LA CALABRIA, NON È UNA REGIONE PER LE
DONNE, TRA DIVARIO E DISOCCUPAZIONE

di MARIAELENA SENESE e  ANNA COMI Per fare uscire le donne dal limbo lavorativo nel quale si trovano è necessario promuovere la stabilità lavorativa e sostenere la conciliazione fra vita e lavoro. Le donne in Calabria sembrano condannate a svolgere lavori precari e discontinui. Quello che serve invece, è una regione più forte ed inclusiva e per raggiungere questo risultato tutto passa, inevitabilmente, dalla compiuta parità di genere.

Per favorire la crescita di quella giustizia sociale così difficile da raggiungere per le donne calabresi, siamo pronti a proporre un’agenda di interventi mirati per affrontare queste disparità e promuovere una Calabria più equa e competitiva.

In Calabria, meno di 1 donna su 3 in età lavorativa ha un’occupazione regolare. Il tasso di occupazione femminile è stabilmente inferiore al 35%, contro una media nazionale che si attesta intorno al 50%, e ben distante dai valori europei che superano il 60%. Questo dato colloca la Calabria tra le regioni peggiori in Europa in termini di inclusione femminile nel mercato del lavoro.

Per questo chiediamo misure concrete per abbattere le barriere di genere e creare un mercato del lavoro più in linea con quello europeo, quali: incentivi fiscali per l’assunzione di donne che si concretizzino in agevolazioni fiscali e sgravi contributivi per le imprese che assumono donne, specialmente nelle aree rurali e nei settori dove le disparità di genere sono più marcate.

In Calabria, la maggioranza dei contratti femminili è a termine o part-time involontario. Le donne calabresi, più degli uomini, sono costrette ad accettare occupazioni a tempo ridotto non per scelta, ma per mancanza di alternative a tempo pieno. Questo fenomeno accentua la fragilità economica femminile, riduce la possibilità di accumulare contributi per la pensione e amplia il divario di reddito tra uomini e donne. E quando le donne calabresi riescono a trovare un’occupazione, i loro salari sono mediamente inferiori di circa il 30% rispetto ai colleghi uomini.

Oltre alle difficoltà di accesso e permanenza nel mercato del lavoro, sulle donne calabresi grava quasi esclusivamente il peso del lavoro di cura familiare, che continua a essere invisibile dal punto di vista economico e previdenziale. Oltre il 70% delle donne calabresi inattive dichiara di non poter cercare lavoro a causa di impegni familiari e di cura.

Per superare questo divario allarmante e insopportabile, poi, è opportuno il sostegno concreto alla conciliazione vita-lavoro che può essere ricercato solo attraverso l’ampliamento della rete di servizi di supporto per le famiglie e voucher per l’assistenza privata, con l’incentivazione del telelavoro e della flessibilità oraria per le dipendenti madri, offrendo vantaggi alle aziende che adottano queste misure, per rendere il lavoro femminile più compatibile con le esigenze familiari.

Come sarebbe importante sostenere la concretizzazione, lavorativa e previdenziale, della figura del caregiver. La Regione deve investire nell’espansione e nel potenziamento dei servizi di Assistenza domiciliare integrata, garantendo un maggiore accesso a professionisti sanitari a domicilio, in modo da supportare i caregiver nella gestione di malattie croniche e nella somministrazione di terapie; servizi di sollievo, che prevedano l’intervento di assistenti sociali o operatori sociosanitari per alcune ore al giorno o alla settimana, in modo da permettere ai caregiver di avere del tempo libero per sé. La riforma del welfare regionale deve passare anche da qui: dal riconoscimento e dal sostegno a chi si prende cura dei più fragili.

Senza dimenticare la necessità di accelerare la realizzazione di nuovi asili nido, al fine di allineare la Calabria alla disponibilità di posti della media nazionale. Dobbiamo ricordare che nella nostra regione meno di un comune su 5 offre il servizio, a fronte di una media nazionale del 59,3% molto al di sotto della media nazionale che è pari al 27,2% e dell’obiettivo del 33% stabilito in sede Ue, e che il Pnrr stanzia una enorme mole di investimenti per gli asili nido e le scuole per l’infanzia.

Sarebbe determinante potenziare il sistema di welfare regionale, attraverso contributi aggiuntivi per le famiglie e sostegno economico alle lavoratrici, in modo da ridurre il rischio di ritiro dal mercato del lavoro per ragioni economiche.

Così come, infine, sarebbe decisivo promuovere finanziamenti e microcredito per l’imprenditoria femminile, per sostenere le donne che desiderano avviare nuove attività, soprattutto in settori tradizionali e innovativi, come il turismo e l’artigianato, capaci di svincolare le donne da quegli ambiti, come la cura delle persone o la scuola, che ne hanno storicamente contraddistinto l’impegno lavorativo. La parità di genere non è solo una questione di giustizia, ma un motore per la crescita economica e sociale della Calabria. Offrire pari opportunità alle donne significa costruire una Calabria più forte, inclusiva e innovativa. (ac e ms)

[Mariaelena Senese e Anna Comi sono rispettivamente segretaria generale Uil Calabria e Responsabile Coordinamento pari opportunità
Uil Calabria]

LA CALABRIA HA LE CARTE IN REGOLA PER
CREARE UNA SILICON VALLEY DEL SOCIALE

di FRANCESCO RAOLa regione Calabria, nel compiere il complesso percorso di crescita strutturale, porta con sé, oltre ai segni di una economica fragile un marcato invecchiamento della popolazione.

Osservando la piramide dell’età (figura n. 1), si rileva ad occhio nudo l’importante sfida da affrontare per poter garantire un sistema di welfare in grado di rispondere in modo adeguato alle crescenti esigenze assistenziali di anziani e bambini. In tal senso, il ruolo svolto dai Piani di Zona e tutte le politiche sociali messe in campo dalla regione Calabria, incontrano oggi il ritardo accumulato a seguito del mancato recepimento dell’allora Legge 328/2000, ma potranno rappresentare una importantissima svolta e recuperare strada grazie al supporto fornito dalla sentenza n. 130/2020 della Corte Costituzionale attraverso la quale si è aperta la procedura di co-progettazione tra Enti Locali e Terzo Settore per l’erogazione di servizi sociali avanzati e di prossimità.

Il contesto demografico ed economico della Calabria gioca un ruolo fondamentale, anche perché, nel corso degli ultimi decenni, la regione ha vissuto il progressivo invecchiamento della popolazione, accompagnato tra l’altro da un declino del tasso di natalità e da un fenomeno migratorio che ha portato alla dispersione dei giovani verso aree economicamente più dinamiche dell’Europa e del mondo. I recenti dati Istat evidenziano che la percentuale di anziani nella regione supera quella della media nazionale, incidendo significativamente sulla capacità del sistema assistenziale nel fornire servizi adeguati.

Questa situazione è rilevata in un contesto sociale nel quale le persistenti difficoltà occupazionali determinano un reddito pro capite per i Calabresi che è pari ad un terzo dei residenti in Lombardia. Già questo dato dovrebbe far riflettere molto quanti pensano che sia semplice risolvere nel brevissimo periodo le evidenti criticità afferenti alla sanità e alle politiche sociali. Da un punto di vista storico, il nostro modello di solidarietà sociale, consolidato nel dopoguerra e ulteriormente sviluppato attraverso normative quali lo Statuto dei Lavoratori del 1970, si fondava su principi di solidarietà e protezione universale, attraverso un sistema nazionale.

Successivamente, con la modifica del Titolo V della Costituzione, le competenze sono state trasferite alle regioni e in ognuna di esse vi è stata la possibilità di rilevare nel tempo i punti di forza e punti di debolezza per i quali oggi, nel Meridione, grazie al Pnrr, si sta lavorando con l’intento di ridurre il divario dei servizi tra Nord e Sud. Ulrich Beck, noto sociologo che ha teorizzato la “società del rischio”, ha più volte sottolineato come il mondo contemporaneo sia dominato da rischi diffusi e incertezze strutturali, richiedendo come azione solutiva risposte collettive e sistemiche. In tal senso, la cooperazione tra Enti Locali e Terzo settore, rappresenta il superamento praticabile al tradizionale modello assistenziale non più sostenibile in quanto le necessità bisogna affrontarle nei rispettivi territori e non in pochi centri destinati ad essere iper-affollati e non funzionali.

