L’OPINIONE / Emilio Errigo: Calabria, se il fuoco cova sotto la cenere

di EMILIO ERRIGO – Non c’è nulla da ridere affatto! La Calabria, Sud del Sud, arde sotto la cenere, fuoco coperto dai residui derivanti dai processi di combustione popolare e alimentato da risentimenti sociali, crisi economica e occupazionale.
In questi ultimi diversi decenni, non sono certo mancati i segnali e le grida di allarme, che lasciavano intendere chiaramente che in Calabria e al Sud Italia, le cose non andassero bene e così come ancora oggi non vanno assolutamente bene.
Le statistiche semestrali e annuali della DIA , DNA, le analisi di contesto delle Forze di Polizia, i report dei sindacati, le chiare e rappresentative relazioni sull’operato dell’Autorità Giudiziaria diffuse puntualmente in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, parrebbero parole e scritti insufficienti per far comprendere al potere legislativo ed esecutivo, che in Calabria e nelle Regioni del Sud Italia la gente è disperata, disorientata e confusa.
La mia ultra quarantennale esperienza umana e professionale al servizio dello Stato, mi ha consentito di comprendere quanto sia difficile per tutti, adempiere al proprio dovere in Calabria, Sicilia, Puglia e Campania.
Al Sud Italia non occorre solo tanta buona e sana volontà istituzionale, per continuare a operare in stato di emergenza sociale e occupazionale continua h 24, 365 giorni l’anno, ma a mio pensiero necessita un impegno da stato di calamità naturale, come se si fosse verificato una catastrofe umanitaria ed economica interregionale a rilevanza nazionale ed europea.
Occorrono interventi urgenti e necessari di Protezione Sociale, Civile e Umanitaria.
Non si può pensare che è una crisi occupazionale di facile soluzione, occorre ben altro. Occorre costituire una “Missione Italiana Interforze Governativa”, per stabilizzare e ricostruire, le infrastrutture sociali crollate, i centri amministrativi decisionali allo stato insufficienti, risanare e far ripartire veramente, l’economia del territorio che l’istituto delle Zone Economiche Speciali (ZES) non sono state ancora idonee per attrarre investimenti nelle aree delle Regioni del Sud complesse e complicate.
Chi volete che investa un euro o un dollaro, in Calabria e Sicilia, se oltre il timore della malavita, l’eventuale investitore non sia accompagnato e supportato adeguatamente dalle Istituzioni?
Sarà cosa molto difficile.
Si potrebbe rivelare credo molto utile, attribuire alla Ministra per il Sud e la Coesione Territoriale, Mara Carfagna, il potere decisionale di poter decidere come, a chi e quando, “destinare” i beni sottratti dallo Stato, alle organizzazioni criminali e alle mafie nazionali ed estere in Italia, attualmente amministrate e destinate, dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni criminali (ANBSC).
Inoltre affidare l’amministrazione dei beni utilizzabili nelle Aree ZES, provenienti da fallimenti o altre misure giudiziarie, a cura di un Magistrato della Corte dei Conti o della Ragioneria Generale dello Stato, che opera avvalendosi dei competenti Reparti Specializzati del Corpo della Guardia di Finanza e delle altre benemerite Forze di Polizia.
Solo così si può da una parte ridurre i rilevanti costi di gestione, amministrazione e manutenzione dei citati beni, accendere una o più speranze per la crescita economica e civile, della Calabria e il Sud Italia, di contro i sorrisi e gli arresti sempre più numerosi, non pacificheranno ne la Calabria ne il Sud. (ee)

[Emilio Errigo è nato in Calabria, Docente Universitario e Generale in ausiliaria della Guardia di Finanza]

 

Il sindaco Falcomatà: I beni confiscati devono rimanere nei territori come risarcimento per le comunità

«I capitali confiscati devono rimanere sul territorio dove sono stati sottratti alla criminalità, per creare sviluppo come risarcimento sociale per le comunità che di più soffrono l’oppressione violenta delle mafie». È quanto ha dichiarato il sindaco di Reggio e responsabile nazionale per il Mezzogiorno e la Coesione di Anci, Giuseppe Falcomatà, nel corso del workshop promosso dal Consorzio Macramè, da Legacoop Calabria e dal Forum del Terzo Settore della Calabria, dal titolo Restituire bellezza, costruire futuro” nell’ambito del progetto “Giano – Conoscere il passato e guardare al futuro.

