MIMMO CÀNDITO (1941-2018), Giornalista e scrittore

Giornalista e scrittore, Mimmo Càndito, originario di Reggio Calabria, è stato un importante inviato di guerra. Era nato a Reggio Calabria il 15 gennaio 1941 e si trasferì appena ventenne a Genova dove prese la laurea in giurisprudenza e iniziò il suo lavoro di giornalista, con una collaborazione al Lavoro, occupandosi di cinema e cultura. Passò nel 1970 a Torino, a La Stampa, dove è stato per lunghissimo tempo inviato speciale, testimone di guerre, conflitti e grandissimi eventi in tutto il mondo. Dal 2005 combatteva contro il cancro cui aveva dedicato un coraggioso e vibrante libro-verità “55 vasche”.
Numerose le testimonianze di affetto su tutti i quotidiani in occasione della sua scomparsa. Toni Capuozzo (TG5) su Liberoquotidiano.it ha scritto: “Vorrei adesso aggiungere tante cose: la tua passione, quell’accento calabrese ripulito da tanti accenti del mondo, la tua scrittura preziosa, la fermezza nei principi morali e il rifiuto di steccati ideologici. E cose più private, come l’amore per la tua compagna, il rapporto con la malattia. O cose più piccole, come il tuo essere mattiniero, astemio, nuotatore, gran consumatore di frutta. Ma inizio a scrivere e mi sembra già di sentire il tuo sorriso”. Cesare Martinetti su La Stampa ricorda che “non c’è stato conflitto significativo negli ultimi quarant’anni che Mimmo non abbia respirato, osservato, misurato a passi e bracciate, e poi raccontato”.
Antonio Ferrari sul Corriere della Sera: “Mimmo Càndito è stato un vero soldato verticale del nostro difficile mestiere di cronisti e di inviati. Ha lasciato vedova la splendida moglie Marinella, orfani noi, e orfani i suoi lettori, ammaliati da quella prosa asciutta e coinvolgente da cronista di razza, che sapeva coniugare quel che aveva visto con l’analisi… È stato uno degli ultimi orgogliosi alfieri di questo lavoro di frontiera”.
Secondo Giampaolo Cadalanu su la Repubblica “Per Mimmo Càndito il racconto delle tragedie era un dovere, e il peccato più imperdonabile era rinunciare a vedere, vestire i panni del testimone senza averne diritto. O tradire la strada mostrata da hemingway come da Peter Arnett, spacciando esperienze di seconda mano per frutto di ‘suole consumate’. Certo serviva il coraggio, come strumento di vita più ancora che di lavoro. Un coraggio praticato più che ostentato”.
Il Fatto Quotidiano ricorda una sua dichiarazione sull’essere reporter al fronte: “Alla fine questa traversata nel corridoio della morte lascia segni incisi di profondità. per alcuni sarà l’impronta indelebile d’un cinismo autoprotettivo, una sorta di scudo psicologico che respinge le forme d’identificazione della realtà. Per altri, invece, è quella empatia solidaristica che Kapuscinski assegna come compagna duratura d’ogni esperienza che verrà dopo il viaggio nel racconto della morte”. (rrm)

ANTONIO PIROMALLI (1920-2003)

Critico letterario, scrittore e poeta italiano, Antonio Piromalli ha lasciato una grande quantità di opere letterarie, tra poesia e saggi critici. Era nato a Maropati, in provincia di Reggio, il 3 settembre 1920.

