IL NOSTRO VIDEO DELL’INTERVENTO DI MIMÍ LUCANO A PIÚ LIBRI PIÚ LIBERI*
6 dicembre 2018 – Un fiume in piena, ma nessun livore, tanta amarezza, ma tanta determinazione: il sindaco sospeso di Riace Mimì Lucano, ospite di Republica alla fiera romana di Più Libri Più Liberi, ha raccontato la sua vicenda, con mille sfaccettature, mettendo in evidenza i paradossi e le assurdità del suo caso. In una sala gremitissima ed entusiasta, Lucano ha lasciato poco spazio a chi lo ospitava, i giornalisti Francesco Merlo di Repubblica affiancato da Alessia Candito (Repubblica/Corriere della Calabria), perché erano tante le cose che voleva dire. In libertà e senza condizionamenti, sottolineando la sua singolare condizione di “sconfinato”: libero di andare ovunque, ma non di stare nel suo paese, Riace, che molti vorrebbero candidare al prossimo Nobel per la pace. Mimì Lucano raccoglie continui applausi, il pubblico fa la fila solo per stringergli la mano e dire un semplice grazie, di cuore. Parla di getto, con il candore tipico di chi non ha niente da nascondere o, peggio, da farsi perdonare. Irruento, ma sincero, autentico e talmente naïf, politicamente parlando, che si capisce perchè i politici non lo amino, ma la gente sì. È però, un “isolato”: raccoglie il consenso, l’entusiasmo di chi lo ammira (quando era ai domiciliari quasi diecimila persone in corteo andarono a Riace), è un modello di ispirazione per Wim Wenders ma è abbandonato dall’intellighentia nostrana: dove sono gli intellettuali che si strappano le vesti per tante banalità di poco conto, ma – fatte poche eccezioni – non fanno muro a difesa di un uomo che con la sua – autentica – modestia e la sua determinazione fa capire cosa significa essere “uomo” in un mondo che sta perdendo ogni umanità.
Merlo – che conosce molto bene Lucano, dopo tante interviste e incontri – lo ha introdotto suggerendo le analogie con il caso del sociologo siciliano Danilo Dolci che sul finire degli anni 50, a Partinico, vicino a Palermo, subì un processo e la successiva condanna per le sue campagne di libertà. Appena una domanda e Lucano non si è fermato più: ha raccontato della sua esperienza, della sua Riace, del modello di integrazione che ancora tanti stentano a riconoscere, nonostante la concretezza dei risultati raggiunti. Il modello di integrazione suggerito da Lucano, in realtà, è molto semplice: utilizzare le case abbandonate, trasformare gli scantinati in botteghe artigiane, valorizzare le passate esperienze o competenze dei migranti. A Riace c’era il vasaio di Kabul, la ricamatrice nigeriana, la creatrice di aquiloni afghana. Cioè, ricreare condizioni di vita – e di libertà – offrendo opportunità che sono diventate felici ricadute per la comunità. Fino a che il decreto sicurezza e i mancati versamenti per i centri di accoglienza non hanno messo fine a un’esperienza che andava, invece, imitata e mutuata anche altrove. Anche a San Ferdinando di Rosarno – ha sottolineato Alessia Candito – dove la baraccopoli abusiva è sotto gli occhi di tutti e produce solo violenza e morte (ultima vittima il ragazzo diciottenne arso vivo qualche giorno fa).
Già, San Ferdinando di Rosarno: come può un Paese civile tollerare quest’infamia di un’umanità che ha perso ogni valore? È sotto gli occhi di tutti, occorre ridare dignità a giovani, donne, uomini che si spaccano le mani a raccogliere arance e vivono un’infelice esistenza di disperazione e desolazione. Così come, quanto è avvenuto a Isola Capo Rizzuto, con i migranti sbattuti per strada .- inclusa la ragazza incinta e la sua bambina di sei mesi – che dovrebbe non soltanto indignare, ma farci vergognare tutti di vivere in questo Paese, in questa Calabria, bellissima e maledetta ma che – ha ricordato Mimì – è «terra di libertà, terra d’amore». (s)
*Ci scusiamo per la qualità del nostro video, girato con difficoltà in condizioni di luce impossibili, ma l’audio si sente bene. Segnaliamo anche il video di Repubblica.it: