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È nato a Cosenza il Parco Filosofico Alcmeone

È nato a Cosenza il Parco Filosofico Alcmeone

di ANNA MARIA VENTURANel vasto panorama delle iniziative e dei progetti realizzati dalle tantissime associazioni culturali, che operano nel territorio cosentino, la realizzazione di un Parco Filosofico è una novità assoluta. AIParC  Cosenza ha già al suo attivo il “Parco Storico Giuseppina Le Maire”, dedicato alla filantropa torinese fortemente impegnata nella ricostruzione sociale ed educativa, all’indomani del terremoto del 1908 in Calabria e il “Parco Ecclesiale Ada Furgiuele”, dedicato ad una donna calabrese, oblata di don Mottola, di cui ha seguito regole ed insegnamenti, spendendo la sua vita per gli ultimi.

Nell’ottica di raggiungere orizzonti culturali sempre più ampi e stimolanti, il 14 Dicembre 2022, nel Salone di rappresentanza della Confindustria, a Cosenza, ha inaugurato il Parco Filosofico, intitolato ad Alcmeone di Crotone, con grande successo di pubblico e di critica. La Presidente prof.ssa Tania Frisone, nel suo intervento introduttivo ha sottolineato che gli interessi culturali di AIParC Cosenza, attraverso l’istituzione del Parco filosofico “Alcmeone”, si aprono ai problemi più impellenti dell’uomo contemporaneo, che vanno dai cambiamenti ambientali e climatici ai problemi posti dall’imponente sviluppo delle tecniche informatiche e mediali, ai temi della salvaguardia del pianeta. Hanno reso prezioso l’evento, con contributi di elevato spessore culturale il Provveditore agli studi di Cosenza, prof.ssa Loredana Giannicola, il Presidente della Commissione cultura del Comune di Cosenza, dott. Domenico Frammartino, il prof. Giuseppe Trebisacce, i responsabili del Parco Filosofico la prof.ssa Anna De Vincenti e il Prof. Romeo Bufalo

Il neonato Parco filosofico “Alcmeone” intende riprendere e rilanciare l’idea greca di Natura intesa come physis, ossia come principio generatore e rigeneratore del vivente, oltre che del mondo. In tal senso la figura di Alcmeone, cui il Parco è intitolato, è parsa estremamente rappresentativa a quanti operano all’interno di AIParC Cosenza, in quanto egli fu il primo filosofo-medico e scienziato naturalista greco, anzi magnogreco a scrivere un’opera intitolata “Sulla natura” dai cui frammenti si evince il convincimento che l’uomo, gli animali, le piante, i mari, il cielo sono una Totalità ordinata, la Natura, appunto, fuori dalla quale nessun componente può vivere o sopravvivere. Questa “verità”, pensata dal filosofo calabrese circa ventisei secoli fa, sembra mostrare ancora oggi tutta la sua validità. 

Il Parco filosofico “Alcmeone” ha come obiettivi:  richiamare alla coscienza contemporanea la memoria dell’antico rapporto che legava l’uomo alla natura, che pare oggi smarrito; contribuire alla formazione di un pensiero critico rispetto agli abusi che sul territorio sono stati fatti e continuano a farsi in nome di una distorta idea di progresso che non tiene conto delle diverse forme di vita e continua a violentare l’ambiente; proporre “buone pratiche” per ristabilire un nuovo equilibrio tra uomo e natura in nome di uno sviluppo sostenibile e per la salvaguardia della biosfera. 

Il Parco filosofico si pone, nella sua finalità generale, come luogo, per ora virtuale, ma si auspica a breve anche reale, dove discutere, scambiare idee e punti di vista che facciano accrescere in tutti la coscienza del difficile momento storico che stiamo vivendo e la necessità di contribuire alla salvaguardia del pianeta terra, affinchè si consegni un mondo vivibile alle generazioni future.

La Prof.ssa Anna De Vincenti, responsabile del Parco insieme al Professore Romeo Bufalo, ha presentato il Quaderno dal titolo Uomo, Natura, Tecnica che illustra le ragioni e le finalità del nascente Parco. Alla realizzazione del Quaderno hanno contribuito competenze varie che hanno trattato le problematiche da diversi punti di vista – filosofico, letterario, ingegneristico, architettonico, storico – ma in un’ottica olistica, com’è giusto che sia per una tematica così complessa.

