di PINO NANO – Bellissima. Altera. Autorevole. Influente. Profondamente fiera di sé stessa. Severa. Intelligente. Severa prima di tutto con sé stessa. Aperta al dialogo più di quanto lei stessa non avesse mai immaginato di poterlo essere. Statuaria, con questo suo portamento regale, sempre elegantissima. Ricercata e avvolgente, una star. Quasi una regina. Impossibile non vederla. Impossibile non accorgersi di lei. Impossibile che passasse inosservata. Jole emanava un carisma tutto suo, con questi occhi grandi e scuri, e questo suo sorriso sempre pronto ad accoglierti.
L’ultima volta che l’avevo vista era stato qui a Roma, davanti al bar Giolitti, lei stava entrando in aula a Montecitorio, erano pochi mesi prima che morisse. Sapevo che stava male, ma lei minimizzava sempre. Era come se il cancro che l’aveva aggredita riguardasse più gli altri che non lei, e quando le chiedevi del suo stato di salute tirava dritto come un treno in corsa “Bene, non lo vedi?”.
E quando il direttore di Calabria Live ieri mi ha chiamato per chiedermi un ricordo del Primo Presidente donna della Regione Calabria la mia mente è tornata indietro nel tempo, a quando un anno fa mi capitò di vedere in televisione una delle interviste più belle e più complete che Jole abbia mai rilasciato ad un cronista.
Vi invito a guardarla se non l’avete già vista, o a rivederla se invece l’avete già vista, e di farlo oggi che Jole non c’è più, ad un anno esatto dalla sua morte, perché dentro c’è lei tutta intera.
In quell’intervista c’è il suo cuore e la sua anima, c’è la sua profonda solitudine e la voglia quasi disperata e ossessiva di rendere onore alla sua terra natale, c’è il suo charme e la sua vita, ci sono le sue debolezze e c’è la magia della sua casa, i ricordi dell’infanzia, gli anni del liceo, i primi esami all’università, la dolcezza della sua mamma che l’aveva educata alla lettura, la passione per il diritto, l’amore dichiarato per i suoi nipoti, l’esaltazione della famiglia come cuore del mondo, e infine il grande sogno della sua vita, che forse rimarrà irrealizzabile per sempre, ma lei ci credeva così tanto da averci convinto che alla fine la Calabria sarebbe davvero cambiata.
E quando il direttore di Teleuropa Network, Attilio Sabato, prova a stuzzicarla per carpirle il segreto forse più intimo della sua vita, e che in quel momento, 15 gennaio 2020, era il cancro che non le dava pace da tempo e che la costringeva a interminabili pause di silenzio e di dolore fisico, lei risponde rispolverando sorridendo il titolo di un saggio appena letto, Il danno, di Josephine Hart: “Le persone danneggiate sono pericolose, perché sanno di poter sopravvivere”.
Era convinta di farcela Jole, fino alla fine, e invece il cancro ha avuto la meglio su di lei. Lei se ne è andata nel cuore della notte del 15 ottobre di un anno fa in assoluto silenzio, rispettando il rigore delle sue abitudini e la discrezione della sua casa natale, quasi non volesse disturbare nessuno nel momento più difficile della sua giovane esistenza. Una maledizione.
Una tragedia privata che diventa nel giro di poche ora una tragedia pubblica. A piangere la sua scomparsa non c’è solo la Calabria, ma c’è il Paese intero, e non c’è televisione straniera che quel giorno non dia la notizia della sua morte. “Come mai?”, si chiesero in molti. Ma perché Jole Santelli era diventata ormai una icona della Calabria moderna, un vessillo della nuova rivoluzione culturale di questa terra, l’emblema del riscatto di un popolo disperato e schiavo di anni di prepotenze, raggiri, calunnie, tradimenti, latitanze istituzionali di ogni genere.
È inquietante la risposta che Jole dà sulla Calabria ad Attilio Sabato. «La Calabria che conosco è quella che ci raccontano gli analisti e i numeri con cui ci dobbiamo confrontare ci dicono che oggi ci sono 300 mila disoccupati a cui pensare».
Ma se ne può uscire? «Assolutamente sì, basta ricordarsi di loro e lavorare per rendere migliore la loro condizione di vita». Ma basterà da sola Jole Santelli? «Sono capricorno, e poi calabrese, e se mi fisso su una cosa è dura farmi cambiare strada». Poi Jole si ferma un attimo, sorseggia un caffè che le hanno appena portato, e riprende da dove era rimasta.
«La Calabria è terra di diritti negati, è terra dei privilegi, è terra che ha forte bisogno di legalità».