Inoltre, per affrontare in modo strutturale la necessità presenti sui territori della Calabria, occorrono competenze e processi occupazionali veloci. Nel rispetto delle vigenti leggi ed in particolare della Legge “Madia”, sappiamo benissimo che l’accesso alla Pubblica Amministrazione avviene solo tramite concorso pubblico e non per chiamata diretta. Considerato come prioritario il fabbisogno e il divario tra le aspettative di una società in rapido invecchiamento e le risorse effettivamente disponibili nelle regioni economicamente deboli come la Calabria, l’unica strada percorribile è quella di superare i modelli ingessati e aprire alla co-progettazione, interessando il segmento sano e competente del Terzo Settore presente in Calabria e grazie ad esso generare immediate risposte in tutti i 404 comuni della regione.

In tal senso, nella criticità ci sarà una opportunità straordinaria che consentirà il perseguimento del bene sociale. Ecco perché la Calabria, con la sua realtà complessa, può dar vita ad una “Silcon Valley del sociale”, attraverso la creazione di una cabina di regia operativa nella quale le competenze potranno essere fornite dall’apporto delle Università, dal sistema del Welfare regionale e dal Terzo Settore. 

Gli ambiti ai quali rivolgere la massima attenzione dovrebbero essere innanzitutto gli asili nido e le strutture residenziali per anziani e l’avvio delle procedure dovrebbe interessare inizialmente le aree interne per giungere poi all’uniformità regionale del servizio.

La Calabria, in tal senso, potrebbe configurarsi come un esempio nazionale concreto attraverso il quale le difficoltà che caratterizzano gli odierni contesti marginali potrebbero generare contemporaneamente occupazione di personale specializzato e superamento della povertà sociale vissuta in prima persona da anziani e bambini e riflessa nella conciliazione dei tempi liberi e di lavoro soprattutto di tante donne calabresi, dedite ancora ad assistere in casa genitori e figli per mancanza di strutture pubbliche. Inoltre, si potrebbe immediatamente rilevare una riduzione di presenze presso gli ospedali, in quanto a regime si potrebbe immaginare l’estensione di molti protocolli di cura da praticare a domicilio attraverso una medicina di prossimità.

La regione Calabria, per molto tempo, ha sofferto di una carenza cronica di investimenti pubblici ma tutto ciò. Non dovrà essere il prosieguo di una narrazione negativa. Da tale causa, senza voler dare colpa alcuna ai privati, abbiamo assistito alla costante obsolescenza delle infrastrutture sociosanitarie e dei rispettivi servizi resi, spesso dislocate in maniera disomogenea sul territorio e oggi, recuperare quel divario, è una autentica sfida titanica al quale bisogna guardare l’obiettivo con fiducia e con un metodo ben preciso.

I rapporti Svimez, nel corso degli anni, hanno puntualmente sottolineato l’incidenza della disoccupazione rispetto al Centro-Nord, evidenziando di volta in volta un divario sostanziale nella capacità di offrire servizi assistenziali di qualità. Inoltre, il fenomeno della “fuga di cervelli”, come documentato dal Censis, ha ulteriormente impoverito il capitale umano locale, indebolendo le potenzialità di innovazione e rigenerazione del sistema di welfare.

In un simile contesto, il ruolo della famiglia e delle reti comunitarie, in passato fondamentali per la coesione sociale, risulta spesso insufficiente a compensare le lacune del sistema pubblico. Alla luce delle evidenti criticità, è imprescindibile un intervento multilivello finalizzato a rinnovare il modello di welfare in Calabria. Perciò è necessaria una revisione degli investimenti nel settore sanitario e nei servizi sociali, con particolare attenzione alle aree rurali e alle periferie. L’integrazione di tecnologie digitali, quali la telemedicina e l’assistenza domiciliare, potrebbe migliorare significativamente l’efficienza e la capillarità dei servizi, riducendo i costi e garantendo una maggiore accessibilità.

L’esperienza di altri Paesi europei, i quali dopo aver adottato modelli di welfare integrato e partecipativo, rappresentano oggi un punto di riferimento importante. È altresì fondamentale promuovere politiche di decentralizzazione e maggior autonomia gestionale per le amministrazioni locali, in modo da personalizzare gli interventi in base alle specificità territoriali.

Richiamando quanto scrisse Anthony Giddens in “Modernity and Self-Identity”, proprio da quel testo si potrebbe intravedere il metodo da applicare alla realtà calabrese per superare le criticità evidenti e, come già detto, creare importanti occasioni occupazionali. In questa ottica, le politiche di welfare dovranno essere concepite non solo come strumenti di protezione, ma anche come leve per rafforzare il tessuto sociale e promuovere la partecipazione attiva dei cittadini.

La grande trasformazione in atto richiede un intervento strutturale che integri investimenti mirati, innovazione tecnologica, competenze e una rinnovata partecipazione civile. Solo attraverso un approccio integrato e multidimensionale sarà possibile superare le attuali criticità e garantire, anche nei territori più deboli, un welfare state sostenibile, inclusivo e capace di tutelare la dignità di ogni cittadino.

Ripartire dagli Uffici di Piano, attraverso una valorizzazione dell’importantissimo lavoro svolto sino ad ora e prevedendo una maggiore sinergia formativa potrà sicuramente segnare l’avvio di un percorso virtuoso attraverso il quale la co-progettazione potrà esprimere qualità, professionalità e soprattutto restituirà la dignità a moltissime persone, ricordandoci che tra essi ci sono anche i nostri genitori. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto cattedra di sociologia generale – Università “Tor Vergata” Roma]

I GIOVANI, LA PRECARIETÀ E IL RIFIUTO DEL
POSTO FISSO: UNA SFIDA PER LA CALABRIA

di FRANCESCO RAONegli ultimi decenni, il concetto di “posto fisso” – da sempre simbolo di sicurezza economica e stabilità sociale – ha subito una radicale trasformazione. In una società in continuo mutamento, anche i Millennials del Meridione, hanno posto un approccio differente al paradigma tradizionale riconducibile all’impiego stabile, adottando una visione del lavoro più fluida e dinamica.

Il modello del posto fisso, radicato nell’Italia del dopoguerra, era strettamente legato a una concezione di società caratterizzata da una forte divisione del lavoro, da una gerarchia ben definita e da norme sociali che garantivano l’inclusione e la solidarietà. Le riforme come lo Statuto dei Lavoratori del 1970 e le norme contrattuali consolidavano il legame tra individuo e istituzione, promuovendo un modello di fedeltà aziendale e sicurezza previdenziale. Con l’avvento della globalizzazione, della digitalizzazione e delle trasformazioni tecnologiche, autori come Ulrich Beck hanno descritto la nascita della “società del rischio”, in cui le tradizionali garanzie diventano sempre più fragili. In tale contesto, la progressiva erosione del modello industriale ha fatto emergere una realtà caratterizzata da contratti precari e forme di lavoro atipiche, in cui il rischio diventa una componente intrinseca della vita professionale e al contempo tale instabilità, si è diffusa nel tessuto sociale generando precarietà e marginalità sociale. Anche per buona parte dei Millennials calabresi, l’approccio al lavoro assume una identità diversa rispetto al passato.

La nuova etica del lavoro non è più solo una questione economica, ma rappresenta anche un percorso di autodefinizione e realizzazione personale. Da un punto di vista sociologico, grazie al pensiero di Anthony Giddens sulla “riflessività della modernità”, comprendiamo perché i giovani contemporanei sono chiamati a rinegoziare il significato del lavoro in un contesto in cui la tradizionale identità professionale si dissolve a favore di una molteplicità di esperienze e ruoli. In Calabria, il tessuto economico è stato storicamente segnato da instabilità e disuguaglianze e l’adozione di modelli flessibili – come il lavoro freelance, lo smart working e l’autoimprenditorialità – risponde a un doppio imperativo: cercare autonomia e superare le limitazioni di un mercato del lavoro che, come evidenziato da dati Istat (2023), registra un aumento del 40% dei contratti a termine negli ultimi dieci anni.