«Un obiettivo di giustizia sociale – ha aggiunto – oltre che una proposta di buon senso. È ingiusto che i capitali confiscati continuino ad andare in maniera indiscriminata all’interno del Fondo Unico Giustizia. È utile e necessario che almeno una parte di questi fondi rimanga legata al territorio dove i capitali sono stati confiscati, per ristrutturare gli stessi beni sottratti alla criminalità e per dare un sostegno a quelle realtà che di più soffrono lo strapotere delle imprese mafiose che drogano il mercato e uccidono lo sviluppo con la violenza e le intimidazioni».

All’incontro, dal titolo Co-programmazione, co-progettazione e networking: il ruolo del Terzo Settore nella restituzione alla collettività dei beni confiscati, moderato dalla giornalista Maria Pia Tucci, insieme al sindaco Giuseppe Falcomatà, hanno preso parte Massimo Nicolò dell’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati, Eleonora Vanni, presidente nazionale Legacoopsociali, e Luciano Squillaci, portavoce del Forum Regionale del Terzo Settore.

«Dobbiamo fissarci un obiettivo – ha sottolineato – dimostrare che la squadra Stato sa essere più efficiente ed efficace delle mafie, non solo sul piano della repressione, ma soprattutto sulla capacità di creare occasioni di sviluppo sociale ed economico sul territorio. Per questo va assolutamente evitato che i beni confiscati alle cosche rimangano per lungo tempo in stato di abbandono e di degrado, prima di essere riassegnati, o le imprese confiscate vadano in malora una volta reimmesse sul mercato. Dobbiamo sostenere questi percorsi, utilizzando i capitali sottratti alle mafie, per creare sviluppo, sostenere le imprese confiscate che tornano sul mercato, evitando licenziamenti ed il rischio di un generale impoverimento sociale dei territori, dando un supporto agli Enti e alle Associazioni che prendono in gestione i beni confiscati per ristrutturarli e renderli funzionali ed utili alla collettività».

«C’è, poi, un aspetto culturale che va considerato – ha spiegato ancora il sindaco Falcomatà intervenendo di fronte alla platea del Terzo Settore calabrese – se i Sindaci dei piccoli comuni periferici hanno timore ad assumere la gestione dei beni confiscati vanno aiutati e sostenuti. Intanto con degli strumenti tecnici, perché spesso, con il personale a disposizione, si incontrano difficoltà a progettare in maniera efficace, ma anche con il sostegno culturale e la vicinanza delle istituzioni e delle associazioni, che devono affiancare le realtà più fragili, soprattutto sui territori di frontiera».

«Su questi temi alcuni passi in avanti siamo riusciti a farli – ha concluso –. Ad esempio, sul fronte delle risorse per la gestione dei beni confiscati, finalmente sono stati previsti, nelle misure 5 e 6 del Pnrr, circa 250 milioni per la riqualificazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Tuttavia la strada da fare è ancora tantissima. Insieme ad Anci, abbiamo promosso una riforma del codice antimafia che guardi ad una più efficace gestione dei circuito dei beni confiscati alle mafie e soprattutto ad una diversa ripartizione dei capitali oggetto di confisca. Su questo è fondamentale che le istituzioni ed il mondo del Terzo Settore possano fare squadra». (rrc)

REGGIO – Protocollo tra Agenzia delle Accise e Comune per uso gratuito di un’auto confiscata

È stato siglato, tra il Comune di Reggio Calabria e l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli, l’accordo per la cessione, in uso gratuito, di un veicolo confiscato alla criminalità organizzata da destinare ai servizi istituzionali dello stesso Ente comunale reggino.

A siglare il protocollo che, tra l’altro, vede Reggio Calabria quale primo Comune in Italia a ricevere un’autovettura oggetto di confisca da parte dell’Adm, il sindaco Giuseppe Falcomatà ed il Direttore generale dell’Agenzia, Marcello Minenna.

