MEZZOGIORNO, SI CAMBIA SE SI REALIZZA
OMOGENEA DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE

di ERCOLE INCALZALeggendo il Disegno di Legge di Stabilità 2025 nasce spontaneo un interrogativo: e il Mezzogiorno? Cioè quali siano o quali possano essere le risorse che il Governo intenda assegnare, sotto varie forme (in conto esercizio e in conto capitale) alla infrastrutturazione del Sud?

Io, in modo forse ripetitivo, ricordo sempre che la legge 27 febbraio 2017, n. 18, dispone che la quota delle risorse ordinarie delle spese in conto capitale a favore delle otto regioni del Mezzogiorno non sia inferiore al 34% del totale nazionale.

Quest’ultimo valore non è casuale, in quanto è analogo al peso che la popolazione del Meridione ha sull’intero aggregato nazionale. Inoltre nella legge Finanziaria del 2005, era stato precisato che le Amministrazioni centrali si dovevano conformare all’obiettivo di destinare al Mezzogiorno almeno il 30% della spesa ordinaria in conto capitale.

Ma dal 2018 al 2022, se andiamo a leggere le dichiarazioni di Ministri del Mezzogiorno come Barbara Lezzi o Giuseppe Provenzano o Mara Carfagna e di Ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti come Danilo Toninelli o Paola De Micheli o Enrico Giovannini, scopriamo che era davvero scandaloso assegnare solo il 34%; una percentuale ridicola che non avrebbe mai incrinato il gap tra Sud e resto del Paese; almeno bisognava assegnare il 50% e il Ministro Giovannini dichiarò, addirittura, la soglia del 60%.

Appare evidente che allo stato attuale le risorse assegnate per interventi infrastrutturali rilevanti, sì per le cosiddette “opere strategiche”, nel Mezzogiorno dal 2015 ad oggi non superano, come preciserò dopo, il 6,5% del valore globale degli interventi infrastrutturali del Paese.

Ritengo opportuno precisare che in tale analisi non ho ritenuto opportuno inserire le risorse destinate al Ponte sullo Stretto di Messina perché non ho, in tale indagine, inserito gli interventi relativi al nuovo valico Torino – Lione, al Terzo Valico dei Giovi ed al Brennero; infatti ho sempre ritenuto questi quattro interventi come scelte mirate a realizzare i quattro anelli mancanti in grado di integrare il nostro impianto trasportistico con l’intero impianto comunitario.

Per questo motivo le opere infrastrutturali ubicate nel Mezzogiorno per le quali ci sono apposite risorse e sono in corso iniziative progettuali e realizzative sono: Un primo lotto dell’asse ferroviario ad alta velocità – alta capacità Salerno – Reggio Calabria per un importo di circa 2,2 miliardi di euro; il collegamento ad alta velocità – alta capacità Napoli – Bari per un importo di circa 5,8 miliardi di euro; alcuni lotti funzionali degli assi ad alta velocità – alta capacità Palermo – Messina e Messina – Catania per un valore globale di circa 3,8 miliardi di euro; alcuni lotti (uno in costruzione altri in fase di appalto) della Strada Statale 106 Jonica che collega Taranto con Reggio Calabria per un valore globale di 4,3 miliardi di euro; alcuni lotti dell’asse viario Palermo – Agrigento – Caltanissetta per un valore globale di circa 700 milioni di euro; asse ferroviario ad alta velocità Taranto – Potenza – Battipaglia per un valore di circa 500 milioni di euro; reti metropolitane e ferroviarie urbane di Napoli, Palermo e Catania per un valore globale di circa 900 milioni di euro.

Il valore globale di queste assegnazioni si attesta su un valore di 18,2 miliardi di euro e tutte sono opere previste nel Programma delle Infrastrutture Strategiche della Legge Obiettivo, opere che fino al 2022, escluso l’asse ad alta velocità Napoli – Bari, erano praticamente rimaste bloccate per scelta dei Governi Renzi, Gentiloni, Conte 1 e 2 e Draghi.

Il valore del Programma della Legge Obiettivo era pari a circa 277 miliardi di euro (valore questo che non tiene conto, come detto prima, del valore dei valichi e del Ponte sullo Stretto) per cui i 18,3 miliardi di euro rappresentano appena il 6,5%.

