manto stradale fortemente deteriorato; mancanza di guardrail a ridosso di dirupi; avvallamenti sulla sede viaria; parti di carreggiata su cui insistono lavori non completati da anni; gallerie non illuminate; fari sulle rotatorie periodicamente sempre spenti; ecc. ecc.».

«Ciò che stupisce è che ancora oggi – ha concluso l’Odv – a 18 giorni da quando l’Anas Spa è stata correttamente informata della problematica ed a 6 giorni dalla morte di un ragazzo di 28 anni, lo stato dei luoghi al chilometro 157+200 è rimasto pressoché inalterato con il rischio concreto che quanto accaduto possa addirittura ripetersi». (ams)

 

SUD, LA VERGOGNA DELLA SPESA STORICA
E I LIVELLI DI PRESTAZIONE MAI UNIFORMI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAL’acronimo Lep è ormai noto a tutti. I Livelli Essenziali delle Prestazioni sono quei livelli minimi che devono esistere in tutte le aree del Paese. È che condizionano qualunque forma di concessione di qualunque altra forma di autonomia delle Regioni che dovessero richiederla, in base alla legge recentemente voluta fortemente dalla Lega Nord e approvata dalla maggioranza di Governo. 

Forza Italia ne ha fatto un suo manifesto: starà attenta che le autonomie ulteriori alle Regioni non siano concesse se prima non si realizzino i Lep.  E non lo dice soltanto il Governatore della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ma anche il Presidente del Partito Antonio Tajani

In realtà recentemente anche Fratelli d’Italia si è schierata e afferma l’esigenza che si realizzino i livelli essenziali in tutto il Paese prima di procedere ad ulteriori concessioni di autonomia alle Regioni richiedenti. 

Sarà questa presa di distanza dalla posizione della Lega dei due grandi partiti della maggioranza di Governo, saranno le grandi quantità di firme raccolte dal raggruppamento delle sinistre, dai sindacati Cgil e Uil, anche nel Nord del Paese, che i maggiori sostenitori dell’autonomia sembrano pervasi da una crisi di nervi. 

Che li porta a un diluvio di interviste, ma anche a dichiarazioni risibili, che tentano di ribaltare responsabilità di una situazione che sta compattando il Sud, spaccando la maggioranza e, cosa più importante, consapevolizzando tanti di una condizione di minorità esistente, prevalentemente nelle aree meridionali del Paese.      

 Tale condizione è talmente radicata nella mente dei meridionali da far accettare qualcosa che non è stato particolarmente rilevato dalla politica, ma neanche dai maggiori opinionisti. È cioè che già nell’ accettare che nella legge sia previsto che alcune materie possano essere devolute solo in presenza in tutte le Regioni dei livelli essenziali delle prestazioni c’è un’accettazione del principio di essere figli di un dio minore.  

Perché la domanda che sorge spontanea è perché i meridionali chiedono, e non otterranno mai, visto che la legge non prevede quegli stanziamenti necessari, ma assolutamente improbabili e insostenibili, per attuarli di avere solo i livelli essenziali, invece di pretendere  che si abbiano i Lup? Cioè i livelli uniformi di prestazioni in tutto il Paese, da Bolzano a Lampedusa?

Qualcuno potrà dire che sarebbe già un miracolo riuscire ad ottenere che si abbiano i livelli essenziali. E ciò è certamente vero. Ma è proprio come principio che bisogna far capire, prima di tutto al Sud, che siccome non ha un livello di  tassazione diversa da quella che si applica al Nord, per un principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione, deve pretendere, ma perlomeno richiedere, livelli uniformi. 

Stesso trattamento da parte di uno Stato che si è dimostrato per una parte del Paese patrigno, e che ha permesso che per anni le risorse siano state distribuite secondo il principio della spesa storica. 

Il Dipartimento per le Politiche di coesione, contestato da alcuni centri di ricerca di vocazione nordista, fino a quando non è stato smantellato, calcolava in 60 miliardi la somma  sottratta al Sud se fosse stato adottato il principio della spesa pro capite uguale. 

Certo ci possono essere in Stati così grandi, come la Germania, la Francia e quindi anche l’Italia delle differenze tra le varie parti, ma l’obiettivo di rimuovere le differenze deve essere la stella polare che guida le azioni di tutti i Governi. Accettare invece che nella legislazione venga accettato che ad alcuni possano essere garantiti solo quelli essenziali é già una sconfitta. 

E tale accettazione riguarda anche i Livelli essenziali di assistenza (Lea), che sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini. 

Ovviamente la conseguenza di tale condizione sono poi i viaggi della speranza, il trasferimento di risorse dalle regioni più povere a quelle più ricche, ma anche una vita media minore anche di tre anni rispetto alle realtà più ricche. Per cui lo Stato diventa anche “ladro di vita”. 

Obiettivo della legge sull’autonomia differenziata é mantenere invariata tale situazione, altro che costringere ad essere più efficienti le Regioni meridionali. Perché se è vero che vi possono essere forme di spreco, e certamente sacche, anche importanti, ce ne saranno, é anche vero che é difficile fare un matrimonio con i fichi secchi. 

L’autogol incredibile che ha messo a segno Roberto Calderoli con l’approvazione, di notte e in fretta, come dichiara Roberto Occhiuto «Mi sembra che per il modo in cui si è proceduto all’approvazione di questa riforma – di notte e di fretta – sia sempre più una bandierina da dare ad una forza politica che invece è una riforma capace di superare anche il divario fra le regioni del Sud e le regioni del Nord», è quello di aver aiutato l’accelerazione della consapevolezza. Finora la vulgata che è passata, diffusa dai media più titolati, è stata che la colpa del mancato sviluppo del Sud sia da ricercare nell’incapacità dei meridionali di utilizzare le enormi risorse destinata dal Paese. 

Mano mano ci si rende conto, analizzando in modo approfondito i dati, che il re è nudo. E che se il Mezzogiorno é rimasto indietro non serve domandare alla zingara, ma é scritto nelle politiche adottate fin dal 1860. Che plasticamente sono racchiuse nell’ aver fatto fermare l’Autostrada del Sole a Napoli e l’Alta Velocità Ferroviaria a Salerno. 

Qualcuno era così stupido da poter  pensare che il Sud potesse svilupparsi senza infrastrutture o invece si è pensato di tagliare lo Stivale e farlo affondare da solo? Che in molti si comincino a porre domande scomode é un risultato per il quale dobbiamo ringraziare Zaia e Calderoli. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

DISPERSIONE SCOLASTICA, ALTO IL RISCHIO
IN CALABRIA PER GLI STUDENTI PIÙ GIOVANI

90di GUIDO LEONEAncora qualche settimana di vacanze e poi per gli studenti calabresi delle scuole di ogni ordine e grado, così come per altri loro colleghi di buona parte delle regioni italiane, si riapriranno le porte delle aule per l’inizio delle lezioni fissato a lunedì 16 settembre.

Nelle scuole superiori ,poi, negli ultimi  giorni si stanno svolgendo gli esami valutativi delle carenze riscontrate a giugno da espletare entro la fine dell’anno scolastico e quindi entro il 31 agosto per decidere l’ammissione o la non ammissione di centinaia di studenti  alla classe successiva. Si tratta di quelle prove che una volta erano chiamati esami di riparazione. Interessano mediamente  centinaia di studenti che nello scrutinio di giugno hanno avuto il  cosiddetto giudizio sospeso

Intanto, lunedì 2 settembre per il mondo della scuola è l’inizio del nuovo anno scolastico. Anche quest’anno ci sarà una nuova ripartenza,  la quinta dall’inizio della pandemia da Covid-19, nel quale, ancora una volta, bisognerà confrontarsi con nuove abitudini e stili di vita che hanno impresso, nel corso degli ultimi anni,  una svolta epocale  nel modo di essere e fare  scuola, grazie anche al massiccio ricorso alle nuove tecnologie che ha colmato l’isolamento imposto dalle restrizioni per arginare il fenomeno Covid. 

