di ROBERTO DI MARIA – Il Ponte sullo Stretto di Messina suscita da sempre discussioni. Un dibattito pubblico che si trascina da oltre 50 anni, ovvero da quando si aprì quel famoso concorso di idee (1969) che portò alla individuazione delle principali soluzioni tecniche per l’attraversamento stabile, dando il via creazione della società concessionaria della sua costruzione, la Stretto di Messina s.p.a. (1981), e quindi alla scelta tipologica, già orientata decisamente verso il ponte a campata unica nel 1988. A decisione presa, come sappiamo, il dibattito non è mai del tutto cessato ed è proseguito anche a progetto preliminare approvato (2003) ed appaltato (2005) con particolare accentuazione durante le frequenti campane elettorali, politiche, amministrative od europee che fossero.
Se ne è continuato a discutere nel 2011 dopo l’approvazione del progetto definitivo e la “caducazione” voluta dal governo Monti nello stesso anno, nonché negli anni successivi, in piena epoca grillina, fino all’attuale governo Draghi.
Tuttavia, un giorno si e l’altro pure, il Ministro per le infrastrutture e la mobilità sostenibile, Giovannini, ci ricorda occorre urgentemente avviare un dibattito pubblico sull’opera. Non subito, per carità: occorrerà aspettare gli studi sulla soluzione da attuare a seguito della pubblicazione della relazione ministeriale dei 16 esperti, che ci hanno messo 9 mesi a valutare come più conveniente proprio l’ipotesi del ponte, ma con una sorpresa: la riscoperta del ponte a più campate, ipotesi già sonoramente bocciata 30 anni fa (1990). Solo allora si potrà avviare il “dibattito pubblico, così come previsto dalla Legge”.
Lo ha dichiarato in Parlamento, sui giornali, in TV, e, probabilmente, lo farà anche durante le prossime previsioni del tempo. E peccato che sia stato abrogato il segnale orario.
Quindi, mentre ci si augura di non perdere tempo per le indifferibili opere inserite nel PNRR, fra le quali il prolungamento della TAV da Brescia a Padova ed il raddoppio della Savona-Ventimiglia, si delinea un percorso a dir poco accidentato per una delle pochissime opere già appaltate che poteva essere finanziata con i fondi europei del Recovery Fund che, come lo stesso appaltatore (Pietro Salini, CEO di Webuild) ha pubblicamente dichiarato da Barbara Palombelli, poteva benissimo essere completata entro il 2026. Termine che, come tutti i tecnici addentro alla materia sanno, è tutt’altro che perentorio e si può facilmente aggirare: lo è stato fatto mediante le somme aggiuntive già previste nello stesso Piano redatto dal governo, oggi all’esame della UE.
La quale, intanto, ci fa sapere quello che i tecnici di cui sopra (ma anche tanti politici) sanno da tempo: che è pronta a finanziare l’opera, essendo la stessa inserita all’interno di un corridoio TEN-T, quello scandinavo-mediterraneo.
Curioso questo nostro paese: non solo non si accontenta di 50 anni di discussioni per mandare in esecuzione un’opera essenziale per lo sviluppo del Paese (lo ha ribadito, ultimo di una lunga serie, proprio il Gruppo di Lavoro istituito dalla De Micheli) ma dice “no grazie” all’Europa che vuole finanziarcela.
Chissà perché il ministro continua ad annoiarci con questa richiesta di dibattito pubblico. A differenza di quanto sostenuto, non è assolutamente vero che lo preveda la Legge: il codice dei Contratti, infatti, prescrive il dibattito pubblico solo nella fase dello studio di fattibilità che, come ricordavamo sopra, si è conclusa nei primi anni Duemila. Né è pensabile che debba essere fatta per valutare la scelta tipologica, che è già stata fatta nel 1990.
Conta poco che la stessa sia stata incredibilmente rimessa in discussione dal Gruppo di Lavoro ministeriale, proprio per la pochezza di argomenti che hanno supportato l’ipotesi alternativa del ponte a più campate. Sperando che la stessa, sciaguratamente (per gli italiani, non per chi emetterà parcella…) non dia luogo ad altri lunghi anni di indagini e studi aggiuntivi, per i quali sono previsti, proprio da chi predica parsimonia, ben 50 milioni di euro, a cosa servirebbe un dibattito pubblico? A che titolo la casalinga di Voghera o il pescivendolo di Portopalo si potrebbero esprimere sul numero di campate del Ponte? Con quali strumenti potrebbero valutare il progetto esistente, che prende 10 metri cubi di spazio, oltre alle carte ulteriormente prodotte?
Ma chi ci spaventa non sono i comuni cittadini, ma alcuni dei loro più fantasiosi rappresentanti: i fanatici dell’ambiente da salotto, ad esempio, capaci di mettere in dubbio persino la relazione ministeriale appena pubblicata perché, di fatto, ha ribadito la necessità dell’opera. O i sismologi televisivi, che, non avendo più armi al loro arco, terrorizzano la gente parlando di cimiteri sulle due sponde. O, ancora, quelli che parlano di ponte che unisce due cosche, offendendo non soltanto l’intelligenza di chi ascolta certe scemenze, ma anche la dignità di milioni di siciliani e calabresi.
Se è costoro che vuole tranquillizzare il Ministro, pensiamo che stia facendo male il suo mestiere. Che non è quello di accontentare tutti: in un Paese con 60 milioni di persone, sarebbe impossibile prendere decisioni senza scontentare qualcuno. Chi governa ha, però, il dovere di farlo, anche a costo di perdere per strada qualche sostenitore, pur di conseguire il superiore interesse della Nazione.
Si chiama senso dello Stato: sappiamo che è fuori moda, ultimamente, ma sappiamo anche che, in tempi cosi difficili, certe antiche abitudini andrebbero riscoperte… Anche se non rientrano tra i parametri del carrierismo politico. (rdm)