di FRANCESCO RAO – Dovremmo abituarci all’idea che oltre al peso, alla velocità ed all’altezza anche i fenomeni sociali sono misurabili. A fronte del singolo risultato è bene non fermarsi all’evidenza del dato finale, occorre anche iniziare ad individuare nella singola specificità il rapporto che ne determinerà il valore della misura.
La scuola, nel suo insieme, da circa 20 anni a questa parte, sembrerebbe aver messo da parte uno dei pilastri che i padri costituenti hanno materializzato nella Costituzione italiana: mi riferisco all’azione di crescita culturale e, di conseguenza, alla partecipazione quotidiana in una vita sociale nella quale la politica possa rappresentare, oltre al risultato della crescita culturale di una Comunità e dell’intera nazione, anche la sintesi di un processo di sviluppo complessivo.
Ricordo a me stesso che la Costituzione è stata anche l’occasione per codificare un compromesso tra le varie anime politiche e le diverse ideologie rappresentate dai componenti dell’Assemblea Costituente. Prima di proseguire, è doveroso precisare che la storia ci ha consegnato compromessi al ribasso e compromessi al rialzo. Ebbene, la Costituzione Italiana rappresenta uno dei pochissimi casi di compromesso al rialzo consegnatoci dalla storia delle istituzioni politiche mondiali. Studiando con attenzione il diritto costituzionale italiano e comparato si potrà sicuramente notare la profonda lungimiranza attuata dai Costituenti i quali, soffermandosi sull’importanza e sul ruolo dell’istruzione, avevano ben intuito che l’Italia, per crescere e superare le criticità socioeconomiche rilevate nel secondo dopoguerra, oltre a dover superare lo Statuto Albertino si è trovata a scegliere una nuova forma di governo ed in esso vi è stato un nuovo punto di partenza. Sappiamo tutti cosa accadde il 2 giugno del 1946 e sappiamo benissimo l’importanza che rappresentò per l’Italia il processo di scolarizzazione avviato dal 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione Italiana.
La premessa storica era indispensabile perché continuo a pensare che ognuno di noi deve ricordare sempre il passato per poter guardare con maggiore lungimiranza al futuro. Intanto, sappiamo benissimo che non può e non deve passare inosservato il divario Nord-Sud. Ieri veniva individuato come Questione Meridionale e oggi potremmo indicarlo come “emergenza Meridionale”. In tale cornice, da qualche anno a questa parte, prima i dati Ocse e successivamente le ricerche condotte dall’Invalsi, hanno costantemente certificato una regressione crescente delle competenze degli studenti Meridionali.
Recentemente, a causa della pandemia ancora in atto, tale processo si è acuito non soltanto al Sud, ma ha registrato flessioni anche nel Centro Nord. Qualche anno addietro, per l’esattezza luglio 2019, in un comunicato stampa dell’Anief, Associazione Sindacale Professionale, veniva affrontato il tema di cui ci stiamo occupando in questa sede e le parole del Presidente erano: «è assodato che al Sud, dove di sicuro uno studente su tre iscritto al primo anno delle superiori non arriverà mai alla maturità, il ritardo sia notevole: c’è un abisso. In terza media, per esempio, il 35% degli alunni non è in grado di comprendere un testo in italiano, ma in Calabria la percentuale sale al 50%. In inglese la quota di studenti che non arriva al livello prescritto (A2) è del 30% nel Nord Ovest, del 25% nel Nord Est, del 35% nel Centro, del 54% nel Sud e del 61% nel Sud e Isole. Nelle superiori se gli alunni deboli in italiano sono il 30% in media, in Calabria e Sardegna raggiungono il 45%. In Matematica il quadro peggiora».
Vi è da aggiungere che il gap delle competenze tra gli studenti Nord-Sud, a seguito dell’autonomia delle scuole, non lo ha ridotto come era stato preventivamente immaginato nella norma che ne ha istituito tale funzione. Volendo essere cinici nell’affrontare la discussione, dovremmo iniziare a ragionare sugli effetti di tale riforma, da una parte riconducibili al risultato fortemente preoccupante dei dati Invalsi e dall’altro ad un voluto “tradimento” di quella volontà consegnataci dai padri costituenti. Quando don Milani affermava che la scuola somiglia ad un ospedale che cura le persone sane e rifiuta gli ammalati, non era di sicuro il 2021. Non vi erano state le riforme che oggi sono vigenti.