Sarà una ripartenza che coinvolge milioni di persone tra alunni, personale docente e amministrativo e le stesse famiglie. Si riparte, anche, con l’incertezza e la preoccupazione che la pandemia possa tornare a condizionare la vita in un contesto sociale difficile, con una complessa situazione economica, con gli stipendi degli italiani divorati dalle tasse e senza una prospettiva di adeguamento economico dignitoso.

Sullo sfondo, poi, uno scenario europeo e internazionale infuocato dalla guerra Ucraina – Russia e dalle scottanti tensioni nel Medio oriente dalle conseguenze devastanti per l’economia dei singoli e dello Stato.

Ma che anno sarà per la scuola italiana e calabrese in particolare, per i nostri studenti, per tutti coloro che vi lavorano: docenti, personale Ata, dirigenti.

Se la scuola, così come la sanità e la giustizia, misura lo stato di salute sociale e democratico di uno stato, di un territorio, non c’è da stare allegri. Tutto è rimasto come prima, gli stessi disagi, gli stessi problemi di prima.

I numeri della scuola reggina 

Lo scenario scolastico 2024- 2025 inizia per  dirigenti, docenti e  personale amministrativo, come al solito, con tutta una serie di operazioni di natura collegiale, dal   piano annuale delle attività alla rivisitazione del piano dell’offerta formativa e la preparazione delle attività di accoglienza per le matricole reggine dei vari ordini di scuola statale. 

In tutto gli studenti della nostra provincia nell’anno scolastico 2024-2025 saranno 72.542, così distribuiti fra i vari ordini di scuola: 8.530 infanzia, 21.440 primaria,14.527 media, 28.045 superiore. Cui vanno ad aggiungersi gli allievi delle scuole paritarie.

Resta, purtroppo, la tendenza, che si registra da tempo ad una diminuzione della popolazione scolastica anche nella nostra provincia, più di settecento in meno rispetto all’anno scorso.

Nel Reggino ad affrontare i prossimi esami di maturità, che avranno inizio mercoledì  18 giugno 2025, nelle scuole superiori statali saranno più di 5.000 allievi, mentre nella scuola media inferiore altrettanti per gli esami finali del triennio.

Cosa prevede il nuovo calendario scolastico:una lunga maratona di 202 giorni

 Questo è il ventitreesimo anno della devolution  nel quale le Regioni autonomamente  fissano la data d’ inizio e  il termine delle lezioni.

In Calabria il termine è stato decretato per sabato 7 giugno 2025. Le attività educative nella scuola dell’infanzia, invece, termineranno in quasi tutte le regioni sabato 30 giugno 2025. Per tutti, giorno più giorno meno, una lunga maratona di nove mesi di lezione, fatto salvo il minimo dei 202 giorni di lezione. I giorni di festa (escluse le domeniche) previsti dal calendario ministeriale sono al momento 11, vincolanti su tutto il territorio nazionale.

E cioè l’1 novembre, festa di tutti i Santi; l’8 dicembre, Immacolata Concezione; il 25 dicembre, Natale; il 26 dicembre; il 1° gennaio, Capodanno; il 6 gennaio, Epifania; il giorno di lunedì dopo Pasqua; il 25 aprile, Anniversario Liberazione; l’1 maggio, Festa del Lavoro; il 2 Giugno, Festa nazionale della Repubblica; la festa del Santo Patrono. 

Il decreto del Presidente della Regione Calabria stabilisce, poi, che non si effettueranno lezioni  il 2 novembre 2024; da lunedì 23 Dicembre 2024 al lunedì 6 Gennaio 2025  vacanze natalizie; da giovedì 17 a martedì 22 aprile 2025 vacanze pasquali; sabato 26 aprile interfestivo e da venerdì 2 a sabato 3 maggio 2025 interfestivi.

Il nuovo calendario, così come prevede l’autonomia scolastica , è , comunque, flessibile e dà la possibilità alle scuole di proporre gli adattamenti che possono riguardare anche la data di inizio delle lezioni , nonché la sospensione, in corso di anno scolastico, delle attività educative e delle lezioni prevedendo, ai fini della compensazione delle attività non effettuate, modalità e tempi di recupero in altri periodi dell’anno. Sicché anche le scuole della nostra provincia potrebbero  iniziare le lezioni ancor prima del 14 settembre.

Anche quest’anno si ripresenta ma in misura strettamente ridotta rispetto all’anno scorso l’atavico problema delle reggenze. Le reggenze previste in tutta la Calabria saranno 19, di cui sette nella provincia reggina

Continua a permanere la tendenza al colore rosa nei numeri della dirigenza scolastica calabrese e reggina in particolare e l’abbassamento dell’età media dei responsabili degli istituti. 

Le sfide ricorrenti del sistema educativo. Quali le novità?

Come si sa è stata approvata in via definitiva dalla Camera, la riforma del modello 4+2, il nuovo schema per la formazione tecnica e professionale. L’obiettivo dichiarato è ambizioso: modernizzare un sistema educativo spesso accusato di essere distante dalle esigenze del mercato del lavoro, rendendolo più flessibile e al passo con i tempi. Tuttavia, senza una legge organica che definisca con chiarezza i contorni della riforma, molte innovazioni cruciali rimangono in stand-by. Tra queste, l’aumento delle ore dedicate alle attività laboratoriali, il coinvolgimento di esperti provenienti dal mondo del lavoro e la creazione di percorsi formativi più personalizzati

Altre misure importanti riguardano i docenti di sostegno. In particolare una norma prevede che su richiesta della famiglia dell’alunno con disabilità, il docente precario in servizio nel precedente anno scolastico, possa essere confermato. Inoltre, per far fronte alla cronica carenza di docenti specializzati sul sostegno, viene introdotta, in aggiunta all’offerta delle università, una offerta formativa di specializzazione sul sostegno erogata da Indire, rivolta ai circa 85 mila docenti “precari” che da anni già svolgono questo ruolo, per quanto privi di specializzazione.

Nello stesso decreto legge è contenuta un’altra significativa misura, che entrerà in vigore nel 2025, per le classi dove gli studenti stranieri, con importanti carenze linguistiche, arriverà un docente apposito.

A partire da settembre l’Educazione Civica avrà un posto paritario con le altre discipline. Sono state individuate le nuove linee guida  che abbracciano una vasta gamma di argomenti, con l’obiettivo di preparare gli studenti a diventare cittadini consapevoli e responsabili. L’Educazione civica rappresenterà una occasione preziosa per affrontare tempi complessi spesso trascurati in famiglia.

Sulla base di riferimenti internazionali e su studi relativi alla non opportunità dell’impiego dello smartphone in classe, con casi estremi di rischi della salute, il ministro Giuseppe Valditara ha disposto il divieto tassativo dello smartphone in classe per tutti gli alunni, dai più piccoli ai più grandi, anche per fini educativi e didattici.

Conseguentemente ha posto a carico delle istituzioni scolastiche l’obbligo di aggiornare il regolamento d’istituto, prevedendo anche la possibilità di sanzioni disciplinari per gli alunni della secondaria di I grado che non rispettino il divieto. Su questo terreno non mancheranno certo le polemiche.