La carenza di tutele sociali, la difficoltà di accesso al credito per l’autoimprenditorialità e le infrastrutture digitali insufficienti in Calabria rappresentano sfide significative e prioritarie. La lettura sociologica del fenomeno evidenzia come il processo di individualizzazione – caratteristico della modernità tardiva – possa generare un aumento del senso di precarietà e isolamento, se non accompagnato da politiche pubbliche in grado di garantire una rete di sicurezza adeguata. Come già anticipato, il contesto socioeconomico del Sud Italia presenta peculiarità che incidono profondamente sulle scelte dei giovani.

Secondo il recente rapporto Svimez, il tasso di occupazione nel Meridione è inferiore di circa 20 punti percentuali rispetto al Centro-Nord, mentre in Calabria la prevalenza di contratti precari e il lavoro informale sono ormai all’ordine del giorno. Queste condizioni hanno contribuito a creare una “cultura della fuga”.

Il Censis nel 2022 prevedeva che tra il 2000 e il 2020 oltre 500.000 giovani lasceranno il Sud in cerca di opportunità, ponendo lo sguardo all’indietro, quello studio era veritiero e oggi, in mancanza di riforme strutturali e concretezza, si rischia di compiere il secondo atto alimentando ulteriormente la “fuga di cervelli”.

Queste dinamiche orientano la profonda trasformazione culturale in atto nella quale il lavoro diventa uno strumento per esprimere la propria identità e non pià un mezzo per garantire la sussistenza e la progettualità del futuro. Tale dinamica, attraverso le scienze sociali, può essere letta come un processo di disaffezione dalle istituzioni e dalla tradizione, in cui la mancanza di investimenti in infrastrutture digitali e la debolezza del tessuto imprenditoriale locale spingono i giovani a cercare identità e opportunità altrove.

La teoria della “società liquida” di Zygmunt Bauman, oltre a descrivere un mondo in cui le strutture sociali sono in costante divenire e l’incertezza è una normalità, trova una perfetta applicazione in questo contesto ma trascura l’evidente segno di malessere delle generazioni anziane, sempre più sole e soprattutto esposte ad un sistema di istituzioni digitali con le quali, il digital divide, non consente il dialogo.

L’evoluzione del mondo del lavoro e il rifiuto del posto fisso da parte dei giovani del Meridione costituiscono una sfida complessa che richiede una riflessione multidimensionale. Se da un lato il modello tradizionale si dimostra ormai inadatto a una società in rapido cambiamento, dall’altro l’assenza di un adeguato supporto strutturale rischia di tradurre la flessibilità in ulteriore precarietà.

Le teorie sociologiche contemporanee ci invitano a considerare il lavoro non solo come una dimensione economica, ma anche come uno spazio di identità, appartenenza e trasformazione sociale. La sfida per il futuro sarà quella di coniugare innovazione e stabilità, promuovendo politiche che incentivino l’autoimprenditorialità e investimenti nelle infrastrutture digitali, senza dimenticare l’importanza di una tutela sociale che risponda alle nuove dinamiche del mercato.

In definitiva, il fenomeno osservato nel Meridione non rappresenta un semplice capovolgimento delle logiche occupazionali, ma una profonda trasformazione del modo in cui le nuove generazioni concepiscono il proprio futuro e il loro ruolo nella società. Solo attraverso una comprensione integrata di queste dinamiche sarà possibile costruire un modello di sviluppo che valorizzi la flessibilità senza sacrificare la sicurezza e l’inclusione sociale. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto cattedra di sociologia generale – Università “Tor Vergata” Roma]

IN CALABRIA SI VA IN PENSIONE SEMPRE PIÙ
TARDI E SEMPRE PIÙ POVERI: È ALLARME

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria si va in pensione sempre più tardi e sempre più poveri. È l’allarme lanciato dallo Spi Cgil Calabria, evidenziando come «la prospettiva è una regione di anziani, con difficoltà a potersi occupare della propria salute, molti dei quali senza riferimenti familiari, vista la sempre più gravosa emigrazione giovanile».

Un quadro non confortante, ma già ben chiaro quando, a novembre, era stato presentato il Rendiconto sociale 2023 dell’Inps a Catanzaro: «il quadro demografico conferma un progressivo invecchiamento: gli over 65 rappresentano il 23,9% della popolazione regionale, pari a quasi un abitante su quattro. Il saldo naturale, tra nascite e decessi, continua a essere negativo, in linea con le tendenze nazionali, ma aggravato da un’emigrazione significativa, soprattutto giovanile».

A questo invecchiamento, si accompagnano dei dati sul lavoro preoccupanti: Nel 2023, il tasso di disoccupazione generale è salito al 16,2% (rispetto al 15% del 2022) e quello giovanile ha raggiunto il 35,2% per gli uomini e il 35% per le donne nella fascia d’età 15-29 anni. Dei 150mila nuovi contratti stipulati, quasi l’82% sono a termine, stagionali o di somministrazione, configurando un mercato del lavoro precario che penalizza i giovani, costringendoli a cercare stabilità altrove.

Anche per le pensioni il quadro non è roseo: in Calabria sono significativamente più basse rispetto alla media nazionale, con importi medi mensili inferiori per le donne, segno di una maggiore discontinuità lavorativa e di una parità retributiva ancora lontana. Sul fronte del welfare, nel 2023 sono state erogate 178.767 prestazioni di invalidità civile, con un incremento del numero di nuove prestazioni rispetto al 2022. Anche le misure di sostegno al reddito, come reddito e pensione di cittadinanza, hanno registrato oltre 46.000 richieste, di cui il 63% accolte.

«Al contrario di quanto annunciato con slogan e proclami – ha illustrato il sindacato – la legge Fornero non è stata affatto superata. L’età pensionabile è stata posticipata ai 70 anni. La flessibilità in uscita azzerata nel 2024 (meno 15,7% delle pensioni anticipate rispetto al 2023), così come l’opzione donna (con un taglio del 70,92% delle domande del 2024 confrontate con quelle del 2023 – 3.489 nel 2024 confrontate con 11.996 del 2023 – e nel 2025 il taglio sarà ancora più alto».

«C’è, poi – si legge – il nodo della quota 103 (62 + 41 anni di contributi) che è stata prorogata con il ricalcolo contributivo, con un importante taglio sul calcolo della pensione. Per chi è già in pensione non va meglio: i tagli alla perequazione per il 2023 e il 2024 non saranno più recuperabili».

Tutti questi dati indicano solo una cosa, per il sindacato: «Nessuna risposta per giovani, donne, per coloro che svolgono lavori gravosi e usuranti e nessuna valorizzazione per il lavoro di cura».

«È ancora una volta deludente la riforma pensionistica del Governo – per la Cgil –. Si andrà in pensione sempre più tardi e sempre più poveri senza la previsione di alcuna strategia per il futuro, in un Paese che guarda ai pensionati come bancomat da spremere, senza costruire le basi perché si vada in quiescenza dal lavoro a un’età consona e con un adeguato trattamento pensionistico».

«Se caliamo il tutto in un contesto fragile e povero di servizi, con una sanità annaspante che non garantisce né il diritto alla cura né quello alla prevenzione, quello che si prospetta – scrive il sindacato pensionati della Cgil – è una regione di anziani, con difficoltà a potersi occupare della propria salute, molti dei quali senza riferimenti familiari, vista la sempre più gravosa emigrazione giovanile, e costretti a lavorare fino ad età avanzata».

E, se l’Istituto, a novembre riteneva necessari interventi politici ed economici «massivi e strutturali» per invertire la tendenza e dare risposte concrete a una regione che lotta per trattenere i suoi giovani e garantire un futuro sostenibile ai suoi cittadini», lo Spi Cgil, invece, invita tutti a sostenere il referendum «per il lavoro proposti dalla Cgil che sono lo strumento per cambiare, in meglio, il Paese».

