di DOMENICO MAZZA – In ambito pubblico, l’apatia politica è una mancanza di interesse verso la πόλις (Città). Ciò detto, include: il disinteresse degli elettori e dei mezzi d’informazione negli eventi politici, le difficoltà di comunicazione delle proposte da parte dei partiti e dei gruppi di pressione, la disaffezione alla partecipazione democratica e ai sistemi di voto.
Non trovo altre parole che possano descrivere il disastroso metodo con cui la politica bruzia ha condotto la campagna referendaria sulla sintesi dei Comuni e l’altrettanta sciagurata risposta che è fuoriuscita dalle urne. Si badi bene, l’accezione “sciagurata” non è da riferire all’esito del referendum. Piuttosto, alla più completa apatia con cui gli aventi diritto al voto hanno licenziato l’argomento della fusione amministrativa. Personalmente, se l’esito positivo o negativo del referendum avesse visto la partecipazione di una distinta percentuale delle Popolazioni, avrei avuto ben poco da eccepire. Tuttavia, quando l’astensionismo da una condizione di deroga diventa norma, si conferma la presenza di malesseri profondi e conclamati: indifferenza, rassegnazione e scelta di non scegliere.
Affluenza alle urne: un quadro desolante che pesa sulla politica
Poco meno di 95mila aventi diritto e a votare si sono recati in appena 25mila. Nonostante la percentuale di affluenza abbia fatto registrare picchi più significativi a Castrolibero e Rende, il dato complessivo dei votanti resta comunque distante dal rendere significativa la competizione. Ad intestarsi la vittoria di un anonimo referendum, quindi, restano i sostenitori del “No” che incassano il dato della dilagante astensione come fosse un plebiscito a loro favore.
Una lettura controversa quanto inesatta, figlia di un’interpretazione che distorce il concetto più nobile della democrazia partecipativa. Nonostante settimane di dibattiti e iniziative, invero, né le forze di maggioranza del centrodestra regionale, né una parte della sinistra sono riuscite a spingere le popolazioni a recarsi ai seggi. Un fallimento collettivo che evidenzia il distacco crescente tra politica e cittadini. Vieppiù, che conclama l’incapacità delle Classi Dirigenti a trasmettere un messaggio di crescita e sviluppo insito al progetto stesso di fusione amministrativa. Inoltre, il disinteresse mostrato dalla collettività verso il processo di sintesi indica come il concept progettuale necessiti di una revisione profonda; non solo nelle sue motivazioni, ma, soprattutto, nel modo in cui viene comunicato e percepito dai Cittadini.
Nessun vincitore, solo uno sconfitto: il popolo dell’area urbana
Probabilmente nella scelta di non scegliere il popolo cosentino ha voluto bocciare un Establishment che non ha saputo declinare le potenzialità racchiuse nel progetto di fusione. La Grande Cosenza, d’altronde, non poteva essere liquidata con l’effimero tentativo di costruire una semplicistica sommatoria demografica. Le titubanze della Politica che non ha saputo descrivere i vantaggi della nuova conformazione amministrativa, si sono tradotte in paura, immobilismo e apatia nelle Popolazioni.
Tuttavia, va considerato un altro fattore: se la partecipazione democratica si verifica a mo’ di random nelle varie tornate amministrative e langue nelle espressioni referendarie, evidentemente, una visione inquinata dei sistemi di consultazione elettorale esiste ed è concreta. Durante le campagne elettorali di indicazione locale apparati, correnti e interessi la fanno da padrone.
I quesiti referendari, al contrario, vengono avvertiti come distanti dalle esigenze particolari e dai personalismi e, pertanto, ritenuti poco interessanti e per nulla motivanti. La descritta percezione, purtroppo, è frutto di una visione miope e malata del corpo elettorale. Esternare il proprio parere su un’idea è, con ogni probabilità, ben più importante di quanto non sia esprimere la propria preferenza a un Amministratore. Il Cittadino che rinuncia al suo diritto-dovere di partecipazione elettorale non può considerarsi parte di una Comunità. Piuttosto, è un individuo che tenta di solcare i mari a bordo di una nave, ma senza l’ausilio di un timone.
E adesso?
Considerare tramontata l’idea di una fusione dei Comuni vallivi contermini a Cosenza sarebbe un grave errore. Probabilmente, il progetto va ripensato, arricchito e esportato oltre i confini dei tre Comuni chiamati alle urne domenica scorsa. Bisognerà partire dalle scuole e dalle piazze. Sarà necessario trasmettere alle Popolazioni, senza titubanze, che Il progetto di fusione a Cosenza — in funzione di una razionalizzazione del numero dei Comuni e nell’ambito di una prospettiva di riassetto amministrativo della Calabria — può diventare volano di svolta, ma solo se accompagnato da una nuova governance del territorio regionale. L’azione descritta, infatti, risulterebbe in perfetta sintonia con la principale politica di investimento dell’Europa: la coesione territoriale.
La stessa che mette al centro il territorio sostenendone la crescita economica, la creazione di posti di lavoro, la competitività delle imprese, lo sviluppo sostenibile e la protezione dell’ambiente. I suoi vantaggi, dunque, sarebbero direttamente proporzionali all’autorevolezza politica inverata dalle aggregazioni territoriali.
Soprattutto, però, sarà necessario che le espressioni politiche del centralismo cosentino imparino a declinare un nuovo paradigma per l’agognata sintesi della Città unica: rinnovate narrazioni che abbandonino scampoli di pennacchi motivati da inutili dualismi con l’Arco Jonico.
Serviranno, invero, nuove relazioni programmatiche e non astruse teorie volte a infondere paure su improbabili traslazioni geografiche del Capoluogo e amenità simili. Così come, sulle sponde joniche, sarà necessario evitare squallide e disdicevoli politiche di salamelecchi, prostrate agli ordini di una casta cosenzacentrica che non affascina più neppure gli abitanti della val di Crati. (dm)
[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]