CORRADO CALABRÓ

QUANDO SI PARLA di Corrado Calabrò si inciampa nell’ordine da dare ai suoi titoli: poeta e giurista o giurista e poeta? In realtà le due cose convivono con grande serenità nella figura di Corrado Calabrò che è stato a lungo conosciuto per le sue grandi doti di illuminato giurista e uomo delle istituzioni (è stato capo di gabinetto in tanti ministeri, cominciando con la la guida della segreteria tecnico-giuridica alla Presidenza del Consiglio dal 1963 al 1968 con Aldo Moro) fino a diventare primo presidente dell’Autorità per le Comunicazioni (AGCOM). Il fine letterato, però, ha finito col prevalere, facendo scoprire accanto all’uomo dello Stato un grande, straordinario poeta. Un cantore della sua Calabria, ma anche un teorico dell’amore: i suoi versi, quando non parlano del mare di Calabria, cui è profondamente legato da un sentimento unico ed invidiabile, tracciano un profilo lirico straordinariamente palpitante di qualunque cosa Calabrò vada a narrare. Siano l’amore, la terra, le genti, le sue parole diventano poesia che avvince e ammalia, con l’incanto di chi “obbliga” all’ascolto per un momento riflessivo, per una sosta immaginaria dove il pensiero non si contorce e non s’affanna, ma approfitta dell’emozione per captare suggestioni e inviti. L’invito, soprattutto, che il poeta rivolge a chi lo sta ad ascoltare, tra sentimenti e drammi interiori, tra passionalità e discernimento, tra malinconia e sogno.
Corrado Calabrò è un calabrese che ama la sua terra e ne è riamato: nato a Reggio nel 1935, sulle rive di quel mare tanto contemplato e così intensamente vissuto in tante liriche, ma potrebbe essere figlio di qualunque parte della Calabria, tanto è il suo sentimento di “calabresità” che lui individua oltre che in se stesso in chiunque – calabrese – si trovi, anche se volontariamente, lontano dalla sua terra. Un sentimento ineguagliabile perché i calabresi sono un caso a parte. La loro diaspora li ha portati in ogni punto del mondo, a conquistare vette inimmaginabili, a mietere successi, a soffrire, a ricoprire ruoli strategici e importanti a tutti i livelli, dalle istituzioni all’industria, dall’arte alla cultura, dalla scienza a tutto ciò che appartiene al genere umano. I calabresi sono dovunque, ma non dimenticano mai – ripeto, mai – la terra che li ha generati. Per questo Calabrò, con le sue liriche riesce a parlare della sua Calabria anche a chi non la conosce o ignora persino in quale punto dell’Europa si trovi: Calabrò è un ambasciatore speciale di questa Calabria positiva e bella, ne porta l’onore della nascita e delle origini, ne esalta i sentimenti, li condivide con i russi di Odessa, o a Città del Capo, o Los Angeles, a Lisbona o in Australia, o dovunque egli vada a raccogliere premi e riconoscimenti per la sua opera letteraria. È un tramite di cui essere orgogliosi, un figlio di Calabria da ammirare, cui ci si può ispirare con la gratitudine di figli devoti.
Il primo libro di poesie Calabrò l’ha pubblicato nel 1960 con Guanda (Prima attesa): sono seguite più di una ventina di raccolte di versi, pubblicate peraltro in oltre trenta lingue. I riconoscimenti internazionali che continuamente gli vengono tributati dalle università di tutto il mondo riaffermano la grandezza del poeta, ma soprattutto mettono in evidenza le qualità dell’uomo. La sua poesia trae appunto forza dal suo modo di essere, semplice, trasparente, genuino, come i suoi versi. Un calabrese tra i più illustri, che non finisce mai di onorare la Calabria e rappresenta un modello, un motivo di emulazione tra i giovani.
La cultura, non ci stancheremo mai di ripeterlo, è l’unico grimaldello in grado di scassinare il forziere dove sono contenuti tutti i mali della Calabria: una volta aperto e fatte svanire la delinquenza organizzata, la ‘ndrangheta, la mala giustizia, l’omertà e la paura, rimane il terreno fertile per la crescita e lo sviluppo di questa terra. Calabrò, da buon seminatore, ha riempito i solchi, guardando soprattutto alle nuove generazioni, con la convinzione che la poesia, anche la poesia, possa salvare la Calabria e permetterle un salto di qualità. Dove c’è un passato – e, ricordiamolo, la culla della civiltà greca è nata qui – ci sarà anche un futuro. Da raccontare e vivere anche attraverso una voce lirica, unica ed eccezionale, quella di Corrado Calabrò. (s)