Un momento definito dal sindaco di Reggio Calabria, Falcomatà, di «alto valore simbolico, perché offre il segno di una legalità praticata anche oltre l’attività giudiziaria, abbracciando gli aspetti educativi e formativi dai quali non possiamo assolutamente prescindere».

«Il percorso di ripristino e mantenimento della legalità nel nostro territorio – ha aggiunto Falcomatà – è fatto anche di simboli. Uno di questi è certamente l’utilizzo di elementi, in questo caso autovetture, che sono il frutto di attività criminali. Ma tale accordo è soprattutto il segno concreto di una positiva sinergia istituzionale con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a cui va il nostro ringraziamento, in modo particolare al direttore Minenna, per l’ottima interlocuzione che ha consentito a pochissima distanza dalla confisca dell’autovettura, di far rientrare il mezzo nella disponibilità della collettività e degli enti pubblici, in particolare Comune e Città metropolitana».

«Lo abbiamo fatto volentieri – ha evidenziato il primo cittadino – perché si tratta anche di un simbolo molto evidente, come testimonia anche il logo ben impresso sulla fiancata dell’auto. Di questo siamo molto contenti perché si va anche nella direzione di una più efficace interpretazione della legge Rognoni-La Torre sulla confisca dei patrimoni mafiosi o realizzati tramite attività illecite, ovvero non soltanto attraverso la pur importante azione di sottrazione di beni alle varie consorterie criminali, ma anche mediante la restituzione di tali patrimoni alla collettività. In questo caso tenere una macchina ferma in un deposito avrebbe comportato per l’Agenzia delle Dogane dei costi, mentre oggi viene assegnata al Comune di Reggio Calabria che potrà veicolare all’esterno un forte messaggio di legalità».

«Ed è anche – ha poi concluso il sindaco Falcomatà – un bel messaggio che rafforza la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, evidenziando la centralità del lavoro di squadra che deve caratterizzare quanti amministrano la cosa pubblica». (rrc)

De Caprio (FI): Usare i beni confiscati per un nuovo modello di sviluppo del territorio

Il consigliere regionale di Forza ItaliaAntonio De Caprio, ha presentato una mozione – che è stata approvata in Consiglio regionale – in cui impegna  «il governatore e la giunta regionale “a voler richiedere al Consiglio dei ministri un diverso utilizzo delle risorse, provenienti dei beni confiscati per finalità sociali, inseriti nel Fondo Unico di Giustizia, al fine di restituire alle comunità calabresi un nuovo modello di sviluppo territoriale che argini la criminalità organizzata».

«In più – si legge nella mozione – a sollecitare l’esecutivo nazionale e il ministero preposto a voler adottare linee guida e circolari, da indirizzare alle strutture dipartimentali o alle agenzie competenti, mediante le quali le somme, oggetto di confisca alla ‘Ndrangheta, parte integrante del Fug, vengano utilizzate per porre in essere tutte quelle attività necessarie per far fronte alla crisi sanitaria e ospedaliera in cui versa la Calabria, e, non ultimo, a voler valutare l’ipotesi di utilizzare tali somme per abbattere il debito sanitario calabrese».

«Un aiuto concreto alle regioni più deboli come la Calabria – ha dichiarato De Caprio – potrebbe essere rappresentato da un diverso utilizzo degli immobili confiscati, da un diverso impiego dei proventi, derivanti dalle vendite degli stessi o, ancora, delle somme di danaro al fine di porre rimedio ad un gap sociale in cui versa la nostra Terra, rispetto alle altre regioni».

«L’utilizzo di tali proventi per ragioni di sanità pubblica – ha proseguito Antonio De Caprio – avrebbe anche un valore altamente simbolico, posto che da emblema di prepotenza e dominio mafioso, i presidi sanitari, ristrutturati con i proventi dell’attività illecita, apparirebbero, agli occhi della popolazione, come il trionfo dello Stato. Inoltre – incalza il presidente dell’antimafia regionale – parte di tali risorse potrebbe essere impiegata, al fine di sostenere le imprese sane e virtuose e incentivare i giovani ad investire nella regione». 

«Il tutto – ha concluso il capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale – rilevato quanto ravvisato dalla Corte Costituzionale e dal principio ispiratore sulla destinazione dei beni confiscati, secondo cui”la restituzione alle collettività territoriali delle risorse economiche, acquisite illecitamente dalle organizzazioni criminali, rappresenta uno strumento fondamentale per contrastarne l’attività”». (rrc)

REGGIO – Beni confiscati, l’opposizione chiede commissariamento del settore

Sia commissariato il settore della gestione dei beni confiscati del Comune di Reggio Calabria. È questa la richiesta avanzata dai consiglieri di opposizione, Minicuci, Milia, Caridi, Maiolino, De Biasi, Anghelone, Malaspina, Rulli, accanto al Presidente della Commissione Controllo e Garanzia del Comune, Massimo Ripepi, in quanto «i beni confiscati alla ‘ndrangheta risultano fuori controllo e negli ultimi sei anni, ovvero da quando è in carica l’Amministrazione Falcomatà, non si è proceduto mai a nessuna ispezione. Non esistono neanche le carpette con la documentazione dell’assegnazione dei beni assegnati e, addirittura, non si conosce neanche il numero reale dei beni».

Solo in seguito alle continue richieste di chiarimento della Commissione Controllo e Garanzia del Comune, presieduta da Massimo Ripepi, si è appreso che nessuno conosce il numero dei beni confiscati assegnati e nessun monitoraggio e controllo è stato effettuato negli ultimi sei anni, anzi gli attuali due assessori dei Servizi Sociali e del Patrimonio, con relativi Dirigenti, non hanno ben chiaro di chi sia la competenza ad effettuare gli adempimenti prescritti per legge. Si tratta di un fatto gravissimo, per il quale urge una denuncia pubblica sul comportamento incompetente, inadeguato e a dir poco vergognoso del Sindaco e degli organi deputati alla gestione di tali atti amministrativi. Al danno gravissimo, la beffa delle giustificazioni incredibili e mirabolanti degli amici del Sindaco che difendono l’indifendibile senza rossore e vergogna.

Proprio in Commissione Controllo e Garanzia, dinanzi a questo scenario apocalittico di incuria e sciatteria politico-amministrativa, il consigliere di maggioranza Giuseppe Marino, capogruppo PD, si vantava sostenendo che Reggio Calabria rappresenta un fiore all’occhiello nazionale nella gestione dei beni confiscati e un modello da imitare per le altre città italiane.

«Ci chiediamo – si legge in una nota – su quali basi si possano fare tali affermazioni, quando non siamo riusciti a trovare nemmeno le carpette delle pratiche riguardanti i singoli beni confiscati. Dov’è la trasparenza? Ma soprattutto dov’è la cultura della legalità? In una città ad altissimo tasso mafioso, dove è facile che le infiltrazioni criminose facciano velocemente il loro corso, il Comune non si preoccupa di fare le dovute ispezioni come raccomanda la normativa del “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la rigenerazione dei beni comuni urbani”. Tale prescrizione prevede, che almeno una volta all’anno l’ente preposto, ovvero il Comune, faccia un monitoraggio della situazione e controlli il rispetto di tutti i requisiti previsti dalla suddetta normativa, da parte dei concessionari di tali beni. Il responsabile del procedimento in questione si deve anche avvalere della Polizia Municipale per fare tutti gli accertamenti del caso».

«Ebbene – continua la nota – ad oggi il Comune di Reggio non ha effettuato nemmeno una verifica, ma al tempo stesso non si è nemmeno preoccupato di comunicare alla Prefettura eventuali difficoltà ad ottemperare al suo dovere istituzionale. È mai possibile, che si debba accettare una tale negligenza e poi addirittura sentire un consigliere di maggioranza propagandare il grande lavoro dell’amministrazione, quando quest’ultima si comporta in maniera contraria a quanto dice? Lo provano i fatti, che il presidente Ripepi ha deciso di comunicare nel dettaglio con una lettera al Prefetto, al Ministro degli Interni, al Direttore dell’Agenzia Nazionale dei beni Confiscati, al Procuratore Nazionale Antimafia ed antiterrorismo ed al Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, attraverso una lettera in cui sono narrate le peripezie della Commissione Controllo e Garanzia, che in questi mesi ha tentato con ogni mezzo lecito di ottenere sia dal Settore Patrimonio e Erp sia dal Settore Servizi sociali i documenti relativi all’attività di monitoraggio e controllo dei beni confiscati».

