PARCHI EOLICI, IN CALABRIA È PROTESTA
SENZA POLITICHE SERIE È UN SACCHEGGIO

Di VINCENZO IMPERITURA – Se non è (ancora) muro contro muro, poco ci manca. Da una parte, la possibile trasformazione della Calabria in uno degli hub energetici dell’intero Paese – in compagnia di Sardegna, Sicilia e Puglia – inizia  a diventare concreta, con alcuni dei progetti di parchi eolici avanzati dai colossi delle rinnovabili in rampa di lancio per conquistare le caselle rimaste libere sul territorio regionale. Dall’altra, sempre più comitati spontanei a difesa dei boschi e dei mari calabresi si stanno rimboccando le maniche con ferme e pacifiche iniziative di protesta per bloccare i temuti cantieri.

Una presa di posizione netta che ha preso piede in tutte le aree dove sono previsti i nuovi, giganteschi, parchi e che, forse come mai prima in passato, ha visto anche sindaci e amministratori schierarsi decisamente a difesa del territorio. Una protesta compatta che viaggia veloce dal Pollino allo Stretto e che, alle temute speculazioni delle multinazionali americane e nord europee innescate dal decreto energia del ministro Pichetto Fratin e facilitate dal “piano integrato energia e clima” approvato dalla Regione nel luglio dello scorso anno, dice si all’energia pulita e rilancia con la richiesta per le istituzioni delle “comunità energetiche” che, seppur contemplate nel documento rilasciato dalla Giunta regionale, non hanno trovato finora la sponda giusta.

A rinverdire le polemiche legate ai nuovi parchi eolici in attesa di realizzazione è arrivata, storia di una manciata di giorni fa, il primo Sì ministeriale – ma i tempi del progetto sono ancora lunghi – per l’allestimento del gigantesco parco eolico galleggiante che “Acciona” vorrebbe costruire al largo della costa: l’ipotesi presentata dalla multinazionale spagnola prevede un parco galleggiante di 37 turbine per 555 MW di potenza stimata da collegare a terra con un cavidotto sottomarino fino a Scandale. Il nuovo parco dovrebbe sorgere proprio accanto ad un altro parco dalle medesime dimensioni, che la stessa Acciona vorrebbe realizzare poco più sud.
Anche in questo caso le turbine sarebbero 37 per una potenza di 555 MW e sarebbero collegate attraverso un cavidotto sottomarino di 51 km fino a Roccelletta, per poi collegarsi alla rete nazionale a Maida attraverso un nuovo cavidotto di 17 chilometri. Secondo il progetto, la costruzione delle gigantesche turbine è prevista nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa. E ancora, i due progetti “Fortevento” che la “Ocean Winds” vorrebbe allestire sempre nel golfo di Squillace per un totale di 78 torri e più di 1000 MW di energia da collegare direttamente all’interno del porto di Crotone, il “Krimisa Floating Wind” (62 torri alte 286 metri da allestire al largo di Isola Capo Rizzuto) a cui si aggiunge un altro parco galleggiante (28 turbine alte più di 300 metri) da realizzare al largo di Corigliano-Rossano.

«L’ipotesi di fare della nostra regione un hub energetico – scrive in una nota Gianmichele Bosco, presidente di quel consiglio comunale di Catanzaro che nei mesi scorsi aveva manifestato il suo convinto No all’opera  –  si è trasformata, in assenza di politiche serie a difesa degli interessi collettivi, in un saccheggio indiscriminato del territorio nell’interesse privato di pochi, che ora guardano anche allo sfruttamento della risorsa mare. Come al solito, chi sa fiutare il business è venuto qui, sapendo anche di poter trovare terreno favorevole per fare e disfare a suo piacimento, come è sempre accaduto in passato. Ma questo non è più accettabile ed è opportuno che si sappia».

Finora, i No di sindaci e amministratori hanno potuto ben poco (in sede di conferenza dei servizi il parere delle amministrazioni comunale non è comunque vincolante a causa delle semplificazioni amministrative dettate dal decreto che regola la transizione energetica) contro l’assalto dei colossi delle rinnovabili al territorio e al mare calabrese, ma la “grana” eolico è già esplosa e i comitati contrari alla costruzione delle gigantesche pale che già soffocano l’intero territorio regionale, promettono un autunno caldo. (vi)

[Courtesy LaCNews24]

MALADEPURAZIONE, IN CALABRIA CI SONO
ANCORA MOLTI CENTRI PRIVI DI IMPIANTI

di GIOVANNI MACCARRONECome è possibile che ogni anno si ripresenti lo stesso identico problema nella stragrande maggioranza della nostra regione?

Negli ultimi giorni ci stiamo ponendo questa domanda con una certa insistenza. Il tutto parte dai diversi maxi blitz dei Carabinieri che quasi ogni anno avvengono in Calabria sulla gestione dei depuratori e dalle recenti notizie sul mare sporco in parecchie zone costiere della nostra regione.

Tutti i cittadini calabresi sono indignati, infastiditi, esasperati (e chi più ne ha più ne metta). A questo proposito, qualche giorno fa è anche intervenuto l’ex pm Luigi De Magistris, il quale nel commentare il mare sporco in Calabria, ha tenuto ad evidenziare: “In 20 anni non è cambiato nulla, avevamo provato a fare pulizia”.

Per dirla tutta, sono passati più di 20 anni. Risale, infatti, al 21 maggio 1991 la Direttiva 91/271/Cee del Consiglio, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (Gu L 135 del 30.5.1991, pag. 40-52). Nel 1998, per chiarire alcune norme che avevano portato a interpretazioni divergenti nei paesi dell’Ue, la Commissione ha adottato la direttiva 98/15/Ce, entrata in vigore il 27 marzo 1998.

Dall’analisi dei paesi aderenti alla Cee (ora Ue), già nel 1991 è emersa la necessità di un intervento costante e incisivo sulle acque reflue urbane, anche perché la presenza di acque reflue urbane trattate in modo inadeguato o non trattate rappresenta un grave pericolo per la salute umana.

Le acque che non vengono trattate vengono riversate nei fiumi, quindi in mare La diffusione di materiale fecale nell’ambiente (acque di balneazione e acque potabili) possono causare nell’uomo infezioni da E. Coli che provocano diarrea e dolori addominali e possono causare malattie anche molto gravi come enteriti, colite emorragica, infezioni urinarie, meningite e setticemia.

