L'ULTIMO LIBRO DEL GIORNALISTA E SAGGISTA PINO APRILE SQUARCIA IL VELO SULLE GRAVI INADEMPIENZE VERSO IL SUD;
Pino Aprile

COM’È INGIUSTO IL PAESE CON LA CALABRIA
E CRESCONO DISUGUAGLIANZA E DIVARIO

di SANTO STRATI – Il nuovo libro di Pino Aprile, il più strenuo difensore del Meridione e della sua gente, è un pugno allo stomaco e offre lo spunto per notare quanta disuguaglianza c’è ancora tra i due poli del Paese: il Nord cresce e corre, il Sud arretra e, inesorabilmente, ferma i sogni di migliaia di giovani, donne, laureati. Il divario è anche e soprattutto qui: nella palese sperequazione che si perpetra ogni giorno in qualunque campo, nonostante gli allarmi – appassionati – della Svimez, la eccellente associazione creata ai primi di dicembre del 1946 da un gruppo di personalità del mondo industriale ed economico. L’ultimo Rapporto Svimez – presentato qualche giorno fa e di cui parleremo nei prossimi giorni – lo dice chiaramente: il Nord riparte, il Sud fa fatica non solo a riprendersi dalla pandemia ma anche a programmare il suo futuro, nonostante il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Il ragionamento che suggerisce Aprile (Tu non sai quanto è ingiusto questo Paese, edizioni Pienogiorno), in realtà, non è che la diretta conseguenza delle tante pagine che il giornalista-saggista – oggi alla Direzione della tv calabrese LaC24 – ha dedicato al “furto” continuo e costante. Uno scippo urlato molto frequentemente con grande coraggio e onestà intellettuale anche da Roberto Napoletano sulla prima pagina del Quotidiano del Sud-L’altravoce dell’Italia: un esproprio legale e legalizzato dalla ricche regioni del Nord ai danni del Mezzogiorno.

Quando il gruppo di illuminati economisti e industriali, tra cui figuravano Pasquale Saraceno, Rodolfo Morandi, Donato Menichella e altri, nell’immediato dopoguerra diede vita all’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), non immaginava di anticipare di molti decenni l’idea che senza il Sud l’Italia avrebbe sempre marciato col freno a mano alzato. Erano industriali anche del Nord che si erano resi conto che occorreva immaginare progetti e sviluppare programmi di crescita reale per l’area più depressa del Paese, con l’obiettivo (pura illusione!) di realizzare l’unificazione anche economica dell’Italia.

Il problema è di crescita della ricchezza – per pochi – e la perdita di valore – per moltissimi. E il Covid si è rivelato un ottimo affare per i “ricchi” che sono diventati più ricchi, ma una disgrazia anche economica per i poveri che si sono ritrovati più poveri di prima. Ecco la disuguaglianza che emerge amaramente dalle pagine del libro di Pino Aprile: «la tutela sociale – scrive citando il prof. Viesti – è stata ed è in Italia più forte dove il benessere è maggiore». L’Italia era già molto disuguale da prima e il rapporto Oxfam 2020 rivela che i tre italiani più ricchi hanno quanto i sei milioni più poveri messi insieme. Il 20 per cento più ricco possiede il 70 per cento dei quasi 9300 miliardi del patrimonio nazionale; il successivo 20 per cento ha circa il 17 per cento di quei 9300 milairdi e al restante 60 per cento degli italiani rimane il 13 per cento della ricchezza. Aprile fa un esempio concreto: se fossimo una famiglia numerosa di dieci fratelli e avessimo 1000 euro, a due fratelli andrebbero 700 euro (350 a testa) ad altri due 85 a testa e ai rimanenti sei fratelli 21,60 euro a testa. Banalmente viene da pensare che forse è persino ottimistica come considerazione. Già, perché, soprattutto in Calabria, il divario, la sperequazione intollerabile, ha raggiunto livelli che dovrebbero far vergognare l’intera classe politica. E non solo quella del Mezzogiorno. Anzi è l’intera classe politica del Paese che dovrebbe fare un serio esame di coscienza sulle mancate promesse che, ad ogni elezione, vengono riproposte, salvo a rimangiarsi tutto, con la colpevole indifferenza dei parlamentari eletti al Sud.

Avevano provato con l’autonomia differenziata Emilia, Piemonte e Veneto a legittimare lo scippo con il pretesto della “spesa storica” (altra truffa ai danni delle regioni povere) secondo cui chi spende di più prende di più, chi è in difficoltà può restare a guardare. Il colpaccio dell’autonomia differenziata non è passato, anche a causa della pandemia, che ha accentuato, per altri versi, la dicotomia costante tra nord e sud, ma il divario non si è ridotto, anzi cresce, cresce continuamente e i numeri sono sconsolanti. Prendiamo i nostri giovani: «pur essendo la generazione più colta di sempre – fa notare Aprile – sono anche la prima, dall’Unità a oggi, a stare peggio dei loro genitori». È un problema di opportunità e di visione strategica.

