Il commissariamento (in atto da 15 anni) ha peggiorato la Sanità in Calabria: la regione non può più aspettare

di MARIAELENA SENESE e WALTER BLOISE – Il Governo nazionale deve accelerare la fine del commissariamento della sanità Calabrese. Dopo oltre 15 anni la nostra regione non può più aspettare. Bisogna fare presto, perché Piano di rientro e commissariamento hanno determinato un peggioramento dei servizi e un aumento delle diseguaglianze.

La Calabria e il Molise sono le uniche regioni italiane la cui sanità è ancora commissariata. Gli stretti vincoli imposti dalla misura, uniti al piano di rientro, continuano ad ostacolare la ricostruzione della sanità territoriale.

Il commissariamento ha da una parte contribuito a migliorare il riequilibrio dei conti, ma in questi anni sono stati chiusi 18 ospedali, sono stati effettuati tagli lineari ed è stato bloccato i turnover del personale. Una visione “ragionieristica” che non ha tenuto conto delle esigenze di cura dei pazienti, trattati come numeri e ai quali è stato spesso negato il diritto alla cura. Con poco personale i reparti sono in affanno, i pronto soccorso sotto pressione e si allungano le liste d’attesa. Una situazione che ha spinto oltre 180 mila calabresi a rinunciare, nel 2024, alle cure  oppure a rivolgersi a strutture sanitarie situate fuori dai confini regionali. Una mobilità passiva che ha raggiunto la cifra monstre di 308 milioni nel 2025.

Un dato cresciuto rispetto al 2024 quando le spese sostenute dalla Regione per curare i propri cittadini in strutture fuori dal territorio calabrese, ammontavano a 304 milioni. I saldi di mobilità sanitaria confermano la capacità attrattiva delle Regioni del Centro Nord, mentre sono sempre più elevati gli indici di fuga dalle regioni del Centro Sud. E la Calabria è tra le Regioni dove il saldo negativo è superiore ad un miliardo (-3,27 miliardi).

Per normare la migrazione sanitaria la Regione Calabria si appresta a siglare  un accordo con l’Emilia Romagna con l’obiettivo di  regolare i flussi economici  della mobilità sanitaria. A tal proposito: lasciano perplessi le dichiarazioni   del governatore dell’Emilia Romagna il quale ha detto che il sistema sanitario emiliano romagnolo non riesce più a curare i pazienti che provengono da fuori regione e che sono molti i calabresi che scelgono le strutture sanitarie dell’Emilia Romagna. Una polemica che riteniamo  sterile. Tutti i cittadini hanno il diritto  di ricevere assistenza sanitaria anche in  strutture situate  in Regioni diverse da quella di residenza. Vogliamo inoltre sottolineare che il diritto alla cura non può essere rapportato ai numeri di bilancio.

La Uil e la UilFpl Calabria chiedono con forza di uscire dalla gestione commissariale  per poter procedere ad un piano straordinario di assunzioni. 

È necessario, inoltre, rendere maggiormente attrattiva la professione sanitaria, prevedendo indennità straordinarie per i medici e per il personale che decide di restare in Calabria e incentivare il rientro dei professionisti che operano fuori regione.

Proponiamo misure di welfare aziendale e l’Housing sociale: i concorsi per medici e infermieri possono essere più attrattivi se è previsto oltre al welfare un alloggio  con contratti di affitto a prezzi calmierati o protetti. Una misura che potrebbe favorire la presenza di personale sanitario anche e soprattutto nelle aree interne.

Progetti e proposte che possono essere realizzate se terminerà la lunga fase  commissariale e se il Governo darà alla Regione la possibilità di gestire la sanità  superando  anche il piano di rientro il cui prezzo viene pagato dai cittadini, in termini economici e in termini di salute. Bisogna  invertire la rotta per migliorare i servizi, garantire il diritto alla cura dei cittadini e ridurre le criticità strutturali e operative che si sono accumulate nel tempo. (mae/wb)

(Segretario Generale Uil Calabria e Segretario Generale UIL Fps Calabria)

Alta Velocità ferroviaria: il tracciato per Tarsia-Cosenza è antieconomico e poco funzionale

di GIUSEPPE ANDREA MAIOLO – Il completamento della linea ferroviaria Alta Velocità/Alta Capacità Salerno–Reggio Calabria rappresenta un obiettivo strategico nazionale per la modernizzazione del trasporto ferroviario nel Mezzogiorno. Allo stato attuale, il tratto calabrese compreso tra Praja a Mare e Reggio Calabria Centrale necessita ancora di una copertura finanziaria adeguata e di un cronoprogramma di realizzazione coerente con gli standard scientifici delle principali dorsali AV.

Si segnala che, nel portale documentale SILOS della Camera dei deputati, risulta ancora presente una “ipotesi di tracciato interno via Tarsia-Montalto”, originariamente valutata come possibile alternativa al corridoio tirrenico.
Tale versione del tracciato non rispecchia più le evoluzioni progettuali maturate a seguito degli studi tecnici condotti da RFI e MIT.

L’ipotesi via Tarsia prevedeva: l’attraversamento del massiccio del Pollino attraverso gallerie di lunghezza eccezionale, con elevata complessità realizzativa e criticità geologiche significative; un allungamento complessivo del tracciato e conseguente incremento dei tempi di percorrenza (445 km); una minor coerenza con i criteri infrastrutturali delle dorsali AV, orientati a linearità, velocità di progetto e contenimento dei costi operativi.

Dal punto di vista dell’ingegneria dei trasporti, tale soluzione non garantirebbe il rispetto del parametro di equità dei tempi di percorrenza oltre che non rispetterebbe parametri ormai presenti nella letteratura scientifica sulla cosiddetta “vertical alignment”; è stato stabilito a livello internazionale, infatti, che nella progettazione di nuove linee AV/AC si rispetti un’ipotesi di tracciato che si avvicini il più possibile ad una linea d’aria ipotetica. Solo questa teoria assicurerebbe un recupero sufficiente per l’area metropolitana di Reggio Calabria e per il bacino tirrenico meridionale, risultando meno efficiente rispetto alla direttrice pseudo costiera oggi ritenuta preferibile.

È importante ribadire, in modo chiaro e tecnico, che la città di Cosenza non risulterebbe in alcun modo penalizzata dal superamento dell’ipotesi interna via Tarsia. La connessione AV/AC del capoluogo bruzio, infatti, sarebbe garantita dalla costruenda galleria Santo Marco, attualmente in fase di avanzata progettazione/realizzazione con 1,6 miliardi di euro già stanziati dal Governo nazionale, che consentirà un collegamento AV diretto e competitivo con il corridoio tirrenico, una riduzione significativa dei tempi di percorrenza ma soprattutto un miglioramento della continuità di esercizio e dell’accessibilità ferroviaria dell’area urbana di Cosenza-Rende-Unical. Pertanto, la dismissione dell’ipotesi interna non rappresenta una scelta localistica, ma una valutazione tecnico-ingegneristica in favore di una soluzione più efficiente e già programmata per servire anche Cosenza.

La permanenza in SILOS dell’ipotesi via Tarsia-Montalto può generare disallineamenti nella lettura dello stato di avanzamento progettuale, soprattutto in una fase cruciale quale l’approvazione della Legge di Bilancio. Un aggiornamento del sistema documentale contribuirebbe invece a migliorare la chiarezza programmatoria, ad allineare le informazioni alla reale direzione progettuale e a semplificare il processo di pianificazione finanziaria.

A tal proposito, in parallelo, per monitorare le attività progettuali e costruttive del tratto Praja a Mare–Reggio Calabria, sarebbe utile introdurre in Legge di Bilancio di un emendamento mirato a istituire chiarezza sul fondo pluriennale (Contratto di Programma MIT – RFI) dedicato alla progettazione definitiva, all’esecutiva dei lotti che vanno dal 3 al 6. La disponibilità di risorse certe (circa 15 miliardi di euro) in unione ad una diversa fonte di finanziamento come detto dal Governatore Occhiuto che ha brillantemente espresso e citiamo di “rimodulare alcuni fondi destinati alla sicurezza”, è considerata un presupposto indispensabile per garantire continuità operativa, evitare frammentazioni e assicurare standard uniformi lungo l’intero itinerario.

