IL DOTT. SALVATORE SPAGNOLO A RAPALLO È STATO IL PRIMO A INDIVIDUARE L’EMBOLIA POLMONARE NEL COVID 19;
Salvatore Spagnolo

D’un chirurgo calabrese l’intuizione ‘eparina’
«Non cura la polmonite, ma salva vite umane»

di SANTO STRATI

Questa è una storia tipicamente italiana: un chirurgo (calabrese) intuisce per primo la probabile principale causa di morte dei positivi al coronavirus, ma nessuno gli dà retta. È la storia del dott. Salvatore Spagnolo, originario di Simeri Crichi (CZ), già primario chirurgo al San Matteo di Genova, poi a Monza, oggi all’Iclas (Istituto Clinico Ligure di Alta Specialità) di Rapallo. Nuovo orgoglio calabrese dopo il (catanzarese) dott. Luigi Camporota che ha curato e guarito Boris Johnson a Londra.

A marzo il dott. Spagnolo, dopo i primi casi e i primi decessi a Codogno, matura un’ipotesi, frutto di anni di esperienza: la polmonite in sé non porta a morte improvvisa, ha un decorso di uno-due mesi, quindi c’è una concausa che provoca i decessi. La risposta si chiama tromboembolia polmonare massiva: il dott. Spagnolo intuisce che il Covid 19, il virus, scatena la formazione di coaguli (trombi) che, impedendo il corretto scambio ossigeno-anidride carbonica, portano a morte improvvisa.

La cura contro l’embolia massiva polmonale (Emp) esiste e viene praticata da anni in tutte le sale operatorie e in tutti gli ospedali: l’eparina, un farmaco anticoagulante, che impedisce la formazione di trombi e la conseguente embolia. Da qui, l’idea di trattare con l’eparina i malati affetti da coronavirus: questo farmaco non cura la polmonite, ma, sicuramente, salva vite umane.

Secondo la prassi della letteratura scientifica, il dott. Spagnolo trascrive questa sua esperienza e traccia con molti dettagli la sua ipotesi relativa all’embolia polmonare come causa principale di morte nel coronavirus, indicando anche la terapia con l’eparina. Scrive all’Aifa, a quasi tutti gli organismi sanitari che si occupano del Covid-19, ma nessuno gli risponde né si preoccupa di valutare l’ipotesi scientifica del dott. Spagnolo: nessuno che dica è “una fesseria” o “potrebbe essere un’ipotesi interessante da approfondire”. Niente.

Nello stesso tempo, a fronte del diniego di pubblicazione del suo studio, il dott. Spagnolo invia negli Stati Uniti il dossier che, dopo un paio di giorni, viene regolarmente pubblicato. È l’atto ufficiale che restituisce al dott. Spagnolo – oggi che sono in tanti a prendersi il merito di aver pensato all’eparina – il giusto riconoscimento al suo lavoro, alla sua passione di medico, al suo impegno nella salvaguardia di quante più vite umane possibili. Un orgoglio calabrese, un altro cervello andato via dalla sua terra, una delle tante eccellenze per le quali la Calabria  detiene il record nell’export. Capacità, competenza e impegno, caratteristiche facili da riscontrare nei tanti medici, scienziati, imprenditori che la Calabria continua, senza soste, a esportare, privandosi di figli preziosi.

Non è campanilismo, è giusto orgoglio di calabresi, lo stesso che anima Salvatore Spagnolo, con cui abbiamo parlato.

– Com’è nata l’intuizione che sta alla base della sua ipotesi di terapia?

«L’andamento clinico di questa patologia, caratterizzata dal fatto che al paziente improvvisamente manca il fiato, si abbassa la concentrazione di ossigeno nel sangue, e spesso si verifica la morte improvvisa, mi ha portato a valutare, sulla scorta della mia esperienza, ipotesi diverse sulle cause della mortalità da Covid-19».