In Italia la direttiva sopra citata (che, in generale, opera in sinergia con altri atti legislativi dell’Ue e contribuisce fortemente al conseguimento degli obiettivi della direttiva quadro Acque, della direttiva Acque di balneazione e della direttiva Acqua potabile), in un primo momento, è stata attuata con il DLgs n, 152 del 11 maggio 1999 (“Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/Cee concernente il trattamento delle acque reflue urbane…11”, pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n.101/L, del 29/5/99, e ripubblicato nella Gazzetta Ufficiale1 n. 146/L del 30/7/99 con aggiunta di relative note)

Il 18 agosto 2000 è stato poi emanato il decreto legislativo n. 258 recante “Disposizioni correttive e integrative del D.L.gs. 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento a norma dell’articolo 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998 n.128” pubblicato sulla G.U. Supp. Ord. n. 153\L del 18\9\20.

Successivamente, tutta la normativa nazionale di riferimento per lo scarico delle acque, è stata unificata ed inglobata nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 (Testo Unico Ambiente) che disciplina totalmente la materia in tutti i suoi aspetti (principi generali e competenze, obiettivi di qualità, tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi, strumento di tutela, sanzioni).  Segnaliamo anche il D.M. 185/2003, che definisce i criteri tecnici per il dimensionamento, la costruzione, l’esercizio, la manutenzione e il controllo degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, e il D.M. 186/2003 che determina le metodologie per l’effettuazione delle analisi delle acque reflue, a cui dobbiamo aggiungere – per dovere di informazione – il regolamento (Ce) n. 1882/2003, il quale stabilisce norme comuni per il monitoraggio e il controllo delle acque reflue, e il Regolamento (Ue) 2020/741 del 25 maggio 2020 (che trova applicazione a decorrere dal 26 giugno 2023) recante prescrizioni minime per il riutilizzo delle acque reflue per usi agricoli.

Insomma, come è agevole intuire, in base a tutta questa normativa di riferimento che presiede alla gestione delle acque reflue (e parliamo di tutte quelle che oltre ad essere urbane, possono anche presentarsi solo come acque reflue industriali, e/o di soli servizi e/o anche solo domestiche, ecc), dovremmo stare in una consistente botte di ferro.

Purtroppo non è proprio così. In Italia un terzo degli scarichi urbani e industriali va a finire direttamente nei fiumi o nel mare senza alcuna depurazione: in totale si contano 927 agglomerati di acque reflue non conformi sparsi su tutto il territorio nazionale per un carico generato totale di 29,8 milioni di abitanti equivalenti (sempre per dovere di informazione si evidenzia che l’unità di misura standard per l’inquinamento è l’abitante equivalente” (a.e.). Essa descrive l’inquinamento medio prodotto da una persona/giorno).

Per effetto della mancata o errata attuazione della normativa europea nell’ordinamento nazionale, nei confronti dell’Italia sono state aperte da parte della Commissione europea ben quattro (4) procedure di infrazione (Infrazione 2004/2034 per 75 agglomerati sopra i 15.000 abitanti equivalenti che scaricano in aree non sensibili, infrazione 2009/2034 per 16 agglomerati maggiori di 10.000 abitanti equivalenti, che scaricano in aree sensibili, Infrazione 2014/2059 per agglomerati con popolazione maggiore a 2.000 abitanti equivalenti e infrazione 2017/2181 per 237 agglomerati con oltre 2.000 abitanti equivalenti che non dispongono di adeguati sistemi di raccolta e trattamento delle acque di scarico urbane)

Nonostante i numerosi solleciti, l’Italia è stata però condannata dalla Corte europea di giustizia per non avere completato le fogne e i depuratori di parecchie città, soprattutto in Calabria, dove in larga parte il servizio è gestito direttamente dai Comuni (al riguardo consigliamo di leggere le due sentenze della Corte di Giustizia europea, emesse nel luglio 2022 e nel maggio 2018 e quella  emessa nell’aprile 2014, mentre per la terza infrazione bisogna attendere, dato che la sentenza è ancora in fase istruttoria). 

Attualmente l’Italia è condannata al pagamento di sanzioni pecuniarie pari a euro 257.800.000 nel settore delle discariche abusive, a euro 281.840.000 per quanto riguarda la gestione dei rifiuti in Campania, ad euro 142.911.809 nell’ambito delle acque reflue. 

“E io pago!”, per usare la celebre battuta del barone Antonio Peletti (interpretato da Totò) nel celebre film “47 morto che parla”.

Qualcuno potrebbe dire che qui non c’è (niente) da scherzare e, per la verità, avrebbe pure ragione. Sta di fatto che, per fortuna, il nostro legislatore ha pensato bene di prendere le cose sul serio e dal 2017 in Italia è stato istituito un Commissario unico per la depurazione delle acque (al momento guidata dal Prof. Fabio Fatuzzo e dai due Sub Commissari, dott. Antonio Daffinà e l’avvocato Salvatore Cordaro, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 agosto 2023, di concerto tra il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e il Ministro per gli Affari Europei, il sud, le politiche di coesione e il Pnrr), che si occupa di tutti gli interventi necessari per far uscire le varie zone del Paese dai contenziosi Ue, in sostituzione dei precedenti Commissari nominati con l’art. 7 del D.L. n. 133/2014 (c.d. decreto sblocca Italia). Dal 2019, con il decreto Clima, le competenze si sono estese anche alle procedure 2014/2059 e 2017/2181, per cui sono stati previsti in totale 606 interventi in 13 regioni italiane.

C’è da domandarsi, tuttavia, se è funzionale tale soluzione alla risoluzione della problematica generale relativa agli impianti di trattamento e smaltimento delle acque reflue. Nutro (e non da solo) più di un dubbio in proposito

Innanzitutto, se il legislatore avesse voluto essere coerente fino in fondo, nel rispettare l’impegno preso con l’Unione Europea, non avrebbe dovuto prevedere la figura del Commissario unico solo per la risoluzione delle problematiche emerse dalle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea di cui sopra (e a questo proposito segnaliamo che l’Ispra, a partire dal 2007, raccoglie ed elabora tutte le informazioni trasmesse dalle Regioni e dalle Province Autonome di Trento e di Bolzano, in Sintai – Sistema Informativo per la Tutela delle Acque in Italia – sono disponibili i report di sintesi, inoltrati alla Commissione dell’Unione Europea. L’ultimo report disponibile, trasmesso nel 2020, è relativo ai dati con la situazione al 2018).