La realizzazione del tratto AV/AC Praja a Mare–Reggio Calabria è indispensabile per garantire uniformità infrastrutturale all’intero asse Salerno–Reggio Calabria, assicurare competitività nei tempi di viaggio e rafforzare l’accessibilità di tutte le aree servite.
L’aggiornamento dei documenti ufficiali e l’inserimento del relativo emendamento nella Legge di Bilancio rappresentano passi fondamentali per procedere in modo chiaro, coordinato e pienamente conforme ai criteri tecnici che guidano lo sviluppo della rete Alta Velocità in Italia. (gam)

(Preside Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani – Sezione di Reggio Calabria)

Stop alla violenza sulle donne: serve una rivoluzione culturale

di ANNA COMI – Il 25 novembre, come ben sappiamo è la giornata contro la violenza maschile sulle donne e già questa denominazione è un invito alla riflessione. Se parliamo di violenza maschile e non semplicemente di violenza, è perché le parole contano: non sono mai neutre, dicono chi agisce e chi subisce, e ci obbligano a guardare in faccia la realtà.

Che la violenza sulle donne sia soprattutto una questione maschile ce lo ricorda l’indagine dell’Istat  pubblicata qualche giorno fa. L’indagine,  denominata “Sicurezza delle donne”, è uno strumento di rilevazione che, attraverso interviste rivolte a un campione rappresentativo di donne, permette di conoscere l’ammontare delle vittime della violenza maschile, includendo anche le esperienze subite e mai denunciate alle autorità (“sommerso della violenza”).

Secondo il report sono circa 6 milioni e 400mila (il 31,9%) le donne italiane dai 16 ai 75 anni di età che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita (a partire dai 16 anni di età). Il 18,8 ha subìto violenze fisiche e il 23,4% violenze sessuali; tra queste ultime, a subire stupri o tentati stupri sono il 5,7% delle donne.

La violenza contro le donne quindi non è – e non è mai stata – un “problema femminile”.

È una questione maschile, di potere, di linguaggi, di modelli educativi, di cultura profonda che attraversa le relazioni e il modo in cui la nostra società continua a rappresentare il ruolo di uomini e donne.

Proprio per questo, il cambiamento non può essere delegato esclusivamente alle donne, né può essere raccontato come un percorso individuale. È un cambiamento che riguarda soprattutto gli uomini di tutte le età: il loro modo di guardare alle relazioni, la capacità di riconoscere la violenza nelle sue forme più sottili, la responsabilità di costruire modelli diversi da quelli ereditati.

In questo senso tornano alla mente le parole pronunciate dal ministro Carlo Nordio: “La parità non è nel DNA dei maschi.”

Una frase che, oltre a essere scientificamente infondata, è politicamente pericolosa: come se la disuguaglianza fosse una caratteristica naturale e non il prodotto di secoli di cultura patriarcale.

Per noi è una lettura fuorviante, quasi una resa: la parità non appartiene al DNA, appartiene all’educazione, alle scelte collettive, alla responsabilità sociale.

Attribuire alla biologia ciò che nasce dalla cultura significa togliere agli uomini – e alla società – la possibilità e il dovere di cambiare.

La parità di genere continua ad essere una costruzione quotidiana, difficilissima, che richiede consapevolezza e responsabilità soprattutto da parte degli uomini.

La nostra storia italiana ce lo ricorda con forza.

Franca Viola, nel 1965, rifiutò il matrimonio riparatore dopo essere stata vittima di uno stupro. Quel rifiuto fu un gesto rivoluzionario, uno degli atti fondativi dell’Italia moderna. Ma pochi ricordano che Franca non fu lasciata sola: al suo fianco c’era suo padre, che si oppose alla famiglia del violentatore, alle pressioni sociali, scegliendo la dignità della figlia.

In un’Italia in cui lo stupro era considerato un delitto “contro la morale” e non contro la persona, la scelta di Franca Viola aprì la strada all’abolizione del matrimonio riparatore e – anni dopo – a una nuova consapevolezza sociale.

Quella vicenda ci dice una cosa fondamentale: per cambiare la cultura servono uomini che abbiano il coraggio di schierarsi.

Uomini che si assumano il peso del proprio ruolo nella trasformazione sociale.

Uomini che sappiano intervenire nelle relazioni, nei linguaggi, nei silenzi.

Uomini che riconoscano i privilegi che la cultura assegna loro e scelgano di usarli per smontare la violenza, non per perpetuarla.

Ogni 25 novembre ci ricordiamo che non basta indignarsi dopo un femminicidio.

Serve un lavoro quotidiano: nelle scuole, nelle famiglie, nelle istituzioni, nei luoghi di lavoro, nelle comunità.

Serve una rivoluzione culturale che sappia includere gli uomini come parte attiva, responsabile e consapevole.

Crediamo sia fondamentale educare all’affettività: per questo sosteniamo l’introduzione dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, come strumento di consapevolezza, rispetto e prevenzione della violenza di genere.

Come Quote Rosa, crediamo che questa rivoluzione sia possibile e che debba cominciare da un cambiamento dello sguardo, delle parole e dei modelli che lasciamo alle future generazioni. (ac)

(Presidente Associazione

culturale Quote rosa)

Gratteri contro tutti: «Abituato a stare nel centro della tempesta e sul Referendum promuovo il no»

di SANTO STRATI – Politica e magistratura, argomento rovente in queste ultime settimane e in vista del referendum sulla giustizia. Quale voce più autorevole di quella di Nicola Gratteri, Procuratore Capo di Napoli, calabrese di Gerace e voce sempre senza bavaglio su giustizia e legalità? Gratteri ha parlato a ruota libera, com’è solito fare, durante la trasmissione Perfidia de LaCNews24, condotta – come sempre – con estrema maestria e sottile ironia (e qualche volta ovviamente anche un pizzico di perfidia) dall’abilissima Antonella Grippo.

È venuta fuori un’intervista a tutto campo sul rapporto diventato incandescente tra i magistrati e i politici: attenzione, il plurale è voluto, lo scontro è tra alcuni magistrati e alcuni politici, anche se il tema del confronto (si fa per dire) in realtà riguarda l’articolazione dei tre sistemi, legislativo, esecutivo e giudiziario.

Gratteri non le manda a dire e comincia subito a lodare la rete che lo ospita e parte della stampa calabrese che, contrariamente ad attacchi continui e spesso infondati da parte di «certa stampa» ha sempre mantenuto una posizione di rigore giornalistico e di terzietà individiabili. È la premessa per spiegare la scelta di partecipare alla trasmissione e sottoporsialle a volte pungenti provocazioni di Antonella Grippo. È anche l’attestazione che – volendo – si può fare buona informazione, nel rispetto della verità, contro le facili manipolazioni che ogni giorno sotto soto gli occhi di tutti ma solo gli addetti ai lavori riescono a percepire.

Il direttore de LaC24News, Franco Laratta, ha dedicato ieri un editoriale sull’impegno del network, creato da Domenico Maduli, contro disinformazione e pressioni, dando voce ai cittadini e alle istituzioni. «Accanto alle fake news – ha fatto notare Laratta – però c’è un problema altrettando grave: la cattiva informazione, l’informazione compiacente, suddita, piegata al potere di turno. Non è un fenomeno lontano: accade dovunque, accade anche in Calabria e qui accade spesso».

E Gratteri ha tenuto a sottolineare che in Calabria esiste un luogo dove il confronto è libero, schietto, autorevole: «Nel momento in cui certi poteri erano più forti della giustizia in Calabria, questa rete, laC, e altre reti hanno riportato ciò che vedevano».

E poi ha rincarato la dose, con evidente riferimento all’attacco mediatico in corso contro la sua persona: «Io stimo erispetto le persone che pensano il contrario di quello che penso io. Però devono  avere spina dorsale e coerenza, guardare negli occhi e dire esattamente quello che pensano».

E a proposito dei suoi detrattori, Gratteri ha spiegato: «Se tu vieni e ti raccomandi perché io rilasci un’intervista e io per stanchezza te la rilascio, e poi ti senti grande a scrivere questo (e ha mostrato la pagina de Il Giornale col titolo “Il voltafaccia di Gratteri sul sorteggio al Csm”) pensando di mettermi in difficoltà, ti sbagli, perché molti di questi giornali messi assieme non arrivano a 600 copie».

Gratteri sostiene le ragioni del NO al referendum, dando un importante aiuto all’Associazione Magistrati («anche se non mi è mai stata particolarmente vicina nei momenti più difficili della sua carriera»), al contrario di questa Rete (LaC24News) e altra stampa calabrese  perché «mandava ogni giorno nelle conferenze stampa e nelle udienze un giornalista, riportando anche le ragioni dell’altra parte, giustamente».

Quando la Grippo gli fa l’elenco dei suoi detrattori a mezzo stampa, con specifico riferimento al Foglio che affronta il tema delle ingiuste detenzioni, Gratteri risponde a tono: «In Calabria ci sono dieci procure alle quali corrispondono dieci tribunali dove i giudici emettono le ordinanze di custodia cautelare, dove ilRiesame controlla la legittimità e la fondatezza dell’ordinanza di custodia cautelare. Non c’è solo il pubblico ministero! e ricorda che ci sono tra gradi di giudizio e «in genere si pensa che l’ultimo giudice ha ragione».