Ma questa mia denuncia è davvero ridicola perché basata sulla logica delle risorse assegnate al Sud, una logica che, purtroppo, dopo molto tempo, ho capito che è solo un atto mediatico utile per testimoniare la esistenza di una volontà che si è trasformata in atti concreti solo con la Legge Obiettivo, dopo, invece, è rimasta solo una dichiarazione di buone intenzioni.

Pochi mesi fa ho fatto presente, in alcune mie note, che forse l’attuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) possono essere invece una prima misurabile occasione per uscire da questo equivoco e, soprattutto, un simile approccio ci farebbe scoprire che sarebbe necessario disporre per azioni infrastrutturali e servizi al Sud pari ad un valore di circa 14 miliardi di euro all’anno per un arco temporale di almeno dieci anni.

In realtà, quindi, la misura di un vero cambiamento dell’azione del Governo nei confronti del Mezzogiorno non dovremmo più misurarla solo con queste percentuali inutili sul valore globale degli investimenti ma dovremmo convincerci, una volta per tutte, che l’unico modo per tentare di abbattere il gap del Sud nei confronti del Centro Nord, l’unico modo per evitare che il reddito pro capite medio si attesti sempre su un valore di 21 mila euro contro i 40 mila del Nord, l’unico modo per riconoscere al Mezzogiorno il suo ruolo chiave nel contesto nazionale e comunitario, l’unico modo per non rimanere, all’interno della Unione Europea, insieme alla Germania dell’Est la realtà economica incapace di crescere, l’unico modo è solo legato ad una azione organica nella omogenizzazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni.

Una azione che deve essere caratterizzata da iniziative non solo infrastrutturali ma anche in interventi capillari sulla miriade di servizi offerti: da quelli sul trasporto pubblico locale a quelli relativi alla offerta dei servizi sanitari e scolastici, ecc.

Ed allora, non avendo trovato risorse in conto capitale nel Disegno di Legge di Stabilità 2025 ho cercato quante risorse fossero state previste per l’attuazione dei Lep e non ho trovato alcuna risorsa e questa dimenticanza mi ha davvero preoccupato.

Addirittura ho pensato che il Governo speri, il prossimo 12 novembre, in una bocciatura, da parte della Consulta, della Legge n.86 del 26 giugno 2024 relativa all’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma della Costituzione, (cosa poi accaduta).

Sì è l’unico modo per evitare che una norma aggravi ulteriormente le sorti del Sud soprattutto perché, non disponendo il Governo di risorse, provocherebbe solo un rischioso conflitto non solo tra le Regioni del Sud e quelle del resto del Paese ma, addirittura, tra le stesse Regioni del Mezzogiorno. Mi spiace ma questo è uno dei primi passi falsi dell’attuale Governo. (ei)

PRETENDERE I LIVELLI UNIFORMI, NON I LEP
SOLO COSÌ IL SUD AVRÀ GLI STESSI DIRITTI

di PIETRO MASSIMO BUSETTACi sono due modi per soddisfare le esigenze esistenti in un dato momento in un determinato territorio. Uno è fare in modo di recuperare le risorse per soddisfare i bisogni esistenti. Ma non è l’unico. Il secondo è quello di abbassare il livello dei bisogni.  

Per chiarire nel primo caso sono necessarie tante risorse e bisogna darsi da fare per recuperarle.   E questo sistema non è perseguibile in Italia, considerate le problematiche dell’enorme debito pubblico esistente, con il quale, peraltro, si è infrastrutturato solo una parte del territorio e visto che i tassi di crescita del reddito sono contenuti. 

Bisognava trovarne uno per il quale non servono i 100 miliardi di cui si è parlato, per andare avanti con l’autonomia differenziata, che é stata vincolata per le materie “lepizzate” alla esistenza dei livelli essenziali. 

Ed eccolo servito. Gli esempi illuminanti sono quelli in cui si sta specializzando il Governo. Si tratta invece di puntare in una famiglia a far laureare i figli, di accontentarsi di farli diplomare.   Non è anche il diploma un livello essenziale? Le esigenze finanziarie, in questo secondo caso, diminuiscono. 