Tra le altre novità sono la conferma dei docenti tutor e orientatori per supportare gli studenti nella scelta del percorso di studio e nella personalizzazione dell’apprendimento, l’introduzione di sanzioni pecuniarie per chi aggredisce il personale scolastico, con il pagamento di una somma da 500 a 10mila euro all’istituzione. Tra le riforme in corso il ritorno dei voti in condotta alle medie e la valutazione riferita all’intero anno scolastico e in casi gravi la bocciatura nonché previste anche attività di cittadinanza solidale per gli alunni sospesi per più di due giorni in collaborazione con enti esterni alla scuola 

Il nostro sistema scolastico affronta il nuovo anno con le solite emergenze.

Solo per citarne alcuni: dall’annosa penuria di docenti alla qualità della formazione e dell’offerta formativa, dalle modeste condizioni retributive e lavorative, alla mancata riforma della carriera degli insegnanti, alla assenza di interventi per migliorare l’efficienza ed efficientamento energetico in strutture ad elevatissimo consumo e dispendio energetico, alla accessibilità degli istituti per gli studenti disabili. Ad evidenziare quest’ultimo aspetto è il Rapporto Annuale Istat che calcola come una scuola su tre non risulta essere accessibile agli alunni con disabilità motoria.

Comunque, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: riforme incomplete, cambiamenti continui, spesso improvvisati, sperimentazioni, progetti, innovazioni metodologiche e pedagogiche digitalizzazione a tappe forzate in quanto considerata la panacea di ogni problema, fanno poi puntualmente registrare un tracollo delle conoscenze e capacità cognitive essenziali dei giovani: le prove Invalsi, le indagini Pisa, le statistiche varie ci consegnano da anni il desolante quadro di una sorta di giovanile semianalfabetismo dilagante, a cui si aggiunge un analfabetismo emotivo e sentimentale, aggravatosi dopo il lockdown, alla base dei numerosi episodi di teppismo, bullismo e criminalità nei confronti dei docenti, nemmeno più supportati dalle famiglie, come accadeva un tempo. A proposito a quando la figura dello psicologo in pianta stabile almeno nelle scuole maggiormente a rischio. 

Le risorse destinate al sistema scolastico diminuiscono nell’indifferenza di tutti. La scuola, invece, deve essere la priorità perché ne va del nostro futuro.

Dicevamo delle prove Invalsi che anche per l’anno in corso evidenziano un peggioramento nelle competenze di base in italiano e matematica con la Calabria particolarmente colpita. Già a partire dal ciclo primaria dove si evidenzia una considerevole differenza di opportunità di apprendimento che si riverbera anche sui gradi successivi interamente a svantaggio della Calabria e anche di alcune regioni meridionali. La quota di chi non raggiunge il prescritto livello A1 è circa doppia rispetto al dato nazionale e più che doppia rispetto all’Italia settentrionale.

Alle superiori la musica non cambia: Calabria ultimo posto tra le regioni italiane, i nostri allievi non raggiungono gli obiettivi previsti al termine del secondo ciclo. Secondo il rapporto Invalsi, per quanto riguarda il rischio dispersione scolastica implicita al termine del primo ciclo d’istruzione, la Calabria rientra nel I gruppo delle regioni in cui oltre il 20% di studenti e studentesse (non meno di 1 studente su 5) è a rischio dispersione. Anche se si nota un miglioramento tra il 2023 e il 2024 con un -3,3 punti percentuali.

Così al termine del II ciclo dove oltre il 10% degli studenti (almeno 1 su 10) è a rischio. La Calabria è al 9,3% a fronte della media italiana che è del 6,6%. Anche qui un miglioramento rispetto all’anno scorso  del -4,7 punti percentuali.

Le disuguaglianze territoriali sono, dunque, marcate, con una Calabria e anche l’intero sud Italia che soffre di una maggiore povertà educativa e una minore dotazione di risorse scolastiche e ambientali rispetto al Nord. Anche se si resta in attesa degli  effetti delle politiche adottate dal governo tra cui il tutoraggio, le nuove linee guida sulla matematica, il rafforzamento dei laboratori, l’Agenda Sud e il potenziamento della lingua inglese.

Senza un intervento nazionale deciso queste disuguaglianze potrebbero aumentare, ancor più se dovesse entrare in vigore l’autonomia differenziata che toglierà risorse alle regioni meno dotate.

Quali, dunque, gli obiettivi da perseguire?

Il gap può essere spiegato dal divario economico tra Nord e Sud? Certamente, partire da condizioni socio-economiche disagiate non aiuta nella scuola, come nella vita. Ma non è solo questo. Sembra piuttosto un mal funzionamento delle scuole.

Le politiche degli ultimi anni hanno indebolito il sistema d’istruzione nel nostro Paese. I nostri governanti hanno dimenticato che la scuola non è solo governo (autonomia, ministero, organi collegiali), ma anche struttura (ordinamenti) e cultura (programmi) e se non si interviene sinergicamente su questi tre elementi si possono provocare più guasti di quelli che si vogliono riparare. Alla scuola servono, idee, strumenti e risorse per ridefinirne la mission.

Ci aspettiamo da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale una seria riflessione sulla scuola calabrese e sulle sue emergenze, dandole un senso, un significato, un orizzonte, unitamente alla Regione Calabria. I nostri territori sono segnati, peraltro, da profonde differenze in termini di  opportunità ,spazi, servizi, attività integrative, di condizioni culturali, sociali e quant’altro, tutti aspetti ineludibili che condizionano fortemente gli stessi risultati. Ecco, ci aspettiamo finalmente una diagnosi puntuale per capire quale può essere la terapia da affrontare per le nostre permanenti emergenze.

Fermo restando che le singole scuole devono riflettere sul loro lavoro, sui propri punti di forza e di debolezza per migliorarsi, in prospettiva è fondamentale precisare meglio i traguardi essenziali da raggiungere alla fine della scuola primaria e delle secondaria di primo grado. Puntare sulla formazione iniziale e in servizio dei docenti e ripensare alla proposta della scuola secondaria di primo grado che rimane sicuramente uno dei punti più problematici del sistema, il ventre molle. È pur vero che anche la classe docente tutta deve fare autocritica e fornire ai nostri giovani modelli didattici diversi. Dobbiamo capire che la scuola deve ritornare ad essere un luogo di formazione e di istruzione, meno progetti, più lezione, meno uscite inutili sul territorio, più attività di recupero.

Comunque, come ripeto da tempo, necessita aprire una profonda riflessione sulla scuola meridionale, e, per quanto ci riguarda, sulla scuola calabrese. (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico Usr Calabria]

LA BEFFA DEL BERGAMOTTO “SICILIANO”
REGGIO TUTELI LA SUA UNICITÀ MONDIALE

di SANTO STRATI – Siamo alle comiche finali: mentre si aspetta che la Regione porti a risultato l’operazione Dop per il Bergamotto di Reggio Calabria (avendo bocciato l’istanza di IGP (Indicazione geografica protetta) e che ristori i danni agli bergamotticoltori reggini per i danni del maltempo e della siccità, ecco che dalla Sicilia parte una grande campagna-beffa che svilisce e mortifica ogni tutela fin qui tentata.