E specifica che «la Procura di Catanzaro è sotto la media nazionale per ingiuste detenzioni». Io – ha detto – mi sono fatto mandare gli atti degli ultimi sette anni della gestione Gratteri alla Procura di Catanzaro e il risultato, in base agli arrestati, ai condannati e assolti, pone questa Procura sotto la media del Paese per detenzioni ingiuste.

«Il narrato – dice Gratteri – è che tutte le indagini fatte da Gratteri sono un bluff. Allora spiegatemi perché camminando per la provincia di Vibo andate più veloci perché nelle strade ci sono meno macchine per quanta gente è in galera. SPiegatemi perché in provincia di Vibo ci sono circa 40 persone al 41bis. Ci sono già la sentenze definitive in Cassazione di processi importanti celebrati su Vibo. Questa narrazione del bluff comincia a essere smentita dai fatti».

Antonella Grippo cita il caso dell’ex Presidente della Regione Mario Oliverio che accusa il procureatore di avergli stroncato la carriera e ricorda che la Cassazione ha parlato di “pregiudizio accusatorio”. Gratteri replica: «Io non ce l’ho il pregiudizio accustaorio. Ma noi abbiamo visto anche delle foto, ascoltato intercettazioni di qualcuno che si preoccupava di andare a Roma e che poi scese a Reggio in Consiglio regionale: è bene che si leggano le carte su ciò che accadeva a Catanzaro, a Crotone…».

Quando la Grippo cita di nuovo il Foglio a proposito della “finta intervista di Falcone”, Gratteri specifica che «l’unica cosa non vera è che si trattava di un’intervista. Infattio, io la settimana dopo ho spiegato che il contenuto di quello che ho letto («me l’hanno mandato perosne serie”) è vero. Perché l’8 maggio 1992 all’Istituto di Gonzaga dei gesuiti di Palermo Falcone interviene sul punto [la separazione delle carriere, ndr] e sostiene quello che ho detto io alla trasmissione Di Martedì. Un piccolo “inciampo” servito «a far emergere falsità e attacchi gratuiti dove emerge il livore e l’odio nei mei confronti, dove non c’è serenità nei miei confronti ma odio e paura della mia credibilità e visibilità. Ma non sanno che la mia serietà, la mia credibilità passa da un’intera vita dedicata al lavoro, rinunciando a tutto».

Ma è politicamente schierato il Procuratore Gratteri?, chiede la Grippo.

«La mia storia di uomo e di magistrato  si è sempre distintta per non essere né di destra né di sinistra né di centro. Mi sono costruito una vita per dire esattamente quello che penso, di qualsiasi argomento, di chiunque e guardandolo negli occhi… il mio padrone deve ancora nascere”.

Gratteri puntualizza la sua posizione “politica”: «Se si studia la storia da Tangentopoli ad oggi, per me è anacronistico parlare di destra o di sinistra. Se studi oggi Fratelli d’Italia come fai a dire che è a destra rispetto ad Almirante o a Fini? Come fai a dire oggi che il Pd è sinistra. Io da decenni sento dire dobbiamo tornare alle “periferie”, ma  –anche per sbaglio – una foto della periferia io non l’ho mai vista…». (s)

Jonio e Tirreno: due mari da unire. La soluzione è un tunnel sotterraneo

di EMILIO ERRIGO La Calabria, terra bellissima e aspra, con i suoi circa 2 milioni di abitanti chiamati Calabresi, è abbracciata da 2 mari: il Ti –rreno e lo Jonio.

Ha 2 splendide fasce costiere che si distendono per poco meno di 800 chilometri di litorali incantevoli; 2 Linee di Base rette che delimitano e racchiudono le Acque Interne – come previsto dalla Convenzione di Montego Bay delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 1982 – e interessano 2 golfi: il Golfo di Squillace, noto come Golfo del Mar Jonio o “della Prima Italia”, e il Golfo di Sant’Eufemia, sul Tirreno, detto anche Golfo di Lamezia.

La regione si affaccia sul futuro con 2 reti ferroviarie costiere, la Tirrenica e la Jonica, e con 2 aeroporti litoranei: Crotone sullo Jonio e Lamezia Terme sul Tirreno. A essi si aggiunge il terzo aeroporto, quello di Reggio Calabria, sospeso tra 2 Regioni e con vista privilegiata sulla Sicilia.

A completare il quadro, due arterie statali costiere gestite da Anas – la SS 106 e la SS 18 – e, se Dio vorrà, presto anche due “Bocche” del Canale Marittimo Internazionale di Calabria: una orientale, di ingresso e uscita dal Mar Jonio, e una occidentale, di accesso al Mar Tirreno, protetta dal promontorio di Capo Suvero, illuminato dal suo imponente faro, guida antica dei naviganti tirrenici.

Non mancano due stazioni ferroviarie strategiche, Catanzaro Lido e Lamezia Terme; due lingue storiche, il Griko (o Gracanico) e l’Albanese; due matrici culturali profondissime. E, ancora, due storie meridionaliste e due popoli antichi: Calabri e Sanniti, Calabresi e Lucani.

Il numero 2, non a caso, è considerato un numero perfetto: lo dicevano i pitagorici e lo ribadiscono i matematici fino ai giorni nostri, in questo anno 2025.

E sono 2 anche i figli della comune madre Calabria che hanno ideato l’Opera Internazionale di Alta Ingegneria Marittima-Terrestre: il Prof. Mario Bruno Lanciano, ingegnere elettromeccanico, scienziato e inventore, originario di Badolato (Catanzaro); e me, il prof. Emilio Errigo, Generale di Brigata (in riserva) della Guardia di Finanza, di Reggio Calabria.

“Il destino mescola le carte, ma siamo noi a giocarle», disse Schopenhauer. E la Calabria, finalmente, sembra pronta a giocare le sue.

Dulcis in fundo, un Presidente della Regione, Roberto Occhiuto, eletto e poi rieletto per 2 volte, oggi guidaa dei calabresi d’Italia e del mondo. Sarà quasi certamente lui ad avere la forza interiore, la visione politica e la capacità concreta di favorire la realizzazione e inaugurare le 2 opere strategiche più imponenti di interesse nazionale, attese non solo dalla Calabria ma dall’intera comunità internazionale.

Opere che trasformeranno la Regione da “ultima” a “prima”, da terra di partenze obbligate a terra di ritorni possibili, riscattando un reddito pro capite tra i più bassi e un tasso di migrazione tra i più alti d’Italia.

“Anche un viaggio di mille miglia comincia con un passo”, ricorda Lao Tzu.

La Calabria, forse, sta finalmente muovendo il suo. (ee)

(Emilio Errigo, nato a Reggio Calabria, Generale della Guardia di Finanza in riserva, docente titolare a contratto di Diritto Internazionale e del Mare e di Management delle Attività Portuali – Università della Tuscia)

Occhiuto, il Consiglio regionale approva il programma dei cinque anni

di ANTONIETTA MARIA STRATI – È un «un programma che si candida a realizzare molte delle riforme concepite e avviate nella scorsa legislatura», quello presentato dal presidente della Regione, Roberto Occhiuto, per il suo secondo mandato, durante la seduta in Consiglio regionale e approvato dall’Assemblea.

Sanità, Centri per l’Impiego – il Governatore vorrebbe che la regione fosse la prima a a fare dei centri dell’impiego nei Paesi che si affacciano sulla sponda sud del Mediterraneo – infrastrutture e ambiente, riutilizzo dei beni confiscati, lavoro e welfare – per citarne alcuni – sono la bussola di questa nuova legislatura “storica”, in cui il Consiglio regionale – per Occhiuto –  discute di mozioni che delineano la visione di una regione importante nel Mezzogiorno».

«La Calabria, oggi, non è più la Regione che subisce le narrazioni altrui: è la Regione che scrive la propria  storia,  che  rivendica  con  orgoglio  la  propria  identità  e  che  guarda  al  futuro,  ai  prossimi cinque anni, con la certezza di poter offrire al Paese e al mondo il meglio di sé», scrive Occhiuto nella premessa del documento, sottolineando come «sta cambiando la percezione della  nostra  terra,  in  Italia  e  nel  mondo.  Non  siamo  più  solo  un territorio segnato da problemi, ma una Regione che vuole e sa raccontare le proprie eccellenze: le università e i centri di ricerca che crescono, le imprese innovative che si affermano, le infrastrutture che  si  realizzano,  le  straordinarie  bellezze  naturali  che  attirano  sempre  più  turisti,  il  patrimonio enogastronomico che conquista palati e mercati internazionali».