Ma se lo aspettava Jole Santelli che un giorno sarebbe diventata il Primo Presidente donna della Regione in Calabria? «Assolutamente no – risponde – Non solo non me lo sarei mai aspettato, ma non ci avevo mai pensato prima. In questo sono rimasta donna fino in fondo, e come donna ho sempre immaginato di poter fare bene la spalla di qualcuno, non la protagonista. Sono figlia di una cultura che ha sempre pensato alle donne leggermente un passo indietro».
Ma questa è una regione che ha bisogno di decisioni importanti, non crede?
«Io sono una decisionista. Se sono convinta di dover fare una cosa lo decido e basta. E lo decido da sola se è necessario. Questa terra è oppressa da troppe mediazioni e da troppe spinte trasversali».
Hai mai pensato di rifiutare quando ti hanno chiesto di diventare Presidente della Regione?
«Sarebbe stato un atto di codardia tirarsi indietro». Ma le prime resistenze negative Jole le trova in casa, il suo primo scontro lo ha con le sorelle amatissime, che adora più di ogni altra cosa al mondo. “Ma sei pazza? Lo sai dove ti vai a ficcare?”.
Donna meravigliosamente altera fino in fondo, consapevole ma sprezzante di ogni forma di paura, nemica giurata dei mille tentacoli della criminalità organizzata, Jole racconta un dettaglio inedito della storia politica italiana, lo fa alla sua maniera, storcendo leggermente il labbro superiore, con il piglio della guerriera: «In Parlamento ho fatto votare il 41 bis, l’ho portato in aula, perché tutti avevano paura di farlo». Soddisfatta? «Non del tutto. Il sistema giustizia impone al Paese una riforma generale, che va fatta con urgenza, troppe cose funzionano ancora molto male».
Cos’è – le chiede Attilio Sabato dandole del tu in diretta – la cosa che più ti manca oggi che sei arrivata a coronare questo progetto? E lei, di rimando «I miei genitori. Mio padre, mia madre, che non ci sono più». La cosa più bella che invece la vita ti ha regalato? «I miei nipoti. Torno a casa, me li trovo intorno ed è bellissimo stare insieme con loro».
Solare e più bella che mai la risposta alla domanda sulla politica.
“Cosa ti ha dato la politica?”, e lei diretta alla telecamera con uno sguardo felino risponde: «La vita. Oggi vengo pagata per esercitare una passione. Non si può chiedere di più alla vita. Non credi?».
Ma come era la Jole degli anni del Liceo al Telesio di Cosenza? «Pesantissima, quasi insopportabile. La Jole che vedete oggi è molto più leggera». Non solo altera e superba nel portamento, ma anche profondamente leale con sé stessa davanti alla telecamera che le scava la fronte e dalla fronte scende sulle mani per carpirne forse un istante di indecisione o di smarrimento. Nulla di tutto questo. La risposta sui maestri che in politica l’hanno profondamente segnata è netta, categorica, senza nessuna mediazione immaginabile.
«In politica da ragazza ammiravo Giacomo Mancini. Poi dopo di lui il mio vero maestro è stato il professor Marcello Pera. Pera non mi ha insegnato a fare politica, mi ha insegnato a pensare, a riflettere, il metodo del pensiero, quello che fino a un certo punto aveva fatto con me mia madre. Poi è arrivato lui, e ha preso il posto di mamma».
E Silvio Berlusconi? Jole apre le braccia in segno di resa e confessa pubblicamente la sua ammirazione per l’ex Presidente del Consiglio: «Berlusconi mi ha dato l’entusiasmo, mi ha trasmesso la capacità creativa, mi ha inculcato la forza di pensare che ho sempre qualcosa da fare».
Ma non è tutto. La grande vera forza di Silvio Berlusconi per Jole rimane la «grandissima umanità che trasuda dalla sua vita. È un uomo che crede fortemente nei rapporti umani, e per me è stato fondamentale il suo insegnamento».
Cosa si porta nel cuore di tanti anni di vita politica il Primo Presidente donna della Regione Calabria? Nessun dubbio, nessuna esitazione di sorta neanche qui e ricorda i festeggiamenti per il decennale della morte di Giovanni Falcone al Ministero di Grazia e Giustizia a Largo Arenula.
«Quando io sono arrivata a Largo Arenula Giovanni Falcone era considerato semplicemente un magistrato ucciso dalla mafia. Ma in realtà Giovanni era molto di più. Era uno dei vertici dello Stato morto per mafia. Ricordo che ho fatto realizzare questo grande scudo greco in suo onore e in suo ricordo e che oggi è sistemato all’entrata del ministero. Un emozione immensa per me».
