di PASQUALE AMATO – Una cosa. è ricostruire una città sulle macerie di un terremoto o di una distruzione per aggressione di un nemico esterno. In questi casi si possono effettuare anche modifiche radicali. E Reggio è stata riedificata diverse volte nella sua plurimillenaria storia, dopo eventi sismici o devastazioni per attacchi esterni, a cominciare da quello del tiranno Dionisio I di Siracusa nel 386 aC.
Tutt’altra cosa è, invece, sconvolgere una Piazza storica come quella dedicata dai reggini a Giuseppe De Nava, senza una specifica necessità o emergenza. È un’operazione assurda, di cui si fa fatica a intendere i motivi. E rappresenta un secondo tentativo di distruggere la Piazza, passando dall’orrenda “escavazione selvaggia” che venne neutralizzata da una corale contestazione della città ad uno spianamento altrettanto sconcertante contro cui si sta levando una nuova espressione collettiva di dissenso.
Si parla di Restyling. Ma è una finzione. Infatti, non si tratta di restauro, ma di vero e proprio stravolgimento della Piazza, ideata e realizzata nella fase epica della riedificazione della città dopo il terremoto catastrofico del 28 dicembre 1908 che distrusse il 95% degli edifici esistenti a Reggio e Messina e nelle rispettive aree limitrofe delle due sponde dello Stretto.
Una Piazza dedicata peraltro a Giuseppe De Nava, il più autorevole leader politico a livello nazionale che Reggio abbia espresso dal 1861 ad oggi. De Nava svolse, altresì, un ruolo preminente nella splendida ricostruzione, supportando nei suoi numerosi incarichi di governo l’azione condotta dall’on. Giuseppe Valentino (prima da assessore e poi da sindaco) e dall’ing. Pietro De Nava, Responsabile del Piano Regolatore.
Una Piazza su cui fu eretto il pregevole monumento scolpito dall’artista polistenese Francesco Jerace, e che fu completata su un lato dall’imponente splendido edificio piacentiniano del Museo Archeologico Nazionale della Magna Grecia, e sull’altro dall’edificio dell’Ente Edilizio progettato dall’architetto Camillo Autore.
Una piazza armoniosa e legata ad una specifica memoria storica, creata sulle macerie del Rione Santa Lucia, raso al suolo dal sisma. Una Piazza la cui configurazione è proporzionata con il nuovo accesso al Corso Garibaldi, prolungato verso Nord sulle macerie del Rione.
Piazza De Nava rappresenta, pertanto, un orgoglio per il popolo reggino, che non è disposto ad accettare la sua demolizione rimpiazzata da uno spianamento. Il segretariato Regionale dei Beni Culturali – titolare del Progetto contestato – deve, quindi, scegliere tra un suo radicale ridimensionamento e un azzeramento. I segnali sinora espressi sono quelli di un arroccamento sugli spalti di Fort Alamo in una posizione di difesa del progetto, accampando inattendibili motivazioni o meglio giustificazioni.
Che senso ha dire che questo disfacimento sia originato dalla volontà di avvicinare il Museo alla Città? Mai sentita una motivazione così avventata, come se davanti all’ingresso dell’edificio di Piacentini ci fosse un muro che ne impedisce l’accesso.
Che senso ha parlare di modernizzazione, mentre si cancella la memoria storica della magnifica ricostruzione? Piazza Navona a Roma, Piazza della Signoria a Firenze, Piazza Plebiscito a Napoli, Piazza S. Marco a Venezia – e tante altre – sono testimonianze dell’epoca in cui sono state pensate e realizzate. Qualcuno ha mai pensato di stravolgerle per una presunta “modernizzazione”? Perché deve verificarsi solo per la Piazza De Nava di Reggio?
E che senso ha, azzardare la forzatura di uno scontro di vago segno politico tra conservatori tradizionalisti e innovatori illuminati? Io spero, vivamente, che non prevalga questo estremo tentativo di alterare un dibattito che è super partes. Se prevalesse tale opzione sarebbe un grave oltraggio alla Città e alla sua storia plurimillenaria. (amp)