Tra i progetti più innovativi annunciati, Occhiuto ha citato l’idea di creare avamposti dei centri per l’impiego calabresi nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo: «È un’iniziativa ambiziosa, che racconta una Calabria capace di comprendere che quei Paesi cresceranno più dell’Europa. Non vogliamo subire questo processo, ma anticiparlo e governarlo».

Il presidente ha richiamato, anche, i recenti dati della Banca d’Italia, che indicano la Calabria come la regione con il più alto incremento di Pil in Italia: «Se questo dato fosse stato registrato altrove, avrebbe occupato le prime pagine. Qui invece spesso si preferisce parlare male della regione».

Per quanto riguarda le riforme, il governatore ha rivendicato come «negli ultimi quattro anni la Calabria ha conosciuto una storica stagione di riforme, che  hanno spezzato  un  immobilismo  durato  decenni.  Non  semplici  interventi  amministrativi,  ma  scelte  coraggiose che hanno inciso su settori strategici e che stanno già producendo effetti concreti».

Occhiuto, poi, ha anticipato interventi su numerosi settori: ciclo dei rifiuti, protezione civile, gestione dei beni confiscati e sanità. Proprio su quest’ultima ha sottolineato i progressi ottenuti: «La Calabria non è più ultima. Non facciamo deficit da tre anni e potremmo presto uscire dal Piano di rientro, oltre che dal Commissariamento».

Per quanto riguarda la sanità, Occhiuto nel suo programma ribadisce la volontà di «liberarci dalle camicie di forza del Commissariamento prima e  del Piano di rientro dopo». Lo step successivo, illustra il governatore, sarà quello di realizzare una riforma strutturale dell’organizzazione  della  sanità  in  Calabria,  impossibile  prima  di  questi  due  fondamentali passaggi. Una riforma che prevede l’accorpamento di tutti gli ospedali provinciali (sia Spoke che Hub) sotto uniche Aziende ospedaliere provinciali con  le  Aziende  sanitarie  provinciali  (Asp)  che,  invece,  saranno  specializzate  esclusivamente sull’assistenza territoriale (gestione e organizzazione  delle  case di comunità e degli ospedali di comunità, delle aggregazioni funzionali territoriali, dei medici  di  medicina  generale,  delle  guardie  mediche,  degli  ambulatori,  degli  erogatori  convenzionati  di prestazioni sanitarie).

Realizzando questi obiettivi, per Occhiuto la «Regione potrà azzerare le liste d’attesa entro un anno» e entro il 2026 «potremo  assumere  circa  1.300  unità  di  personale,  tra  cui  circa  350  medici,  375  infermieri, 181 operatori sociosanitari, e il restante negli altri ruoli.  Avremo,  inoltre,  un  piano  strategico  per  reclutare  nuovi  medici,  attraverso  speciali  incentivi economici che utilizzeremo per attrarre camici bianchi in servizio o pensionati che vogliono venire  a risiedere e a lavorare in Calabria».

Per quanto riguarda l’ambiente, è stata ribadita la volontà di «rafforzare il percorso verso un  modello  di  economia  circolare  e sostenibile, fondato sulla riduzione dei rifiuti, sul riciclo e sul riuso delle risorse».

«La Regione supporterà Arrical nella fase transitoria e nelle fasi di attuazione del nuovo modello di governance dei rifiuti», scrive Occhiuto, spiegando poi come «con la riforma del ciclo integrato dei rifiuti, a seguito dell’approvazione dei piani d’ambito, saranno individuati  i  tre  gestori  delle  aree  nord,  centro  e  sud  che,  sostituendosi  ai  Comuni,  dovranno garantire la gestione dell’intero ciclo di attività, dalla raccolta alla riscossione delle utenze con una  riduzione delle tariffe e un aumento della qualità del servizio».

Per quanto riguarda l’idrico, Occhiuto ha ribadito come «l’obiettivo al 2030 è quello di creare un sistema più efficiente e di ridurre le dispersioni del 50%, quindi al di sotto della media nazionale».

«L’obiettivo primario  in  materia  di  depurazione  è  proprio  quello  di  arrivare  all’azzeramento delle procedure  di  infrazione  europee  che  la  interessano  ormai  da  anni  per  il  mancato  rispetto  della Direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane».

«Nei prossimi cinque anni – si legge – la Calabria punta a consolidare questo modello  di sviluppo, rafforzando aeroporti,  turismo  e  promozione  internazionale,  per  fare  della  nostra  Regione  una  destinazione competitiva e attrattiva tutto l’anno. Continuerà l’opera di attrazione  degli  investimenti  per  il  turismo,  soprattutto  in  relazione  alla realizzazione  di alberghi a  cinque  stelle nel  nostro  territorio. Parallelamente  saranno rifinanziati  i  bandi per l’ammodernamento delle strutture ricettive esistenti».

«Grande spazio – si legge ancora – verrà dato ai progetti per lo sviluppo dei porti turistici e per aumentare ancora di più  il  numero  di  collegamenti  aerei  da  e  per  la  Calabria:  i  prossimi  obiettivi  saranno  i  voli  intercontinentali».

Sul  fronte  aeroportuale,  proseguiranno  gli  interventi  del CIS “Volare”, con  la  creazione  di  nodi intermodali a Lamezia e Reggio Calabria, integrando aeroporti, ferrovie e terminal bus. Particolare  attenzione  sarà  dedicata  alla  realizzazione del  sistema  ettometrico  di  collegamento  tra aeroporto e stazione ferroviaria di Lamezia, creando un nodo di scambio completo con parcheggi e accessi alle principali arterie stradali.

Per quanto riguarda le infrastrutture, «grazie ai risultati raggiunti nella legislatura appena conclusa, la Calabria può finalmente – si legge nel documento – avviare il completamento  del  processo  di  modernizzazione delle infrastrutture regionali, con l’obiettivo  di  colmare decenni di trascuratezza».

La Regione,  infatti, è oggi caratterizzata dal più alto  rapporto auto/abitante  d’Italia e da un parcoveicoli tra i più vecchi del Paese. Il futuro sistema di mobilità regionale punterà quindi a: Rafforzare  il  trasporto  ferroviario per  le medie  e  lunghe  distanze,  relegando l’uso dell’auto alle brevi percorrenze e all’“ultimo miglio”; Sostenere  la  metropolitana  regionale,  a  partire  dalla  prossima  entrata  in  servizio  della  Metropolitana di Catanzaro, finalmente realizzata concretamente dopo decenni di attese; Elettrificare l’ultimo tratto della linea Jonica  (Roccella-Melito  Porto  Salvo)  e  sviluppare  piste

ciclabili, soprattutto nelle zone turistiche marine, per una mobilità intermodale moderna, sostenibile e compatibile con l’ambiente.

Per quanto riguarda l’ambito stradale, il cronoprogramma prevede, tra le altre cose, la realizzazione dei primi tratti della SS106 Sud (Catanzaro-Reggio Calabria), potendo avviare le gare nei primi mesi del 2027, la costruzione delle strade, per un totale di quasi 200 milioni. Attenzione, poi, allo sviluppo del Porto di Gioia Tauro, «grazie al Multimodal Transport Operator (Mto), Gioia Tauro può diventare non solo hub di transhipment,  ma  anche  porta di accesso terrestre ai mercati europei».

Lavoro e welfare, «mai più precariato», scrive Occhiuto, ribadendo la priorità di stabilizzare tutti i precari, a partire dai tis. La sfida per il prossimo quinquennio sarà chiudere definitivamente i bacini ancora attivi, inserendo la clausola “mai più precariato” in tutte  le  politiche  regionali  e  costruendo  un  sistema  di monitoraggio che impedisca il ritorno a forme di lavoro instabile, si legge nel documento, mentre per quanto riguarda il welfare, l’impegno sarà rivolto al rafforzamento della figura del caregiver, al riconoscimento della figura del mediatore culturale; gli ambiti territoriali sociali saranno ulteriormente potenziali; rafforzamento delle azioni volte a bilanciare i tempi di vita e di lavoro, con iniziative concrete per sostenere famiglie e lavoratori. Contestualmente,  si lavorerà  sul potenziamento delle abilità delle persone con disturbo dello spettro autistico, con percorsi dedicati di sostegno e inclusione. Sarà centrale la previsione di percorsi di inserimento lavorativo per le categorie fragili, con misure mirate a garantire dignità e opportunità concrete di occupazione a chi è più vulnerabile.

Per quanto riguarda le aree interne, «per contrastare il fenomeno dello spopolamento e favorire la rinascita dei piccoli Comuni delle aree interne, la Regione attiverà il programma “Casa Calabria 100”, che prevede la concessione di un contributo fino a 100.000 euro destinato all’acquisto e alla ristrutturazione di abitazioni», si legge nel documento.