La Prof.ssa De Vincenti si è così espressa: «Il Quaderno già nel titolo, credo, orienti: Uomo, Natura, Tecnica. Nella nostra idea il rapporto tra uomo e natura si presenta da sempre come un rapporto molto stretto, mediato dalla tecnica, perché l’uomo è un essere naturalmente tecnico che agisce nella e sulla natura per modificarla e creare per sé stesso e la sua comunità migliori condizioni di vita. Il punto dolente è, però, almeno secondo noi, che spesso questa sua azione trascende i suoi limiti e crea conseguenze catastrofiche».

«La filosofia, di questo rapporto ambiguo e contraddittorio, ne ha molto parlato: basti citare Heidegger che, a partire dalla distinzione tra la tecnica del mondo antico e la tecnica moderna, distingue la capacità dell’uomo di utilizzare le risorse naturali senza distruggere la natura stessa, in una sorta di interscambio virtuoso, dalla forza distruttiva che lo stesso uomo esercita sulla natura stessa, usata come fondo inesauribile, mentre invece le sue risorse sono esauribili e in buona parte già esaurite: da qui l’inquietudine di Heidegger che trapassa in Jonas e in tutti noi. Jonas, tra l’altro allievo di Heidegger, è uno dei pensatori a cui idealmente si ispira il nostro progetto di Parco filosofico» 

«In Jonas – ha continuato la Prof.ssa De Vincenti – l’euristica della paura funziona come avvertimento, come allarme e tende culturalmente a controllare la tecnica nella visione di un antropocentrismo rinnovato, capace di direzionare l’azione verso la realizzazione dei doveri fondamentali che sono quelli della conservazione del pianeta e della salvaguardia della specie come necessario lascito alle generazioni future. Jonas, dunque, teoreticamente realizza un ribaltamento di prospettiva del metodo cartesiano che considerava falso ciò che in qualche modo era suscettibile di dubbio, propone una visione del mondo prudenziale, che considera alla stregua della certezza ciò che, anche se dubbio, è tuttavia possibile. Proprio di fronte alla possibilità dell’estinzione del genere umano si mostra nella sua urgenza l’imperativo categorico che un’umanità esista, che essa possa conservarsi, proprio perché l’uomo è giunto a possedere un tale potere sulla natura che allo stato attuale si può dire che egli debba necessariamente proteggerla. L’uomo deve accettare che i suoi doveri vadano oltre sé stesso e i propri e contingenti interessi, per un impegno verso la natura e verso chi non c’è ancora. Ma la filosofia ha detto anche altro. Secondo Junger ,la tecnica è la magica danza che il mondo contemporaneo balla. Possiamo partecipare alle vibrazioni e alle oscillazioni di quest’ultimo soltanto se capiamo la tecnica. Altrimenti restiamo esclusi dal gioco. Il filosofo francese Gilbert  Simondon ci allerta contro i pericoli di un atteggiamento tecnofobico che ci allontanerebbe dalla realtà e dal nostro tempo».

Ma come tenere insieme le due cose? Come sfuggire sia all’idolatria della tecnica che alla sua demonizzazione? 

A queste domande sempre la Prof.ssa De Vincenti ha risposto: «Potremmo allora ipotizzare che il punto di superamento della contraddizione possa essere rappresentato dall’idea della governabilità della tecnica, tramutando l’inquietudine che ci assale in tempi difficili come quelli attuali in euristica della paura come metodo che utilizza la paura come fattore motivante la ricerca e dunque ci consegna la speranza di poter ancora cambiare verso, ci dice che siamo ancora in tempo se riusciamo ad esercitare il controllo democratico delle nostre azioni e la capacità di mediazione tra progresso tecnico e salvaguardia delle diverse forme di vita: il lavoro umano come ricerca di un equilibrio continuo che permetta all’uomo, in quanto essere tecnico, di utilizzare la tecnica e nello stesso tempo di recintarla entro confini umani».

«Quello che deve essere recuperato è dunque il concetto di limite, il confine entro cui la tecnica deve essere ricondotta; tale limite è il limite umano, ma è anche il limite imposto dalla natura di cui l’uomo è parte. Questo significa ridimensionare l’idea di onnipotenza e accettare quella di finitezza come caratteristica dell’essere umano stesso». 

