di FRANCESCO AIELLO – Il reddito di cittadinanza rischia di diventare in modo strutturale un mero strumento di sostegno dei consumi. È una strategia fallimentare per lo sviluppo del Mezzogiorno già sperimentata nel corso degli ultimi 60 anni, perché non crea sviluppo, ma alimenta dipendenza.
Alla fine del processo di revisione dell’aiuto al reddito di cui si parla molto in questi giorni, molti degli attuali percettori del reddito di cittadinanza potranno rimanere senza lavoro. Dipenderà sia dall’efficacia delle politiche attive che saranno adottate, ma questo richiede sforzi immani in un paese in cui i Centri per l’Impiego hanno vincoli organizzativi non banali e le agenzie private hanno poco spazio di azione, sia dalle prospettive economiche dell’Italia.
Uno scenario verosimile che potrà manifestarsi nei prossimi due-tre anni è che per garantire “pace sociale”, si dovrà pensare a forme di sostegno del reddito alle persone che rimarranno senza sostegno e senza lavoro. La soluzione più immediata, ma molto rischiosa, è di perpetuare meri trasferimenti di reddito. Ecco perché la riforma del reddito di cittadinanza diventa una nuova sfida del paese, perché oltre ad azioni finalizzate ad aumentare l’occupabilità dei beneficiari dell’income support, è necessario che aumenti la domanda di lavoro delle imprese, ossia che l’Italia inizi a crescere dopo quasi tre decenni di stagnazione. È complicato immaginare la creazione di nuova occupazione se il paese non riprende a crescere.
È importante anche capire cosa succederà nella fase di transizione. Se l’attuale aiuto diventa temporaneo – le ipotesi al vaglio sono 6 mesi, o un anno – ed è pensato solo per chi cerca lavoro, la platea di beneficiari non cambia rispetto allo scenario attuale, perché tutti cercheranno lavoro e aderiranno al Patto per il Lavoro o similari (che diventa condizione di accesso al sostegno). Alcuni troveranno lavoro e, al fine di rendere capillare questa circostanza, è cruciale aumentare il differenziale tra il sussidio e la retribuzione. Tanto maggiore è questa differenza tanto più attrattivo sarà il lavoro.
La questione della congruità dei salari da parte del settore privato è di difficile risoluzione, ma la differenza deve essere sostanziale, di almeno il 30%, affinché chi rinuncia all’aiuto possa essere sanzionato con la revoca del sostegno. È complicato applicare sanzioni se il mercato del lavoro non remunera con salari congrui. L’effetto sarà anche di ridurre il lavoro in nero, se parallelamente si riduce l’onere contributivo a carico delle imprese.
In alternativa, in questa fase di modifiche, gli attuali percettori non lavoratori riceveranno un sussidio per la formazione: l’ammontare della spesa per gli occupabili non cambierà, ma cambierà la fonte del finanziamento. Per esempio, la proposta del presidente del consiglio, Giorgia Meloni, è di utilizzare per la formazione dei percettori del reddito di cittadinanza il canale dei fondi europei. Alla fine del periodo di formazione, si può trovare occupazione o no. Per coloro che rimarranno non occupati – molti a Sud – l’alternativa può essere di irrobustire il terzo settore o l’impiego obbligatorio in servizi di pubblica utilità gestiti dai comuni.
È un percorso tortuoso, con rischi ed opportunità sia per i lavoratori che per il Paese. La natura «tortuosa» di questo percorso dipende non solo dalle caratteristiche individuali dei percettori del sostegno, ma anche dal funzionamento dei Centri per l’Impiego, dalla diffusione della cultura del lavoro e soprattutto dal fatto che il sistema Italia riesca ad uscire dalla bassa crescita che si osserva da almeno 25 anni.
Il rischio da annullare, a Sud, è che l’income support diventi un nuovo canale di finanziamento dei consumi interni dei meridionali. È un’ipotesi che bisogna evitare perché, in modo analogo all’occupazione non necessaria nella pubblica amministrazione degli anni ‘70 e ‘80 o a tutte le forme di trasferimento e di sussidi incondizionati di cui hanno goduto le regioni del Sud, non aiuta lo sviluppo, ma alimenta la dipendenza. (fa)
Francesco Aiello è ordinario di Politica Economica dell’Unical e presidente del think tank OpenCalabria]