Abbiamo quasi una generazione di inoccupati, ovvero di ragazzi che non hanno la più pallida idea di cosa sia il lavoro: con una scolarizzazione decisamente alta (abbiamo tre atenei che sfiorano l’eccellenza) la Calabria è la più grande esportatrice di cervelli. Prepara, forma i suoi ragazzi, ne fa laureati di altissimo valore, poi non offre loro alcuna occasione per esercitare una professione o un’attività di ricerca o di specializzazione. Li costringe a prendere il trolley verso le regioni intelligenti che non vedono l’ora di “utilizzare” le loro competenze, verso Paesi che fanno del merito una questione essenziale per la crescita e lo sviluppo e selezionano, per valorizzare, le capacità e le competenze che non hanno avuto costi di formazione. Dodici milioni di giovani – dice Aprile – corrono l’alto rischio di diventare i nuovi poveri, già oggi, persino se lavorano, perché è il crescita il fenomeno mondiale dei poor workers, quelli che, pur avendo un’occupazione e un reddito, non riescono a uscire dallo stato di bisogno.

Ci ha abituati all’indignazione Pino Aprile con i suoi libri, ma stavolta si supera ogni ragionevole rassegnazione: il quadro che, in modo ineccepibile, riesce a tracciare sulla disuguaglianza è terribile e amarissimo. I nostri ragazzi che vanno in Emilia, in Lombardia, in Piemonte “sopravvivono” grazie alle rimesse di genitori e nonni, mentre la Regione Calabria che spende e spande in cavolate varie non è riuscita dalla sua costituzione (era il 1970, non dimentichiamolo) a creare un percorso di sviluppo per i giovani, che metta in primo piano il problema lavoro. L’occupazione significa benessere non solo economico, ma possibilità di immaginare e costruire un futuro: ai nostri ragazzi abbiamo – tutti quanti – rubato il futuro e non ci sono scusanti. Quanti giovani calabresi vorrebbero restare nella propria terra, in famiglia, tra amici, nella sicurezza della casa dei genitori o dei nonni e devono, invece, guardare ai mercati che offrono loro opportunità di crescita. Il South Smartworking (ovvero, il lavoro da casa, fatto al Sud, nella casa di famiglia) è stato una boccata di ossigeno per molti giovani occupati che, causa pandemia, hanno lasciato momentaneamente le sedi di lavoro (chiuse) di Milano, Torino, Trieste, etc. E non vogliono, giustamente, ritornare al Nord perché hanno toccato con mano una qualità della vita che è ben differente da antipatiche routine quotidiane consumate nel ristretto di camere ammobiliate e sistemazioni di fortuna. È a loro che bisogna pensare, bisogna permettere alle nuove generazioni di disegnare il proprio futuro, immaginare una famiglia, poter crescere dei figli. Ma nel nostro Paese – grida giustamente Aprile – quello che manca è l’equilibrio: e chi più ha più trae per sé sottraendo a chi meno può.

In quest’ottica un buon utilizzo delle risorse che arrivano dall’Europa, il PNRR, potrebbe essere fondamentale per modificare almeno lo status sociale che ci sbatte in faccia l’ignobile differenza tra nord e sud: ai bambini in difficoltà, in Calabria – fa notare Aprile per chi l’avesse dimenticato – si spende undici volte meno che per quelli dell’Emilia Romagna. È desolante per non dire agghiacciante: la carenza di servizi riduce ulteriormente il potere di acquisto di chi vive al Sud. Dove – è bene rimarcarlo – non servono sussidi ma opportunità di lavoro, stabile e con un compenso dignitoso e adeguato. Ne sanno qualcosa le migliaia di precari utilizzati nella catena del commercio, sfruttati in virtù del bisogno, sottopagati e trattati come simil-schiavi che devono dire sempre di sì. È un quadro che emerge nitidamente dalle pagine di Aprile e che muove, inesorabilmente, una semplice domanda: ma quant’è ingiusto il Paese nei confronti dei calabresi? Se lo ricordino, questi ultimi, quando andranno alle urne per non premiare, nuovamente, i dispensatori professionali di speranze, soprattutto quelli ai quali della Calabria non interessa proprio niente. (s)


Stasera alle 21.30 a Reggio al Circolo del Tennis per i Caffè Letterari del Circolo Rhegium Julii Pino Aprile sarà intervistato dal direttore di Calabria.Live Santo Strati. Partecipano Enzo Filardo e Mario Musolino.