La storia è nota: il Bergamotto non è “di Calabria” né tantomeno “siciliano” perché solo nella fascia vocata che va da Villa San Giovanni a Monasterace  crescono i frutti che sono il non plus ultra del benessere (per le proprietà nutraceutiche certificate da scienziati di prim’ordine). I vari tentativi di imitazione nel territorio siciliano e anche nel Cosentino sono stati penalizzati da un risultato che beffa i consumatori e i coltivatori: la qualità è scarsa e il frutto coltivato al di fuori del territorio reggino risulta privo di tutte le caratteristiche organolettiche che ne hanno fatto e continuano a fare non una tipicità locale, bensì un’unicità mondiale.

La campagna per la tutela del Bergamotto di Reggio Calabria e del suo marchio (con tanto di nome e cognome) condotta per anni dal prof. Pasquale Amato è riuscita persino a far modificare le etichette di prodotti alimentari e specialità gastronomiche dove veniva indicato genericamente (ingannando l’utilizzatore finale) “bergamotto”.

Adesso, siamo da capo a dodici, come si dice: l’offensiva disinvolta dei siciliani (che vendono persino le pianticelle) e l’utilizzo improprio del termine generico “bergamotto” rischiano di far tornare indietro di anni la comunità produttiva reggina che si vede così non solo “derubata” di un marchio  distintivo e univoco, ma persino danneggiata nella distribuzione dell’agrume “principe” e dei suoi derivati. La cui esportazione, per intenderci, copre i grandi numeri dell’intera regione.

Reggio deve insorgere e tutelare a spada tratta la sua unicità mondiale, ma avrà bisogno di avere a fianco tutte le istituzioni, a partire dalla Regione, dalla Camera di Commercio, dal Consorzio, e via discorrendo. Occorre un’accelerazione al processo di estensione della DOP (che già esiste per l’essenza) a tutto il comparto produttivo. Oltre a un’azione di rivalsa e di diffida nei confronti di chiunque tenti di “svalutare” il marchio “di Reggio Calabria”, quasi che si trattasse di una varietà agrumicola ottenuta al pari di altre specialità tentate (con successo, c’è da dire) dai produttori siciliani e dell’Alto Cosentino.

Il Comitato per il Bergamotto di Reggio Calabria, presieduto dal prof. Pasquale Amato, apprezzato storico e docente universitario reggino si è già attivato per studiare le iniziative necessarie per la tutela del marchio, a difesa del “principe mondiale degli agrumi”: è opportuno che l’assessore regionale all’Agricoltura Gianluca Gallo e tutti gli attori reggini trovino una corale intesa per evitare un ulteriore e insanabile “rapina” nei confronti di Reggio e della Calabria tutta. Il bergamotto di Reggio Calabria va difeso e tutelato, senza alcun compromesso e l’estensione della DOP sarà il punto di partenza per una controffensiva seria contro le “imitazioni”.  (s)

AUTONOMIA, L’ATTUAZIONE NON È VICINA
IL NODO PER TROVARE LE RISORSE PER I LEP

di ERCOLE INCALZA – La Legge sull’Autonomia differenziata delle Regioni penso sia una “Legge bandiera”, cioè uno strumento voluto da uno schieramento politico come la Lega, uno schieramento che da sempre ha inseguito un preciso obiettivo: dare ruolo e funzione alla identità regionale. Un obiettivo che, oltre ad essere divisivo, genera, automaticamente linee strategiche completamente diverse da quelle che gli schieramenti politici storici del nostro Paese avevano sostenuto sin dall’inizio nel varo della Carta costituzionale.

Ma io non voglio e non posso cimentarmi su un argomento, quello strettamente legato alla nostra Costituzione, perché non sono affatto preparato e non riuscirei, in alcun modo, a vagliare le positività e le negatività del provvedimento. Voglio invece affidarmi alle dichiarazioni di due esponenti di due schieramenti politici diversi: uno di Fratelli d’Italia nella persona dell’Onorevole Tommaso Foti, capogruppo alla Camera dei Deputati e l’altro del Patito Democratico nella persona di Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia Romagna.

L’onorevole Foti alla domanda di un giornalista se ci sono le risorse per dare attuazione ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) ha risposto: «Se non ci sono le risorse non si faranno le intese. C’è una Commissione presieduta da Sabino Cassese che ha due anni di tempo per definire i Lep. La Legge introduce un vincolo che prima non c’era: sulle materie che prevedono i Lep, se non ci saranno le risorse, non si faranno le intese».

Il Presidente Bonaccini invece ha fatto presente: «In molte materie si pensa addirittura di procedere senza alcun criterio perequativo e senza aver stabilito i Lep. Noi puntavamo sulla efficienza dei servizi, qui invece ci si prepara a dividere i destini delle aree del Paese, come se l’Italia non fosse già profondamente divisa. Prima di procedere avevamo chiesto che fossero stabiliti e garantiti i Lep in tutto il territorio nazionale e che fosse assicurato il coinvolgimento del Parlamento».

Dopo queste due dichiarazioni nasce spontanea una domanda: quali sono le distanze attuali nella offerta delle prestazioni essenziali? La risposta è immediata: per quanto concerne la offerta di servizi socio – assistenziali si passa da 22 euro pro capite in Calabria ai 540 euro nella Provincia di Bolzano inoltre la spesa sociale del Sud è di 58 euro pro capite, mentre la media nazionale è di 124 euro e questo tragico indicatore ne genera automaticamente un altro: il Pil pro capite nelle otto Regioni del Mezzogiorno non supera la soglia dei 22 mila euro e addirittura in alcune, sempre delle otto Regioni, si attesta su un valore di 17 mila euro; al Nord si parte da una soglia di 36 mila euro per arrivare addirittura a 40 mila euro.

Non metto in dubbio la buona volontà nel traguardare un obiettivo così strategico e determinante per la crescita e lo sviluppo del Sud e di vaste aree del Paese non solo meridionali, mi preoccupa però che la copertura per traguardare un simile obiettivo non sia possibile trovarla in un arco temporale limitato e, soprattutto a mio avviso, non è solo un problema legato alla copertura finanziaria ma anche procedurale e gestionale. Faccio solo un esempio quello relativo al trasporto pubblico locale; ebbene in questo comparto lo Stato annualmente assicura una disponibilità di 5 – 6 miliardi di euro per il ripiano dei disavanzi delle società preposte alla gestione della mobilità; una cifra già limitata ma che se si volesse rendere comparabile la offerta del Mezzogiorno ed in questo caso anche del Centro del Paese con quella del Nord occorrerebbe, per almeno dodici anni, assicurare annualmente non 5 – 6 miliardi di euro ma 13 miliardi di euro. Non mi dilungo su altri comparti come la “sanità” o “la scuola”. In realtà non si tratta di assegnare per un arco temporale limitato un determinato volano di risorse ma immettere nelle prossime leggi di stabilità delle assegnazioni obbligate per un arco temporale non identificabile. Cioè significa stravolgere il nostro bilancio pubblico ordinario.

Il Governo e la Presidente Meloni sanno bene questo e penso utilizzeranno il “fattore tempo” per smorzare gli effetti di una norma, ripeto, utile solo come effetto mediatico. (ei)

L’IDEA “MAGNA GRAECIA” LA CURA PER FAR
USCIRE DALLA MARGINALITÀ L’ARCO JONICO

di DOMENICO MAZZA – È bastato un vagito dell’Amministrazione di Corigliano-Rossano perché il dibattito sull’esigenza d’autonomia territoriale in riva allo Jonio permeasse la società civile e stravolgesse il quieto letargo della politica locale sul tema. Invero, aver trattato la “questione Provincia” ben dopo il primo quinquennio dell’Amministrazione, non scagiona la classe dirigente cittadina dall’aver tralasciato fino ad oggi l’argomento.