Invece, come ben evidenziato nella proposta di revisione della direttiva sulle acque reflue urbane (di recente adottata dal Parlamento Europeo), “gli Stati membri dovranno istituire, entro e non oltre il 1º gennaio 2025, una struttura di coordinamento tra le autorità competenti per la salute pubblica e il trattamento delle acque reflue urbane. Tale struttura stabilirà i parametri da monitorare e con quale frequenza e il metodo da applicare”.

In seconda battuta: emerge la necessità di un intervento costante nel monitoraggio degli impianti di trattamento e smaltimento delle acque reflue al fine di verificare che le diverse figure che operano nella gestione degli impianti di depurazione, pubblici e privati (le figure che operano nell’ambito della gestione dei depuratori sono: 1. il titolare dello scarico ex art.124 D. Lgs. n. 152/2006; 2. il gestore del depuratore; 3. il manutentore del depuratore; 4. il produttore dei rifiuti del depuratore, su cui si innesta la recente Sentenza Tar Calabria (CZ) Sez. I n. 2231 del 9 dicembre 2022), si siano effettivamente adoperati nel seguire i diversi trattamenti impiegando tecnologie adeguate e personale specializzato, effettuando analisi preventive che classifichino gli scarichi e i rifiuti e le lavorazioni ad essi correlate.

Ricordiamo, a tal fine, che l’art, 132 del Tua, al comma 1, prevede quanto segue: «Nel caso di mancata effettuazione dei controlli previsti dalla parte terza del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare diffida la regione a provvedere entro il termine massimo di centottanta giorni ovvero entro il minor termine imposto dalle esigenze di tutela ambientale. In caso di persistente inadempienza provvede, in via sostitutiva, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa delibera del Consiglio dei Ministri, con oneri a carico dell’Ente inadempiente».

Al comma 2, invece, stabilisce che «Nell’esercizio dei poteri sostitutivi di cui al comma 1, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nomina un commissario “ad acta” che pone in essere gli atti necessari agli adempimenti previsti dalla normativa vigente a carico delle regioni al fine dell’organizzazione del sistema dei controlli».

La direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane è stata adottata proprio allo scopo di proteggere l’ambiente dalle ripercussioni negative provocate dagli scarichi di acque reflue da fonti urbane e settori specifici. Gli Stati membri sono tenuti a garantire che le acque reflue provenienti da tutti gli agglomerati con oltre 2 000 abitanti siano raccolte e trattate secondo le norme minime dell’Ue.

In caso di mancato rispetto della direttiva comunitaria e delle conseguenti legislazione attuativa all’interno del nostro Stato in materia di reti fognarie urbane, depurazione delle acque reflue, adeguatezza degli impianti di trattamento dovrebbe, quindi, inesorabilmente scattare l’intervento sostitutivo di cui sopra oppure la nomina del commissario “ad acta”.

Si può tranquillamente giungere all’adeguata protezione dell’ambiente solo applicando e facendo applicare la normativa sommariamente ricordata a chi di dovere senza varianti di alcun genere.

La qual cosa non credo sia stato fatto finora. Anzi, credo che sia stato fatto proprio il contrario (unica eccezione è rappresentato dall’insistente e quotidiano intervento della Guardia Costiera calabrese, a cui va un doveroso riconoscimento per le frequenti operazioni di tutela dell’ambiente che ogni anno consentono di rilevare i vari illeciti penali e amministrativi a danno di depuratori di acque reflue asserviti ai comuni ricadenti nella propria giurisdizione. A tal proposito, mi piacerebbe che il Capo dello Stato conferisse all’intero corpo un encomio collettivo per tutto il lavoro svolto in questi anni in Calabria). 

Per cui ci siamo trovati tutta l’estate frequentemente con il mare di colore verde, chiazze marroni, depuratori dismessi che continuano a ricevere reflui, liquami fognari provenienti da scarichi abusivi o condutture rotte, ecc. (eppure il Tribunale di S. Maria Capua Vetere nel decreto 5 maggio 2011 ha tenuto a precisare che “sussiste a carico del  Sindaco il fumus dei  reati di danneggiamento e di omissioni di atti d’ufficio nel caso in cui  in assenza di autorizzazione ex art. 124 d.lvo 152\06 attiva uno scarico di reflui fognari provenienti da insediamento urbano con immissione in corso d’acqua superficiale e le cui acque risultano inquinanti per presenza di sostanze che superino i parametri di legge,  perché trattasi di condotta idonea a danneggiare il fiume ricettore e perché viene  omessa l’attivazione dei poteri che il RD 1265\34 Tu Leggi sanitarie attribuisce al Sindaco”).

La qual cosa è anche determinato dal fatto che esistono in Calabria un numero, ancora troppo rilevante, dei centri urbani – piccoli, medi e grandi… – privi di impianti centrali di depurazione fognaria o dotati di impianti parziali (cioè insufficienti a servire tutte le acque reflue urbane prodotte) ovvero a servizio di “sistemi di condotte”, cui non sono ancora allacciati (tutti o parte) degli “agglomerati” interessati.

In generale, poi, gli impianti sono collocati in aree che presentano problematiche di tipo geomorfologico (aree golenali di fiumi, in prossimità della costa o di torrenti, su terreni in pendenza, onde appare ancora urgentissimo, oltre che necessario, provvedere, quanto prima, alla realizzazione di nuove strutture o al miglioramento di quelli già esistenti (che è poi l’Obiettivo dell’Investimento Pnrr 4.4: fognatura e depurazione. per il cui raggiungimento sono destinati interamente al Sud 600 milioni di euro. Ulteriori investimenti saranno ricompresi nell’ambito delle politiche di coesione 2021-2027). 

Infine, segnaliamo che, sebbene la Cedu (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950 e entrata in vigore in Italia con legge di ratifica del 4 novembre 1955, n. 848.), non preveda espressamente il diritto a un ambiente salubre, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso diverse cause nelle quali era in questione la qualità dell’ambiente che circondava una persona, e ha ritenuto che condizioni ambientali pericolose o destabilizzanti potevano incidere negativamente sul benessere di una persona (si veda la recente sentenza del 9 aprile 2024, nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others c. Switzerland, la Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) ha dato ragione all’associazione elvetica. In questa sentenza, la Corte europea citata, con 16 voti favorevoli contro uno, ha affermato che, la mancata adozione delle misure idonee a impedire il surriscaldamento globale e gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, costituisce violazione degli articoli 6 ed 8 della Cedu, che riguardano il diritto ad un equo processo e il diritto al rispetto della vita privata e familiare).