Paura e fiducia nell’uomo, dunque, pessimismo e speranza. Sembra che anneghiamo nelle contraddizioni e invece non è così in quanto chi pratica di storia, di scienza, di filosofia sa bene che tutto ciò che è realizzato dagli uomini è anche modificabile dagli uomini stessi. 

Da qui la speranza dopo la paura. Il messaggio che, attraverso il Quaderno, gli autori intendono trasmetterci è che la potenza della tecnica non è necessariamente una sventura per l’uomo, in definitiva dosare la forza che la scienza conferisce per mezzo di un’etica auto-restrittiva è la grande sfida a cui l’essere umano è chiamato dal suo stesso agire.

Un atto di umiltà, se vogliamo, un atto di decentramento del ruolo: l’antropocentrismo deve cedere il passo ad una visione pluricentrica, complessa dell’intero universo. 

Alla stesura del Quaderno, oltre ai responsabili Del Parco filosofico, hanno contribuito altre persone: l’architetto Daniela Francini e l’Ingegnere Massimo Veltri; per lo sguardo letterario e poetico le Prof.sse Anna Maria Ventura, Nella Matta e il Preside Enzo Ferraro, che hanno spaziato dal mondo classico alla contemporaneità. Il quadro storico-teatrale illustrato dal Maestro Nello Costabile ci ha chiarito come la tecnica possa essere alleata dell’arte con i meravigliosi marchingegni del teatro greco ma come possa anche essere portatrice di morte. Non è mancato lo sguardo di apertura alla cultura europea che il Preside Luciano Conte ha saputo costruire nel confronto tra Verga e Zola. 

Gli autori del Quaderno hanno fatto una pregevole azione di sconfinamento virtuoso in quanto hanno colto l’aspetto complesso ed hanno arricchito il Quaderno  con contributi che, pur partendo dallo specifico dei loro saperi arrivano ad una visione più ampia dei problemi: insieme, e sentendosi parte del pianeta e non esterni ad esso, il  pensiero si è fatto trans ed interdisciplinare e ha fatto cogliere, come sosteneva Gregory Bateson, quel “più ampio sapere che è la colla che tiene insieme le stelle e gli anemoni di mare, le foreste di sequoia e le commissioni e i consigli umani”. 

Quello che si propone il Parco filosofico è un laboratorio di idee, di confronto, per provare a ricercare non la verità, ma una possibile verità, un orientamento, un punto di ri-partenza, una risposta alla solita domanda: Che fare? Che fare davanti al disastro ecologico, davanti alle crisi climatiche, a paesi interi smottati, davanti alle tante vite perse. 

Il Parco ha fatto sua l’idea di una filosofia non astratta, autoreferenziale e dogmatica, volta a guardare il cielo senza vedere gli inciampi sulla terra, ma quella di  una filosofia intesa come costruzione di visioni del mondo che debbano in qualche modo contribuire al cambiamento e quindi incidere sulla realtà, sulla linea della cosiddetta filosofia pratica, quella che sulla scorta della riflessione teorica è capace di orientare le azioni verso il bene comune, riabilitando la politica e facendo politica, nel suo significato originario e nobile: perseguire l’interesse per la polis, per la città, intesa come comunità.

C’è bisogno di un cambio di passo: la Kehre (svolta) dovrebbe consistere nel riconoscere che la priorità per l’umano è la salvaguardia della biosfera piuttosto che l’accrescimento del dominio della tecnica di cui bisognerebbe fare un uso responsabile. All’etica del profitto bisognerebbe sostituire l’etica della responsabilità in quanto chi può salvarci non è un dio, ma l’uomo stesso facitore di una nuova etica.

“Siamo degli inguaribili sognatori?” si chiede Anna De Vincenti. “Credo di no”, è la sua risposta, “Perché dalla storia sappiamo che se l’uomo è capace di distruggere è anche capace di ricostruire e perché siamo certi che la filosofia sia stata ed è lo strumento di salvezza per l’umanità. Dovevamo filosofare altrimenti non avremmo potuto vivere in questo mondo. Dobbiamo filosofare altrimenti il mondo non potrà essere salvato”.

Interessante e appassionato è stato l’intervento del Prof. Romeo Bufalo, che ha illustrato la figura di Alcmeone, cui il Parco filosofico è intitolato. Ne è scaturito un ritratto a tutto tondo, dalle diverse sfaccettature, dal quale si evince la grandezza di questo pensatore. Alcmeone di Crotone fu un filosofo naturalista vissuto nella Magna Grecia nel VI secolo a. C. Per primo scrisse un’opera “Sulla natura” e si soffermò in modo originale sul complesso rapporto uomo-natura. 

Dalla relazione del Prof. Bufalo si evince che il problema che spesso è stato posto, a proposito di Alcmeone, è se sia stato più un fisico o un medico o un filosofo; o tutti e tre insieme , che è l’ipotesi più plausibile. Ci si è chiesti anche se sia stato un pitagorico o una figura indipendente dal pitagorismo; se il suo metodo scientifico sia stato realmente empirico e se abbia davvero praticato per primo la dissezione anatomica degli animali e degli uomini. È comunque opinione diffusa che egli sia stato il padre della medicina greca, della biologia e della psicologia sperimentale. Le sue scoperte furono da alcuni studiosi ritenute talmente rivoluzionarie da essere equiparabili a quelle di Copernico e Darwin.

Recentemente Lorenzo Perrilli ha sostenuto la piena plausibilità della tesi che fa risalire ad Alcmeone la dissezione dei cadaveri, confermando il carattere empirico del suo metodo di indagine basato sull’osservazione diretta dei fenomeni al contrario di altri filosofi presocratici. Anche sul piano epistemologico Alcmeone fu un pioniere. Formulò infatti per primo (o tra i primi) una teoria gradualistica della conoscenza, in base alla quale gli animali percepiscono soltanto, gli uomini percepiscono e ragionano, mentre solo gli dei hanno una visione immediata. Sul piano cosmologico, invece, fu tra i primi a distinguere tra un mondo sovralunare, immobile ed eterno, ed il mondo sublunare, soggetto, come dirà Aristotele, a generazione e corruzione, ossia finito e temporale.

Infine, in campo psicologico, teorizzò la divinità e l’immortalità dell’anima, a causa del suo movimento perenne, analogo a quello della Luna, del Sole e delle stelle, anch’essi immortali e divini. È in questo quadro metafisico della vita dell’universo che si giustifica un importantissimo Frammento di Alcmeone, in cui dice: «Gli uomini per questo muoiono, perché non possono ricongiungere il principio con la fine». Cosa che invece fanno gli astri nel loro identico e perenne movimento circolare, in cui ciascun corpo celeste ritorna, dopo uno stesso periodo di tempo, esattamente nella stessa posizione di prima. Sul terreno politico Alcmeone fu un convinto sostenitore del regime democratico, in controtendenza rispetto ai Pitagorici che furono, in gran parte, aristocratici. A questo proposito, un aspetto originale del pensiero di questo autore è costituito dal parallelismo che egli stabilisce tra corpo biologico e corpo politico. Sulla base di una lunga consuetudine medico-sperimentale, egli sosteneva che la salute del corpo fosse assicurata dall’equilibrio (isonomía) e dall’armonia (sýmmetros krãsis) delle forze in esso presenti, come le coppie umido-secco, freddo-caldo, amaro-dolce, ecc. Lo squilibrio di queste forze ed il predominio di una sulle altre genera la malattia. Estendendo analogicamente questo modello medico dal piano fisico-biologico a quello politico, Alcmeone sosteneva che anche il ‘corpo’ dello Stato (ossia della pòlis) può essere ‘sano’ o malato’. Ed il corpo politico è in salute quando, in analogia col corpo fisico, in esso regna l’isonomía, ossia l’equilibrio e l’uguaglianza delle leggi. Questa è la democrazia, che costituisce lo stato di salute della polis. Quando invece l’equilibrio si altera e domina una sola legge (o la legge di uno solo) la democrazia si ammala e degenera in monarchia.

Emerge abbastanza chiaramente dalla relazione del Prof. Bufalo l’importanza teorica e la straordinaria modernità della figura di Alcmeone. 