Impegno, anche, per le minoranze linguistiche: è in fase di elaborazione «un documento programmatico regionale per la tutela e valorizzazione delle minoranze linguistiche storiche. Tale strumento definirà un piano integrato di  interventi  che  unisca  azioni  di  preservazione  linguistica  e  culturale  e  misure  per  il  rilancio economico e sociale dei territori interessati».

Istruzione e cultura sono le «chiavi del riscatto»: l’obiettivo della programmazione futura sarà quello «di  continuare  a  puntare  con  decisione sull’istruzione come vero motore  di  sviluppo  del  territorio». (ams)

Un nuovo protagonismo giovanile per la rinascita della Calabria

di GIULIA MELISSARI E MARIO NASONE – Incontro con gli studenti di un liceo reggino. Rivolgiamo loro una domanda: “chi di voi dopo il diploma ha già deciso di andare via dalla Calabria per motivi di studio o di lavoro?” Otto su dieci rispondono che si sposteranno in regioni del Nord, due che resteranno. Domanda riproposta: “chi di voi resterebbe se ci fossero delle opportunità nel nostro territorio?” La risposta si capovolge, otto su dieci resterebbero, due andrebbero via in ogni caso. Un piccolo test che conferma quanto è emerso da molte ricerche: i nostri giovani o almeno la gran parte di essi vanno via a malincuore perché non trovano sul nostro territorio risposte al loro bisogno di inserimento nel mondo del lavoro ed in generale non vedono un contesto in grado di potere offrire loro prospettive di crescita e di   realizzazione. Questa tendenza è drammaticamente registrata dai dati che attestano uno scenario sempre più critico per il futuro della Calabria. Secondo le proiezioni dell’Istat, elaborate e analizzate nel Rapporto Svimez, la Calabria è destinata a perdere circa 368.000 abitanti entro il 2050, scendendo a una popolazione totale di poco meno di 1,5 milioni. Questo fenomeno, definito “deserto 2050”, vedrebbe la scomparsa di un numero di cittadini pari alla somma degli attuali abitanti di Reggio, Catanzaro e della nuova Cosenza. Un dato che si collega al crollo delle nascite (dalle 137.000 del 2023 a 101.000 nel 2050 nel Mezzogiorno) dovuto alla riduzione delle donne in età fertile. Entro il 2050, il rapporto tra popolazione non attiva (0-14 anni e over 64) e popolazione attiva (15-64 anni) in Calabria diventerà il più alto d’Italia, creando uno squilibrio potenzialmente insostenibile per il sistema di welfare e pensionistico. Le speranze di una inversione di tendenza non sono molte, si scontano squilibri e disuguaglianza accumulate per decenni che governi nazionali e regionali non hanno mai voluto seriamente contrastare. Resta centrale a livello culturale il tema della rassegnazione, della rinuncia all’idea che la Calabria possa rinascere, pessimismo che inesorabilmente porta i giovani in particolare a non credere più a quella che Vito Teti chiama la “restanza”, la scelta di rimanere nonostante tutto in Calabria o di ritornarci se ci fossero le condizioni. Per usare un termine sportivo è suonata la campana dell’ultimo giro. Se nei prossimi anni non ci sarà una inversione di tendenza dovremo rassegnarci a quella che l’Istat definisce “desertificazione definitiva della Calabria”.  La nuova Giunta Regionale, assieme al Governo nazionale, hanno le grandi responsabilità di riscrivere una agenda politica in grado di fornire delle risposte che diano una speranza di futuro alla nostra regione mettendo al centro nuove politiche sulla sanità, Scuola e Welfare, e in particolare investimenti sulla popolazione giovanile. Per questo va iniziata una vera fase di ascolto dei giovani, che non possono essere citati nelle campagne elettorali per poi essere completamente dimenticati nelle scelte politiche. Da parte loro, i giovani si devono scrollare il senso di apatia e pessimismo che li paralizza, né tantomeno possono sperare di risolvere i loro problemi agganciandosi al politico di turno per risolvere in modo privato problemi e bisogni che sono collettivi. Per questo servono forme e luoghi di aggregazione giovanili in grado di dare voce alle loro istanze di cambiamento. In Sicilia lo hanno fatto mettendo insieme 45 associazioni e diverse fasce di popolazione giovanile. Anche in Calabria, in occasione delle ultime elezioni regionale era nata una rete di associazioni importanti, M’Impegno in Calabria, che aveva avviato un percorso virtuoso con l’elaborazione di un manifesto programmatico e la presentazione di un pacchetto di proposte ai candidati a Governatore della Calabria. Nell’incontro svoltosi nel Consiglio Regionale lo avevano tutti apprezzato e avevano sottoscritto l’impegno a realizzarlo, compreso il presidente che sarebbe poi stato eletto Roberto Occhiuto. Il dialogo fu avviato con la vicepresidente della Giunta regionale Giusi Princi, ma non ha avuto purtroppo seguito. Si è scontato, sia il mancato interesse della Giunta regionale a proseguire il confronto e recepire le proposte, sia la mancanza di determinazione e costanza della rete delle associazioni che al venire meno della sponda istituzionale si è scoraggiata e bloccata. Oggi serve invece riprendere questo percorso virtuoso con determinazione e costanza, coinvolgendo associazioni, scuole, università in tutta la Calabria, con una chiara autonomia dai partiti, ripartendo dalle proposte già elaborate, elaborandone di nuove. Facendo memoria di quanto negli anni del ’68 affermava don Italo Calabrò, quando incitava i giovani alla lotta, ad occupare, se necessario, scuole, Enti pubblici con azioni nonviolente per costringere la politica a mettere al centro i problemi della disoccupazione, del diritto allo studio, dei diritti dei più fragili. Fu lui ad ispirare il manifesto Lottare per restare, restare per costruire che tanti movimenti cattolici adottarono e che li spinse a creare imprese sociali, cooperative di lavoro, associazioni di volontariato e consorzi che ancora oggi danno lavoro e servizi in tutta la regione, e che hanno permesso a tantissimi di continuare a stare in Calabria. Al nuovo Governo regionale, che mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale di favorire questo protagonismo, offrendo una sponda istituzionale senza condizionarlo e nel rispetto della loro autonomia.   (gm e mn)

Disegno di Legge per la riforma della salute, ma intanto si allontana la fine del commissariamento in Calabria

di ERNESTO MANCINI – Il Governo, su proposta del Ministro alla Salute Schillaci, ha presentato in Parlamento un disegno di legge recante nuove disposizioni in materia sanitaria. In tale disegno di legge assume particolare rilievo la nuova disciplina della responsabilità civile e penale dei professionisti sanitari (medici, infermieri, farmacisti ed altri operatori del settore) in caso di malpractice.

In particolare, viene introdotto il principio per cui il medico – ci riferiamo per brevità a questo professionista ma le regole sono comuni anche agli altri professionisti sanitari –risponde della sua condotta limitatamente ai casi in cui ha agito con colpa grave e cioè non per qualsiasi livello di colpa (es.: colpa lieve) ma solo quando la negligenza, l’imprudenza, l’imperizia, o l’inosservanza di normative (leggi, regolamenti, ordini e discipline)  sono inescusabili e perciò qualificano la colpa come colpa grave.

È probabile che il disegno di legge governativo venga approvato stante la corrispondente maggioranza parlamentare.

Responsabilità penale: la disciplina vigente e quella prossima

In effetti nella vigente disciplina penale della colpa medica di cui all’art. 590 sexies del codice penale introdotto dalla legge Gelli Bianco del 2017, non si distingue esplicitamente tra colpa lieve e colpa grave. Tuttavia, il medico risponde per lesioni od omicidio colposo nei casi di negligenza ed imprudenza mentre per l’imperizia non è responsabile se ha comunque applicato le pertinenti linee guida per il caso concreto ovvero, in mancanza di linee guida, abbia attuato le buone pratiche cliniche assistenziali. 

Con il nuovo disegno di legge, non si distinguono più i diversi tipi di colpa: se il medico rispetta le linee guida, sarà responsabile solo per colpa grave mentre andrà assolto per quella non grave (art. 590 sexies).

Al riguardo il nuovo legislatore introduce anche l’articolo 590 septies stabilendo che per l’accertamento della colpa e la sua graduazione il Giudice penale dovrà tenere conto «anche della complessità della patologia, della scarsità delle risorse umane e materiali disponibili, delle eventuali carenze organizzative (quando la scarsità e le carenze non sono evitabili da parte dell’esercente l’attività sanitaria) della mancanza, limitatezza o contraddittorietà delle conoscenze scientifiche sulla patologia o sulla terapia, della concreta disponibilità di terapie adeguate,  dello specifico ruolo svolto in caso di cooperazione multidisciplinare,  della presenza di situazioni di urgenza o emergenza».