É quello che ha capito il ministro Giorgetti, Calderoli, Luca Zaia e tutta la Lega di Salvini. E che sta trovando realizzazione in due episodi recenti. 

Il primo quello che riguarda l’andamento dei lavori per la individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Lo si é  fatto introducendo un concetto semplice quello del costo della vita, che non considera però la mancanza di servizi essenziali che gravano sul bilancio delle famiglie meridionali. Un altro elemento che  può aiutare é quello dell’età media, visto che al Sud si vive di meno, o della non necessità del tempo pieno a scuola.

Se al Sud tale costo è più basso tutto sarà più facile, perché se per vivere serve meno anche le risorse che può destinare il bilancio nazionale possono essere inferiori. Si ritorna al gioco solito delle tre carte, nelle quali quella vincente sparisce sempre. 

L’algoritmo che si preparerà per calcolare i Lep sarà complicatissimo, ma arriverà  a produrre dei numeri che dovranno convincere i meridionali, con l’anello al naso, che la spesa è già sufficientemente equilibrata all’interno del nostro Paese. Ci saranno i media indirizzati che aiuteranno a far accettare tale approccio, come è accaduto per anni.

Magari come con l’autonomia differenziata, di notte e di fretta, dopo un totale silenzio sui lavori in itinere, non trapelerà nulla sulle procedure e sui calcoli che adotterà  la Commissione tecnica fabbisogni standard e uscirà la soluzione addomesticata. 

Improvvisamente verranno fuori dei numeri, certificati magari da alcuni Centri di ricerca prestigiosi, praticamente impossibili da ricostruire e che evidenzieranno che alla luce di tali calcoli i 60 miliardi di differenza di spesa pro-capite annuali tra Centro Nord e Sud, in realtà alla luce del costo della vita, di alcune poste che non vanno allocate,  diranno magari che le cose vanno bene così e che quindi é corretto che Veneto o  Lombardia si tengano il residuo fiscale, perché là servono  più risorse per finanziare i servizi che non in Sicilia  o Calabria. E che quella è la locomotiva che va salvaguardata perché trascina tutti. Non è quello che è avvenuto con la sanità?            

La Commissione che ha  il compito di fissare i criteri in base ai quali calcolare i costi dei Lep potrà utilizzare metodi per cui, senza ulteriori costi per il bilancio, tutto potrà rimanere come prima. 

La Presidente della Commissione tecnica sui fabbisogni standard, ex consulente del presidente Zaia, Elena D’Orlando, della quale sono state chieste le dimissioni per un evidente conflitto di interesse, non avrà difficoltà a far ritenere corretti calcoli penalizzanti per il Sud. Anche perché non ci sarà un giudice a Berlino imparziale. 

Il secondo metodo  di cui si parlava è quello che il Ministro Giorgetti, che ha dimostrato in altre occasioni la sua capacità di trovare il modo per far uscire il coniglio dal cappello, ha adoperato nella  legge di bilancio, cioè trovare un escamotage per cui i diritti vengano sottodimensionati. 

In uno degli allegati al piano strutturale di bilancio si chiarisce il meccanismo. Il diritto all’asilo nido, infatti, non sarà più del 33% a livello regionale, ma scenderà al 15%, sulla base di una media nazionale, ovviamente influenzata dall’inesistenza di asili nido al Sud, contraddicendo quanto previsto dalla legge di bilancio 2022, che fissava proprio al 33% su base locale la disponibilità di posti con l’obiettivo di rimuovere gli squilibri territoriali nell’erogazione del servizio, in maniera tale che i Lep relativi  saranno certamente più facilmente raggiungibili. Il sottostante pensiero a giustificazione è che tanto le donne meridionali non hanno lavoro e quindi possono accudire i propri figli e che oltretutto  quando ci sono non vengono utilizzati. Al Sud gli asili nido non servono.  

D’altra parte se bisogna far quadrare il bilancio e tagliare le spese,  il modo più semplice di farlo è quello di penalizzare il vaso di coccio che tanto non si lamenta e in ogni caso non fa danno. 

