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La Calabria celebra il trentennale della Strage di Capaci

La Calabria ricorda il trentennale della Strage di Capaci

Ieri erano 30 anni dalla strage di Capaci, l’attentato mafioso dove persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto,  ha evidenziato come «il ricordo di quella tragedia non si spegne. Sia sempre un monito contro le mafie e per la legalità», mentre il presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, ha invitato «i calabresi, ovunque si trovino alle 17.58 –  l’ora dell’esplosione –  osservino un minuto di raccoglimento per ricordare chi ha sacrificato la vita per il Paese».

La prima Commissione “Affari Istituzionali” del Consiglio regionale,   prima di avviare i propri lavori,  ha osservato un minuto di silenzio, «per ricordare – ha detto la presidente Luciana De Francesco – Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani uccisi da Cosa Nostra il 23 maggio del ’92. La memoria di quella tragedia che ha scosso il Paese deve tradursi, specie per chi svolge ruoli pubblici, in un impegno ancora più serrato contro ogni prevaricazione mafiosa».

A Rende, il sindaco Marcello Manna, alla manifestazione organizzata all’IC Quattromiglia, ha sottolineato come «oggi  più che mai necessario moltiplicare momenti di riflessione da parte di voi ragazzi su ciò che accadde trent’anni fa. Una stagione che ha visto un’antipotere agire contro i principi democratici della nostra Costituzione. Ancora oggi manca una parte di verità per far chiarezza su alcuni elementi chiave rispetto all’omicidio di Giovanni Falcone: chi ha avvertito che il giudice Falcone partiva da Roma su un aereo noleggiato dal Sismi?».

«Il nostro Paese – ha proseguito – ha attraversato tante stagioni che sono rimaste in zone d’ombra. Quell’antipotere ha cercato di modificare le nostre regole di civiltà, di democrazia: questa è la battaglia da combattere oggi nel momento in cui ricordiamo Giovanni Falcone. Non è una battaglia che è terminata, ma deve andare avanti soprattutto con le scuole, con l’impegno civile e sociale che dobbiamo avere nel difendere la nostra democrazia e, per fortuna, nel farlo abbiamo un faro che ancora richiede tanto impegno e che è la nostra Costituzione: i suoi valori non si sovvertono né con le bombe, né in altro modo».

«Sono passati 30 anni – ha detto Sorrentino – e ancora oggi troppi misteri uniscono il destino di Giovanni Falcone da quello di Paolo Borsellino, il destino di due amici inseparabili nel lavoro e nella vita. Sono passati 30 anni e ancora oggi la mentalità mafiosa continua a porre un problema di natura culturale e sociale. Tutto questo dovrebbe porci di fronte a delle domande oltre che richiamare tutti e tutte le cittadine e ovviamente tutte le istituzioni ad un maggiore senso di corresponsabilità». 

«La Mafia – ha proseguito – non è soltanto un’organizzazione criminale, ma qualcosa di molto peggio. Prima di questo, purtroppo, è un modo di pensare, un modello culturale. É solo l’effetto di qualche cosa di ben più saldamente radicato ed è proprio per questo che è necessario attuare un contrasto alle cause. In questo il ruolo della scuola deve essere centrale: fare educazione inclusiva significa fare comunità. Inclusivo è un ambiente dove tutte le diversità vengono valorizzate così da dare a tutti pari possibilità di crescita in un sistema equo e coeso in grado di prendersi cura di tutti i cittadini e le cittadine assicurandone la loro dignità, il rispetto delle differenze e le pari opportunità». 

«Il sapere e la cultura – ha evidenziato – ci rendono indipendenti, sani e liberi. Sempre più necessarie sono quelle scuole che contribuiscono alla diffusione dei valori della non violenza e del rispetto verso gli altri, dell’importanza dei diritti civili e umani, della solidarietà. Abituarsi ai soprusi, arrivare a considerarli addirittura accettabili, è già un modo per consegnarsi alle mafie. I soprusi sono di diversa natura e il più delle volte portano all’isolamento alla marginalizzazione alla ghettizzazione rendendo il terreno fertile all’attecchimento del seme della sopraffazione e delle ingiustizie. In questa direzione penso al ragazzo o alla ragazza vittima di bullismo o peggio di violenza fisica perché diversa o diverso, perché appartenente ad una diversa religione, cultura o perché non abbiente, ma penso anche all’ esclusione, all’isolamento dei figli e delle figlie di chi si è macchiato di crimini mafiosi. Se li si emargina in un contesto scolastico, maggiori saranno le probabilità che si sentano accolti in un contesto deviante, in un contesto mafioso. Per questi motivi bisogna necessariamente attivarsi per rendere l’ambiente scolastico sempre più inclusivo».