Che il processo d’amalgama, poi, dei due estinti Comuni di Corigliano e Rossano avesse tra le sue destinazioni anche quella di elevare la nuova realtà amministrativa costituita, voglio augurarmi fosse nelle intenzioni dei proponenti l’allora progetto di fusione. Diversamente, dovrei pensare che anche gli ideatori della richiamata vicenda avessero capito ben poco del progetto che, al tempo, ebbero a proporre ai cittadini. Tuttavia, considerata la moltitudine di dichiarazioni lette sulla circostanza dell’autonomia territoriale e appurata la molteplicità di raffazzonati discorsi a riguardo, non meravigliatevi se il pensiero che un colpo di calore abbia pervaso lo spirito e il pensiero di molti fra coloro che sono intervenuti sul tema, mi abbia sfiorato. D’altronde, il maldestro tentativo di strumentalizzare finanche il processo di fusione è la cartina di tornasole di una Classe Politica che, su tematiche di natura amministrativa, annaspava e annaspa vistosamente.

Siamo al delirio totale! Si giocano partite a chi la spara più grossa.

Scorrono in rete attestazioni di Personalità che assumono atteggiamenti ibridi e camaleontici e ciò comprova quanto l’Establishment jonico si avvicini sempre più alla rappresentazione teatrale di una commedia satirica, in cui i protagonisti restano alla disperata ricerca di un autore credibile.

Parimenti, genera ilarità leggere sulla carta stampata Figure istituzionali, estranee al territorio jonico e che immagino neppure conoscano l’allocazione geografica del levante calabrese, imbastire teorie di fusioni amministrative che dovrebbero abbracciare 100km di costa. Il paradosso, poi, è che a proporre improbabili fusioni lungo la costa degli Achei sia chi, per partito preso, alza le barricate alla fusione di tre Comuni in val di Crati, ma tant’è.

Rasentano l’inverosimile, ancora, le dichiarazioni dell’on. Antoniozzi. Il Parlamentare, da un lato taglia le gambe ad un’embrionale posizione di autonomia territoriale sullo Jonio, dall’altro tesse le lodi del progetto di sintesi amministrativa della Grande Cosenza. Processo, quest’ultimo, che, personalmente, sostengo e approvo. Mal comprendo, in realtà, come un Deputato della Repubblica non si soffermi sull’insensata omissione di Montalto Uffugo dallo sfidante sviluppo d’amalgama in val di Crati. Ancora più inspiegabile, per onor del vero, appare il filo conduttore che Costui traccia tra la fusione amministrativa a Cosenza e il flebile anelito d’autonomia jonica.

Evidentemente, l’on. Antoniozzi, non vivendo la Calabria da decenni, avrà obliato che l’area cosentina e quella jonica si sviluppano su apparati territoriali distinti e distanti per usi, costumi, tradizioni ed economie e, soprattutto, non sono legate da affinità comuni. Se proprio volessimo trovare un collante tra i due territori, dovremmo guardare ai periodi delle tornate elettorali. In tali circostanze, infatti, non mancano le attenzioni che l’area bruzia riserva all’ambito jonico.  Non costituisce mistero, d’altronde, l’incetta di voti che il palcoscenico vallivo conquista sullo Jonio; quasi a palese espressione della prona riverenza del levante calabrese agli interessi del centralismo storico.

Ormai, l’Area Jonica sembra sempre più assimilabile ad un bersaglio su cui chiunque si sente in diritto di lanciare le proprie freccette. Non trovano altra spiegazione le fantasiose improvvisazioni apparse sulla stampa o nelle affannose rincorse all’ultimo commento social. Senza tralasciare le impressioni apposte, a mo’ di orpelli esagitati, a margine di note e comunicati. Viziati, quest’ultimi, da pennacchi e provincialismi e carenti di visione, prospettiva e progettualità.

La cosa più imbarazzante, però, è aver letto la riedizione di proposte, bocciate dalla storia decenni fa, riconfezionate sotto le mentite spoglie di una nuova nomenclatura, quasi come se tale tentativo bastasse a fornire rinnovata verginità ad idee stantie. E, con ogni probabilità, per propronenti e suffragatori di una non meglio identificata proposta d’elevazione di Corigliano-Rossano a Capoluogo, il tempo si è fermato sul serio. Il loro orologio, evidentemente analogico, mal si è adattato in un mondo ormai perfettamente digitale.

Appare macchiettistica, ancora, la malcelata velleità di abbinare alla richiesta di una nuova Provincia la ricaduta di un’Asp. Evidentemente, chi propone simili amenità disconosce che alle Asp (aziende sanitarie provinciali) non compete, essendo in capo alle AO (aziende ospedaliere), la medicina ospedaliera. Per aspirare alla costituzione di un’Ao — sappiano — sono necessari tetti demografici di almeno 300mila abitanti. Stessa pianificazione d’ambito vale per reparti di emodinamica e pneumologia. Non è un caso, infatti, che tanto lo Spoke di Corigliano-Rossano quanto quello di Crotone ne siano sforniti. I presidi Hub, per intenderci, sono diretta ed esclusiva espressione delle Ao, non già delle Asp.

Una compilation, in definitiva, di corbellerie inenarrabili hanno invaso pagine di giornali e siti web. Nessun intervento, però, si è non dico addentrato, ma almeno soffermato sul merito di come si intenderebbe costituire il richiamato disegno provinciale. È come se provassimo particolare godimento ad inciampare nelle stesse buche, perpetuando negli errori che già cari ci costarono in passato. Ma si sa, partorire idee poi funzionali solo agli equilibri centralisti, è il classico metodo utilizzato dalle nostre parti per fingere di fare qualcosa pur sapendo di edificare castelli di carta.

Ma andiamo per gradi…

Lo spasmodico dibattito degli ultimi giorni ci restituisce una condizione di surreale insipienza dei concetti basilari legati alle modifiche al Testo unico degli Enti locali e a tutte le variazioni normative intervenute a margine del 2006 e concretizzatesi dal 2014.

Atteso che, sin dai tempi del Governo Monti si è proceduto verso una razionalizzazione degli Enti intermedi e considerate le indisponibilità di Stato a riconoscere nuovi organismi, mal afferro come potrebbe attuarsi l’idea di una Provincia aggiuntiva sul suolo di Calabria. In un territorio, oltretutto, dalla demografia già risicata e dilaniato da una emorragia migratoria da far tremare i polsi. Vieppiù, a seguito della istituzione delle ultime tre Province in Italia (Fermo, Monza e Brianza, Barletta-Andria-Trani), sono stati inseriti nella definizione dei nuovi Enti intemendi paramenti demografici e territoriali da rispettare pedissequamente.

Numeri, i succitati, che le desuete idee Sibaritide-Pollino, Sibaritide, e tutti gli altri puzzle geografici che non dovessero riguardare l’Arco Jonico sibarita e crotoniate non hanno neppure se nella conta demografica venissero inseriti gli animali da compagnia. Senza considerare, poi, le differenze legate all’omogeneità territoriale. Non è un mistero, infatti, che le affinità economiche tra le aree vallive (Pollino) e quelle rivierasche (Jonio) esistano solo nella mente di chi propone idee deboli come quelle richiamate. Fatto salvo, forse, come leggevo in una nota diramata nelle ultime ore, le cicogne bianche che nidificano in agro di Cassano o qualche tartaruga caretta caretta che dal pianoro di Cammarata raggiunge le coste sibarite e — aggiungo — qualche pescheto che si estende lungo la SS534. Verrebbe da chiedersi, inoltre, quale sarebbe la logica di criticare, a giusta ragione, la disomogeneità di un ambito come il foro di Castrovillari, mentre il medesimo perimetro dovrebbe essere funzionale ad una nuova Provincia?