Per questo bisogna assolutamente alzare il livello delle richieste e passare a pretendere  non i  livelli essenziali ma i Lup, i livelli uniformi. Non si capisce infatti perché il meridionale si debba accontentare dell’essenziale e non deve avere gli stessi diritti del cittadino del Nord. Paga forse una percentuale inferiore di imposte rispetto al reddito che produce? O è un figlio di un dio minore? Lo è certamente ma si può statuire tutto ciò in documenti ufficiali?   

Ovviamente le considerazioni di sparuti intellettuali meridionali, a cui recentemente si è aggiunta con non molta convinzione la Cgil ma anche l’opposizione, resteranno parole al vento perché quella che si configura ormai in modo chiaro è che il Sud è una colonia interna, buona per fornire giovani formati, energia come batteria del Paese, malati per le strutture sanitarie del Nord e giovani studenti per le università settentrionali. 

Per i diritti al lavoro, alla sanità, alla buona formazione c’è sempre un domani, meglio se lontano. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

 

Il presidente Occhiuto: «Sull’autonomia fermiamoci»

«Al governo e alla maggioranza direi: siate prudenti. Congelate gli effetti della legge sull’autonomia in attesa che la riforma sia completa, utilizzate il tempo per ragionare su ogni aspetto e per spiegare all’opinione pubblica cosa succederà e come». È quanto ha detto il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, in una intervista di Paola Di Caro per il Corriere della Sera.

Per il governatore «è vero che l’autonomia era uno capisaldi del centrodestra con la riforma della giustizia e il premierato, ma è l’unica su cui si è andati di fretta, di notte, con un’urgenza poco comprensibile. Sul resto si sta agendo con calma. Forza Italia ha fatto un grande lavoro per evitare distorsioni a danno del Sud, ma ancora c’è da lavorare. Prendiamoci tempo. Fermiamoci e ragioniamo. Nemmeno al Nord oggi i cittadini sentono questo tema come un’urgenza».

«Il Centrodestra – ha specificato Occhiuto –  ha solo attuato una riforma che era stata voluta dalla sinistra, che ora attacca anche per ragioni meramente propagandistiche. Ma due ordini di problemi esistono. Il primo è sulle materie che possono essere devolute alle Regioni che le chiederanno solo dopo che si saranno superati i costi storici e definiti i Lep».

Quello dei Lep, infatti, «è un tema molto delicato. Bisogna capire bene come si stabiliscono i Lep. Per fare un esempio: un medico specializzato che deve venire a lavorare in un ospedale calabrese chiederà di essere pagato di più, non di meno, di chi viene chiamato al Nord, magari allettato da offerte anche più alte. Lo stesso vale per la scuola, perché noi paghiamo ritardi storici e culturali e se non stiamo attenti rischiamo di acuirli», ha spiegato Occhiuto, dando ragione al ministro Antonio Tajani, secondo cui «prima di ogni altra mossa bisogna stabilire quali sono i livelli minima di assistenza, anche per quelle materie per cui non sarebbe necessario».

E, proprio su questo per Occhiuto «veniamo al secondo problema», ha detto al Corsera: «non ha senso che ogni regione possa – come oggi in teoria è previsto – sponsorizzare e firmare i propri contratti di export, di promozione, per conto proprio. Che ci mettiamo a fare, la concorrenza sul vino tra Veneto e Calabria? A chi giova? Per tutti è fondamentale che sia il ministro competente per il Paese a garantire il marchio del Made in Italy, non siamo repubbliche indipendenti in competizione».

Il Governatore, poi, parlando del referendum: «temo che si riveli un danno per il centrodestra a livello nazionale, perché stravincerebbe al Sud e al Centro e credo che non basterebbero i voti del Nord per salvare la legge. Lo credo perché oggi non è più come 10 anni fa, l’autonomia non è più sentita come una priorità nemmeno a Nord».

Per questo «ho chiesto – ha ribadito – e chiedo ancor più di oggi una moratoria sulle materie delegabili solo coi Lep».