Quindi, d’ora in poi, nonostante l’immissione di acque reflue non depurate in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria non sia, di per sé, un diritto tutelato dall’articolo 8 Cedu, «la presenza persistente e duratura di acque reflue non depurate» può avere conseguenze avverse per la salute e la dignità umana, minando di fatto la sostanza della vita privata. Pertanto, qualora siano soddisfatte tali stringenti condizioni, può sorgere, a seconda delle specifiche circostanze della causa, un obbligo positivo dello Stato.

Noi, comunque, nonostante tutto quanto sopra, continuiamo a sperare che le cose prima o poi vadano per il verso giusto

In che tempi si perverrà alla soluzione dei problemi legati alla mala depurazione non possiamo dirlo. È certo, però, che “solo chi sogna può volare” (citazione tratta dal libro di James Matthew Barrie su Wendy e Peter Pan nei giardini di Kensington).

Per cui, continuiamo a sognare. Speriamo bene. (gm)

Siviglia (Dip. Territorio): Regione sempre contraria a scorie Eni Rewind a Crotone

Salvatore Siviglia, direttore generale del Dipartimento Territorio e Tutela dell’ambiente della Regione Calabria, ha ribadito che «la Regione Calabria è sempre stata contraria all’ipotesi di smaltire le scorie Eni Rewind a Crotone, di allargare la discarica esistente o di modificare il nostro Piano rifiuti».

«In merito al decreto direttoriale con il quale il Mase ha dato il via libera ad Eni Rewind per smaltire le scorie della bonifica dell’area industriale dismessa nella discarica Sovreco di Crotone, il viceministro all’Ambiente e Sicurezza energetica, Vannia Gava, non ricorda evidentemente – ha spiegato – la posizione della Regione Calabria espressa in modo chiaro in conferenza dei servizi».

«L’incontro preliminare del febbraio 2024 del quale parla Gava era stato uno step esclusivamente tecnico, durante il quale Eni Rewind aveva illustrato ai rappresentanti di Regione, Provincia e Comune il proprio progetto per la bonifica dell’area in questione», ha detto Siviglia, parlando di «un incontro irrituale che aveva destato sorpresa e durante il quale avevo manifestato la contrarietà della Regione sul merito e sul metodo. Contrarietà ribadite con un esplicito parere negativo della Regione Calabria durante la conferenza dei servizi tenutasi lo scorso 26 giugno: parere negativo correlato da un dossier con relative motivazioni».

«Non capiamo, dunque, a cosa si possa riferire il viceministro Gava – ha concluso – quando nella sua nota parla di ‘processo condiviso’». (rcz)

La Regione attiva battelli pulisci mare

La Regione Calabria ha attivato una flotta di sei battelli ““Sistema Pelikan” di Garbage Group per la pulizia degli specchi d’acqua in alcuni tratti costieri della Calabria.

Il progetto è stato illustrato, presso la sede della Capitaneria di Porto di Vibo Marina, dal direttore generale del Dipartimento regionale all’Ambiente, Salvatore Siviglia, dai responsabili di Garbage Group, dal Commissario di Arpacal, Michelangelo Iannone, dai dirigenti regionali Francesco Costantino e Raffaele Mangiardi, e dal direttore di Calabria Verde, Giuseppe Oliva.

«L’impiego, per il secondo anno consecutivo, di queste speciali imbarcazioni – ha affermato Salvatore Siviglia – si inserisce nelle diverse attività messe in campo dalla Giunta regionale nell’ambito della strategia d’intervento a tutela dell’ecosistema e a difesa del mare calabrese. Infatti, dopo la creazione della control room regionale, dove tutte le segnalazioni vengono processate in tempo reale, grazie agli operatori della sorveglianza idraulica, presenti lungo le foci dei fiumi, agli operatori di Arpacal e di Anton Dohrn, che attraverso i propri laboratori mobili verificano l’eventuale presenza di inquinamento ambientale, con l’attivazione dei battelli pulisci mare si chiude la filiera delle segnalazioni con l’intervento di raccolta di materiali inquinanti».

«Pertanto, il sistema di monitoraggio così concepito – ha proseguito – opera a 360 gradi per rendere più efficaci le azioni programmate e consente di agire in tempo reale a difesa dell’intero ambiente marino costiero”. Siviglia ha evidenziato come “questa strategia, fortemente voluta dal presidente Roberto Occhiuto e coordinata dall’assessore regionale all’Ambiente, Giovanni Calabrese, unitamente alle altre azioni messe in campo con contributi finanziari e con il continuo monitoraggio degli impianti di depurazione, contribuirà sicuramente a migliorare la qualità delle acque di balneazione».

«I battelli – ha dichiarato Paolo Baldoni, Ceo di Garbage Group – dotati di droni per la sorveglianza e la rilevazione di rifiuti galleggianti in mare, ROV sottomarini per scannerizzare i fondali e geo referenziare i rifiuti, sonde parametriche per monitorare la salubrità delle acque in tempo reale e kit antinquinamento per schiume, idrocarburi, sostanze grasse e oleose in superficie e semi sommerse, sono estremamente efficaci per la raccolta di ogni genere di rifiuti in mare, consentendo i risultati raggiunti lo scorso anno dove la Calabria si è dimostrata la Regione italiana più attenta alla tutela della salubrità del mare e delle sue coste».

«Sono sicuro – ha concluso – che anche questo anno, a fine servizio, l’Ammirazione, i cittadini calabresi e i tantissimi turisti rimarranno soddisfatti dei risultati ottenuti che, a questo punto, non sono più una piacevole sorpresa, ma un’azione strategica unica nel Mediterraneo da prendere ad esempio da coloro che amano il mare e che fanno della Blue economy un volano di sviluppo straordinario delle proprie economie». (rcz)

 

Il M5S incontra Occhiuto su criticità della Calabria: Focus su lavoro, ambiente, toricinanti

Una delegazione del M5S, composta dalla deputata e coordinatrice calabrese, Anna Laura Orrico, dal consigliere regionale Davide Tavernise e dall’eurodeputato Pasquale Tridico, ha incontrato il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, per «confrontarsi e chiedere chiarezza su alcune delle molte urgenze che interessano la nostra terra».

È stato, infatti, «un lungo faccia a faccia – hanno detto – franco e diretto, nel rispetto dei ruoli istituzionali di ognuno, nel quale, tuttavia, abbiamo chiesto al governatore delle risposte auspicando che queste non siano vaghe e che, soprattutto, arrivino in tempo, poiché sono tutte tematiche che stanno divenendo delle vere e proprie bombe sociali e ambientali pronte a deflagrare».