Da oltre 10 anni, ancora, la legge 56/14 (Delrio) ha trasformato le Province in Enti d’Area Vasta. Sono state ridimensionate, infatti, tutte quelle realtà non suffraganti almeno 350mila abitanti e 2500km di superficie complessiva. Tale sistema ha ricondotto l’accorpamento dei servizi delle piccole Province alle ex Province madri con la creazione delle Aree Vaste. Ai piccoli ambiti è stato lasciato semplicemente uno status, il più delle volte non inverato nei fatti. Si vedano, a riguardo, i casi di Vibo e Crotone con la costituzione dell’Area Vasta centro Calabria, ma anche quelli di Lecco e Lodi, così come Biella, solo per citarne alcuni. E, mentre altrove si studiano processi finalizzati a concretizzare una reale crescita amministrativa (prove tecniche per la realizzazione della Città Metropolitana Catanzaro-Lamezia, o i tentativi di dialogo istituzionale per la costituzione dell’area metropolitana interregionale Rc-Me) noi, da completi smemorati cronici, ci abbarbichiamo  in risicate e implausibili proposte già cassate da diversi lustri. Quasi, come sullo Jonio vivessimo in un angolo di Mondo ovattato e decontestualizzato dal sistema Paese. Non trova spiegazione, altrimenti, il tentativo di suffragare proposte che, numericamente, già dove applicate hanno dimostrato tutti i loro limiti.

L’idea Magna Graecia, al contrario, scardina un regionalismo deviato che negli ultimi 50 anni ha prodotto aree centralizzate e periferie rese lande desolate. Generare, a saldo zero per lo Stato, un rinnovato contesto provinciale di oltre 400mila abitanti, ma dimezzato territorialmente e demograficamente rispetto all’elefantiaca e disomogea Provincia di Cosenza, significherebbe aprire alla creazione di ambiti ottimali tra aree ad interesse comune. I tre contesti del centro-nord Calabria (Istmo, Arco Jonico e area vallivo-tirrenica) avrebbero, pressoché, lo stesso ambito demografico e la stessa superficie territoriale. Tale operazione, altresì, consentirebbe di pareggiare il bilancio del gettito di Stato, riequilibrando sistemi oggi scriteriati e sproporzionati. Il doppio Capoluogo innescherebbe una nuova visione policentrica, tranciando cordoni ombellicali di rabberciata funzionalità agli equilibri del centralismo storico. Si spalancherebbero le porte alla nascita di segreterie politiche forti ed indipendenti, non già legate a doppio filo ai desiderata dei Capoluoghi storici. La saldatura amministrativa dell’Arco Jonico, sibarita e crotoniate, suggellerebbe, invero, valenza politica ancor prima che amministrativa. Tale disegno, in ultima analisi, contribuirebbe in maniera sinergica all’inquadramento funzionale del golfo di Taranto quale baricentro naturale nella prossima costituzione della Macroregione mediterranea.

Dunque, smettiamola con la promozione di idee povere, prive di significato e del tutto insensate. Iniziamo a pensare in grande e a ricavarci un ruolo di prestigio, rispetto e dignità. Usciamo dal limbo della marginalità in cui le deviate politiche degli ultimi decenni, con la complicità dei satrapi locali, hanno condotto l’area dell’Arco Jonico. E, soprattutto, mettiamo da parte disegni miserabili e inconsistenti e iniziamo a partorire progetti degni di una mente  come quella dell’uomo. (dm)

LA VARIA PATRIMONIO UNESCO, RISCHIA
DI DIVENTARE UNA FESTA DA STRAPAESE

di SANTO STRATI – Alcuni calabresi sparsi in varie località del mondo mi hanno scritto chiedendo notizie della “festa di Palmi, quella della Madonna” che si tiene ad agosto… Non ricordavano che si chiamasse Varia e non sapevano dove cercare informazioni: quale più evidente segnale che la grande festa della Devozione, patrimonio immateriale dell’Umanità per l’Unesco, non trova la dovuta promozione, adeguata al valore simbolico che l’evento stesso rappresenta.

Al contrario della festa di Santa Rosa a Viterbo (altro patrimonio Unesco unitamente alla Discesa dei Candelieri di Sassari) che riesce ad avere un’eco mondiale. Ma il confronto non regge: la Varia è tutt’altra cosa, è una rappresentazione di sapore rinascimentale che utilizza persone vere (l’animella, il Padreterno, gli angeli, etc), ovvero figuranti reali che danno un particolare senso alla devozione popolare.

La Varia, originariamente era un evento a cadenza triennale o quadriennale, poi lo scorso anno il sindaco di Palmi Giuseppe Ranuccio – sembrerebbe senTIza consultare nessuno – ha deciso che ci sarebbe stata anche quest’anno. Nulla di che, anzi un appuntamento aggiuntivo con la Fede e l’impegno appassionato dei mbuttaturi e di quanti, in un modo o nell’altro, collaborano alla realizzazione di questo meraviglioso evento che ha caratteristiche di unicità mondiali.

Solo che, pur avendo ricevuto sostanziosi contributi da Reggio e Città Metropolitana, la Città di Palmi sta facendo di tutto per trasformare un evento popolare di respiro mondiale in una modestissima festa strapaesana, di cui non importa nulla ad alcuno.

Tutto ciò è inaccettabile. Non ci interessa sapere l’ammontare dei debiti che la Fondazione ha accumulato (probabilmente più per eventi legati all’Estate Palmese, che alla Varia) perché, nel caso riguarda la magistratura, ma non si può vedere ridotta in una festa paesana una tradizione ricca di storia e di grande suggestione turistico-culturale.

Con il rischio di vedersi ritirare la qualifica Unesco (possibile, ove non vengano rispettati i requisiti prestabiliti nel 2013 dall’apposita Commissione) e togliere ai calabresi un vanto che riempie dì orgoglio non solo i palmesi bensì tutta la regione.

Ebbene, la sensazione che di Varia quest’anno si parlasse poco o niente, che avevo avvertito, è divenuta rapidamente realtà: qualche breve notizia nei quotidiani locali (nelle pagine provinciali, nemmeno regionali), vuoto assoluto nei media nazionali e persino sui social. Frutto evidente di una mancata programmazione e dell’assenza dei più elementari principi di marketing territoriale.

Intendiamoci, non è solo sulla Varia che la Calabria, intesa come Regione, toppa clamorosamente nella promozione e nella comunicazione. Abbiamo esempi in quantità industriale che non val la pena nemmeno di citare, tanto sono evidenti i modestissimi risultati ottenuti in termini di attrazione turistica e culturale. Il sospetto è che in Regione abbiamo a che fare con dilettanti allo sbaraglio che trovano, con grande abilità contabile, i fondi necessari per far realizzare eventi e manifestazioni, ma poi scivolano sulla necessaria azione promozionale da attuare sulle stesse.

In poche parole, non puoi organizzare un evento e poi trascurare di farlo sapere in giro. Il tam-tam va bene per la presentazione di un libro o un convegno di giuristi o professionisti e quello che sia, ma di fronte a eventi della portata della Varia è impensabile non studiare un piano di comunicazione efficace e foriero di grandi risultati.

