Beni confiscati alla ‘ndrangheta e al malaffare: ci sono, solo in Calabria, 2884 immobili da destinare a utilizzi sociali, ma la loro assegnazione è ritardata dalla mancanza di informazioni adeguate per l’inadempienza di gran parte dei Comuni interessati. Lo rivela RimanDati, il primo report nazionale di Libera sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali, promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. In Calabria – secondo i dati di Libera – di 139 Comuni, 88 non pubblicano l’elenco e informazioni sul loro sito internet, e cioè il 63%.
«Il Report di Libera (il monitoraggio ha avuto inizio nel mese di maggio 2020 e si è chiuso il 31 ottobre 2020) – si legge sul sito – vuole accendere una luce sulla carente trasparenza e mancata pubblicazione dei dati dei comuni italiani in merito ai dati sui beni confiscati che insistono nei loro territori perché sono proprio i comuni ad avere la più diffusa responsabilità di promuovere il riutilizzo dei patrimoni. La base di partenza del lavoro di monitoraggio coincide con il totale dei comuni italiani al cui patrimonio indisponibile sono stati “destinati”i beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali. Il primo dato ricavato dal lavoro di monitoraggio è quello più immediato, e risponde alla semplice domanda: quanti comuni italiani destinatari di beni immobili confiscati pubblicano l’elenco sul loro sito internet, così come previsto dalla legge?».
E in Calabria, se 88 Comuni sono inadempienti, 51 (49,4%), invece, pubblicano l’elenco, e Reggio Calabria, nel focus dedicato ad alcuni capoluoghi, ottiene un buon punteggio: 65,22%.
«Il caso del Comune di Reggio Calabria – si legge nel report – è molto interessante. L’Ente, infatti, si è dotato di un portale dedicato specificamente ai beni comuni e confiscati, dove è presente l’elenco – navigabile anche attraverso alcuni filtri – di tutti gli immobili confiscati e trasferiti al patrimonio comunale. Non è però possibile in alcun modo scaricarlo e dunque è da intendersi in formato chiuso».
«Nella tabella generale – prosegue il report – sono presenti molte informazioni di dettaglio su dati catastali, ubicazione, tipologia, decreti di destinazione, oltre ad alcune notizie sulla destinazione e la consegna. Cliccando sui singoli beni, si accede inoltre a singole pagine dedicate nelle quali sono specificate altre e più dettagliate informazioni (come, ad esempio, quelle sullo stato attuale dell’utilizzazione) e, in alcuni casi, anche con planimetrie e foto». Non è, però, possibile in alcun modo scaricare i dati.
«In linea generale – conclude il Report – il portale costituisce davvero uno strumento prezioso di informazione, che andrebbe però implementato con la possibilità di scaricare i dati in formato aperto. Nei casi di beni assegnati ad associazioni, inoltre, non è possibile individuare la ragione sociale del soggetto assegnatario. Nel 2012, l’Ente si è dotato di un Regolamento per la concessione in uso dei beni immobili confiscati alla ‘ndrangheta».
Il report – ha commentato Davide Pati, vicepresidente nazionale di Libera – analizza l’operato dei comuni e ad essi si rivolge: sono loro gli enti più prossimi al territorio e il primo fronte per l’esercizio della cittadinanza; potenziare le loro effettive capacità di restituzione alla collettività del patrimonio sottratto alla criminalità non va inteso solo come l’adempimento di un onere amministrativo, ma come un’opportunità di “buon governo” del territorio. Quando riconsegnati alle autonomie locali, i beni confiscati alle mafie rappresentano una questione eminentemente politica e per deciderne efficacemente il destino occorre favorire forme innovative di organizzazione sociale, economica e istituzionale ispirate ai principi della pubblica utilità e del bene comune. Se questo è vero, ne discende che la conoscibilità e la piena fruibilità dei dati, delle notizie e delle informazioni sui patrimoni confiscati non possono che essere a loro volta considerati elementi di primaria importanza».
«Ecco – ha concluso Davide Pati – perché insistiamo nel ritenere che la trasparenza, anche in questo ambito, debba e possa essere considerata anch’essa un bene comune, in ciò confortati dalle previsioni normative del Codice Antimafia, che impongono agli Enti Locali di mettere a disposizione di tutte e di tutti i dati sui beni confiscati trasferiti al loro patrimonio, pubblicandoli in un apposito e specifico elenco. Una previsione ulteriormente rafforzata dalla legge di riforma del Codice, che, nel 2017, ha introdotto la responsabilità dirigenziale in capo ai comuni inadempienti. RimanDati I è un forte richiamo alla necessità di dare priorità all’azione culturale della trasparenza: chiediamo, infatti, che i beni confiscati diventino sempre di più strumenti di partecipazione democratica e di coesione territoriale. Le esperienze di informazione, formazione ed accompagnamento territoriale hanno reso evidente l’importanza di attivare percorsi di progettazione partecipata e di monitoraggio civico, attraverso il coinvolgimento dei cittadini e delle realtà sociali».
«Quando parliamo di trasparenza delle informazioni sui beni confiscati da parte degli Enti Locali – sono le conclusioni di Libera – dobbiamo necessariamente prendere atto di come ci sia ancora tanto lavoro da fare per raggiungere un quadro almeno di sufficienza e avere a disposizione dati soddisfacenti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo Ecco perché abbiamo detto “rimanDati”. L’esito di questo “esame” cui abbiamo sottoposto i comuni ci impone di fare come per gli studenti e le studentesse che non riescono a superare a pieni voti l’anno scolastico e che, per questo, vengono “rimandati a settembre”». (rrm)