Occorre precisare che l’elenco in questione ha natura meramente esemplificativa e non esaustiva, come desumibile dall’impiego dell’avverbio “anche”. Pertanto, il giudice, nell’accertare la sussistenza della colpa e la relativa gravità, potrà prendere in considerazione ulteriori circostanze specifiche riferite al caso concreto.

Responsabilità Civile: la disciplina vigente e quella prossima

Anche nella disciplina vigente della responsabilità civile prevista dalla legge Gelli Bianco del 2017 non viene fatto riferimento alla colpa grave ai fini della sussistenza o meno della responsabilità medica. Lo fa invece, sia pure implicitamente, il nuovo legislatore quando stabilisce che ai fini dell’accertamento e della graduazione della colpa il giudice civile deve tener conto di tutte le situazioni in cui si è svolta l’attività medica (nuovo comma 3 bis dell’art, 7 della legge Gelli Bianco).

Al riguardo, dopo avere richiamato l’art. 2236 del codice civile (di cui si dirà subito) il legislatore riproduce esattamente le stesse circostanze indicate nella norma penale sopra ricordate: complessità della patologia, mancanza o contraddittorietà delle conoscenze scientifiche, ecc. ecc.). Anche il Giudice civile dovrà perciò tenere conto di tali circostanze ai fini dell’accertamento e della graduazione della colpa.

Osservazioni sulla nuova disciplina

Il fondamento della colpa grave nell’ordinamento giuridico

È opportuno evidenziare che tutte le indicazioni introdotte dal nuovo legislatore risultano già racchiuse nel citato art. 2236 del codice civile del 1942, applicabile a qualsiasi prestatore d’opera professionale. Tale norma, con straordinaria ed efficace sintesi, stabilisce infatti che «se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave».

L’istituto in parola, peraltro, affonda le proprie radici già nel diritto romano (in particolare medici, architetti, costruttori e altri artifices) ove la limitazione della responsabilità alla culpa lata del prestatore d’opera nel caso di prestazioni particolarmente complesse era già positivamente affermata.

La colpa grave, intesa come specifico livello di colpevolezza, è dunque richiamata espressamente sia dalla nuova disciplina penale sia da quella civile col riferimento all’art. 2236 c.c..

Per completezza, va precisato che il nuovo legislatore non interviene sulla responsabilità amministrativa – che, beninteso, riguarda anche i medici nei confronti dell’ente datore di lavoro – poiché la limitazione alla colpa grave è già da tempo prevista dall’art. 1 della legge n. 20/1994 (c.d. legge Prodi).

L’applicazione della legge più favorevole

L’art 2 comma 4 del codice penale prevede che se vi è successione di leggi nel tempo si applica quella più favorevole al reo. Ne discende, con tutta evidenza, che la norma di maggiore favore prevista dall’attuale disegno di legge inciderà sui procedimenti in corso non appena entrerà in vigore (favor rei). Non inciderà invece sui procedimenti già definiti.

La responsabilità della struttura sanitaria

Non può ritenersi condivisibile la previsione – inizialmente contemplata nel disegno di legge – secondo cui, nell’ipotesi in cui il medico non sia chiamato a rispondere né in sede penale né in sede civile per colpa lieve, neppure la struttura sanitaria di appartenenza sarebbe considerata responsabile (proposta alternativa di integrazione dell’art. 7, comma 3-bis, della legge Gelli-Bianco).

Questa disposizione, inserita in una precedente versione del disegno di legge del Governo ma poi rimossa, va comunque esaminata perché gravemente errata e potrebbe essere reintrodotta durante l’esame parlamentare.

Va detto al riguardo che il danno per lesioni o morte, pur non potendo essere rimproverato penalmente o civilmente al medico alla luce delle nuove norme, può comunque sussistere. Di conseguenza, si deve ritenere che permanga la responsabilità civile della struttura ai fini dell’eventuale risarcimento del danno.

Infatti, l’esonero dalla responsabilità civile della struttura si porrebbe in evidente contrasto con l’art. 28 della Costituzione, che sancisce la responsabilità solidale dello Stato e degli enti pubblici per i danni cagionati dai propri dipendenti. Sarebbe anche in contrasto con l’art. 32 della medesima carta costituzionale, che tutela come diritto fondamentale dell’individuo la salute, il cui ristoro patrimoniale in caso di lesione costituisce forma indiretta di protezione. Insomma, verrebbe minata la stessa fiducia dei cittadini nel servizio sanitario pubblico.

Inoltre, ci sarebbe un contrasto con l’art. 2049 del codice civile secondo il quale «il datore di lavoro risponde delle condotte dannose dei propri dipendenti». La struttura sanitaria, pertanto, sia pubblica che privata deve comunque essere tenuta a risarcire il danno subìto dal paziente. Non va sottaciuta, al riguardo, la disparità di trattamento che si avrebbe con altri datori di lavoro non sanitari che continuerebbero a rispondere della responsabilità dei propri dipendenti qualunque sia il grado di colpa.

Quanto precede consente di affermare che l’esigenza di limitare gli oneri risarcitori, diretti o assicurativi, gravanti sulle strutture sanitarie pubbliche o private ai soli casi di colpa grave non può essere equiparata né posta in bilanciamento con il superiore diritto al risarcimento del danno, a prescindere dal grado della colpa.

Va, infine, notato, per concludere sul punto, che nello stesso comunicato n. 37 del Governo in data 4 settembre u.s. si legge «Viene confermata la responsabilità penale per colpa grave per chi esercita la professione sanitaria, ma non si lede in alcun modo il diritto dei cittadini al giusto risarcimento di danni subiti». E ciò chiarisce in modo definitivo e positivo qual è la volontà del legislatore.

Il rischio professionale e la medicina difensiva

Occorre valutare altri due aspetti tra di loro connessi.

Il primo riguarda la particolare esposizione dei medici e degli altri professionisti sanitari al rischio professionale. Essi «hanno in mano» la salute e, sovente, la vita stessa dei pazienti sicché la disciplina delle loro condotte deve essere rigorosa, come del resto vogliono i loro codici deontologici. È pur vero, d’altra parte, che sono frequenti denunce e contenziosi pur in mancanza di una reale fondatezza delle pretese punitive o risarcitorie. In taluni casi, si tratta di iniziative giudiziarie palesemente temerarie e speculative, che tuttavia provocano al medico – costretto a subirle ingiustamente – rilevanti disagi psicologici ed esistenziali.

Il secondo aspetto, non meno rilevante, concerne il fenomeno della cosiddetta medicina difensiva. Tale prassi, fortemente deleteria, può indurre il professionista a privilegiare scelte diagnostiche o terapeutiche dettate più dal timore di conseguenze legali che dall’evidenza scientifica. Ciò comporta che il paziente possa ricevere cure subottimali, che l’innovazione ed il progresso della medicina vengano rallentati, che si generino costi per esami e procedure non necessarie, che si incida in modo ingiustificato sia sulla finanza pubblica sia sulla capacità economica del singolo paziente quando il servizio pubblico non è tempestivo.

In tale contesto, il nuovo disegno di legge si colloca nel solco già tracciato dalla legge Gelli-Bianco del 2017, rafforzando ulteriormente la tutela dei professionisti sanitari mediante l’introduzione del parametro della cosiddetta colpa grave, quale soglia limite oltre la quale soltanto può ritenersi giustificata ogni pretesa punitiva.

Non si tratta, peraltro, di uno “scudo penale” – come impropriamente definito da alcuni organi di stampa – poiché l’affermazione della responsabilità penale, così come di quella civile e amministrativa, resta comunque dovuta per condotte oggettivamente inaccettabili e gravemente colpose. Non potrebbe essere diversamente.

L’imperizia rispetto alla negligenza ed all’imprudenza.

Suscita qualche perplessità la scelta operata dal nuovo legislatore di eliminare la norma della legge Gelli-Bianco che differenzia il trattamento dell’imperizia rispetto alla negligenza e all’imprudenza. In particolare, la legge Gelli-Bianco considera in astratto meno riprovevole l’imperizia (ad esempio l’errore tecnico) qualora siano state comunque osservate le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali pertinenti al caso specifico, senza estendere analogo favore ai profili di negligenza e imprudenza. Si tratta di un aspetto che merita un approfondimento. È vero tuttavia  che il codice penale non prevede alcuna gerarchia tra queste forme di colpa generica, rimettendo opportunamente al giudice la valutazione, caso per caso, di quali elementi soggettivi assumano rilievo ai fini della decisione.