Nel caso specifico, quest’anno, hanno giocato contro alcune scelte poco felici dell’Amministrazione, ma si può giustificare l’inezia con cui è stata affrontata un’edizione – fuori calendario della tradizione – calpestando un minimo di buon senso e riducendo il tutto a una festa di piazza, bellissima quanto volete, ma molto vicina a una giornata da strapaese di cui non rimarrà traccia.

Eppure la Varia ha una storia antica e sorprendentemente suggestiva, ricca di valori che partono

dalla fede e dalla devozione e finiscono all’idea di una comunità praticante, impegnata in mille modi diversi alla riuscita dell’evento.

Il marketing territoriale è una spina nel fianco della Regione e si continua a perdere occasioni e opportunità di valorizzazione di territori, luoghi, eventi e personaggi che hanno dato e danno lustro alla Calabria. Abbiamo decine e decine di testimonial del passato su cui costruire una narrazione di cultura unica e inimitabile, ma in Regione si dimenticano di ricorrenze, anniversari e occasioni, mentre sono attenti alle feste in costume medievale (ottima iniziativa, per carità) o alle rassegne e festival di tarantella e peperoncino, che sono pur sempre – diciamo – marcatori identitari di questa terra. Ma non è con la festa della ‘ndujia che si può creare attrazione culturale, sostenere e alimentare, per esempio, il turismo religioso (trascuratissimo in Calabria), attivare nuovi interessi su una vastissima platea di potenziali visitatori.

I numeri del mese di agosto del Museo dei Bronzi, peraltro, indicano chiaramente che c’è un forte afflusso di “forestieri” che amano scoprire la millenaria civiltà magnogreca e i due capolavori restituiti dal mare. Ulteriori segnali positivi sono venuti da altri siti archeologici di un certo interesse, ma la trascuranza che l’Ente Regione dedica all’enorme patrimonio archeologico della Calabria sfiora l’orrore. Non si può tollerare che, nonostante la ricchezza artistica, culturale – oltre a quella paesaggistica e ambientale –, i numeri del turismo calabrese siano modestissimi. La narrazione “turistico-culturale” della Calabria va completamente ripensata e non si può improvvisare (come è stato fatto fino ad oggi). Non ci sono giustificazioni – e il caso della Varia 2024 parla da solo – a coprire la mancanza di visione e presumibilmente l’enorme incompetenza di chi deve decidere sulle iniziative necessarie per promuovere eventi e manifestazioni.

È facile riempire le piazze con concerti gratuiti (pagati da noi contribuenti) con nomi di grido: ma cosa portano in termini di promozione turistica? Forse zero.

Palmi, con la sua tradizione e la sua macchina a spalla “animata”dovrebbe avere servizi televisivi in tutto il mondo, pagine di quotidiani nazionali e internazionali, potrebbe richiamare una grande affluenza di pubblico (che ci sarà comunque, ma ristretta agli ambiti della provincia), che a sua volta avrebbe fatto da testimonial di una Calabria non solo accogliente e straordinariamente bella, ma anche ricca di suggestioni uniche come la Varia. (s)

REFERENDUM, SUPERATE LE 500MILA FIRME
PUR CON ALCUNE CRITICITÀ AI BANCHETTI

di ERNESTO MANCINI – Si sta svolgendo in tutta Italia la raccolta delle firme per chiedere il referendum totalmente abrogativo della legge Calderoli, detta anche legge “sull’autonomia differenziata” oppure, in modo più significativo, legge “spacca Italia”. La raccolta è cominciata il 20 luglio scorso e terminerà con la consegna delle firme il 30 settembre prossimo.

I Comitati No AD (No a qualsiasi autonomia differenziata), i partiti promotori, i sindacati rappresentativi (Cgil, Uil) ed altre formazioni sociali (tra cui Anpi, Arci, Wwf, Libertà e Giustizia, Actionaid, Democrazia Costituzionale, ecc.) stanno facendo un ottimo lavoro sulle piazze. Peraltro, alla raccolta cartacea si è affiancata la raccolta elettronica da remoto attraverso lo strumento informatico dello “spid” che consente la firma on line con grande effetto sul risultato complessivo della richiesta referendaria.

Nonostante sia lontana la scadenza, proprio oggi si è raggiunto, con le sole richieste spid, l’obbiettivo delle 500mila firme come certifica il sito informatico realizzato ad hoc. A queste vanno aggiunte alcune centinaia di migliaia (dato ancora non conosciuto nel dettaglio) delle firme già acquisite ai “banchetti” sui moduli cartacei. È già certo, perciò, che il quorum verrà ampiamente superato ma i promotori ritengono politicamente importante che venga superato doppiando il quorum (un milione di firme).

Accade tuttavia che al momento della certificazione della raccolta dei moduli cartacei, gli ufficiali elettorali di molti comuni si limitano a certificare solo i moduli delle firme dei residenti accedendo alle liste elettorali della propria anagrafe comunale. Per i non residenti, anziché accertare direttamente ed in tempo reale il requisito attraverso l’Anpr (sistema web anagrafe nazionale popolazione residente), gli ufficiali elettorali ritengono di poter certificare solo le firme presentate insieme al certificato cartaceo di iscrizione alle liste elettorali di ciascun cittadino. Pertanto, ai comitati referendari viene richiesto di procurarsi via pec dai singoli comuni di provenienza dei non residenti, il certificato elettorale del cittadino interessato per poi presentarlo, attraverso ulteriore autenticazione, al Comune nel quale il cittadino non residente ha firmato.

Va detto che la situazione è molto variegata in tutta Italia perché alcuni comuni pretendono tale certificazione cartacea (per esempio: Roma), altri (per esempio: Genova, Voghera) non la richiedono e certificano i moduli ottenendo lo stesso dato in tempo reale accedendo all’Anpr ed avendo così la certezza giuridica che il firmatario è in possesso del diritto elettorale e quindi del diritto di firmare la richiesta di referendum.

La prassi dei comuni renitenti ad utilizzare essi stessi l’Anpr per certificare i non residenti è illegittima oltre che vessatoria per i comitati e dannosa per il risultato della campagna referendaria. Essa va respinta per i seguenti motivi.

1) Violazione di legge per mancato utilizzo dell’Anpr (anagrafe nazionale della popolazione residente)

L’Anpr è stata istituita con l’art. 2 del decreto-legge 179/2012 attraverso la rete digitale delle anagrafi comunali di tutta Italia. Tra le diverse funzioni l’Anpr consente agli Ufficiali Elettorali di ottenere in tempo reale dati rilevanti per i cittadini “non residenti”. Ciò ai fini dell’esercizio dei loro diritti politici, come quello in questione, di richiedere un referendum pur trovandosi per lavoro, per studio, per turismo o per altra causa in città diversa da quella di residenza. Trattasi di mobilità diffusissima in Italia, ancor di più in questo periodo di ferie estive.

Il mancato utilizzo di tale anagrafe per i non residenti da parte dei funzionari impedisce la validazione della richiesta e, di conseguenza, la certificazione dell’avvenuta volontà referendaria. Con l’ulteriore illegittima conseguenza dell’esclusione di tali cittadini dal conteggio dei richiedenti il referendum, la violazione del loro diritto politico di cittadino-elettore e la non meno grave conseguenza, politicamente significativa, di un numero complessivo minore, anche per centinaia di migliaia, di cittadini non residenti che hanno sottoscritto il modulo per il referendum abrogativo.