«Prendiamoci tutti il tempo necessario per definirli al meglio, visto che si parla di spese comunque enormi, quantificate dagli istituti specializzati tra i 100 e i 200 miliardi. Per quelle cosiddette minori, se non c’è urgenza, perché affrettare? La legge sull’autonomia è stata approvata in fretta e furia. Serviva più tempo e maggiori chiarimenti. Anche grazie a FI è una legge che può reggere, ma va spiegata e meglio definita. Fermiamoci», ha concluso Occhiuto. (rrm)

AUTONOMIA, L’ATTUAZIONE NON È VICINA
IL NODO PER TROVARE LE RISORSE PER I LEP

di ERCOLE INCALZA – La Legge sull’Autonomia differenziata delle Regioni penso sia una “Legge bandiera”, cioè uno strumento voluto da uno schieramento politico come la Lega, uno schieramento che da sempre ha inseguito un preciso obiettivo: dare ruolo e funzione alla identità regionale. Un obiettivo che, oltre ad essere divisivo, genera, automaticamente linee strategiche completamente diverse da quelle che gli schieramenti politici storici del nostro Paese avevano sostenuto sin dall’inizio nel varo della Carta costituzionale.

Ma io non voglio e non posso cimentarmi su un argomento, quello strettamente legato alla nostra Costituzione, perché non sono affatto preparato e non riuscirei, in alcun modo, a vagliare le positività e le negatività del provvedimento. Voglio invece affidarmi alle dichiarazioni di due esponenti di due schieramenti politici diversi: uno di Fratelli d’Italia nella persona dell’Onorevole Tommaso Foti, capogruppo alla Camera dei Deputati e l’altro del Patito Democratico nella persona di Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia Romagna.

L’onorevole Foti alla domanda di un giornalista se ci sono le risorse per dare attuazione ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) ha risposto: «Se non ci sono le risorse non si faranno le intese. C’è una Commissione presieduta da Sabino Cassese che ha due anni di tempo per definire i Lep. La Legge introduce un vincolo che prima non c’era: sulle materie che prevedono i Lep, se non ci saranno le risorse, non si faranno le intese».

Il Presidente Bonaccini invece ha fatto presente: «In molte materie si pensa addirittura di procedere senza alcun criterio perequativo e senza aver stabilito i Lep. Noi puntavamo sulla efficienza dei servizi, qui invece ci si prepara a dividere i destini delle aree del Paese, come se l’Italia non fosse già profondamente divisa. Prima di procedere avevamo chiesto che fossero stabiliti e garantiti i Lep in tutto il territorio nazionale e che fosse assicurato il coinvolgimento del Parlamento».

Dopo queste due dichiarazioni nasce spontanea una domanda: quali sono le distanze attuali nella offerta delle prestazioni essenziali? La risposta è immediata: per quanto concerne la offerta di servizi socio – assistenziali si passa da 22 euro pro capite in Calabria ai 540 euro nella Provincia di Bolzano inoltre la spesa sociale del Sud è di 58 euro pro capite, mentre la media nazionale è di 124 euro e questo tragico indicatore ne genera automaticamente un altro: il Pil pro capite nelle otto Regioni del Mezzogiorno non supera la soglia dei 22 mila euro e addirittura in alcune, sempre delle otto Regioni, si attesta su un valore di 17 mila euro; al Nord si parte da una soglia di 36 mila euro per arrivare addirittura a 40 mila euro.

Non metto in dubbio la buona volontà nel traguardare un obiettivo così strategico e determinante per la crescita e lo sviluppo del Sud e di vaste aree del Paese non solo meridionali, mi preoccupa però che la copertura per traguardare un simile obiettivo non sia possibile trovarla in un arco temporale limitato e, soprattutto a mio avviso, non è solo un problema legato alla copertura finanziaria ma anche procedurale e gestionale. Faccio solo un esempio quello relativo al trasporto pubblico locale; ebbene in questo comparto lo Stato annualmente assicura una disponibilità di 5 – 6 miliardi di euro per il ripiano dei disavanzi delle società preposte alla gestione della mobilità; una cifra già limitata ma che se si volesse rendere comparabile la offerta del Mezzogiorno ed in questo caso anche del Centro del Paese con quella del Nord occorrerebbe, per almeno dodici anni, assicurare annualmente non 5 – 6 miliardi di euro ma 13 miliardi di euro. Non mi dilungo su altri comparti come la “sanità” o “la scuola”. In realtà non si tratta di assegnare per un arco temporale limitato un determinato volano di risorse ma immettere nelle prossime leggi di stabilità delle assegnazioni obbligate per un arco temporale non identificabile. Cioè significa stravolgere il nostro bilancio pubblico ordinario.