Un invito che è anche è un appello a prendere coscienza della situazione in Italia: Siamo l’unico Paese dove i lavoratori subiscono un doppio svantaggio: età pensionabile sempre più alta e assegni sempre più bassi.

«Un vero e proprio paradosso – ha detto la Cgil – visto l’inverno demografico che ci attende e viste le scarse politiche messe in campo dal governo per arginare il lavoro precario. Lavoro più stabile e più sicuro significa anche pensioni migliori».

In Cittadella regionale il “Recruiting Day” della Seas Srl

Domani mattina, in Cittadella regionale, dalle 9.30, si terrà il “Recruiting Day” promosso da South East Aviation Services (Seas) Srl.

L’attività rientra nell’ambito delle iniziative intraprese dalla Giunta Regionale e dal Dipartimento Lavoro con le aziende interessate a investire e assumere in Calabria e sulla scia di quanto già svolto nei mesi precedenti.

L’obiettivo dell’attività del Recruiting è quello di selezionare circa 20-25 candidati per un corso di formazione altamente specializzante della durata di 24 mesi nella sede di Azzano San Paolo (BG) della Aircraft Engineering Academy, ente formativo del gruppo SEAS accreditato Enac, ai fine di conseguire la Licenza per Manutentore Aeronautico cat. B1.1 (Aeroplani con motore a turbina). L’inizio del corso è previsto indicativamente dal mese di marzo 2025. La retta per la frequenza del corso, pari a circa 16.000 Euro, sarà interamente a carico dell’azienda.

La società Seas Srl è una società di servizi aeronautici specializzata nella manutenzione della flotta di aerei di Ryanair con sede all’Aeroporto di Bergamo dove gestisce 5 hangar che, nel quadro dell’espansione di Ryanair negli scali calabresi e delle iniziative di supporto sviluppate dalla Giunta, ha previsto l’apertura di una base operativa di manutenzione degli aeromobili nello scalo di Lamezia Terme, ad oggi in fase di realizzazione.

Nello specifico, l’azienda offre: corso di 24 mesi gratuito per il conseguimento della LMA; contratto di assunzione a tempo indeterminato, con qualifica di manutentore aeronautico, al termine del corso di formazione (previsto nel 2027); sede di lavoro iniziale a Bergamo e successivo trasferimento in Calabria al completamento della base operativa.

I requisiti di partecipazione definiti dall’aziendasono: età minima 18 anni; diploma di scuola superiore di secondo grado in ambito tecnico/meccanico o, in alternativa, diploma di secondo grado in altri ambiti ma esperienza professionale nella meccanica; livello di conoscenza della lingua inglese B1; patente di guida cat. B; residenza in Calabria; non aver subito condanne penali e/o restrittive della libertà personale; attitudine ai lavori manuali. (rcz)

CARI POLITICI, BISOGNA RISPONDERE CON
CORAGGIO ALLE SFIDE DEL NOSTRO TEMPO

Mons. Francesco Savino, Vescovo di Cassano allo Jonio, nonché vicepresidente della Conferenza Episcopale, ha inviato un messaggio ai politici della sua Diocesi, il cui contenuto vale per l’intera Calabria.

di MONS. FRANCESCO SAVINO – Carissimi, in questo tempo di preparazione al Natale, desidero rivolgermi a voi con un messaggio che unisce gratitudine e sollecitudine.

Purtroppo, gli impegni che scandiscono le vostre giornate e il mio Ministero non hanno permesso che ci incontrassimo di persona, e di questo sono sinceramente dispiaciuto. Tuttavia, non potevo lasciar passare questa occasione senza farvi giungere i miei auguri più sentiti e un pensiero che nasca dalla riflessione sul tempo che stiamo vivendo.

Gratitudine, per l’impegno che quotidianamente dedicate al servizio delle nostre comunità; sollecitudine, perché mai come oggi il ruolo della politica è chiamato a rispondere con coraggio e visione alle sfide del nostro tempo. Il Natale, nella sua profondità, ci ricorda la luce della speranza e della carità, richiamandoci all’urgenza di metterci al servizio del bene comune, con dedizione e responsabilità.

La nostra Diocesi, custode di una storia intrecciata di cultura e fede, incarna tanto le bellezze quanto le sfide che caratterizzano questa terra. Viviamo in un contesto segnato da potenzialità straordinarie, ma anche da ferite che richiedono risposte concrete e immediate. La politica, se vissuta nella sua autentica vocazione di servizio, può diventare il mezzo privilegiato per costruire una società più giusta, solidale e rispettosa della dignità di ogni persona.

La sfida della speranza

Molti, soprattutto i giovani, guardano al futuro con disillusione, prigionieri di un contesto che sembra non offrire prospettive concrete. La speranza sembra essersi smarrita e con essa la fiducia in chi ha il compito di guidare le scelte politiche. È vostro dovere restituire speranza alle comunità, non solo attraverso promesse, ma con azioni capaci di trasformare i sogni in realtà.

Come ci ricorda Gustavo Gutiérrez, «la speranza cristiana non è passiva, ma un motore per l’azione concreta». Ogni vostro gesto, ogni vostra decisione può diventare un segno tangibile di questa speranza. La nostra terra, pur segnata da difficoltà ataviche, è anche una terra di potenzialità inespresse. È compito della politica liberare queste energie e orientarle verso un autentico sviluppo sociale ed economico.

Il bene comune come guida della politica

Papa Francesco, nelle sue esortazioni, ci ricorda che la politica è una delle forme più nobili di carità, un’arte che richiede visione, sacrificio e coraggio. Ogni vostra scelta dovrebbe essere orientata al bene comune, non inteso come la somma degli interessi individuali, ma come una visione più alta che abbraccia giustizia, pace e solidarietà.

Papa Benedetto XVI, nell’enciclica Caritas in Veritate, sottolinea che il bene comune implica il riconoscimento della dignità di ogni persona, in una comunità solidale e giusta. Questo principio deve guidare ogni iniziativa legislativa e amministrativa, affinché nessuno si senta escluso o invisibile.

La giustizia sociale e la lotta alla povertà

La povertà è una delle sfide più urgenti della nostra terra. La Calabria continua a registrare tassi di disoccupazione tra i più alti del Paese, con giovani costretti a lasciare il proprio territorio in cerca di opportunità altrove. Questo fenomeno non è solo una crisi economica, ma una ferita sociale che richiede risposte immediate.

Vi esorto a promuovere politiche che favoriscano l’inclusione sociale, il lavoro dignitoso e l’accesso ai diritti fondamentali. Gandhi ci ricorda che «la povertà è la peggior forma di violenza».

Non possiamo accettare che la dignità umana sia calpestata. La giustizia sociale richiede un cambio di mentalità, una trasformazione che metta al centro la persona, con i suoi bisogni e le sue aspirazioni.

Famiglia e diritti dei bambini

La famiglia è il cuore pulsante della società, il luogo dove nascono e si custodiscono i valori fondamentali. Ogni vostra decisione politica dovrebbe mirare a sostenere le famiglie, offrendo strumenti concreti per conciliare lavoro e vita familiare, protezione sociale e sostegno ai genitori in difficoltà.

Allo stesso modo, è fondamentale garantire che ogni bambino possa crescere in un ambiente sano e sicuro, lontano da situazioni di povertà o disagio. La tutela dei più piccoli è la misura di una società giusta e proiettata verso il futuro.

Ecologia integrale: prendersi cura della Casa Comune

Le questioni ambientali sono ormai al centro delle sfide globali e locali. Papa Francesco, nell’enciclica Laudato Sì, ci invita a considerare l’ecologia non solo come cura della natura, ma come attenzione integrale alla persona e alla società. Ogni vostra scelta politica, sia essa legata all’urbanizzazione, alla gestione dei rifiuti o alla mobilità, dovrebbe riflettere questa visione ecologica.

Il nostro territorio, ricco di risorse naturali, deve essere tutelato e valorizzato, soprattutto di fronte al grave problema dell’inquinamento che minaccia la sua bellezza e il benessere delle comunità, richiamandoci a un impegno concreto per la salvaguardia del creato.

Dunque, le sfide ambientali non possono più essere rimandate: è tempo di adottare politiche sostenibili che promuovano uno sviluppo equilibrato e rispettoso delle generazioni future.

 La cultura della legalità

La nostra terra è ferita dalla criminalità organizzata, una piaga che mina il tessuto sociale ed economico. La lotta alla ‘ndrangheta  e all’illegalità non è solo un compito delle forze dell’ordine, ma una responsabilità culturale e politica.

La legalità, come ci ricorda Don Tonino Bello, non è una semplice formalità, ma un principio che orienta ogni azione verso una società più giusta e libera. Ogni vostro gesto deve contribuire a costruire una cultura della legalità, che si nutre di educazione, coraggio e trasparenza.

Investire nel futuro

La politica deve guardare lontano, investendo in settori strategici come l’educazione, la formazione e l’innovazione. Il nostro territorio ha un potenziale straordinario nell’agricoltura, nel turismo e nelle energie rinnovabili. È necessario valorizzare queste risorse per creare opportunità di lavoro e trattenere i giovani nella nostra terra.

Un invito alla collaborazione

Come Chiesa, siamo al vostro fianco per costruire una comunità coesa, solidale e rispettosa. La politica, come dice Papa Benedetto XVI, è un’arte nobile che deve sempre essere orientata al bene comune. La collaborazione tra politica e Chiesa può diventare una risorsa preziosa per affrontare le sfide del nostro tempo, coniugando competenze diverse al servizio delle persone.

Conclusione

Vi auguro che il vostro impegno politico possa essere illuminato dalla luce del Natale, guidato dalla giustizia e animato dall’amore per il prossimo. Che ogni vostra scelta possa portare speranza, pace e sviluppo a tutte le comunità.

Con la benedizione di Cristo Bambino, vi invito a vivere la vostra missione con coraggio, fedeltà e visione, trasformando la politica in uno strumento autentico di servizio e carità. (fs)

[Mons. Francesco Savino è vescovo di Cassano allo Ionio]

 

DUE CALABRIE CHE SI FRONTEGGIANO ALLA PARI: UNA BENESTANTE, L’ALTRA POVERA

di DOMENICO CERSOSIMO E ROSANNA NISTICÒ – I più recenti dati medi nazionali segnalano, pur in un quadro di sostanziale stabilità della povertà assoluta, un’incoraggiante riduzione dell’incidenza degli italiani a rischio di povertà o di esclusione sociale (Istat 2024).

Questa brezza congiunturale positiva, tuttavia, non rinfresca in modo uniforme il paese: alcune aree, segnatamente diverse regioni del Nord, beneficiano di correnti comparativamente più favorevoli; altrove, la situazione è stagnante o addirittura in peggioramento. La media, come spesso accade, spiega poco: nasconde le differenze tra i territori dove la povertà è un fenomeno fisiologico, contenuto, e quelli in cui invece assume caratteri acuti e persistenti.

La Calabria è l’estremo: una regione nel vortice di un processo di polarizzazione e sfaldamento sociale, con una popolazione spaccata in due metà quantitativamente equivalenti, per metà benestanti e metà poveri o a rischio di povertà-esclusione; due realtà scollate tra loro che tendono a configurare una non-società.

Guardando all’insieme delle regioni d’Europa, nelle prime 50 posizioni della graduatoria ordinata in senso decrescente per incidenza del rischio povertà-esclusione sociale, si collocano, ad eccezione della Basilicata, tutte le regioni meridionali, e di contro, nelle ultime 50 posizioni tutte le regioni del Nord, ad eccezione della Liguria: un’asimmetria acuta che fa dell’Italia il paese Eu con le disparità interne più pronunciate (Eurostat 2024).

La Calabria è la regione europea, ad esclusione delle “ultraperiferiche”, con la più alta quota di poveri-vulnerabili sulla popolazione complessiva (48,6%), a fronte di valori pari a poco più di un quinto nella media italiana, del 5,8% nella provincia di Bolzano e del 7,4% in Emilia-Romagna. Anche all’interno del Mezzogiorno, il gap è notevole: addirittura 24 punti in più in Calabria rispetto al Molise e oltre 21 nei confronti della Basilicata.

Allarmante è il trend recente: tra il 2022 e il 2023, il rischio povertà-esclusione sociale dei calabresi subisce una drastica impennata, dal 42,8 al 48,6%, a fronte di un calo generalizzato nelle altre regioni, anche meridionali.

Anche con riferimento al sub-indicatore “rischio di povertà”, il picco calabrese è elevatissimo: 41 calabresi su 100 vivono in famiglie con un reddito netto equivalente inferiore al 60% di quello mediano, un’incidenza più che doppia rispetto a quella nazionale, dieci volte superiore a quella della Provincia di Bolzano e sette volte più alta di quella dell’Emilia-Romagna.

Allargando lo sguardo all’Europa, la Calabria raggiunge il tetto più elevato, seguita dalla Sicilia (38%) e dalla Campania (36,1%); al lato opposto della distribuzione, solo 9 regioni hanno un’incidenza delle persone a rischio di povertà più bassa o uguale al 7,5%, tra cui tre italiane: la provincia Autonoma di Trento, quella di Bolzano e l’Emilia-Romagna. Ne segue che il divario interregionale dell’Italia risulta il più ampio, segnando 35 punti percentuali di differenza tra la Calabria e la Provincia autonoma di Bolzano.

Rispetto agli altri due sotto-indicatori che concorrono a definire la popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale, la quota di calabresi che deve fronteggiare una “grave deprivazione materiale e sociale” (20,7%) è pressoché uguale e quella dei soggetti caratterizzati da “bassa intensità lavorativa” (20,9%).

Dunque, più di un quinto della popolazione regionale, tra 350 mila e 400 mila persone (circa il 15% del totale nazionale), è costretto a fare i conti con severe e plurime privazioni materiali e sociali: essere in arretrato con il pagamento di bollette, affitti, mutui; non poter sostenere spese impreviste; riscaldare adeguatamente la casa; sostituire mobili danneggiati o abiti consumati; non potersi permettere un pasto adeguato almeno a giorni alterni, due paia di scarpe in buone condizioni per tutti i giorni, una piccola somma di denaro settimanale per le proprie esigenze personali, una connessione internet utilizzabile a casa, un’automobile, di incontrare familiari o amici per mangiare insieme almeno una volta al mese. Nella media nazionale, gli italiani costretti a così gravi deprivazioni sono il 4,7% ma in Emilia-Romagna sono meno dell’1%.

Più di un quinto sono anche i calabresi tra 18 e 64 anni che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (soprattutto quelle più numerose e con più figli), ossia che hanno lavorato meno del 20% del loro tempo potenziale, e che conseguentemente percepiscono retribuzioni insufficienti per uscire dal rischio povertà.

Ancora. La Calabria è l’unica regione italiana a subire, nel biennio 2022-23, un incremento-peggioramento di tutti e tre i sub-indicatori. Peggiora poco l’indicatore “bassa densità lavorativa”, che passa dal 19,6 al 20,9% (dal 9,8 all’8,9% in Italia), ma che tuttavia segnala che è in aumento la frazione, già elevata, di famiglie con forme estese di sottooccupazione, a testimonianza tanto del deficit strutturale della domanda di lavoro locale quanto del fatto che il lavoro di per sé non è in grado di tutelare da situazioni di grave difficoltà economica, soprattutto nel caso dei lavoratori dipendenti a tempo parziale e con basse retribuzioni.

Ben più consistente è l’incremento dei calabresi a “rischio di povertà”, che passa dal 34,5 al 40,6% e di quelli con “grave deprivazione materiale e sociale”, che nel giro di un solo anno quasi raddoppiano (dall’11,8 al 20,7%), contro una sostanziale stabilità nella media nazionale (dal 4,5 al 4,7%), e di una leggera flessione in oltre la metà delle regioni, anche in tutte quelle del Sud, ad eccezione della Puglia.