2) Violazione dell’art. 1 comma 2 e 2 bis della legge 241/90 che pone il divieto alla Pubblica Amministrazione di aggravare il procedimento amministrativo a carico dei cittadini

La violazione di questa norma consiste nel richiedere ai gruppi referendari ulteriori adempimenti rispetto a quelli effettivamente previsti a loro carico nei moduli di raccolta firme (numero documento di identificazione, generalità e residenza). Inoltre, pretendere che questi gruppi spediscano migliaia e migliaia di pec e ne attendano le risposte (che potrebbero non arrivare od arrivare tardivamente) è una palese violazione del principio per cui le amministrazioni non possono aggravare gli adempimenti del cittadino per questioni cui esse stesse possono agevolmente farvi fronte. Violato, per lo stesso motivo, è anche l’art. 2-bis della legge 241/90 secondo cui l’Amministrazione deve improntare i rapporti col cittadino a princìpi di collaborazione e buona fede.

3) Violazione della normativa sulla documentazione amministrativa (art. 43 Dpr 445/2000)

L’art. 43 del Dpr.28/12/2000, n. 445 (Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa), stabilisce che la Pubblica amministrazione non può richiedere atti o certificati riguardanti stati, qualità personali e fatti i cui contenuti siano già in suo possesso, ma deve acquisirli d’ufficio.

L’acquisizione ed il possesso, in questo caso, derivano dall’accesso al sistema anagrafico digitale che, come si è detto, è stato realizzato proprio per avere in qualsiasi momento e da qualsiasi comune la disponibilità dei dati.

Tutto ciò, a tacer d’altro, comporta la violazione del principio di derivazione europea del c.d. “once only” perché ogni Amministrazione, una volta per tutte, mette a disposizione delle altre attraverso il sistema digitale i dati costantemente aggiornati di propria competenza. Ed è proprio la disponibilità dei dati che consente di utilizzarli ai fini del controllo dello status di elettore del cittadino firmatario. Il non utilizzarli comporta la violazione dell’art. 43 d.p.r. 445/2000 qui evidenziato.

4) Eccesso di potere per irrazionalità ed illogicità manifesta, violazione dell’art. 97 della Costituzione per contrasto col principio di buon andamento degli uffici della Pubblica Amministrazione

Ma, a guardar bene, le Amministrazioni, appesantendo le incombenze dei promotori referendari per i non residenti, appesantiscono anche se stesse perché ogni Comune, a seconda delle dimensioni, dovrà rispondere a centinaia o migliaia di pec impegnando così non poco i propri uffici ed i relativi protocolli con maggiore spendita di tempo per la redazione e l’inutile scambio di corrispondenza visto che lo status di elettore è già acquisibile on line con assoluta certezza.

Insomma, un meccanismo perverso che rende più gravoso il compito sia per i comitati referendari che per la pubblica amministrazione. Siamo pertanto nel pieno della fattispecie di irrazionalità ed illogicità manifesta espressione dell’eccesso di potere quale vizio di illegittimità dell’agire amministrativo pubblico (art. 21 octies legge 241/90).

5) Violazione dell’art. 97 della Costituzione suol buon andamento della pubblica amministrazione

Non meno evidente, per i motivi anzidetti, è la violazione dell’art. 97 della Costituzione che impone il “buon andamento” della Pubblica Amministrazione inteso come canone di rapidità, efficacia, semplificazione dell’attività amministrativa. Tale attività è invece gravata da adempimenti inutili a carico dei gruppi referendari costituitisi dappertutto nel territorio nazionale.

6) Raccolta Cartacea e Spid (Sistema pubblico di identità digitale)

Ma all’ affermazione di illegittimità per irrazionalità ed illogicità manifeste si giunge anche per altra via. Se, infatti, si può firmare la richiesta di referendum attraverso lo Spid senza l’onere di dimostrare il proprio elettorato attivo perché è già insito nel sistema di controllo informatico, non si vede perché analoga modalità non possa attuarsi col sistema della certificazione utilizzando la medesima base-dati dell’ANPR a cura dei funzionari comunali delegati a controllare e certificare i moduli.

7) Violazione per errata interpretazione ed applicazione della normativa sui certificati elettorali

Se è pur vero che la normativa prevede il sistema delle pec con allegata certificazione, è anche vero che il progressivo subentro dei Comuni nell’ANPR consente di applicare tale sistema solo per quei comuni (invero ormai minoritari) che ancora non hanno l’accesso all’Anagrafe digitale mentre per tutti gli altri l’obbligo è implicito proprio grazie a tale accesso. Ne è ulteriore riprova il fatto che nel corso del 2022 è stato emanato il Decreto Ministeriale 17.10.22 che stabilisce le modalità di integrazione proprio delle liste elettorali dell’Anpr e che all’allegato 2 punto 4 stabilisce che il comune può rilasciare i certificati ai cittadini a prescindere dal comune di residenza dell’elettore, “ai fini di garantire e agevolare l’esercizio dell’elettorato attivo e dell’elettorato passivo costituzionalmente tutelati”.

Insomma, si tratta di una risorsa, quella dell’Anpr, creata per le finalità anzidette e che invece rimane inutilizzata nonostante gli sforzi notevoli dello Stato e dei Comuni per costruirla nel duplice interesse dell’Amministrazione (il cui lavoro viene semplificato e velocizzato) e degli stessi comitati dei cittadini referendari chiamati invece ad adempimenti inutili e, per come si è detto, vessatori.

8) Violazione dei princìpi del Codice di Amministrazione digitale

Vengono anche violati i princìpi del codice dell’Amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 07/03/2005 n.82 e successive modificazioni e integrazioni. Tra questi basta citare l’art. 2 secondo cui la Pubblica Amministrazione “si organizza ed agisce per garantire agli utenti (ma anche a se stessa – ndr) la fruibilità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, oppure l’art.3 sul diritto all’uso delle tecnologie nei rapporti con la Pubblica Amministrazione cui corrisponde il dovere di questa di agire in modo da garantire tale diritto.

9) Maggiori carichi di lavoro e minore efficienza

Nessun pregio hanno le tesi di alcuni Comuni secondo cui aumenta il carico di lavoro dei propri uffici elettorali; intanto perché altri Comuni dovranno certificare dati che il Comune richiedente ha già in rete e, reciprocamente, questo dovrà verificare i dati di quelli (!!!) . Inoltre, perché sarebbe espressione di buona organizzazione rafforzare, se proprio ce n’è bisogno, attraverso comandi interni del tutto provvisori (due mesi) il personale da dedicare a questa importante funzione di democrazia senza sacrificarla in nome di non più ammissibili prassi.

10) Omissione dei doveri d’Ufficio da parte del Ministro dell’Interno

È molto grave che il Ministero dell’Interno, in una situazione nella quale si riscontra diversità di comportamento tra i comuni sulla medesima fattispecie, non sia intervenuto con apposita circolare esplicativa ai fini di un indirizzo uniforme e legittimo. Il risultato è la violazione diffusa di tutti princìpi di diritto sopra richiamati e la lesione del diritto al referendum con conseguenze sulla quota complessiva da raggiungere per il prosieguo del procedimento; quota che nel minimo (500 mila firme) non sarà compromessa, ma nel massimo certamente sì.

Conclusioni

Violare i princìpi di diritto pubblico come quelli sopra esposti in materia di referendum è un grave vulnus per la democrazia. Scaricare sui comitati promotori da parte di molti Comuni oneri che sono propri è illegittimo ed influisce assai negativamente sul risultato complessivo. Non consola il fatto che il quorum è stato già raggiunto e sarà comunque superato ampiamente: uno Stato di diritto non può permettersi questi assurdi comportamenti da parte degli organi pubblici che ad esso fanno capo. (em)