«Osservando i sintomi che avevano i pazienti che si ricoveravano nelle terapie intensive lombarde, ho ipotizzato che la causa di morte non poteva essere una polmonite, perché la polmonite anche se grave, anche se pericolosa e mortale, fa morire nello spazio di un mese, due mesi, non in due giorni. Qui siamo di fronte a pazienti che stanno male, vanno in ospedale e velocemente desaturano il sangue, si abbassa di ossigeno, cominciano ad avere mancamenti di fiato, che molte volte è così grave che necessita l’intubazione, c’è bisogno dell’assistenza di un respiratore. Molte volte il respiratore non è sufficiente e si devono aumentare le pressioni nei polmoni in modo elevato e il più delle volte il paziente muore. L’altra caratteristica è che molti di questi pazienti muoiono di colpo, improvvisamente, senza poter fare niente. Questo con la polmonite non c’entra proprio niente.

«Per questa ragione ho ipotizzato che la causa di morte non può essere la polmonite ma qualcos’altro come l’embolia polmonare massiva. Ovviamente non basta dire che la polmonite non c’entra niente, c’entra l’embolia: bisogna documentarsi, cosa che ho fatto, valutare i dati clinici, studiare le varie situazioni cliniche».

– E, avendo individuato una possibile causa di morte, ha pensato all’eparina, un farmaco di uso comune che può limitare il numero dei decessi, bloccando l’insorgenza dell’embolia…

«Fra le caratteristiche che hanno questi virus c’è quella di avere nella loro membrana superficiale come un sensore, una glicoproteina, che entrata nel sangue lo fa coagulare. Ho trovato la probabile causa: è proprio la tromboembolia venosa disseminata indotta dal virus e non la polmonite responsabile della morte improvvisa. Questi coaguli non sono enormi, tuttavia sono in grado di bloccare la circolazione: non si ha più a livello alveolare lo scambio ossigeno-anidride carbonica.

Se questa possibilità di scambio scende troppo c’è una desaturazione del sangue e se la malattia interessa una estesa zona di polmone s’instaura una ipossia [mancanza di ossigeno, ndr] così grave che poi non risponde a nessuna terapia. E quindi quando la malattia è molto avanzata abbiamo il decesso del paziente per mancanza di ossigeno a livello cellulare».

– Nessuno le ha dato ascolto, si sarebbero potuti evitare tante morti…

«Quando i miei studi mi hanno confermato la bontà della mia intuizione, mi sono subito premunito di mettere per iscritto questa esperienza e mandare via mail il mio studio, ma non ho avuto risposta. Allo stesso tempo  ho diffuso la notizia che la causa di morte potesse essere l’embolia polmonare massiva. Ho mandato anche in America la mia nota scientifica che è stata pubblicata in pochi giorni. Quindi ho un documento che data dal mese di marzo dove espongo chiaramente la mia teoria e cioè che il covid causa una embolia polmonare acuta massiva e che il modo migliore di curarla è quello con l’eparina».

– Adesso l’AIfa ha “autorizzato” l’utilizzo dell’eparina e sono in molti a seguire questo protocollo.

«Le mie ipotesi sono state avvalorate ai primi di aprile da alcuni studi di angiotac polmonare che parlavano di embolia, ovvero veniva messo in evidenza che il 50% dei pazienti aveva un’embolia polmonare. Poi hanno fatto delle autopsie in varie zone d’Italia e anche lì è emerso che i polmoni avevano oltre all’infiammazione anche piccoli coaguli. Quindi la mia ipotesi è avvalorata da dati obiettivi e questo ha spinto i medici delle terapie intensive a iniziare la terapia con eparina che è un medicinale che viene utilizzato in sala operatoria. Per fare un esempio, in caso di flebite si fa questa punturina per evitare la formazione di trombi e il manifestarsi di un’embolia polmonare: chi entra in ospedale, la prima cosa che gli fanno, abitualmente, è una puntura di eparina nella pancia. Qualche anno fa, quando questo farmaco non esisteva era un dramma perché parecchi pazienti che venivano curati alle gambe, che stavano a letto in modo prolungato, venivano operati allo stomaco, morivano per embolia polmonare. Ora questo farmaco lo si dà per precauzione in tutte le sale operatorie, in tutte le fasi di lungodegenza, in caso di flebite, lo si dà comunemente, senza che provochi alcun danno, non ha effetti collaterali, salvo rarissimi casi quando c’è un’emorragia gastrica o un aneurisma al cervello. L’eparina ha due funzioni: quando il polmone è pieno di trombi la sia usa per farli sciogliere e se ne dà a dosaggi alti e in realtà parecchie persone che prima morivano attualmente sono curabili, sono migliorati. Adesso stanno morendo quelli che hanno già questa embolia massiva dentro. L’altro dato qual è? Siccome è il virus che scatena la formazione di questi coaguli quello che cerco di proporre io è che quando comincia a manifestarsi l’influenza, passano tre-quattro giorni e l’influenza non guarisce è un brutto segno: allora s’inizia la terapia con l’eparina per evitare che questo virus possa formare i coaguli. Sembra un ragionamento semplice, persino banale, ma ha trovato ostacoli, tanto che molti medici di famiglia che mi hanno consultato stanno usando di propria iniziativa questa terapia che impedisce la coagulazione.

