Il senatore di Fdi, Ernesto Rapani, ha presentato una interpellanza al ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, «per sapere se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per evitare la riapertura dell’impianto di San Sago a Tortora».
Tale impianto, per il parlamentare, «potrebbe essere in conflitto con le esigenze di tutela ambientale e della salute, sollecitando le Regioni interessate a svolgere un’istruttoria completa ed approfondita, che valuti attentamente, tra gli altri, la pericolosità dei rifiuti trattabili».
«Al Ministro, tra le premesse ho evidenziato che l’eventuale riapertura sta destando grande apprensione, tra cittadini, associazioni e istituzioni locali – ha aggiunto – perché negli anni oggetto di numerose denunce e procedimenti giudiziari per ipotesi di smaltimento illecito di rifiuti solidi urbani provenienti da Calabria, Campania e Basilicata e sversamento di liquami non depurati nel Tirreno. Le preoccupazioni aumentano se si considera che il sito rientra nella perimetrazione del Parco Nazionale del Pollino, l’area protetta più estesa d’Italia, il cui habitat riveste un ruolo fondamentale per la tutela di specie rare e in via di estinzione, e al fiume Noce. Sito nato oltre 30 anni fa come impianto pubblico autorizzato al trattamento dei reflui urbani comunali, poi riconvertito in impianto privato autorizzato al trattamento dei rifiuti speciali pericolosi e non solo».
«L’impianto, infatti – ha proseguito – dovrebbe trattare svariate tipologie di rifiuti speciali liquidi e fangosi provenienti, tra l’altro, da industria tessile, chimica e meccanica, nonché percolati prodotti dagli impianti di discarica e rifiuti provenienti da tutta Italia, che mettono a serio rischio ambientale un territorio come quello della Valle del Noce, tra Calabria e Basilicata, considerato un vero paradiso terrestre».
Rapani ha ricordato che secondo un atto di sindacato ispettivo del 13 gennaio 2022 «“già a partire dal 1992 vi è stato un susseguirsi di eventi riguardanti l’impianto: moria di pesci nel fiume tra l’impianto ed il mare; un tir sorpreso dai Carabinieri a riversare rifiuti pericolosi su un terreno adiacente il fiume Noce”, tutti episodi a cui hanno fatto seguito indagini della Procura di Paola e di Lagonegro ed anche un sequestro giudiziario, il 27 novembre 2013, che ha fermato l’attività delle macchine che trattavano 300 metri cubi di reflui urbani e industriali (in buona parte pericolosi) al giorno, per un totale di 110.000 metri cubi all’anno».
«Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Paola – ha sottolineato il senatore di Fdi nell’interrogazione – disponendo il sequestro preventivo dell’impianto ha riscontrato la presenza di numerose tubazioni volanti, predisposte sulle vasche per bypassare sezioni del processo depurativo, la completa disattivazione della sezione di depurazione relativa alla denitrificazione, l’inefficacia della sezione di depurazione relativa alla ossidazione, il non perfetto funzionamento del sistema di caricamento dei fanghi disidratati e l’inosservanza delle prescrizioni contenute/richiamate nell’Autorizzazione integrata ambientale».
«Da quanto appreso dalla stampa – ha concluso Ernesto Rapani – nei mesi scorsi erano state rinviate le Conferenze dei servizi in cui si sarebbe dovuto riesaminare l’Autorizzazione Integrata Ambientale, perché nella nota tecnica trasmessa, con parere negativo motivato, erano evidenziate, appunto, tutte le criticità della struttura, i vincoli sull’area e la sussistenza degli usi civici che, secondo il dipartimento Ambiente della Calabria, non incidono sul rilascio dell’Aia». (rp)