A questo prestigioso evento non è mancato l’aspetto più propriamente artistico con il contributo del musicista Ferdinando Autiero, che ha portato, attraverso la sua voce, i versi di denuncia del miglior cantautorato italiano da Guccini a Bertoli.

E non è mancata la possibilità di ammirare la bellezza della forza delle donne, espressione di quella madre terra che tutto nutre e che resiste agli assalti sconsiderati dell’uomo, nelle opere pittoriche di una grande artista qual è Assunta Mollo. Nei suoi quadri, alcuni dei quali esposti in sala, si vede la sublimazione della tecnica in arte, si vede quella che Giordano Bruno chiamava l’intelligenza della mano che quando crea è lo strumento del pensiero, che invera e rende concreto il progetto che l’artista ha in mente. 

 L’auspicio è che questo stupefacente incontro sia soltanto il primo dei tanti che verranno, finalizzati alla realizzazione di progetti che contribuiscano alla soluzione degli infiniti e gravi problemi, che affliggono il nostro martoriato mondo. Intanto possiamo attingere allo splendido Quaderno “Arte, natura e tecnica”, esteticamente bello, con la copertina dal caldo colore giallo della terra bruciata, che riscalda l’anima oltre che la mente. Al centro un’immagine di arte classica classica, una kulix laconica in ceramica, del VII secolo, a.C. con Prometeo e Atlante. Un Quaderno ricchissimo di contenuti culturali, tutti di altissimo pregio e valore , che pure si legge con passione e interesse crescente.

Cattura l’attenzione, fra altri interessantissimi articoli, quello di Anna De Vincenti, che illustra le ragioni teorico-pratiche della creazione del Parco Filosofico. Fra queste il fare nostra la pratica dell’abbandonologia, un nuova scienza, che si occupa di tante realtà di cui ha una discreta percentuale il nostro Belpaese: borghi abbandonati, paesi in rovina, luoghi di divertimento dismessi, quel che resta di stazioni, orti, giardini o negozi… tutto quello che una volta aveva una sua identità e ora è là, immobile e affascinante, a raccontarci storie di un tempo passato in cui c’era vita adesso finita chissà dove. Insomma l’abbandonologia, una scienza poetica, come la descrive Carmen Pellegrino nel libro che le ha dedicato, “Cade la terra”, non un saggio ma un romanzo la cui protagonista è Estella, ultima abitante di un paese abbandonato del sud, un paese di fantasia molto simile però a tanti altri magari entrati nell’occhio della cronaca per i loro incredibili dissesti idrogeologici, dove la superficie frana muovendosi come fosse una cascata di terra che porta via uomini e cose e lascia abitazioni martoriate.

Partendo da queste fragilità, scrive giustamente Anna De Vincenti, potremmo come Parco filosofico porci l’obiettivo di ridare vita e dignità culturale e, perché no, economica al luogo stesso. Rianimare i borghi è anche l’obiettivo che si pone Romeo Bufalo nell’articolo “Amica veritas, sed magis natura”. Egli scrive: “Oggi, rimettere al centro della discussione pubblica (cioè politica) le comunità (non in senso mitologico o in quello di una identità esclusiva ed escludente l’Altro, divisiva e tendenzialmente elitaria e razzista, ma nel senso di una identità larga e plurale, inclusiva e tollerante) non vuol dire affatto riproporre una retorica del piccoloborghismo o un modello del borgo turistico-consumistico, ma vuol dire elaborare e sperimentare nuovi modi di vivere di produrre e consumare”. Bisogna, in altri termini, favorire il ritorno di quelli che sono partiti. Accogliere il loro desiderio di ritorno con le loro nuove esperienze ed i nuovi saperi di cui nel frattempo si sono arricchiti. Appare eticamente più produttivo e ‘responsabile’ costruire scuole, ospedali, sistemare strade impercorribili, aprire musei e biblioteche anche nei paesi più piccoli. Bisogna, cioè, trasformare il ‘vuoto’ in ‘pieno’, collegare montagne e marine, territori separati; tornare, in maniera nuova, alla terra, rinnovare l’espressione antica ‘coltura/cultura’, mettere in sicurezza il paesaggio. E un’utopia? Ma scommettiamo pure sull’utopia per vincere la realtà! Il Parco filosofico “Alcmeone” ha lanciato la sfida, ora sta a noi saperla cogliere. (amv)