«Abbiamo nuovamente sollecitato – hanno detto i pentastellati – l’attenzione del Presidente della Regione su tutta una serie di questioni sociali come la vertenza dei lavoratori Abramo, la vicenda dei lavoratori tirocinanti nelle amministrazioni locali e la problematica dei Tfs non liquidati a molti lavoratori dei consorzi di bonifica, oggi in gran parte confluiti in Calabria Verde. Nonché discusso di gravi criticità ambientali come la bonifica degli ex impianti di Eni a Crotone, che rischiano di divenire un danno permanente per i cittadini, e della discarica di Melicuccà, del rischio di disastro ambientale, sotto osservazione da parte della Procura di Castrovillari, rappresentato dalla discarica di Scala Coeli».

«Dal canto nostro – hanno concluso Orrico, Tavernise e Tridico – continueremo l’attività di attenzione e vigilanza sull’operato del presidente Occhiuto e della sua Giunta, nell’esclusivo interesse della Calabria e dei calabresi». (rcz)

ADOTTARE MODELLO VIBO PER RISOLVERE
E FRONTEGGIARE LE CRITICITÀ AMBIENTALI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Un modello Vibo Valentia per affrontare e risolvere le criticità ambientali presenti in un territorio di straordinaria bellezza». È la proposta avanzata da Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio nazionale Ambiente e Legalità, nel corso della presentazione del Dossier di Legambiente, a Santa Domenica di Ricadi, sull’inquinamento diffuso nei corsi d’acqua del vibonese.

Il dossier, illustrato dalla socia del circolo Legambiente Ricadi, Caterina Viscomi e realizzato dai Circoli della Provincia di Vibo, ha esaminato i parametri microbiologici (escherichia coli ed enterococchi intestinali) di alcuni corsi d’acqua attraverso 11 punti di prelievo nei Comuni di Pizzo, Vibo Valentia, Briatico, Zambrone, Parghelia, Joppolo e Nicotera. È importante evidenziare che le criticità riscontrate, in alcuni casi ambientalmente gravi come il caso emblematico di Parghelia, sono riferibili non solo ai Comuni in cui è avvenuto il prelievo ma anche ai Comuni dell’entroterra collocati lungo tutte le aste fluviali di riferimento.

I dati più significativi, come superamento dei limiti di legge, riguardano in particolare i prelievi effettuati nei torrenti La Grazia e La Morte, Fosso Bevilacqua, Rivo Zinzolo, Fosso La Badessa.

Un dossier che «non vuole sostituirsi in alcun modo ai campionamenti e alle attività svolte dalle autorità competenti», ha spiegato Franco Saragò, presidente del Circolo di Legambiente Ricadi, sottolineando come questo report «parte dalla consapevolezza che la causa prevalente delle criticità del mare è determinata, in misura consistente, dall’apporto di sostanze provenienti dai corsi d’acqua, che originano dall’entroterra per giungere al mare, a causa del malfunzionamento e/o sottodimensionamento di alcuni depuratori, dalla carenza nel collettamento fognario e di scarichi abusivi».

Alla presentazione, avvenuta nella Green Station gestita dal locale Circolo di Legambiente, sono intervenuti, oltre al presidente Saragò, la presidente regionale di Legambiente Anna Parretta, il Procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Camillo Falvo, il Comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri Luca Toti, il Comandante della Capitaneria di Porto Luigi Spalluto, il Comandante del Nucleo di Polizia Ambientale ed Agroalimentare di Vibo Valentia Clizia Lutzu, il Comandante del reparto Carabinieri biodiversità di Mongiana, Rocco Pelle, ed il dirigente del Dipartimento Territorio e Tutela dell’Ambiente della Regione, Salvatore Siviglia.

Ma non è solo il Vibonese a destare preoccupazione: Nella nostra regione, infatti, c’è un grande problema di depurazione, criticità ataviche sullo sversamento dei rifiuti, con la presenza di vere e proprie discariche piccole e grandi lungo i fiumi, in particolare plastiche che, oltre a pregiudicare i corsi d’acqua, la flora e la fauna, finiscono in mare, invadono le spiagge ed inquinano l’ambiente creando problemi gravissimi per gli ecosistemi marini e per la salute umana.

Ed ancora taglio indiscriminato di alberi, ostruzioni e sbarramenti artificiali dei corsi d’acqua, abusivismo edilizio che concorrono a creare forti situazioni di rischio, anche sotto il profilo idrogeologico destinati ad aumentare in connessione all’ incremento degli eventi meteorologici estremi effetto della crisi climatica.

Secondo i dati raccolti nelle ultime cinque edizioni del Rapporto Ecomafia di Legambiente, Vibo Valentia, come indice di illegalità ambientale per km2 di territorio, è stata dal 2017 al 2022 la seconda provincia della Calabria, con 0,95 reati accertati dalle forze dell’ordine, preceduta solo da quella di Reggio Calabria, con 1 reato ambientale per ogni km2 di territorio

In Calabria, invece, sono stati accertati circa 14mila reati contro l’ambiente, collocando la Calabria al quarto posto della classifica nazionale, dopo Campania, Sicilia e Puglia, a conferma delle strette correlazioni che esistono tra l’aggressione criminale all’ambiente e gli interessi delle mafie, dal ciclo illegale dei rifiuti a quello del cemento.

Una situazione intollerabile per una regione come la Calabria, in cui accanto alla «bellezza del proprio mare e del proprio territorio, si affiancano situazioni ancora insostenibili relativi alla depurazione, all’abusivismo edilizio, alla mala gestione del ciclo dei rifiuti, che incidono sui corsi d’acqua arrivando sulle coste», ha detto ancora Fontana.

Il Procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Camillo Falvo, dopo aver illustrato gli enormi sforzi posti in essere negli ultimi tre anni dalla magistratura e dalle specialità delle forze dell’ordine impegnate nella task force appositamente creata – che interviene praticamente “in tempo reale” ogni volta che si presenta una problematica di tipo ambientale connessa all’inquinamento delle acque – ha evidenziato quanto siano complessi i problemi esistenti, frutto di decenni di trascuratezze e negligenze.

Secondo il Procuratore Falvo vi è la necessità di importanti interventi strutturali e, soprattutto, di agire in via preventiva più che repressiva, diffondendo la cultura del rispetto dell’ambiente negli operatori dei vari settori produttivi e nella gente comune, in un’opera di vera e propria alfabetizzazione in materia. Ha inoltre sottolineato come, della salute del mare e dei corsi d’acqua, non ci si debba preoccupare solo nel periodo estivo, trascurandone l’esistenza o, peggio, inquinando nel resto dell’anno.