Non esistevano i moderni mezzi di comunicazione ed approfondimento. Per i calcoli non si ricorreva a calcolatrici o tablet, ma veniva utilizzata carta e penna ed i più bravi riuscivano anche a farne a meno. Il problema da affrontare, ieri come oggi era l’analfabetismo. Ieri non si sapeva leggere e scrivere. Oggi, pur sapendo leggere e scrivere siamo di fronte ad un dilagante analfabetismo funzionale certificato dalle ricerche come mancanza di competenze. Di anno in anno, l’Invalsi ha promosso in tal senso molte discussioni e tanti confronti.
Annualmente vengono pubblicati studi, grafici, indicatori, dati e proposte per poi ritrovarci l’anno successivo, con gli indicatori analizzati nel precedente Anno Scolastico, peggiorati. Ed allora, se la scuola ha messo da parte l’idea di istruire e formare le future generazioni, ponendosi come un’azienda che non guarda ai profitti ma alla popolazione scolastica per poter avere maggiori finanziamenti e contare di più sullo scacchiere del territorio nel quale insiste l’edificio scolastico, è lecito chiedersi per quale motivo il Ministero competente non abbia preso di petto la questione, invitando l’Invalsi a continuare nella propria mission ed inserendo nei processi di misurabilità i Dirigenti scolastici, i docenti ed i tecnici di laboratorio?
Mi sembra scontato doverlo ricordare, ma vista la circostanza non posso esimermi di sottolineare che i processi di formazione continua, rivolti ai docenti ed ai dirigenti, estesi a tutto il personale scolastico, oltre ed essere citati dal Ccnl del comparto Scuola, rappresentano una continua occasione per aggiornarsi, formarsi ed entrare in sintonia con i moderni metodi d’insegnamento e con le nuove generazioni che da un punto di vista formativo richiedono sistemi simmetrici rispetto all’asimmetria spesso registrata in moltissime realtà scolastiche.
Detto ciò, non è mia intenzione sminuire la preparazione e la dedizione dei docenti che amano il loro lavoro; vi è la ferma convinzione che ognuno di noi, in mancanza di aggiornamento e privato di specifiche competenze, non può essere utile per tutte le stagioni. Tutta la platea del mondo scolastico italiano – circa otto milioni di giovani – afferisce alla generazione dei nativi digitali. Loro, contrariamente a noi nati nel Secolo scorso, hanno preso in mano un tablet a meno di due anni ed hanno immediatamente imparato a guardare i cartoni.
Per queste generazioni, va pensato un modello formativo declinato sugli indicatori che il sistema industria 4.0 ci sta chiedendo, senza continuare a propinare modelli superati e spesso noiosi. In classe si legge per i primi anni di scuola primaria. Poi, chi verifica la qualità della lettura? Qualcuno si è chiesto perché i nostri giovani hanno così profonde lacune in italiano, matematica, chimica, fisica e inglese?
Chi non riesce a leggere e comprendere cosa ha letto, comprendendone poi i contenuti per applicarli alle rispettive azioni, come potrà svolgere degli esercizi di matematica, inglese, fisica e chimica senza l’applicazione della regola per la singola disciplina? Chi memorizza tutto, perché non è stato debitamente formato ad un processo di apprendimento deduttivo, ed essendosi trovato ad interagire con un metodo induttivo nel quale la logica è stata sostituita dalle schede da colorare o completare, con quale coraggio oggi può essere giudicato… male?
Forse vi è una verità che in molti non intendono pronunciare e la società deve essere livellata verso il basso così, privata dal sapere e dalla conoscenza critica, sarà controllabile più facilmente? In questo disegno c’è stato un piccolo imprevisto: i social ed il loro potere pervasivo accessibile a tutti. Umberto Eco aveva visto molto lontano nel dare una certa definizione a tale strumento.
La realtà non trova più spazio sotto il tappeto, perciò, nel levare la polvere accumulata da anni, bisognerà anche immaginare con una certa determinazione la risposta a tale circostanza.
La questione centrale non è più il solo divario culturale Nord-Sud e la mediocrità delle competenze, ma è la mancata qualità strutturale di una società Meridionale che non avrà politici capaci di potersi confrontare non più entro il perimetro di un piccolo comune ma dovrà confrontarsi a livello europeo. Tutto ciò spero possa far riflettere qualcuno. (fr)
[Francesco Rao è un sociologo calabrese, vive a Cittanova]