Insomma, come in nessuna altra regione italiana, i dati configurano in modo evidente due società, due Calabrie, due gruppi di cittadini profondamente dissimili e slegati tra loro. Da un lato, ci sono i calabresi che godono di redditi, patrimoni, consumi, stili di vita analoghi a quelli medi nazionali. Singoli e famiglie a cui fa capo la quasi totalità della ricchezza netta regionale, reale e finanziaria.

Appartengono a questa “prima” Calabria anche i calabresi, per lo più dipendenti della pubblica amministrazione, con redditi medi ma sufficienti per condurre una vita decorosa, e che, seppure a fatica, riescono a districarsi nelle maglie sconnesse dei servizi pubblici essenziali e ad evitarne gli effetti perversi ricorrendo al proprio bagaglio di amicizie e conoscenze personali. Accanto a questi, si ritrovano anche i calabresi, inquilini del privilegio, che possono permettersi consumi opulenti, dalle auto alla cosmesi, come qualunque altro ricco di qualunque società urbana d’Europa, e che possono influenzare le politiche pubbliche a loro favore.

Nell’insieme, sono calabresi che si sostengono tra loro attraverso reti relazionali sia di natura interpersonale che associativa, come, ad esempio, i club Lyons o Rotary, gli Ordini professionali, le Associazioni di commercianti, industriali, agricoltori, artigiani, i circoli massonici palesi e occulti, le reti informali di comparatico, le aggregazioni politico-elettorali strumentali, temporanee, trasversali. In aggiunta, non va trascurata l’incidenza dell’estremo del capitale sociale “cattivo”, ovvero quei circuiti di ‘ndranghetisti e di soggetti criminali che costruiscono il loro benessere distruggendo quello di cittadini e imprenditori, consumando futuro all’intera comunità regionale.

Pur prescindendo dalle derive delinquenziali di questi ultimi e di coloro che vivono nell’illegalità perenne dell’evasione fiscale e dello sfruttamento dei lavoratori, si percepisce l’esistenza nella sfera dei benestanti di una Calabria della densità orizzontale, delle cooptazioni, delle arene a geometria variabile dello scambio e della reciprocità particolaristica, clientelare, professionale, e che può aspirare, individualmente, a qualche forma di mobilità sociale ascendente.

Sono i calabresi “estrattivi”, che traggono benefici dallo status quo, dalla politica come “motore primo” degli standard di vita, dai bonus pubblici, dalla dipendenza macroeconomica della regione dal respiratore artificiale della spesa pubblica, che intercetta e beneficia della quasi totalità dei trasferimenti pubblici nazionali ed europei e dei grandi programmi di intervento pubblico destinati allo sviluppo locale. Cittadini che hanno sviluppato speciali abilità di torsione dei provvedimenti pubblici, centrali e locali, alle logiche di riproduzione dei propri benefici, anche degli interventi che astrattamente avrebbero potuto destabilizzare la legittimazione delle loro rendite di posizione; che diffidano dei progetti di trasformazione sociale in nome di una sorta di “apologia del quietismo”.

Cittadini concentrati, nelle parole di Mauro Magatti, soprattutto a “consumare benessere” piuttosto che a creare sviluppo e ad affrontare le sfide strutturali (organizzative, produttive, innovative) che esso comporta. Ottimati della rendita e della disuguaglianza polarizzata, tesi a mantenere o catturare nuovi vantaggi individuali e non interessati al bene comune. A prendere piuttosto che a contribuire al benessere della collettività.

Poi c’è la “seconda” Calabria, di dimensioni simili alla prima ma radicalmente diversa: quella dei sommersi, dei rimossi, dei precari, degli occultati che, in quanto tali, non disturbano l’estetica della “prima” Calabria.

Poveri con deprivazioni materiali estreme, con disagi quotidiani e persistenti, con difficoltà ad alimentarsi con pasti adeguati, a vestirsi in modo decoroso, a dormire sotto un tetto sicuro. Sono tantissimi e in crescita: poveri di “partenza”, ascritti dalla nascita. Anche questo gruppo è fortemente composito. Si tratta di anziani soli con pensioni sociali al minimo; lavoratori occasionali e per lo più sommersi, riders, camerieri a ore, operatori di call center, che contribuiscono alla tenuta e alla riproduzione di un’economia locale minuta, informale, e con salari così bassi da non consentire l’uscita dalla trappola della povertà assoluta; giovani, spesso descolarizzati, che perseguono l’autonomia familiare ma che sono imprigionati in lavoretti dequalificati e con salari striminziti; disabili rimasti senza famiglia, con sostegni pubblici assenti o inadeguati; disoccupati scoraggiati che hanno rinunciato a cercare un’occupazione perché hanno perso la speranza di trovarlo; immigrati con difficoltà di integrazione che riescono a racimolare pochi euro al giorno con lavoretti in nero o con espedienti vari; giovani imprigionati nell’eterno limbo del non lavoro, non studio, non formazione. Un catalogo infinito di soggetti, ad evidenza che, parafrasando Lev Tostoj in “Anna Karenina”, ogni povero è povero a modo suo.

Un altro buon quinto di calabresi è, come si è detto, a rischio povertà per la bassa intensità occupazionale: singoli e famiglie spesso alle prese con lavori precari, a tempo, con contratti di part-time involontario, e, di conseguenza, con redditi ben al di sotto della soglia media di un lavoratore a tempo pieno. Sovente, poveri di “arrivo”, “risultato” di politiche assenti o controproducenti.

Ne fanno parte famiglie numerose con occupati per poche ore alla settimana che racimolano un reddito monetario complessivo al di sotto della soglia per soddisfare i consumi essenziali; famiglie di immigrati con difficoltà di integrazione e con percettori di reddito di pochi euro all’ora, soprattutto in agricoltura, in edilizia e nel multiforme e crescente “proletariato dei servizi” a bassa qualificazione.

Sono singoli e famiglie che rischiano un ulteriore impoverimento quando la congiuntura diventa avversa per la perdita dell’occupazione oppure per la contrazione dei trasferimenti pubblici alle famiglie e ai singoli in difficoltà, come l’abolizione del reddito di cittadinanza, favorendo ulteriormente lo scivolamento verso la condizione di grave depauperazione materiale.

A differenza della prima, questa seconda Calabria è atomizzata, sbriciolata; più fragile e indifesa, composta da calabresi isolati gli uni dagli altri, senza legami né rappresentanza né voce, senza sovrastrutture. Scie disperse e spesso divergenti, senza sciame. Calabresi che praticano, quando possono, relazioni “verticali” individuali: con la Caritas, con la parrocchia, con i servizi comunali di welfare, con il gruppo di volontariato, con l’impresa di terzo settore, con la mensa sociale. Calabresi silenziati, privi di mezzi e strumenti, senza occasioni per parlare di sé.

A questa Calabria sembra non pensare nessuno. Non solo perché sommersa e difficile da incrociare se non si hanno sguardi sensibili, adeguati, interessati, ma anche perché è la Calabria degli outsider, del non-voto, che non protesta, che non fa rumore, che non urla, che non ha né trattori né vernici né gilets jaunes né protettori; che non minaccia l’ordine dominante.

I partiti-residui continuano a guardare alla prima Calabria, a quella dei garantiti, degli insider, delle rare imprese di “successo”, delle micro-esperienze socio-produttive locali puntiformi, spesso “cartolinizzate”; a vagheggiare su una mai definita altra Calabria e su narrazioni aneddotiche consolatorie; dimenticando che la somma di micro-esperienze positive disperse, seppure importanti di per sé, non è sufficiente per determinare un cambiamento di sistema; che non basta guardare “dall’alto” per decifrare le sofferenze e il declassamento sociale della Calabria praticata “dal basso”. (dn e rn)

[Courtesy Etica ed Economia]

IL SUD UN FUTURO CE L’HA, MA BISOGNA
CREARE E GARANTIRE I DIRITTI ESSENZIALI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAEsistono dei diritti costituzionalmente garantiti che però hanno realizzazione diversa nelle varie parti del Paese. In particolare il diritto al lavoro, a una buona formazione, alla salute, alla mobilità.     

