Le recenti affermazioni del presidente della Corte costituzionale, Augusto Barbera, che ha dichiarato che molte donne sono «impazienti» e che, «nell’auspicare nuovi traguardi, non bisogna dimenticare quelli che sono stati i progressi fatti…», hanno suscitato numerose polemiche.
Al di là del chiarimento fatto in seguito dallo stesso Barbera, che ha spiegato che l’impazienza di reclamare un diritto non avesse per lui in alcun modo un’accezione negativa, resta il fatto che i diritti delle donne e la violenza di genere sono un problema che richiede un impegno costante e una presa di coscienza collettiva. Dobbiamo, cioè, evitare che questi temi diventino qualcosa di transitorio, di cui ci si occupa solo per qualche giorno all’anno.
La violenza richiede un impegno costante per essere affrontato in modo efficace e non solo in specifiche ricorrenze.
Limitare la discussione e gli interventi, per lo più autoreferenziali, contro la violenza di genere alla sola ricorrenza del 25 novembre e all’8 marzo significa ignorare gli sforzi necessari per affrontare il problema in modo efficace.
Un tema particolarmente urgente, ma purtroppo ancora trascurato è che, oltre alle misure punitive e di sensibilizzazione, è fondamentale individuare strumenti che consentano alle donne vittime di violenza di genere di ricostruire la propria vita.
È un fenomeno complesso e radicato in profonde disuguaglianze di potere tra uomini e donne, che va ben oltre una semplice data sul calendario.
L’accesso al lavoro è fondamentale per l’emancipazione delle donne, in particolare per coloro che sono vittime di violenza di genere, quale strumento cardine di emancipazione per promuovere la loro autonomia e la sicurezza, nonché nel contribuire a rompere il ciclo di violenza.
Una soluzione dirimente per affrontare questa sfida è garantire l’accesso al lavoro e promuovere l’indipendenza economica delle donne vittime di violenza di genere e degli orfani a causa di femminicidio.
Le donne spesso affrontano sfide significative, come la mancanza di qualifiche professionali aggiornate o la necessità di risolvere questioni legali e psicologiche, pertanto, l’accesso al lavoro e all’indipendenza economica consentirebbe loro di ricostruire un nuovo percorso di vita, lontano dall’abuso e dalle situazioni di dipendenza.
Per questo motivo l’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza di genere e degli orfani a causa di femminicidio rappresenta un metodo efficace per combattere il problema.
Per garantire un effettivo inserimento lavorativo delle vittime di violenza di genere e degli orfani potrebbe essere utile estendere, con un semplice emendamento, il trattamento di favore previsto dalla legge per le vittime della criminalità. Attualmente, l’articolo 1, comma 2, della legge 407/1998 prevede agevolazioni per l’assunzione obbligatoria di vittime di reati gravi. Questo trattamento di favore potrebbe essere esteso alle donne che rimangono vittime di atti di violenza di genere e ai soggetti rimasti orfani in seguito all’omicidio della madre, dando loro accesso a opportunità di lavoro e un’indipendenza economica.
Questa misura consentirebbe loro di superare le discriminazioni, promuovendo l’indipendenza economica. È responsabilità di tutti, innanzitutto delle Istituzioni, combattere la violenza sulle donne e promuovere l’indipendenza economica attraverso il lavoro come strumento per il cambiamento sociale.
L’indipendenza economica attraverso il lavoro rappresenta un percorso concreto per le donne vittime di violenza di genere e per gli orfani a causa di femminicidio.
Solo con un impegno concreto e un’azione continua possiamo sperare di affrontare efficacemente la violenza di genere e costruire una società in cui le donne siano libere da ogni forma di violenza. (ddb)