Conclusioni (provvisorie)

In attesa del testo definitivo che sarà approvato dal Parlamento – non prevedendosi, salvo eventuali integrazioni, modifiche sostanziali – si può esprimere un giudizio complessivamente positivo sul disegno di legge, a condizione che resti intatto il diritto del cittadino al risarcimento che la struttura sanitaria è comunque tenuta a garantire in caso di accertata “malpractice”, anche se derivante da colpa lieve. Peraltro, i danni, pur se conseguenti a colpa lieve, possono risultare di entità rilevante.

Il promesso legislatore ha sostanzialmente ed opportunamente codificato in un testo specifico per i professionisti sanitari princìpi già esistenti ab immemore nell’ordinamento come “le speciali difficoltà” cui l’attività sanitaria può andare incontro.

Ha, inoltre, scoraggiato la pretesa punitiva penale quando si tratti di colpa lieve in una professione particolarmente esposta a rischio senza con ciò intaccare l’azione civile del cittadino contro la struttura per il dovuto risarcimento del danno subìto anche se da colpa lieve.

Ha comunque salvaguardato la pretesa punitiva penale e risarcitoria civile quando si tratta di condotte assolutamente imperdonabili ed ingiustificate.

Probabilmente analoghe codificazioni andrebbero fatte anche per altre professioni esposte a rilevanti rischi di responsabilità. Meglio ancora sarebbe una disciplina quadro per tutte le professioni con successive norme di dettaglio per le specificità di ognuna ferme restando le tutele del cittadino danneggiato. Ma questo è un problema non semplice poiché inevitabilmente le priorità vengono dettate dalla forza contrattuale e dalla pressione di ciascuna categoria professionale. Nell’attesa ci si deve affidare alla iuris prudentia.  Il legislatore, i sindacati ed i competenti ordini professionali dovrebbero comunque cominciare a pensarci. (em)

E PER MOTIVI “TECNICI”SLITTA  LA FINE DEL COMMISSARIAMENTO

La motivazione ufficiale parla di “motivi tecnici” addotti dal ministra della Salute Orazio Schillaci a proposito della fine del commissariamento della Sanità in Calabria, data per imminente dal Presidente Occhiuto.

È ingiustificabile qualsiasi proposta di rinvio, la Calabria ha bisogno di poter avere una sanità in regola, con un suo assessore e procedure certe sia per  le prestazioni che per le assunzioni e l’organizzazione generale degli intervesti destinati a cura e prevenzione dei calabresi.

La misura è colma: che farà adesso Occhiuto?

Reggio, il sindaco uscente Falcomatà in crisi: cosa faranno i dem?

di SANTO STRATI – Dopo l’accorato  saluto alla Città di Giuseppe Falcomatà, sindaco per undici primavere (che non hanno a che vedere con quella del padre Italo amatissimo dai reggini), molti osservatori politici si aspettavano una chiusura rapida della seduta che doveva proclamare la sopravvenuta decadenza del sidaco dopo l’elezione al Consiglio regionale.

Ottimismo o aspirazione di una veloce conclusione per vincere una impazienza che montava incontrollabile, non si saprà mai; il fatto è che la seduta riprende stamattina con probabili colpi di scena dopo l’ultimatum dei consiglieri dem che hanno prodotto una pesante nota contro Falcomatà che non potrà non lasciare il segno.

Ancora ieri sera non si parlava di mozione di sfiducia, a questo punto l’unica mossa seria per recuperare dignità e tentare un riavvicinamento al territorio da parte di un partito evavescente  (pd = potete dimenticarci), ma a tutto c’è un limite. Perché, sia chiaro, non è solo una questione di potere politico a chi ce l’ha più robusto, bensì scatta un meccanismo inconscio che il buon Leo Longanesi aveva sintetizzato in una frase: “tengo famiglia”. Già, scusate il cinismo, ma la netta sensazione è che alla base della rinuncia al seggio (tutti a casa, subito ! – direbbe una persona perbene)  ci siano volgarissimi, ma rispettabilissimi aspetti economici. Che ci permettiamo di evidenziare: il sindaco di Reggio, al lordo, guadagna poco più di 165mila euro all’anno; il vicesindaco poco più di 124mila e lo stesso importo il presidente del Consiglio. Gli assessori portano a casa poco più di 107mila euro, ma i “poveri e semplici“ consiglieri si devono “accontentare” di un gettone mensile di 3.500 euro. Sei mesi di “stipendio” sono 14 mila euro (lordi) che svanirebbero d’incanto in caso di scioglimento del Consiglio comunale: E quando gli ricapita? Soprattutto per chi non ha un’attività professionale o commerciale, o un qualunque altro lavoro che produce reddito. Quindi firmare la mozione di sfiducia e mandare tutti a casa è – occorre dirlo – un insano caso di autolesionismo, anche se, in verità esprimerebbe un alto senso civico e una grande dignità.

per questa ragione restiamo scettici sulla posizione intransigente dei consiglieri dem, seguiti a ruota da Red e Rinascita. Belle parole, durissimo attacco all’ex “caro” sindaco, ma poi subentra la coscienza di buttare via un compenso sicuro e, poi, fino alle nuove elezioni chi vivrà vedrà.

E questo discorso vale ugualmente per gli altrettanto intransigenti consiglieri della minoranza che parlano, parlano, ma poi nessuno si fa avanti a chiedere una firma trasversale per abbattere un avversario divenuto troppo scomodo per tutta l’assise.

E allora cosa succede? Non c’è spazio per la commozione e la lacrima di maniera, c’è solamente la coscienza che si è arrivati alla fine della corsa e tutti – nessuno escluso – dovranno pagare il biglietto.

Questa città è stanca, oltre che visibilmente devastata, disastrata e vilipesa, con pochissime chances di risalita. Il tempo dirà quante cose buone ha fatto Falcomatà e quanti guasti ha provocato, soprattutto nel dopo elezioni.

Mortificato e offeso ha usato la clava dell’Istituzione che guidava per togliersi i sassolini dalle scarpe e gustarsi, a freddo, una vendetta maturata subito dopo lo spoglio. I timori del “tradimento” di molti ex sodali si facevano di ora in ora sempre più concreti e l’amarezza superava la pur legittima felicità di varcare Palazzo Campanella (anche col rotto della cuffia e qualche ansia non ancora sopita). A Falcomatà l’ultimo gesto:  dimissioni e tutti a casa? I reggini forse gradirebbero. (s)

Giuseppe Falcomatà, l’eretico in guerra con il suo Partito (democratico)

di SANTO STRATI – Quella che dovrebbe essere oggi, in Consiglio comunale a Reggio, una semplice seduta di routine per accertare l’incompatibilità del sindaco dopo la sua elezione al Consiglio regionale, potrebbe, in realtà, diventare l’atto finale della consiliatura.

Tutto nasce dall’eventualità (molto remota, per la verità) di una mozione di sfiducia nei confronti del sindaco che manderebbe tutti a casa: ci sarebbe il commissariamento per traghettare la città alle elezioni di primavera e si volterebbe drasticamente pagina.

Ma chi potrebbe presentare la mozione di sfiducia? La minoranza, si suppone, con l’appoggio (velato) di alcuni esponenti della maggioranza (cioè pd) che sono arrivati al limite della sopportazione. Oppure – ma è uno scenario da periodo ipotetico di IV tipo: praticamente irrealizzabile – il Pd, guidato dal segretario regionale – e senatore – Nicola Irto potrebbe decidere di porre fine all’assurda guerra che Falcomatà – in vera e propria eresia – ha dichiarato al partito. Uno stop obbligato per rifiatare e pensare come ricostruire sulle “macerie” che i dem si lasciano dietro ormai da troppo tempo. È finita la rendita vitalizia e – pur comprendendo bene che sarà sicuramente ed estremamente improbabile la riconquista della Città di Reggio – ci sarebbe da considerare che un gesto di tale portata avrebbe il grandissimo risultato di riavvicinare i reggini al partito e ripartire da zero a sinistra. In una nuova ottica che tenga conto, in primo luogo, del territorio e della sua gente e che torni a parlare ai cittadini, ma soprattutto ad ascoltarli. I mugugni che si registrano in riva allo Stretto sono in realtà urla eclatanti di una conclamata insostenibilità dello status quo.

E il sindaco uscente, Giuseppe Falcomatà, continua a buttare benzina sul fuoco, anziché tentare di individuare eventuali “estintori” sociali, in grado di appianare il dissidio, ormai diventato guerra.

Le ultime mosse del sindaco Falcomatà, del resto, hanno gettato nello sconforto i dem reggini che non riescono a spiegarsi la scelta del nuovo assessore alla Cultura Mary Caracciolo, non solo smaccatamente di destra – era capogruppo di Forza Italia al Comune nella passata consiliatura–  ma anche, in passato protagonista di accesissimi scontri proprio con Falcomatà con relativi “insulti” politici non proprio eleganti.