Le 100.000 persone che ogni anno si trasferiscono dal Sud al Nord, con un costo per le regioni di provenienza di oltre 20 miliardi, considerato che portare una persona a livello di scuola media superiore costa già 200.000 €, e che la maggior parte di coloro che si trasferiscono hanno invece una laurea, rappresentano una sconfitta per il Paese. 

Tale costo, cosiddetto di “allevamento”, viene utilizzato dalle regioni di destinazioni, alcune volte dal Paesi esteri, ogni qual volta tale capitale umano non viene valorizzato nelle stesse realtà nelle quali si è formato. 

Ed è inutile strombazzare successi ed aumenti di occupazione senza tener conto dei dati macroeconomici che riguardano tutto il Mezzogiorno. Una realtà che, se fosse una nazione dell’Unione Europea a se stante, avrebbe nella graduatoria dei Paesi  europei una dimensione demografica che la posizionerebbe tra i primi  dieci. Prima di tanti Paesi importanti, come per esempio l’Olanda. E che con i suoi poco meno di venti milioni di abitanti ha un numero di occupati, compresi i sommersi, che si avvicina ai sei milioni e quattrocentomila. Lontano dal rapporto uno a due delle realtà a sviluppo compiuto.

E poiché è noto che il sommerso nella realtà poco sviluppate ha una dimensione più ampia di quanto non l’abbia nella realtà a sviluppo compiuto, per un effetto di smarcamento dovuto alla mancanza di lavoro, se le possibilità alternative non sono numerose o addirittura inesistenti c’è più facilità che chi ha bisogno di lavorare e non vuole spostarsi, accetti un lavoro a qualunque condizione. 

Peraltro, tale evidenza emerge chiaramente dal costo del lavoro più basso, pur in presenza di contratti di lavoro collettivi simili e in assenza di gabbie salariali. 

Fin quando tale gap di mancanza di posti di lavoro non sarà colmato sarà impossibile frenare quel flusso dovuto ad un modello di sviluppo che continua a creare posti di lavoro nelle realtà nelle quali il mercato è saturo e si manifestano tutte le difficoltà a trovare capitale umano formato. 

Ma le persone non si spostano soltanto alla ricerca di un’occupazione che consenta di immaginare un progetto di vita. E spesso non sono solo i giovani che si trasferiscono perché dietro loro alcune volte, sempre più spesso, le famiglie di origine sono tentate di  seguirli per fornire un aiuto nella tenuta dei figli, considerato che in genere nella coppia si cerca di lavorare entrambi, anche perché è l’unico modo per avere un reddito minimo di sussistenza. 

Peraltro l’altro diritto negato o meglio non garantito adeguatamente è quello alla salute. Per cui i cosiddetti viaggi della speranza continuano ad aumentare alimentando il sistema del Nord che ormai si è organizzato per supportare e supplire alle carenze del sistema sanitario meridionale, che malgrado i tanti interventi effettuati anche a livello centrale, vedasi il commissariamento della sanità calabrese, non riesce a fornire un livello di servizi adeguati ad un paese civile e in ogni caso paragonabili a quelli che si possono avere disponibili nelle aree settentrionali. 

E anche se non mancano eccellenze sanitarie riconosciute universalmente, il sistema complessivo denuncia carenze non più tollerabili, dovute ad una carenza di risorse che riguarda tutto il Paese, ma che si manifesta maggiormente nelle aree meridionali.  

Un altro diritto fondamentale negato è quello alla formazione. Le carenze che si registrano nei sistemi formativi meridionali hanno portato a tassi di dispersione scolastica non degni di un paese civile, soprattutto in alcune aree periferiche delle grandi città meridionali, che arrivano ad avere percentuali vicine al 30%. 

Il danno della perdita di questi ragazzi, che spesso non completano nemmeno le scuole elementari è inestimabile. 

Infatti un primo elemento riguarda la perdita di un capitale umano che potrebbe, se ben formato, fornire anche eccellenze importanti che in questo modo vanno sprecate. Un secondo aspetto da non trascurare è l’incidenza che una base elettorale non adeguatamente acculturata può rappresentare nella scelta della classe dirigente che viene eletta. Tali gruppi non adeguatamente formati rappresentano un pericolo per la democrazia, perché facilmente possono essere manipolati ed indirizzati, vista la loro mancanza di consapevolezza civica. 

La mancanza di tempo pieno a scuola, poi diventa un ulteriore elemento che porta a livelli di istruzione non competitivi. 

Un ultimo diritto inalienabile e che è alla base di ogni sviluppo economico e quello alla mobilità. Diritto negato come si vede dai tentativi goffi di superarli con treni della speranza e delle feste, organizzati nei periodi natalizi o con sconti sulle tratte aeree per raggiungere le parti più isolate dello stivale e delle Isole. 

Purtroppo l’inesistenza della concorrenza tra aereo e ferrovia in alcune zone porta ad un incremento di costi delle tratte insopportabile, che diventa molto più evidente nei periodi in cui il ritorno a casa di molti emigranti porta le compagnie aeree a seguire la legge della domanda dell’offerta, che fa incrementare il costo del volo. 

L’insieme di questa mancanza di diritti porta la gente a pensare che le realtà meridionali siano senza futuro e che il detto per cui per poter avere successo nella vita bisogna andarsene trova una conferma nel diverso approccio e comportamento delle istituzioni nei confronti del Sud.

Tale convinzione diventa ulteriore elemento di impoverimento perché se ormai in tanti cominciano a non credere che esista un futuro nelle realtà di origine, la conseguenza non potrà che essere lo spopolamento e la desertificazione.

Cambiare tale convinzione e proporre un paradigma diverso necessita  di molte conferme che ancora la gente non vede. 

Ma tale cambiamento è indispensabile non soltanto per le aree meridionali ma per tutto il Paese, che ha bisogno di mettere a regime una realtà periferica, che necessita di una seconda locomotiva, che faccia aumentare i tassi di sviluppo insufficienti per assicurare quel welfare al  quale siamo abituati o in alcuni casi che si desidera, e infine anche che eviti l’affollamento di alcune aree che non può portare tanto danno come si vede. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

IN CALABRIA L’ECONOMIA CRESCE, MA IL
RITMO È LENTO E PERMANE INCERTEZZA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Cresce a ritmi lenti e discontinui l’economia in Calabria: nel primo semestre del 2024, infatti, si è registrato un aumento del +0,4% del Pil. È quanto emerso dal Report della Banca d’Italia sull’economia calabrese, in cui viene evidenziata una crescita moderata, nei primi nove mesi dell’anno, per il fatturato delle imprese calabresi, mentre la redditività e la liquidità aziendale sono rimaste sui livelli elevati dello scorso anno.

Il report, poi, ha rilevato come «l’industria in senso stretto ha mostrato segnali di ripresa, sospinta principalmente dal comparto alimentare, che ha tratto vantaggio anche dall’aumento della domanda estera. Nel settore delle costruzioni è proseguita la fase espansiva del segmento delle opere pubbliche, che ha beneficiato degli interventi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr); l’edilizia privata ha invece risentito del ridimensionamento degli interventi di riqualificazione connessi al Superbonus. L’espansione del settore terziario è stata frenata dalle difficoltà nel commercio al dettaglio».

I livelli occupazionali in regione hanno continuato a crescere, «sebbene a un ritmo inferiore rispetto alla media nazionale – dice il report – alimentati dalla componente del lavoro alle dipendenze».

«Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat – si legge – nella media dei primi sei mesi dell’anno in corso il numero degli occupati in Calabria è aumentato dell’1,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. L’incremento risulta tuttavia inferiore rispetto a quello osservato in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno (rispettivamente 1,5 e 2,5 per cento)».