«E questo utilizzo ha fatto andare molta meno gente in ospedale: attualmente le terapie intensive che erano state approntate per tutte quelle migliaia di persone che si dovevano ricoverare sono poco affollate: si pensi ai posti letto creati all’ex Fiera di Milano: sono vuoti, mentre venti giorni fa si sarebbero riempiti immediatamente.

– Hanno testato questo metodo con l’eparina in qualche centro clinico specializzato?

«Siamo in guerra, la gente muore. Da noi quando si ricovera qualcuno per embolia polmonare la prima cosa che facciamo è l’eparina per sciogliere i coaguli. E dunque, visto che questa patologia si può prevenire, si utilizza nelle cure domiciliari l’eparina a basso peso molecolare che ha l’effetto non di sciogliere i coaguli ma di prevenirne la formazione. Una terapia di questo genere non ha bisogno di test e di dimostrazioni perché esiste già come utilizzazione di farmaco: non bisogna fare una sperimentazione clinica per vedere se l’eparina scioglie il trombo o se quella a basso peso molecolare ne previene la formazione, perché lo sappiamo dall’esperienza di tutti i giorni. Si tratta di accettare questa ipotesi che ho suggerito e metterla in pratica. Una punturina sottocute a livello della parete addominale ha dunque la possibilità di evitare una malattia grave quale l’embolia polmonare. La polmonite è curabile, l’embolia no. È un farmaco a basso costo, usato abitualmente. Toglie la principale causa di morte».

– Ci sono stati errori nella terapia?

«In letteratura è descritto che sono stati trovati trombi nei polmoni dei deceduti per coronavirus; i cinesi l’hanno considerata una complicanza della polmonite, però i pazienti morivano seguendo le linee guida dei cinesi che per primi hanno vissuto l’esperienza del Covid-19. In Italia abbiamo, in un primo tempo, seguito in campo terapeutico le linee guida dei cinesi, sbagliando».

Sono in tanti, adesso, a vantare la primogenitura della terapia con eparina: qualcuno dovrà prima o poi spiegare perché la segnalazione e la cura suggerita dal dott. Spagnolo non abbia trovato ascolto presso le autorità sanitarie.

Dà un giudizio favorevole alle ipotesi scientifiche del dott. Spagnolo, l’ex presidente della Regione Calabria Pino Nisticò, illustre farmacologo di fama internazionale: «È un’osservazione interessante che merita sicuramente approfondimenti e studi adeguati: ai fini di una terapia immediata l’eparina si sta rivelando una cura adeguata quando ci sono fenomeni trombo-embolici. Non è un caso che a mostrare intuito, capacità e competenza sia un catanzarese: la scuola di medicina del capoluogo sta sfornando da anni eccellenze di cui l’Italia può essere largamente fiera. E se si realizzerà uno “Spallanzani” in Calabria – come suggerito dal rettore dell’Università Magna Graecia di Catanzaro Giovambattista De Sarro – sarà l’occasione per creare un centro regionale universitario che coordini gli altri prestigiosi istituti di malattie infettive come quello di Cosenza e di Reggio Calabria, nonché potenzialmente quello di Lamezia Terme. Così, questa rete diffusa su tutto il territorio rappresenterà la modalità migliore per combattere la pandemia da coronavirus e di eventuali future emergenze epidemiologiche, venendo incontro alle esigenze dei pazienti e dei loro familiari».

La Calabria, come sempre, è un passo avanti.  (s)