«Ma un’altra emozione simile la ricordo legata alla Calabria, alla inaugurazione del Teatro di Cetraro, quando sono entrata per la prima volta in questo teatro realizzato con il Pon Sicurezza. Giornata indimenticabile anche quella».
Io ricordo invece uno dei nostri tanti incontri a Roma proprio davanti alla Camera, lei già ammalata, mi confessò di aver convinto Nicola Gratteri a presiedere un dibattito sulla sicurezza al Senato, da lei fortemente voluto, e mi disse «Solo un magistrato così attento, soprattutto così libero e coraggioso come lui può aiutare molto la Calabria a crescere. Non va lasciato solo».
E quel giorno in Senato, eravamo nella Sala Koch che ospita la biblioteca di Palazzo Madama, Jole, seduta accanto al procuratore Nicola Gratteri, sembrava davvero la donna più felice della terra.
La vera forza di Jole era quella di credere in alcune cose fondamentali che aveva ereditato dalla vecchia politica, prima di tutto nel lavoro di squadra, nei rapporti interpersonali, nel rispetto dei bisogni, nel sacrificio ad ogni costo, nel saper fare un passo indietro quando era necessario farlo, nell’impegno quotidiano, la politica come passione e come fatica fisica, in giro per la Calabria giorno e notte, niente feste, niente pause, niente distrazioni alternative, la politica come forma ossessiva di vita, e nel rifiuto totale dell’invidia che “Non ho mai saputo cosa fosse”, nell’esaltazione dell’amicizia “Fino a prova contraria”, nel tenere il più lontano possibile dalla sua vita il sentimento dell’ipocrisia.
«Tanta gente intorno a me? Si fa l’abitudine anche a questo, ma guai a tentare di prendermi in giro dicendomi che sono la più brava». E se un giorno Jole Santelli dovesse rendersi conto di aver sbagliato? «Torno indietro e riprendo da dove ho sbagliato».
La cosa che da Presidente di Regione invece più la terrorizzava era il senso di inadeguatezza che spesso avvertiva per il ruolo che ricopriva, ma Jole non si è mai fermata un attimo. Sembrava dovesse vivere in eterno, e sembrava che il cancro non appartenesse alla sua agenda quotidiana. Forse era un modo per esorcizzare la malattia, forse questo l’aiutava a dimenticare le sofferenze della notte.
Ha mai avvertito nausea per la politica? Solo lei aveva il coraggio e forse anche la libertà di dire quello che pensava e lo faceva senza remore, sempre e dovunque: «A volte sì, la politica mi ha anche provocato nausea. Soprattutto gli ultimi anni in parlamento, quando sono arrivati i nuovi inquilini del palazzo, assolutamente inadeguati e incapaci di confrontarsi con gli uomini del passato, politici e uomini di governo di grande spessore culturale e giuridico».
Come soluzione a questo gap Jole immaginava una vera e propria scuola di formazione politica: «La politica non si improvvisa. La politica si studia, si imparano delle cose, si guardano gli altri e soprattutto, per fare politica è essenziale studiare la storia».
“I have a dream“, 58 anni dopo la morte di Martin Luther King, Jole la passionaria, Jole la guerriera, Jole l’alchimista, Jole Santelli Primo Presidente della Storia della Regione Calabria, prima di prepararsi al lungo viaggio verso la sua nuova vita, trova ancora il tempo e il coraggio di immaginare la Calabria che vorrebbe.
«Questa terra ci consegna ortografie diverse e quindi culture diverse e lontane tra di loro. Dobbiamo essere capaci di riunire insieme le mille identità di questa regione, che oggi sembra un caleidoscopio, ma forse il vero valore della Calabria è proprio questa sua diversità. E dobbiamo muoverci senza compromessi, senza paura, senza mediazioni, con forza e con amore verso quelli che non hanno voce, e qui quelli che non hanno voce sono ancora tanti».
Era questo il grande sogno segreto di Jole, un sogno che riempiva la sua vita quanto lo faceva la malinconia e il senso di solitudine che trasparivano continuamente dai suoi occhi grandi e neri. Il cancro? Non aveva mai tempo Jole per pensarci o per parlarne, e questo forse le ha permesso di lavorare al progetto che aveva in testa fino all’ultimo giorno di impegno politico. Poi all’improvviso è arrivato il buio, è calata la notte e Jole è volata in cielo per sempre. Senza dir nulla a nessuno. Senza avvertire neanche i suoi amici più cari.
Era il 15 ottobre di un anno fa, eppure lei è ancora qui tra di noi, prepotentemente, e sempre più bella di prima. (pn)