«Il tasso di occupazione – continua il report – ha raggiunto il 44,3 per cento (era il 43,5 nello stesso periodo del 2023, per effetto anche dalla riduzione della popolazione in età da lavoro (15-64 anni), diminuita dello 0,4 per cento rispetto al primo semestre del 2023; il divario del tasso di occupazione regionale dalla media nazionale è rimasto comunque ampio e costante (pari a 17 punti percentuali)».

«L’aumento del numero di occupati si è associato ad una riduzione delle persone in cerca di un impiego; il tasso di disoccupazione è, quindi, diminuito al 15,4 per cento – emerge dal report –pur confermandosi superiore alla media del Mezzogiorno e doppio rispetto a quello nazionale. La partecipazione al mercato del lavoro è invece rimasta stabile: il tasso di attività si è attestato al 52,6 per cento, un valore analogo a quello del primo semestre 2023».

Importante il dato che riguarda l’incremento dell’occupazione, che ha riguardato prevalentemente le donne, con una conseguente riduzione del differenziale fra il tasso di occupazione maschile e quello femminile a 23,6 punti percentuali (era 24,9 nello stesso periodo dell’anno precedente). È stato, inoltre, alimentato dalla componente del lavoro alle dipendenze mentre il numero dei lavoratori autonomi è tornato a contrarsi, seguendo la riduzione del numero di imprese individuali attive riscontrata nel corso del semestre.

L’incremento dell’occupazione ha contribuito a sostenere i redditi delle famiglie calabresi, aumentati anche in termini reali grazie alla crescita contenuta dei prezzi. Ciononostante i consumi delle famiglie si sono leggermente ridotti, risentendo ancora dell’ampia perdita del potere d’acquisto accumulatasi nel biennio 2022-23; è rimasto elevato il ricorso al credito al consumo».

La dinamica del credito bancario al settore privato non finanziario è divenuta lievemente negativa; la contrazione ha interessato i finanziamenti alle famiglie per l’acquisto dell’abitazione e soprattutto i prestiti alle imprese di piccola dimensione. La domanda è stata ancora frenata dall’elevato costo del credito, seppur in lieve calo; l’atteggiamento degli intermediari è stato improntato a una maggiore cautela.

Il tasso di deterioramento dei crediti alle imprese è aumentato di poco, mantenendosi su livelli storicamente contenuti. Dopo la riduzione dello scorso anno, i depositi bancari delle famiglie sono tornati a crescere; è risultato ancora alto l’interesse verso le forme di risparmio maggiormente remunerative, soprattutto titoli di Stato e obbligazioni bancarie.

Andando più nel dettaglio, per il settore dei trasporti, i passeggeri transitati per gli aeroporti regionali nei primi nove mesi dell’anno sono cresciuti del 2,3 per cento. Al calo della componente domestica si è contrapposto l’aumento dei flussi esteri, che è stato favorito dall’incremento dei voli internazionali (di circa un quinto), riferibile in gran parte alle nuove rotte introdotte nello scalo di Reggio Calabria. Per il Porto di Gioia Tauro, invece, continua il trend positivo di crescita iniziata nel 2019: la movimentazione di container nei primi nove mesi dell’anno è salita del 10,5 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno scorso (era cresciuta del 5 per cento nel 2023).

Tasso negativo, invece, per il «tasso di natalità» delle imprese individuali e per le società di persone, che è negativo, mentre quello generale ha registrato un risultato pari allo 0,4%, in linea con la media italiana e con il dato del periodo corrispondente del 2023.

Per quanto riguarda la situazione reddituale delle imprese, queste hanno continuato a mantenere ampie disponibilità liquide, prevalentemente nella forma di depositi a vista. Nel primo semestre il grado di liquidità, misurato come il rapporto tra la somma di depositi e titoli quotati e l’indebitamento finanziario a breve, è rimasto sostanzialmente stabile su valori elevati.

La crescita delle esportazioni di merci, in atto dal 2021, è proseguita anche nel primo semestre dell’anno in corso. Le vendite a prezzi correnti sono aumentate del 18 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2023.

L’incremento ha interessato i principali settori di specializzazione regionale, soprattutto i prodotti dell’industria alimentare e le sostanze e prodotti chimici, che insieme rappresentano oltre il 60 per cento delle esportazioni. Con riguardo ai mercati di sbocco, l’aumento ha riguardato gli scambi verso i paesi extra UE, in particolare quelli asiatici. (ams)

IL LAVORO IN CALABRIA E AL MEZZOGIORNO
COSTERÀ DI PIÙ PER I TAGLI A FINANZIARIA

di PABLO PETRASSO – Il lavoro in Calabria costerà di più: la manovra del governo stoppa – su input dell’Unione europea – la decontribuzione Sud. Un bel risparmio che il Mezzogiorno rischia di pagare in termini di occupazione.

Non si tratta solo di una revisione della spesa. Oltre ai tagli lineari ai ministeri e ai definanziamenti come quello che colpisce il fondo per l’automotive, il disegno di legge di Bilancio per il 2025 recupera risorse anche eliminando la decontribuzione Sud, l’esonero contributivo del 30% introdotto durante la pandemia per i datori di lavoro situati in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Questo aiuto era valido non solo per le nuove assunzioni ma anche per i lavoratori già in forza.

L’agevolazione, che Giorgia Meloni aveva dichiarato di voler rendere “strutturale”, sarà abolita dal 2025 perché Bruxelles non ha rinnovato l’autorizzazione al maxi aiuto di Stato. Il ministro Raffaele Fitto aveva promesso che Roma avrebbe introdotto “misure analoghe”, ma la nuova agevolazione prevista nella manovra ha un costo molto inferiore.

Indipendentemente dall’efficacia di quell’incentivo, discutibile dato che più della metà degli sgravi è stata utilizzata per incentivare assunzioni a termine e stagionali, spesso part-time, si tratta di un’operazione di taglio mascherato che – secondo le letture più critiche – il governo avrebbe fatto passare sotto silenzio. Anche perché la conferenza stampa di Giorgia Meloni per illustrare la finanziaria e rispondere alle domande dei giornalisti, annunciata da Giancarlo Giorgetti per il 21 ottobre, non si è mai tenuta, senza che Palazzo Chigi abbia fornito spiegazioni.

Il taglio emerge chiaramente dalla memoria depositata alla Camera dall’Ufficio parlamentare di bilancio durante l’audizione sul disegno di legge. «Le spese si riducono soprattutto per effetto del definanziamento della cosiddetta decontribuzione Sud, pur tenendo conto della contestuale istituzione di un fondo per interventi volti a mitigare il divario nell’occupazione e nello sviluppo dell’attività imprenditoriale nelle aree svantaggiate del Paese e della proroga per il 2025 del credito di imposta Zes», scrive l’organismo indipendente commentando le misure dedicate alle imprese.

All’agevolazione nata nel 2020 erano destinati, ricorda l’Upb, 5,9 miliardi nel 2025, 3 miliardi nel 2026 e 4,4 miliardi nel 2027, per un totale di 13,3 miliardi nel prossimo triennio. Il nuovo Fondo destinato a finanziare politiche per il Mezzogiorno, che potrà concedere agevolazioni per l’acquisizione di beni strumentali da parte delle aziende del Sud, avrà invece “solo” 2,45 miliardi per l’anno prossimo, 1 miliardo nel 2026 e 3,4 miliardi nel 2027: in totale 6,85 miliardi, poco più della metà. Sommando gli 1,6 miliardi del credito di imposta per la Zona economica speciale per il Mezzogiorno si arriva a 8,45 miliardi: quasi 5 miliardi in meno rispetto alla dotazione della Decontribuzione. Questi fondi vengono utilizzati per coprire altre spese previste nella manovra.

A bocciare questo approccio è il capogruppo del M5S in decima commissione Senato Orfeo Mazzella: «Questa decisione, che penalizza le regioni del Mezzogiorno, rappresenta un grave passo indietro per lo sviluppo economico delle aree già fragili. Pertanto, reputo fondamentale che il Governo ripristini misure adeguate di sostegno al Meridione: voltarsi dall’altra parte vuol dire continuare a incrementare il gap Nord-Sud». (pp)

[Courtesy LaCNews24]