Dal canto suo, il dirigente del Dipartimento Territorio e Tutela dell’Ambiente della Regione, Salvatore Siviglia, ha evidenziato le attività strutturali svolte negli ultimi anni dalla Regione per la messa in efficienza del sistema di depurazione, del collettamento e contro gli smaltimenti illegali.

Diversi gli interventi dei sindaci del territorio, dei rappresentanti delle istituzioni, degli operatori turistici, delle associazioni di categoria tra cui Confindustria e la Federazione degli albergatori, del mondo della scuola con il Dirigente dell’Istituto d’Istruzione superiore di Tropea.

Per Anna Parretta «il futuro della regione Calabria e dei suoi abitanti passa dalla tutela, dalla salvaguardia e dalla cura del territorio e del mare. In questo quadro i corsi d’acqua sono ecosistemi complessi ed estremamente importanti la cui tutela deve essere rigorosa a maggior ragione in una fase storica in cui è ancora più preziosa la risorsa acqua».

«Attraverso i monitoraggi compiuti, che speriamo di replicare in altri territori – ha spiegato – abbiamo voluto creare un’occasione di incontro e di confronto per attivare con tutti gli attori coinvolti processi condivisi che portino alla soluzione dei problemi e per incentivare la partecipazione attiva dei cittadini».

Quello che è emerso dall’iniziativa organizzata da Legambiente, come evidenziato da Fontana,  «è un vero e proprio “modello Vibo Valentia”  già sviluppato dal procuratore Falvo con la collaborazione delle Forze dell’Ordine e della Capitaneria di porto, grazie al lavoro straordinario di citizen science dei volontari e delle volontarie dei circoli di Legambiente, ai progetti di educazione ambientale da sviluppare nelle scuole del territorio, alle iniziative illustrate dal dirigente regionale Siviglia, alla partecipazione di sindaci e associazioni di categoria».

«Un “modello” a cui occorre dare da subito concretezza – ha concluso – prima che parta la stagione estiva». (ams)

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LE AMMINISTRAZIONI CALABRESI AGISCANO
PER UNA MAGGIORE TUTELA DELLA NATURA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Oggi, più che mai, è fondamentale «agire per tutelare l’ambiente muovendosi nel quadro legislativo vigente nell’interesse della collettività», oltre che «è indispensabile uno stop deciso delle capitozzature, delle potature drastiche e dei tagli ingiustificati delle alberature».  È imperativo l’appello lanciato da Legambiente Calabria, chiedendo alle amministrazioni una «maggiore tutela e rispetto della natura».

«Nell’epoca dei cambiamenti climatici e degli eventi meteorici estremi –  ha spiegato l’Associazione – è ancora più doveroso e sensato che le amministrazioni comunali effettuino la gestione del verde urbano ed in particolare le potature degli alberi  in maniera corretta. Il rispetto della Natura dovrebbe essere la base della civiltà umana e dovrebbe anche apparire evidente che solo un albero ben curato fornisce adeguati servizi ecosistemici ed è in grado di resistere a situazioni climatiche estreme, evitando ad esempio le rotture delle ramificazioni a seguito di forti venti, nevicate o violenti temporali. Purtroppo assistiamo ogni anno ad una devastazione del verde pubblico che, in molti comuni calabresi, sembra essere gestito con superficialità e incompetenza».

«Negli ultimi giorni – viene spiegato – i circoli di Legambiente Calabria hanno ricevuto diverse segnalazioni, l’ultima in ordine di arrivo da parte della minoranza consiliare del Comune di Jacurso (Cz), in merito alla capitozzatura ed alla potatura drastica delle alberature. Riteniamo quindi necessario ribadire la necessità ed importanza dell’adozione, da parte delle amministrazioni, delle giuste regole di potatura e gestione degli alberi, così come importante è “la comunicazione mediatica e l’educazione di amministratori e residenti per ridare dignità all’albero e al suo valore ambientale e sociale” da inserire nei regolamenti del verde pubblico e privato e da far osservare in maniera rigorosa».

«Troppo spesso, infatti – continua la nota – anche nei Comuni che hanno adottato regolamenti ad hoc, stiamo assistendo a tagli radicali di piante non giustificati da impellenti rischi per le persone e le cose come è accaduto di recente a San Giovanni in Fiore (CS). Molto grave il caso di Rende (CS) dove, con la netta opposizione di diverse associazioni ambientaliste tra cui Legambiente, prosegue da mesi l’abbattimento di alberi ad alto fusto con la motivazione paradossale di “riqualificare” i luoghi».

Legambiente Calabria «ricorda a tutte le amministrazioni calabresi – viene evidenziato – che la redazione dei regolamenti del verde pubblico e privato in ambito urbano è obbligatoria sin dal 2010 e che in caso di taglio per motivi di sicurezza pubblica le relative motivazioni devono essere stabilite da una relazione tecnica che ne attesti l’effettiva necessità».

«La recente Legge regionale 7 febbraio 2024, n. 7 “Norme in materia di valorizzazione delle aree verdi e delle formazioni vegetali in ambito urbano, all’ Art. 6 (Linee operative per gli enti locali. Obblighi e divieti) – ha ricordato l’Associazione – afferma testualmente: “I Comuni sono tenuti ad osservare i seguenti divieti: capitozzare, abbattere, eradicare, danneggiare alberi e siepi”. Il decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare del 10 marzo 2020 contiene, invece, i criteri ambientali minimi per il servizio di gestione del verde pubblico e la fornitura di prodotti per la cura del verde (Cam)».

«È necessario, in base alla vigente normativa – ha proseguito l’Associazione – “evitare di praticare la capitozzatura, la cimatura e la potatura drastica perché indeboliscono gli alberi e possono creare nel tempo situazioni di instabilità che generano altresì maggiori costi di gestione” intendendosi per “capitozzatura” il “drastico raccorciamento del tronco o delle branche primarie (sbrancatura) fino ad arrivare in prossimità di questi ultimi (Fonte linee guida per la gestione del verde urbano e prime indicazioni per una pianificazione sostenibile a cura del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare-Comitato per lo sviluppo del verde urbano)».

«A tal fine – ha concluso Legambiente – appare opportuno prevedere requisiti minimi di competenza posseduti dal personale che svolge il servizio e di formazione continuativa degli operatori che garantisca la qualità del servizio nel tempo. Tutti i criteri ambientali minimi, poi, sono improntati alla salvaguardia della fauna selvatica: “Le attività di manutenzione, soprattutto dei parchi suburbani e di aree a forte valenza ambientale, devono essere eseguite creando il minore disturbo e danno alla fauna presente nell’area”».