E uguale stupore ha destato la scelta di modificare la composizione della Giunta mandando a casa Paolo Malara, l’assessore del pluricelebrato MasterPlan di Reggio (di cui lo stesso sindaco esaltava contenuti e obiettivi) e Anna Briante.

Ora, fermo restando che è prerogativa di ogni sindaco nominare e revocare i propri assessori, quello che tutti si chiedono a Reggio – sapendo che non avranno risposta  – è che senso ha modificare una Giunta su cui non si avrà alcun controllo? E perché sostituire, pochi giorni prima di lasciare Palazzo San Giorgio, i due manager delle società in house Hermes e Castore, i cui risultati – a detta dello stesso sindaco – erano stati eccellenti?

Le malelingue dicono che, vestiti i panni del Conte di Montecristo, Giuseppe Falcomatà ha voluto attuare la sua vendetta personale nei confronti di quanti non lo hanno sostenuto in campagna elettorale. Ora, premesso che il sindaco Falcomatà avrebbe potuto, a buon diritto, aspirare alla vicepresidenza del Consiglio regionale (assegnata d’imperio dal pd al sindaco di Palmi Giuseppe Ranuccio), l’ulteriore sgarbo nei suoi confronti dal PD è venuto con la mancata designazione a capogruppo a Palazzo Campanella. Una mortificazione che gli si poteva evitare, visto che, nel bene o nel male, ha tenuto per 11 anni un posto di grande prestigio in Calabria. Sindaco della città più popolosa, e sindaco metropolitano: un ruolo, che al di là di qualunque apprezzamento benevolo a contrario, non si può nascondere come la polvere sotto il tappeto quando si fanno di malavoglia le pulizie di casa.

Che le scintille fra Irto e Falcomatà avrebbero attizzato un grande incendio è stato evidente già dalla composizione delle liste elettorali: probabilmente Falcomatà non sarebbe riuscito – come è successo a Tridico – a battere Occhiuto, ma sicuramente i dem avrebbero potuto mostrare “l’esistenza in vita” del loro partito in Calabria, incapace persino di esprimere un candidato alla presidenza. Questo, ovviamente, con tutta la stima e il rispetto per Pasquale Tridico, il quale si è trovato a giocare un partita già persa in partenza.

Negata la candidatura alla presidenza della Regione, Falcomatà ha accettato il “contentino” della candidatura al Consiglio (e ci mancava pure che il pd non lo candidasse!) ma non immaginava che avrebbe fatto tutto da solo.

A Reggio due terzi della città lo ama, oppure no – scusate, è facile confondersi – due terzi della città non lo ama, eppure è riuscito da solo a raccogliere oltre 10mila preferenze. Una bella vittoria, un bello schiaffo morale a Irto e i suoi sodali che gli hanno fatto – parliamoci chiaro – una campagna contro, puntanto tutto, nella provincia reggina, su Ranuccio (che ha pur buoni meriti nella sua sindacatura a Palmi). Epperò, il sindaco “azzoppato” ha ugualmente raggiunto il traguardo.

Peccato che abbia deciso di buttare l’acqua sporca col bambino dentro, inguaiandosi – senza ragione – in un guazzabuglio di nomine e di revoche che il popolo reggino ha ha semplicemente identificato in una “grande vendetta”.

Probabilmente Falcomatà ha dimenticato le sue letture giovanili di Dumas e si è immedesimato tout court nel Conte vendicatore di torti ingiustamente patiti. Ma quali torti avrebbe subito Falcomatà? Quello dello sgarbo della mancata candidatura a rivale di Occhiuto? O quello del mancato “appoggio” del “suo” partito?

Non si trascuri il fatto che tra pochi mesi, in primavera, i reggini andranno al voto e una situazione di questo genere non solo ha provocato disagi e imbarazzi, nell’ala progressista della città, ma incoraggia la diserzione alle urne, per irreversibile disgusto della politica e dei suoi protagonisti.

Non c’era alcuna reale ragione, per Falcomatà,  per rimpastare la Giunta, visto che oggi saluta tutti e se ne va a Palazzo Campanella, e men che meno modificare gli assetti amministrative cui sono demandati compiti poco graditi (riscossione delle imposte) e servizi ai cittadini.

Forse Falcomatà voleva fare un colpo di teatro, ma rischia di provocare con le sue scelte, a di poco assai discutibili, ulteriori mugugni e mormori non proprio utili in vista della prossima campagna elettorale.

La sua guerra al Pd è sbagliata e tatticamente devastante nei suoi stessi confronti e nemmeno aver avuto tre innesti alla sua corrente in Comune – il vicesindaco Brunetti, Giovanni Latella e Carmelo sono passati al pd – lo aiuterà a uscire da questo incredibile casino che lui stesso sta provocando. Già perché – secondo voci abitualmente attendibili – non è ancora finita e non è improbabile che questa mattina, prima del congedo riserverà qualche altra sorpresa.

Certo, dopo quanto ha dichiarato in una nota Falcomatà («l’azione politica non può vivere ancora in Calabria di unanimismi ed equilibrismi. È arrivato il momento di offrire alla Calabria un’alternativa credibile all’abitudine alle sconfitte») è difficile immaginare che l’abitualmente imperturbabile Nicola Irto subisca le insinuazioni di fancazzismo politico e partitico senza rispondere adeguatamente. E lo vi vedrà, in diretta, questa mattina a Palazzo San Giorgio dove, in ogni caso, si consumerà un amaro epilogo della consiliatura, anche nel caso in cui Brunetti assuma il ruolo di sindaco facente funzione fino alle elezioni. Già perché – considerato che anche il gruppo Rinascita Comune guidato da Filippo Quartuccio ha scintille in corso col Sindaco, è facile prevedere che ci sono solo due scenari possibili: il suo nuovo colpo di teatro di azzeramento totale della Giunta, oppure la mozione di sfiducia della minoranza che conquista, nel segreto dell’urna, i voti di qualcuno della maggioranza che di questa situazione ha le scatole piene.

Senza contare che l’elezione “stentata” di Falcomatà in Consiglio è insidiata dal ricorso della vicesindaca di Catanzaro Giusi Iemma, forte della tesi portata avanti dall’avv. Oreste Morcavallo, che i conteggi non siano corretti, in quanto non sono stati presi in considerazione, nel riparto dei voti e dei successivi resti, i voti dei singoli candidati presidenti da aggiungere a quelli di lista. Procedura ampiamente giustificata dall’assenza, nella Regione Calabria, del voto disgiunto. Ci sono in discussione 34mila voti ed è evidente che, se il TAR dovesse accogliere questa tesi, ci sarebbe il finimondo in Consiglio regionale, con gioia di chi è rimasto tra i primi non eletti e la disperazione di chi si è già seduto negli scranni di Palazzo Campanella.

Nell’attesa di questa ulteriore polpetta avvelenata (il pd non credo scoraggerà Giusi Iemma dal proseguire nel ricorso che la vedrebbe vincitrice per pochi voti sul soccombente sindaco di Reggio) Giusppe Falcomatà si gioca il suo futuro aprendo una seria ipoteca sul prossimo candidato progressista per Palazzo San Giorgio. C’è chi insinua che è già pronto, tanto per restare in famiglia, il cognato Naccari Carlizzi, altro politico di mestiere, su cui, però, sono caduti gli strali dell’amministratore uscente di Hermes, l’avv. Giuseppe Mazzotta che non le ha mandate a dire.

Un appello per la mozione di sfiducia è stato lanciato dal Presidente dell’Associazione Amici del Ponte sullo Stretto, Simone Veronese. «La città – dice Veronese – vive una delle fasi più buie della sua storia recente… La misura è colma. È finito il tempo delle conferenze stampa, delle dichiarazioni di indignazio­ne, dei comunicati che non portano a nulla. È il momento di un gesto politico chiaro e inequi­vocabile: presentare la.mozione di sfiducia al sindaco Giuseppe Fal­comatà e all’intera Giunta comu­nale. Non farlo significherebbe tradire la città. Non farlo significherebbe rendere inutili undici anni di battaglie di opposizione, vanificare ogni denuncia, ogni conferenza, ogni voto contrario. Non farlo alimenterebbe, ancora una volta, il sospetto di un “inciucio” sottorreaneo, lo stesso che una parte dei cittadini ha percepito dopo il ballottaggio che rieleggendo Falcomatà sembrò frutto più di equilibri che di scelte politiche».

La città comprende bene che, comnque vadano le cose, ci sarà sicuramente un vincente che, però, non corrisponde al popolo reggino. (s)