Il Governo e la Presidente Meloni sanno bene questo e penso utilizzeranno il “fattore tempo” per smorzare gli effetti di una norma, ripeto, utile solo come effetto mediatico. (ei)

AUTONOMIA, UN PASTICCIO CHE RISCHIA DI
PORTARE AD UN REGIONALISMO IMPAZZITO

di GIOVANNI MACCARRONEIniziamo a dire che il Titolo V, parte Seconda, della nostra Costituzione è stato già oggetto di un ampio processo di riforma, avvenuto mediante l’approvazione della legge costituzionale n. 3 del 2001 (contenente appunto «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» in GU n. 248 del 24 ottobre 2001).

La citata legge è stata approvata con una maggioranza inferiore a quella richiesta (maggioranza qualificata dei due terzi dei membri delle Camere) e per questo è stata sottoposta a referendum confermativo il 7 ottobre 2001, il quale si è concluso con esito favorevole all’approvazione della legge (il 64% dei votanti si è espresso per il sì) che è poi entrata in vigore il mese successivo. 

Il referendum – a cui partecipò solo il 34 per cento dei votanti – rappresentava il punto di arrivo di un lungo percorso, iniziato nel 1997, durante il primo governo Prodi, con una commissione bicamerale sul tema.

Due anni dopo, nel 1999 – il presidente del Consiglio era Massimo D’Alema – il lavoro della commissione era confluito in una proposta di legge.

L’approvazione del testo, infine, arrivò a marzo 2001 quando a Palazzo Chigi c’era Giuliano AmatoGrazie alla legge costituzionale n. 3/2001 è stato introdotto il terzo comma dell’art. 116 Cost., il quale prevede la possibilità che, con legge dello Stato, approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di un’intesa con la Regione interessata, possano essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» nelle materie di competenza concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., nonché in alcune materie di competenza esclusiva dello Stato (vale a dire organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali).

A seguito dell’introduzione della citata disposizione, a partire dal 2001, le Regioni a statuto ordinario possono ottenere, previa intesa con lo Stato, ulteriori competenze nelle materie circoscritte ai 23 ambiti di legislazione concorrente (art. 117, comma 3) oppure nelle tre materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2), ossia la giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Per il trasferimento delle ulteriori funzioni necessita un’apposita legge dello Stato (approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti) e, soprattutto, il rispetto dei principi di cui all’art. 119 Cost.

Pertanto, in tale contesto rileva anche il tema di una corretta quantificazione delle risorse da attribuire alle Regioni richiedenti per le competenze aggiuntive in termini di spesa storica o di fabbisogni standard nel territorio regionale. 

Anzi, la determinazione delle risorse finanziarie, umane e strumentali da devolvere alle regioni per implementare le funzioni acquisite è tanto importante quanto la stessa attribuzione delle competenze, in quanto fase imprescindibile per giungere ad un effettivo funzionamento del regionalismo differenziato

Attualmente, per il finanziamento regionale le norme vigenti prevedono sistemi di compartecipazione al gettito maturato nel territorio regionale dell’imposta sui redditi delle persone fisiche e di eventuali altri tributi erariali e un fondo perequativo generale per i territori con minore capacità fiscale per abitante (art. 119).

All’indomani della riforma del Titolo V, e all’introduzione della previsione costituzionale relativa al cd. regionalismo differenziato, poche sono state le regioni che hanno avanzato proposte per richiedere «ulteriore forme e condizioni particolari di autonomia». Nessuno dei tentativi intrapresi, però, è giunto a compimento.

Si può dire, quindi, che la previsione legislativa sull’autonomia differenziata non ha ancora avuto alcun seguito. Sebbene, di recente, sia stata pubblicata nella gazzetta Ufficiale la legge 26 giugno 2024, n. 86 recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione.