Un’attenzione che tutti gli amministratori dovrebbero avere, considerando il vasto patrimonio ambientale che la Calabria possiede e le numerose attività di pulizia e tutela operate dalle Associazioni che, tuttavia, da sole non bastano. Sicuramente, il protocollo siglato tra Assocultura, Arpacal e Sigea per la tutela dell’ambiente e della Cultura, è un passo avanti, oltre che il primo del suo genere, dato che unendo le competenze di un’associazione culturale, un’agenzia ambientale e una piattaforma tecnologica, andrà a creare un quadro completo e sinergico per affrontare le sfide attuali legate alla sostenibilità.

Non meno importante, il recente protocollo d’intesa sottoscritto tra Calabria Verde e Arpacal, volto alle verifiche di balneazione e corsi d’acqua.

Un protocollo che vedrà i due Enti impegnati «in un monitoraggio sui tratti costieri calabresi – ha spiegato il dirigente del settore Ambiente, Salvatore Siviglia – per individuare gli elementi di criticità e, contestualmente, affrontare e risolvere le situazioni di inquinamento. Questo esperimento proseguirà ora su tutti i 106 Comuni costieri consentendo al Dipartimento ambiente, all’Arpacal e a Calabria Verde di mettere in piedi un sistema di osservazione e controllo dei potenziali carichi inquinanti che si riversano in mare».

«Grazie all’interazione tra questi organismi regionali ci sarà la possibilità di effettuare un monitoraggio puntuale di tutte le aree costiere balneabili della Calabria», ha spiegato il commissario di Arpacal, Michelangelo Iannone.

Un protocollo necessario – ha spiegato il direttore generale di Calabria Verde, Giuseppe Oliva – per proseguire nel processo di riqualificazione del comparto della sorveglianza idraulica. Con il supporto della Regione e di Arpacal lavoreremo per un migliore e più proficuo impiego del nostri lavoratori che, grazie alla delibera di Giunta regionale numero 668, hanno acquisito ulteriori funzionalità all’interno del servizio di sorveglianza idraulica». (ams)

A Castrovillari l’incontro sugli impianti che minacciano il paesaggio e la biodiversità

di DOMENICO DONATONei giorni scorsi si è svolto un incontro aperto per informare preventivamente o aggiornare la cittadinanza sui progetti di impianti fotovoltaici di tipo industriale che minacciano due aree importanti per la Città di Castrovillari.

In particolare, si tratta delle località Conca del re e Petrosa, due sistemi naturali che rischiano di essere completamente trasformati, con la distruzione di habitat di interesse comunitario e la perdita di specie protette e prioritarie per l’Europa. L’incontro, a cura dell’Organizzazione di Volontariato “Acanto”, ha visto il coinvolgimento dell’Associazione Italiana Cultura Classica di Castrovillari e del Gruppo Archeologico del Pollino, nonché diversi cittadini interessati.

Nello specifico, sono stati illustrati i due progetti: un impianto fotovoltaico a terra denominato “Castrovillari” della potenza di 21,6 MW e un progetto di Agri-fotovoltaico denominato “Fattoria Solare La Petrosa” da 14,4 MW. Oltre alle caratteristiche tecniche dei due impianti: ampiezza (rispettivamente 30 e 34 ettari), produzione energetica, infrastrutture accessorie, è emerso il forte impatto ambientale e paesaggistico che gli stessi potrebbero avere nelle medesime aree, contribuendo al contempo all’aumento consistente del flusso di calore, le cosiddette isole di calore fotovoltaiche. Una semplice, ma utile, forma di confronto e coinvolgimento, che ha permesso di sollevare interrogativi su determinate scelte progettuali e le relative ripercussioni sui territori. Allo stesso tempo ha permesso di informare la comunità sugli scenari energetici che interesseranno la nostra regione al 2030.

Partendo proprio dai dati ufficiali sulle produzioni energetiche calabresi e la sproporzione delle richieste di connessione alle reti elettrica, si è aperta una riflessione sulla validità di tali progetti, irrispettosi del territorio, che utilizzano terreni agricoli e/o naturali, soggetti ormai a un mercato senza regole. Nessuna demonizzazione delle fonti rinnovabili, piuttosto un appello ad utilizzarle in modo appropriato, valutando le possibili alternative, già supportate da studi di insigni docenti. Per esempio, l’utilizzo delle superfici artificiali esistenti per impiantare pannelli fotovoltaici potrebbe garantire e, addirittura superare, gli obiettivi previsti per il 2030 nella produzione energetica da fonti rinnovabili, senza un solo ettaro in più di consumo di suolo. Lo stesso Piano per la transizione ecologica indica come soluzione meno impattante lo sfruttamento prioritario delle superfici di strutture edificate (tetti e in particolare quelli di edifici pubblici, capannoni industriali e parcheggi). La devastazione del paesaggio è un problema che sta investendo in modo vertiginoso la Calabria ed altre regioni. Ovunque stanno nascendo impianti fotovoltaici ma soprattutto eolici incuranti dei nostri boschi, percorsi religiosi e culturali, paesaggi, e, in particolare ciò che è più grave, della vita di tanti cittadini, costretti a convivere con queste opere, persino con il rumore delle turbine eoliche.

«Le misure del Pnrr – hanno tenuto a specificare gli organizzatori dell’incontro – dovrebbero proteggere gli ecosistemi senza produrre alcun danno ambientale, ed è per questo che una vera transizione ecologica, prima di utilizzare colline, crinali, campagne, aree ad alta naturalità, necessita di buon senso, di conoscenze e di attenzione. Attenzione al paesaggio, all’agricoltura di qualità e al turismo sostenibile». 

Questa situazione, sempre più allarmante, ha favorito la nascita di un Comitato regionale denominato “Controvento” che cerca, in modo spontaneo, di mettere in rete cittadini e associazioni impegnati nella difesa dei propri territori. A tal proposito l’incontro ha aperto una finestra di discussione sulle iniziative di volontariato e sull’impegno di tanti piccoli gruppi spontanei di persone, preoccupate e, contestualmente, impegnate a difendere il paesaggio con i suoi valori storici e ambientali. Infine, solo per cenni, si è parlato di un’altra grande opera infrastrutturale, che suscita una serie di dubbi ed interrogativi. Si tratta del nuovo collegamento stradale tra i Comuni di Castrovillari, Frascineto e Cassano Jonio.