«Per tutta risposta – continua ancora la nota – la Commissione ha ricevuto solo l’elenco parziale dei beni, ma né i verbali del monitoraggio né i provvedimenti di revoca sono pervenuti alla Commissione. È, altresì, chiamato in causa l’assessore Delfino e il dirigente dei Servizi sociali Barreca, ma anche in questo caso l’unica risposta è stata una giustificazione di assenza e per ultimo la promessa di avviare i procedimenti relativi al controllo. A questo punto, urge nell’immediatezza, rispetto a questi fatti che violano la legge e la fiducia accordata dai cittadini al Comune, l’intervento dell’ufficio territoriale del Governo».

«Oggi, più che mai – prosegue la nota – corre l’obbligo della Commissione di andare avanti con il lavoro di accertamento dell’attività amministrativa, perché ormai è sotto gli occhi di tutti che Falcomatà non è in grado di sostenere il suo ruolo politico e amministrativo, generando un danno enorme per l’intera comunità reggina e, in questo specifico caso, un gravissimo pericolo di ulteriore penetrazione mafiosa nel tessuto socio-economico della città già così provata da anni di incuria e connivenze. I reggini hanno bisogno di amministratori competenti, di uomini e donne in grado di salvaguardare e riqualificare questo difficile territorio e di far tesoro degli errori del passato, spargendo semi di fiducia e prospettive di futuro in una regione che da sempre sopravvive ai soprusi della ‘ndrangheta».

«Ripepi ribadisce il dovere, a tutti i costi – conclude la nota – di tutelare il nostro territorio e di promuovere una politica sana, capace e propositiva. Dello stesso avviso sono stati i Consiglieri intervenuti Minicuci, Milia, Malaspina che hanno ribadito con forza la gravità di quanto avvenuto nella gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata da parte di una amministrazione che continua a sventolare ipocritamente la bandiera della legalità e della trasparenza».

I capigruppo di maggioranza, hanno respinto le critiche dell’opposizione, sottolineando come «la lotta alla mafia è un tema talmente delicato che non può scadere a livelli così infimi e bassi di contrapposizione politica. Ciò che taluni, oggi, affermano dai banchi della minoranza di Palazzo San Giorgio fa veramente rabbia perché non si può gettare in bagarre o, ancora peggio, strumentalizzare il lavoro che, in questi anni, l’amministrazione comunale ha mirabilmente condotto sul tema del riutilizzo a scopi sociali dei beni confiscati alla criminalità. Le vuote invettive avanzate dai consiglieri di minoranza sono per noi delle medaglie al petto. Ma soprattutto: da che pulpito viene la predica?».

«Un impegno costante – prosegue la nota – duraturo, incisivo e riconosciuto in tutta Italia tanto da essere elevato ad esempio nelle più importanti e prestigiose assemblee del Paese. Si tratta, infatti, di un’attività laboriosa e talmente significativa che, soltanto qualche tempo fa, ha portato il direttivo dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e destinazione dei beni confiscati a riunirsi proprio a Reggio Calabria. Fu, quello, un segnale molto forte di affermazione e promozione delle azioni intraprese dall’amministrazione, guidata dal sindaco Giuseppe Falcomatà, capace, in pochi mesi, di rilanciare una strategia divenuta simbolo di trasparenza e meritocrazia». 

«Oggi  – continua la nota dei Capigruppo – le case dei boss le abitano le persone svantaggiate. Oggi le ricchezze sottratte alla criminalità sono diventate, in tutto e per tutto, patrimonio della collettività. E nei beni confiscati assegnati al Comune di Reggio sono ospitate decine di splendide esperienze sociali di riscatto e di servizio alla comunità. Cosa va, dunque, blaterando la minoranza di centrodestra? Smemorati e in malafede, questo sono. Perché noi abbiamo raccolto dalle macerie un Comune, fino a quel momento, guidato da una Commissione prefettizia insediatasi dopo lo scioglimento per le infiltrazioni mafiose dipanatesi negli stessi anni in cui, alcuni che adesso vanno blaterando falsità e menzogne, sedevano senza però sentire, vedere o parlare. Senza denunciare nulla di quanto accertato dalla magistratura e dal Ministero dell’Interno». 