L’art. 4 della legge da ultimo citato prevede espressamente che «il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse  umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o  ambiti  di  materie riferibili ai Lep di cui all’articolo  3,  può essere  effettuato, secondo le modalità e le procedure  di  quantificazione  individuate dalle singole intese, soltanto dopo la  determinazione  dei  medesimi Lep e dei relativi costi e  fabbisogni  standard,  nei  limiti  delle risorse rese disponibili  nella  legge  di  bilancio… Il trasferimento delle funzioni relative a materie o ambiti di materie diversi da quelli di cui al comma 1, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, può essere effettuato, secondo le modalità, le procedure e i tempi indicati nelle singole intese, nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente, dalla data di entrata in vigore della presente legge».

Pertanto, prima di poter mettere in atto l’intera riforma andrebbe stabilita la spesa dei Livelli essenziali di prestazione e i relativi costi e fabbisogni standard che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale. Cosa che, nei ventitrè anni trascorsi dall’approvazione della riforma costituzionale che ha introdotto l’autonomia, non è mai avvenuta.

E la centralità dell’opera di determinazione dei Lep in determinati settori è importante anche ai fini della piena attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La qual cosa è stata recentemente evidenziata dalla stessa Corte costituzionale, la quale, nella sentenza n. 220 del 2021, ha sottolineato come tale adempimento, da parte del legislatore, appaia “particolarmente urgente anche in vista di un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”.

Ad ogni buon conto, occorre considerare che – come già evidenziato – le necessarie risorse finanziarie andranno determinate in termini di compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale, tali da consentire la gestione delle competenze trasferite o assegnate, in coerenza con quanto disposto dall’art. 119, quarto comma, della Costituzione.

Di conseguenza, l’attribuzione di nuove funzioni, determinerà sicuramente un aumento della pressione fiscale a danno, soprattutto, dei cittadini e delle imprese del Sud. 

Nelle regioni centro-settentrionali, l’incremento delle competenze nel loro territorio, attraverso l’incremento della quota di compartecipazione ai grandi tributi erariali, provocherà, invece, un incremento della spesa pubblica che andrà a tutto vantaggio dei cittadini di tali regioni dato che le entrate tributarie di tali regioni sono enormemente più elevate.

Per cui, nelle regioni del Sud, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, potranno essere attribuite, non solo attraverso la compartecipazione al gettito maturato nel territorio regionale dell’imposta sui redditi delle persone fisiche e di eventuali altri tributi erariali, ma anche e soprattutto con il ricorso al fondo perequativo di cui all’art. 119 Cost. e comunque con un finanziamento pubblico ingente.

Il che, come è evidente, comporterebbe una inevitabile sottrazione di risorse importanti al bilancio dello Stato e un conseguente consolidamento dei conti pubblici a carico probabilmente alla restante parte del Paese, oltre che più in generale di contribuire a compromettere la garanzia dei diritti sociali, già messa a dura prova da un decennio di crisi.

A quanto sopra bisogna anche aggiungere che l’aggravio del divario Nord-Sud, e la definitiva perdita del residuo senso di appartenenza a una comunità politica unitaria da parte dei cittadini sembrano essere già dietro l’angolo

Sicchè, come giustamente è stato notato, il rischio è che con l’autonomia differenziata, da un regionalismo senza modello, si passi a un regionalismo impazzito, dove le Regioni speciali, che lamentano l’arretramento subito a seguito della riforma del Titolo V, si affiancherebbero a Regioni ordinarie di “tipo a” e Regioni ordinarie differenziate di “tipo b”, a loro volta differenziate tra loro, mentre l’assenza di una istituzione rappresentativa di raccordo al centro di questo dedalo di competenze differenziate, che già tante volte è stata lamentata dal 2001 in poi, diverrebbe a questo punto un elemento di ulteriore criticità dell’assetto istituzionale.

Insomma, un vero e proprio pasticcio all’italiana. In questo siamo diventati dei veri e propri campioni.

Di ciò se n’è accorto anche un esponente del Pd, Gianni Cuperlo, il quale ha riconosciuto che «nel 2001 si riformò il Titolo V pensando di togliere voti alla Lega. Fu un errore e gli italiani lo hanno pagato caro».