Il progetto, che ha un costo di 40 milioni di euro, interesserà località importanti come La Pietà, ma anche la valle dell’Eìano, lo storico tracciato ferroviario delle ex Calabro Lucane. (md)

Domani a Cosenza il ministro Gilberto Pichetto per promuovere le Comunità Energetiche Rinnovabili

Domani il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto, fa tappa alla Camera di Commercio di Cosenza per promuovere le Comunità Energetiche Rinnovabili. L’appuntamento, che rientra nell’ambito del progetto InsiemEnergia,  è alle 15, alla presenza del ministro Gilberto Pichetto, del presidente della Regione, Roberto Occhiuto.

Si tratta di un vero e proprio giro che il Ministero, assieme al Gestore dei Servizi Energetici e Unioncamere, porta nel Mezzogiorno per affermare, su larga scala, il modello delle Cer, una rivoluzione nella produzione e consumo di energia. L’obiettivo è quello di diffondere nei prossimi mesi in tutte le Regioni e Province autonome le novità del decreto di incentivazione delle Cer, per far conoscere le opportunità per comunità, imprese, territori e Associazioni.

Attraverso InsiemeEnergia, infatti, si vuole far crescere la consapevolezza tra tutti gli attori istituzionali, sociali ed economici delle potenzialità di questo innovativo strumento, che può determinare abbattimento dei costi e dell’impatto ambientale, sicurezza nelle forniture e superamento della povertà energetica, in un contesto di diffusione delle rinnovabili e rispetto degli obiettivi di decarbonizzazione.

Il decreto Cer prevede sia la tariffa incentivante che un contributo a fondo perduto, consentendo rilevanti opportunità di sviluppo sostenibile in tutte le realtà italiane e specialmente sotto i cinquemila abitanti, dove possono cumularsi le due modalità di incentivazione.

Ad aprire la sessione dei saluti istituzionali sarà Klaus Algieri, Presidente della Camera di Commercio di Cosenza, con il sindaco di Cosenza Franz Caruso. Seguiranno gli interventi di Paolo Arrigoni, presidente del Gse, e del governatore Occhiuto. Il ministro Gilberto Pichetto illustrerà subito dopo il ruolo delle Cer nella sfida energetica.

L’illustrazione del quadro normativo e delle relative opportunità sarà a cura di un rappresentante del Mase e di Davide Di Giuseppe, Responsabile Funzione Autoconsumo e Comunità energetiche Gse. Antonio Romeo, Direttore generale Dintec-Unioncamere, spiegherà il percorso per la costituzione delle Cer. Concluderà il programma uno spazio per le domande rivolto a imprese, associazioni ed enti locali. L’appuntamento verrà moderato dal Segretario Generale della Camera di Commercio di Cosenza, Erminia Giorno. (rcs)

 

 

Assocultura, Arpacal e Sigea insieme per la tutela dell’ambiente e della cultura

Mantenere e sviluppare proficui rapporti di collaborazione per lo svolgimento di iniziative e attività di ricerca, formazione e divulgazione per la conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale, naturalistico e immateriale della Calabria. È questo l’obiettivo dell’accordo di partenariato siglato tra Assocultura, Arpacal (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria) e Sigea (Sistema Informativo Geografico della Regione Calabria).

L’accordo, promosso dal dott. Gaetano Osso, che ha svolto funzioni di trait d’union, è stato firmato dal presidente di Assocultura Confcommercio Cosenza Mariano Marchese, dal Commissario Straordinario Arpacal, Michelangelo Iannone e dal Presidente di Sigea, Antonio Fiore, rappresenta un passo significativo verso un impegno concreto per la tutela dell’ambiente e della cultura nella regione.

Un punto di partenza fondamentale anche in virtù delle sfide lanciate dal PNRR e da Agenda 2030 in materia di ambiente, cultura e sviluppo sostenibile.

Per il Presidente di Assocultura, Mariano Marchese, «la firma del protocollo rappresenta un passo avanti nella collaborazione tra Assocultura e le istituzioni ambientali, evidenziando la connessione profonda tra la conservazione del patrimonio culturale e la tutela dell’ambiente. La cultura, intesa come espressione della identità di un territorio, diventa così un elemento chiave nel promuovere pratiche sostenibili e responsabili».

Arpacal, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria, gioca un ruolo cruciale nella salvaguardia del territorio regionale. La sua competenza nel monitorare l’ambiente, nella gestione dei rifiuti e nella tutela degli ecosistemi naturali si traduce in un impegno costante per garantire uno sviluppo sostenibile. Per il Commissario Straordinario Iannone «la tutela del territorio passa anche da accordi come questo. È in questa prospettiva che diventa un atto di responsabilità nei confronti delle generazioni presenti e future, preservando non solo gli equilibri naturali ma anche le radici culturali che ne fanno parte integrante».

Il protocollo coinvolge anche Sigea, il cui compito sarà quello di far comprendere il ruolo della tutela ambientale e la consapevolezza per la protezione della salute e della sicurezza dell’uomo, nella salvaguardia della qualità dell’ambiente naturale ed antropizzato e nell’utilizzo più responsabile del territorio e delle sue risorse.

Per il Presidente Fiore, «la sottoscrizione di questo accordo rappresenta un punto di svolta nella nostra missione di tutela dell’ambiente e promuovere la sostenibilità. Collaborare con Assocultura e Arpacal ci consente di unire le forze per affrontare in modo più efficace le questioni ambientali e culturali che riguardano la nostra amata Calabria».

L’accordo tra Assocultura, Arpacal e Sigea è il primo del suo genere non solo a livello regionale ma anche a livello nazionale. Unendo le competenze di un’associazione culturale, un’agenzia ambientale e una piattaforma tecnologica, andrà a creare un quadro completo e sinergico per affrontare le sfide attuali legate alla sostenibilità.

«Oggi, più che mai, bisogna far comprendere l’importanza di cercare di contribuire fattivamente alla realizzazione dei progetti degli interventi mirati e strategici, previsti dai principi del Green Deal e da Agenda 2030, ma ancor di più con la consapevolezza di orientare le scelte strategiche verso uno sviluppo rispettoso, equo, etico, di generale e duraturo benessere – ha concluso Osso – poiché è quanto mai opportuno unire le forze buone della società civile per mirare all’unico obiettivo possibile ovvero quello di costruire un futuro ecologicamente sostenibile per le prossime generazioni per garantire un minimo di sopravvivenza al Pianeta». (rcz)