«Ma davvero: di cosa stanno parlando? – conclude la nota –. Da chi dovremmo prendere lezioni di etica, moralità e buone prassi? Dagli stessi che votavano ogni cosa senza colpo ferire? Da chi, giustappunto, arriva la predica?». (rrc)

 

La Regione assegna i beni confiscati a Associazioni che si occupano di coesione sociale

La Regione Calabria ha approvato la delibera che affida i beni confiscati alle Associazioni che si occupano di coesione sociale, «al fine di consentire il conseguimento del riscatto sociale» e ha deliberato di richiedere all’vAgenzia nazionale «la modifica della destinazione finale per i beni assegnati e non ancora conferiti affinché l’utilizzo dei beni confiscati alla criminalità possa soddisfare le predette esigenze».

«È volontà della Giunta – si sottolinea – perseguire tali scopi mediante gli enti “Dopo di noi”, in considerazione di uno sguardo più attento al periodo di vita delle persone con disabilità severa successivo alla scomparsa dei genitori o familiari più prossimi e delle persone che vivono condizioni di esclusione e marginalità».

La Regione si pone, inoltre, i seguenti obiettivi: «l’integrazione della parte più fragile della popolazione, per contrastarne l’esclusione sociale e garantirne la partecipazione attiva nella vita socio-economica della collettività»; «la realizzazione di spazi da destinare all’erogazione di servizi pubblica utilità (asili nido, presidi di assistenza per gli anziani, centri ricreativi) o progetti di interesse pubblico dai quali possano originare nuove opportunità lavorative per i giovani e le fasce più fragili»; «la creazione e il sostegno di nuove opportunità lavorative per i giovani e le fasce più deboli della popolazione producendo nel contempo beni e servizi di interesse pubblico».

«L’uso per fini sociali dei beni confiscati alla malavita organizzata – commenta il presidente Spirlì – è un passo avanti per la Calabria, oltre che un grande segno di civiltà. Immobili e terreni coltivabili saranno destinati ad associazioni che si occupano del “dopo di noi” e della tutela di disabili, anziani, ex detenuti e giovani con difficoltà di inserimento sociale. Beni frutto di azioni malvagie saranno finalmente utilizzati per garantire assistenza e sostegno a chi ha più bisogno. Questo atto rappresenta quella marcia in più che la nostra terra deve darsi per costruire il suo futuro». (rcz)

BENI CONFISCATI, SCARSA LA TRASPARENZA
IN CALABRIA 2884 IMMOBILI, MA POCHI DATI

Beni confiscati alla ‘ndrangheta e al malaffare: ci sono, solo in Calabria, 2884 immobili da destinare a utilizzi sociali, ma la loro assegnazione è ritardata dalla mancanza di informazioni adeguate per l’inadempienza di gran parte dei Comuni interessati. Lo rivela RimanDati, il primo report nazionale di Libera sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali, promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. In Calabria – secondo i dati di Libera – di 139 Comuni, 88 non pubblicano l’elenco e informazioni sul loro sito internet, e cioè il 63%.

«Il Report di Libera (il monitoraggio ha avuto inizio nel mese di maggio 2020 e si è chiuso il 31 ottobre 2020) – si legge sul sito – vuole accendere una luce sulla carente trasparenza e mancata pubblicazione dei dati dei comuni italiani in merito ai dati sui beni confiscati che insistono nei loro territori perché sono proprio i comuni ad avere la più diffusa responsabilità di promuovere il riutilizzo dei patrimoni. La base di partenza del lavoro di monitoraggio coincide con il totale dei comuni italiani al cui patrimonio indisponibile sono stati “destinati”i beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali. Il primo dato ricavato dal lavoro di monitoraggio è quello più immediato, e risponde alla semplice domanda: quanti comuni italiani destinatari di beni immobili confiscati pubblicano l’elenco sul loro sito internet, così come previsto dalla legge?».

