;
IL RICORDO / Antonio Viapiana, il genio saggio, l'uomo umile e buono

IL RICORDO / Antonio Viapiana, il genio saggio, l’uomo umile e buono

di FRANCO CIMINO – L’ho conosciuto tardi, frequentato pochissimo, incontrato nell’ultimo tempo quasi mai. Non ci sentivamo neppure al telefono. L’unica volta, circa un anno fa, che, incontrandolo per caso davanti al Politeama(lui usciva dal Palazzo comunale lì vicino, dove svolgeva il compito di capo gabinetto del sindaco Abramo) scoprimmo che entrambi non avevano i nostri rispettivi numeri. Era stanco, meno rotondo della corporatura con la quale lo conobbi quel lontano giorno di febbraio del 2006. Ma la barba, delicata e leggera sul suo bel viso non gli mancava. Solo un po’ brizzolata, come i radi capelli. Su quel bel viso non gli mancavano il sorriso buono, aperto alla cortesia e alla gentilezza, e quello sguardo tenerissimo sul “mondo”. Il suo mondo, sempre articolato nelle due dimensioni personali. Quello piccolo, ristretto nel luogo in cui egli viveva, amandolo, conoscendolo, servendolo, nel profondo.

E quello “globale”, che tutto raggiungeva, comprendendolo nei suoi diversi passaggi di tempo, con la sensibilità tesissima e quella sua cultura davvero vasta. Una cultura che spaziava dall’arte, di cui era un attento e preparato cultore, all’economia, dalla tecnologia alla sociologia della comunicazione. E, per dirla quasi tutta, dalla Politica, per la quale aveva anche passione, alle nuove leggi dell’impresa. In quel corpo Antonio Viapiana custodiva un’anima nobile e delicata. Un’anima nella quale erano radicati qualità straordinarie, fondamentali alla buona saluta di qualsiasi comunità. Ne elenco solo alcuni dei tantissimi.

L’umiltà, la prima. Con essa sapeva vivere con auto-disciplina i diversi ruolo svolti nella vita. E ruoli assai importanti, dei quali non si serviva per misere vanterei o per arroganti manifestazioni di potere. Con l’umiltà sapeva stare un passo indietro o nascondere “al premio della popolarità” o al “trampolino del carrierismo” i suoi meriti, talvolta esclusivi, ovvero le grandi fatiche, che portavano al raggiungimento di enormi risultati nel contesto, in particolare, e nella comunità, in generale. Ah, le fatiche! Tra le qualità c’era la sua grande capacità di lavoro.

Faticava tanto, Antonio, e mai se ne lamentava. Sempre chiuso nella sua stanza, che fosse quella delle imprese che contribuiva a far nascere, o quella del Comune. Sempre attento a finire ciò che aveva iniziato. Era paziente. Tra le sue qualità c’erano la pazienza e la calma. Io non so se si prendesse collera e come la manifestasse. So, di certo, che ascoltava tutti e di ciascuno ne comprendeva le ragioni, portando le tensioni a un punto sicuro di rassicurazione. In ciò era favorito dalla sua mente razionale e dalla tecnica di mediazione che egli sapeva applicare con grande efficacia e certosina determinazione. Era generoso. E molto. Era davvero difficile che chi si rivolgesse a lui per un bisogno o una difficoltà, ne ne uscisse a mani e a cuore vuoti. Della sua intelligenza, non oso palare, perché la conoscono tutti. E anche perché più che una qualità era un dono speciale di Dio, che sembrava avesse voluto donargliela tanto più grande di quella comune. Una intelligenza, la sua, tanto robusta da renderlo geniale. La sua inventiva e creatività erano straordinarie. Quando tutti attorno a lui era fermi su un problema “irrisolvibile”, Antonio se ne usciva con l’idea giusta. Una vera illuminazione. Genio e saggio. Genialità e saggezza. Ecco le due parole con le quali sinteticamente lo si potrebbe presentare. Ve n’è una terza, che io lascerei al piacere di scoprirla in chi lo avesse conosciuto.

È la bontà. Una bontà costituita innanzitutto dall’assenza di cattiveria, di invidia e di gelosia. E di desiderio di vendetta verso chi gli avrebbe potuto far male. Chiudo l’elenco con la qualità divenuta assai rara nel mondo d’oggi, l’amicizia. Antonio amava l’amicizia con la maiuscola. Ne subiva una sorta di fascino irresistibile.

L’amicizia risorsa splendente di luce propria e forza straordinaria per muovere le cose. Stravolgere tutto risistemando l’ordine migliore. In essa vivono tanti altri elementi, la lealtà, la sincerità, l’abnegazione, la totale donazione di sé nella gratuità assoluta. Proverbiale, emblematica, esemplare, pedagogica oserei dire, è quella che lui ha sentito e vissuto per Sergio Abramo. In quel rapporto c’è l’amicizia vera in tutte le sue dinamiche. Antonio ha “ servito”, nel senso amicale del termine, Sergio Abramo, con umiltà, ammirazione, amore. Spirito di sacrificio e fatiche immense. Io non so come funzioni nell’Altrove inconoscibile.

E però, mi colpisce profondamente il fatto che Antonio “improvvisamente” scompaia quando il suo Amico chiude una sua prima lunga storia politico-amministrativa e si muova lungo un percorso esistenziale di ritrovata serenità. Quanto a me, per quel poco tempo della nostra conoscenza e quel pochissimo della nostra frequentazione, avrei da dire tantissime cose, tutte accadute in quei quarantacinque giorni della mia campagna elettorale da candidato sindaco nel 2006. Lui, con Nuccio Marullo, altro genio creativo e persona buona, fu tra gli “inventori” di quella candidatura che Sergio poi volle fortemente ed più fortemente sostenne. Lui coniò una sorte di titolo per la propaganda, «Franco Cimino, il nuovo Sindaco». Lui fu tra coloro che la sostennero con sincerità totale, offrendomi saggi e buoni consigli e difendendo, pure con Sergio, la mia assoluta autonomia politica e indipendenza, nel farla anche in prospettiva di una quasi certa elezione, poi non avvenuta per una manciata di voti al ballottaggio.

Ma il fatto che più ricordo e che indelebile resta nel mio cuore, fu quella sera, che si portò fino a notte, in cui, rimasti soli noi due, dovetti apporre la mia firma ai modelli di candidature di circa duecento candidature a consigliere.

Firmai con la penna nuova che mi diede. Firmai quei moduli uno per uno e per esteso. Lui, in piedi, paziente, alle mie spalle, dietro alla poltrona. Alla fine, con voce commossa, mi dice testualmente: «Franco, la firma che metterai, in ultimo, su questo foglio, è la più bella. Ne seguiranno tante altre quando sarai diventato Sindaco di Catanzaro».

Era quella della mia accettazione della candidatura alla più alta carica amministrativa della nostra Città. Me ne consegnò, poi, una focopia, che io volli che anche lui, per me, la sottoscrivesse. Un giorno la tirerò fuori dal mio disordine e me la terrò sulla mia scrivania. Antonio Viapiana, e chi se lo scorderà mai! (fc)