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L'Espresso

L’Espresso scopre la bomba ambientale di San Ferdinando di Rosarno: “sfruttati, beffati e puniti”

Sull’Espresso da oggi in edicola, la giornalista calabrese Alessia Candito racconta cosa è rimasto dopo lo sgombero della baraccopoli inumana di San Ferdinando di Rosarno. «Ecco cos’è rimasto: una bomba ambientale, migliaia di  lavoratori per l’ennesimo anno senza casa e senza diritti e un esercito di braccianti, clandestinizzato per decreto» – dice la giornalista.

Nel suo reportage, Alessia Candido racconta tante storie di disperazione: «È lì che all’alba, da anni, ogni mattina apre il mercato delle braccia. E i nuovi schiavi rischiano di essere sempre di più perché ad ingrossarne i ranghi ci sono tutti gli orfani della protezione umanitaria. Come Ibrahim. Trentun anni, ivoriano, in Italia dal 2015. Assunto in un piccolo negozio di ferramenta della provincia di Reggio Calabria, in breve è diventato fondamentale per la coppia di titolari. Cinquantacinque anni lui, un po’ meno lei, storicamente di centrodestra, persino sedotti dalla retorica di Salvini, di fronte a quel ragazzo e al suo impegno si sono dovuti ricredere. Progettavano di regolarizzarlo: l’età avanza, il lavoro in ferramenta è pesante ed è meglio assicurarsi una persona di fiducia. Ma il permesso umanitario di Ibrahim è scaduto prima che il contratto venisse formalizzato e alla richiesta di rinnovo, la commissione territoriale ha risposto un secco no. Lavoro regolare, una casa in affitto, un discreto livello di conoscenza  di lingua italiana, una rete ormai solida di rapporti non solo con connazionali, non sono bastati. Per la commissione la situazione in Costa d’Avorio non è sufficientemente tragica da motivarne la permanenza in Italia. Fino a qualche mese non era così…».

Una coraggiosa denuncia, che se da un lato farà aumentare l’indignazione di tutti, dall’altro, purtroppo, non troverà grande ascolto. La baraccopoli non c’è più, ma i problemi sono aumentati a dismisura e «nessuno – dice la Candito – sembra avere in mente una soluzione». Scrive, sconsolatamente la giornalista: «Mentre le baracche cadevano come castelli di carta, i più sono andati via. A chi è rimasto, Viminale, Prefettura e istituzioni locali hanno offerto tanti proclami, qualche promessa di immediata bonifica dell’area, alloggi e solo “temporaneamente” nuove tende. Sono passati 7 mesi e sotto un sudario di erba, le macerie ci sono ancora. Percolato, ceneri e brandelli delle lastre di eternit che rivestivano le baracche – avvertono gli ambientalisti – stanno contaminando l’area. Ma dal ministero, i 569 mila euro necessari per rimozione delle macerie e bonifica dell’area non sono arrivati mai. Al pari degli alloggi. Le tende blu ministeriali, invece sono ancora lì». (rrm)