E in Calabria, se 88 Comuni sono inadempienti, 51 (49,4%), invece, pubblicano l’elenco, e Reggio Calabria, nel focus dedicato ad alcuni capoluoghi, ottiene un buon punteggio: 65,22%.

«Il caso del Comune di Reggio Calabria – si legge nel report – è molto interessante. L’Ente, infatti, si è dotato di un portale dedicato specificamente ai beni comuni e confiscati, dove è presente l’elenco – navigabile anche attraverso alcuni filtri – di tutti gli immobili confiscati e trasferiti al patrimonio comunale. Non è però possibile in alcun modo scaricarlo e dunque è da intendersi in formato chiuso».

«Nella tabella generale – prosegue il report – sono presenti molte informazioni di dettaglio su dati catastali, ubicazione, tipologia, decreti di destinazione, oltre ad alcune notizie sulla destinazione e la consegna. Cliccando sui singoli beni, si accede inoltre a singole pagine dedicate nelle quali sono specificate altre e più dettagliate informazioni (come, ad esempio, quelle sullo stato attuale dell’utilizzazione) e, in alcuni casi, anche con planimetrie e foto». Non è, però, possibile in alcun modo scaricare i dati.

«In linea generale – conclude il Report – il portale costituisce davvero uno strumento prezioso di informazione, che andrebbe però implementato con la possibilità di scaricare i dati in formato aperto. Nei casi di beni assegnati ad associazioni, inoltre, non è possibile individuare la ragione sociale del soggetto assegnatario. Nel 2012, l’Ente si è dotato di un Regolamento per la concessione in uso dei beni immobili confiscati alla ‘ndrangheta».

Il report – ha commentato Davide Pati, vicepresidente nazionale di Libera – analizza l’operato dei comuni e ad essi si rivolge: sono loro gli enti più prossimi al territorio e il primo fronte per l’esercizio della cittadinanza; potenziare le loro effettive capacità di restituzione alla collettività del patrimonio sottratto alla criminalità non va inteso solo come l’adempimento di un onere amministrativo, ma come un’opportunità di “buon governo” del territorio. Quando riconsegnati alle autonomie locali, i beni confiscati alle mafie rappresentano una questione eminentemente politica e per deciderne efficacemente il destino occorre favorire forme innovative di organizzazione sociale, economica e istituzionale ispirate ai principi della pubblica utilità e del bene comune. Se questo è vero, ne discende che la conoscibilità e la piena fruibilità dei dati, delle notizie e delle informazioni sui patrimoni confiscati non possono che essere a loro volta considerati elementi di primaria importanza».

«Ecco – ha concluso Davide Pati – perché insistiamo nel ritenere che la trasparenza, anche in questo ambito, debba e possa essere considerata anch’essa un bene comune, in ciò confortati dalle previsioni normative del Codice Antimafia, che impongono agli Enti Locali di mettere a disposizione di tutte e di tutti i dati sui beni confiscati trasferiti al loro patrimonio, pubblicandoli in un apposito e specifico elenco. Una previsione ulteriormente rafforzata dalla legge di riforma del Codice, che, nel 2017, ha introdotto la responsabilità dirigenziale in capo ai comuni inadempienti. RimanDati I è un forte richiamo alla necessità di dare priorità all’azione culturale della trasparenza: chiediamo, infatti, che i beni confiscati diventino sempre di più strumenti di partecipazione democratica e di coesione territoriale. Le esperienze di informazione, formazione ed accompagnamento territoriale hanno reso evidente l’importanza di attivare percorsi di progettazione partecipata e di monitoraggio civico, attraverso il coinvolgimento dei cittadini e delle realtà sociali».

«Quando parliamo di trasparenza delle informazioni sui beni confiscati da parte degli Enti Locali – sono le conclusioni di Libera – dobbiamo necessariamente prendere atto di come ci sia ancora tanto lavoro da fare per raggiungere un quadro almeno di sufficienza e avere a disposizione dati soddisfacenti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo Ecco perché abbiamo detto “rimanDati”. L’esito di questo “esame” cui abbiamo sottoposto i comuni ci impone di fare come per gli studenti e le studentesse che non riescono a superare a pieni voti l’anno scolastico e che, per questo, vengono “rimandati a settembre”». (rrm)