A Reggio, su iniziativa della Questura, un esemplare di Cycas Revoluta è stato piantato nella piazza antistante il Castello Aragonese, a due passi dall’edificio della Corte d’Appello di Reggio Calabria, a trent’anni dalle stragi mafiose di Capaci e Via D’Amelio in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli uomini delle loro scorte. Presenti insieme alle massime autorità anche i Sindaci f.f. di Comune e Città metropolitana, Paolo Brunetti e Carmelo Versace.

«Il Comune di Reggio Calabria – ha detto Brunetti a margine dell’iniziativa – con orgoglio ha aderito all’iniziativa della Questura nel trentennale dalla strage di Capaci in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta».

«Una ricorrenza importante e centrale  – ha aggiunto –nella storia recente di questo Paese che oggi è chiamato ad onorare la memoria di quei servitori dello Stato che hanno pagato con la vita il loro impegno al servizio della legalità e del bene comune».

« E se è vero – ha proseguito – che l’esempio è la fonte del pensiero successivo, oggi ricordare è di fondamentale importanza per le giovani generazioni affinché sappiano cosa significa lottare per una causa giusta e soprattutto che si può sempre scegliere da che parte stare nella vita». «Non esistono zone d’ombra  – ha concluso – ma solo il bianco o il nero e uomini come Falcone e Borsellino seppero farla questa scelta, in un momento storico certamente non semplice. Il richiamo a questi valori e a questi insegnamenti da oggi sarà ancora più vivo e presente in città anche grazie al simbolo che oggi viene collocato in questa piazza».

Sull’importanza di vivere questi momenti con spirito di coesione e unità istituzionale, si è poi soffermato il Sindaco metropolitano f.f. Versace, evidenziando la solennità «di un momento che deve spingerci a cooperare, in modo unitario, sempre al servizio della collettività e della legalità». 

«E a trent’anni di distanza da quella pagina buia della storia d’Italia – ha concluso – il modo migliore che abbiamo per onorare davvero quegli eroi, è interpretare al meglio, con coerenza e integrità morale, il ruolo che ciascuno di noi svolge per la collettività all’interno delle istituzioni. Un impegno che deve guardare al rilancio di quegli ideali che hanno segnato le battaglie condotte da uomini come Falcone e Borsellino e che oggi ci indicano chiaramente la strada da percorrere per operare sempre dalla parte del bene e a tutela dei principi democratici che sono le fondamenta della nostra Costituzione».

Il Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, in collegamento con gli studenti dell’Università Politecnica delle Marche, ha dichiarato che «oggi è il giorno della strage di Capaci ma anche il giorno dei “gattopardi”, delle persone potenti e importanti che quando Falcone era in vita, lo hanno deriso, calunniato e diffamato e poi sono saliti sui banchi a commemorare Falcone perché purtroppo i morti non possono parlare, non si possono difendere».

«Però – ha aggiunto Gratteri – sta a noi vivi difendere memoria e onore dei morti. È insopportabile, sono stato testimone oculare, ho visto salire su un palco dopo di me e commemorare Falcone e Borsellino, e in vita ridevano».

«Vorrei – ha detto ancora agli studenti – che queste manifestazioni anti-mafia e queste commemorazioni le guardaste con occhio critico, servono soprattutto a quelli che devono lavarsi la coscienza per non aver fatto quello che avrebbero potuto e dovuto fare fare. Noi vivi, se riteniamo di essere onesti, dobbiamo avere coraggio, a costo di dispiacere il manovratore, a costo di dispiacere il potere, di criticare».

«Mai come in questo caso – ha detto ancora – il silenzio è complicità: non basta essere onesti, non basta pagare tasse o fare il proprio lavoro, dobbiamo prendere posizione e, in modo democratico, contestare e protestare in modo sistematico senza se e senza ma. Altrimenti non andremo da nessuna parte e faremo solo stanchi riti di commemorazione».

A Buongiorno Regione, poi, il ricordo di quel giorno: «Quel pomeriggio di trent’anni fa non avevo capito cosa stesse accadendo, fino a quando sono salito in auto ed ho acceso la radio. Ero un giovane magistrato, non mi aspettavo che la mafia uccidesse Falcone in quel momento storico ed a quel modo. A Roma aveva una scorta meno asfissiante, sarebbe stato più semplice ucciderlo nella Capitale. Ma le mafie hanno bisogno di inviare segnali forti». 

«La notizia ci ha sconvolti – ha detto – e subito dopo abbiamo capito, percepito, che anche Borsellino sarebbe stato ucciso di lì a poco. La storia ci insegna che il potere non vuole essere controllato e il controllore non vuole essere disturbato, e quando c’è qualcuno che alza il tiro inizia la campagna mediatica del fango, giornali che sistematicamente, quotidianamente, scrivono cose false, giornalisti che storpiano una notizia in modo scientifico: quando questo accade per molto tempo qualcuno potrebbe convincersene». (rrm)