Mah. Speriamo bene. (gm)

Autonomia, i capigruppo del cdx in Consiglio regionale: Prestare attenzione a materie che non rientrano nei lep

«Auspichiamo che si presti attenzione anche alle materie non rientranti nei ‘Lep’, che potrebbero essere subito devolute alle Regioni con le relative risorse strumentali e finanziarie». È quanto hanno detto i capigruppo del centrodestra in Consiglio regionale, Michele Comito, Giuseppe Neri, Giuseppe Gelardi, Giacomo Crinò, Giuseppe Graziano, Giuseppe De Nisi, nel corso di un incontro con il presidente Filippo Mancuso.

Per i consiglieri regionali, «assodato, nel disegno di legge votato dal Senato, il  superamento dell’iniquo metodo della ‘spesa storica’ e l’individuazione e contestuale finanziamento dei ‘Lep’», è necessario «che se per le materie (non ‘Lep’) – come la parte della sanità concernente gli stipendi del personale, le infrastrutture, l’energia, le zone speciali, la portualità e il commercio estero – si agisse con immediatezza, mentre si darebbero ulteriori chance di crescita alle regioni del Centro e del Nord, si rischierebbe di frustrare le aspettative delle regioni del Sud».

«Siamo certi che i nostri riferimenti politici nazionali – hanno concluso – a partire dai parlamentari, ora che del progetto di legge sull’autonomia regionale differenziata se ne occuperà Montecitorio, si adopereranno affinché l’impegno di approvare una riforma che potrà consentire il superamento dell’Italia a doppia velocità anche per i diritti civili e sociali, vada a buon fine».

Audizione dell’Usb Calabria nell’ambito dell’indagine per la determinazione dei Lep

La sigla sindacale Usb ascoltata per quanto riguarda la questione Lep. E’ lo stesso sindacato a comunicarlo in una nota.

«Si è tenuta ieri presso la Prefettura di Catanzaro l’audizione della Confederazione regionale Usb con la Commissione parlamentare per le questioni regionali, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla determinazione e sull’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali – è scritto – La delegazione Usb ha ricordato come i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), introdotti con la riforma del Titolo V della Costituzione, dovrebbero rappresentare il criterio per erogare i servizi pubblici relativi ai diritti sociali e civili, ma la definizione di tali livelli è rimasta lettera morta, riaccesa oggi con il dibattito sul DDL Calderoli e l’autonomia differenziata, su cui l’USB tutta si è sempre opposta. Forte è infatti la preoccupazione che il Ddl Calderoli possa aumentare le disparità tra le aree ricche e povere del Paese.
Senza un’adeguata copertura finanziaria i Lep potrebbero solo evidenziare ciò che manca ai cittadini, come accade già con i Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria (Lea) in Calabria. C’è il rischio che, senza finanziamenti sufficienti, i servizi pubblici subiscano ulteriori riduzioni, favorendo le speculazioni private e accentuando le disuguaglianze sociali».

Continua il comunicato: «L’Istat ha confermato le profonde disparità tra Nord e Sud, con il Sud che continua a crescere meno della media europea, principalmente a causa del basso tasso di occupazione e delle tendenze demografiche negative. La mancanza di risorse ha portato alla precarizzazione del lavoro pubblico, con conseguenze negative sui servizi offerti alla popolazione. La situazione nel Sud è aggravata dalla carenza di infrastrutture e servizi, come evidenziato dalla Svimez. Anche nei settori della scuola e della sanità, il Sud è fortemente svantaggiato rispetto al Centro-Nord, con minori risorse finanziarie e risultati più scadenti in termini di salute e istruzione».

«L’introduzione dei Lep, in questo contesto, – conclude Usb – necessiterebbe quindi di ingenti risorse, stimate in 90-100 miliardi per tutto il territorio nazionale, 8 di questi solo in Calabria: inimmaginabile pensare somme simili nell’attuale contesto economico. Per questo USB ritiene che introdurre i Lep “a costo zero” porterebbe ad aumentare le disuguaglianze, favorendo ulteriori tagli e privatizzazioni dei servizi e minacciando quell’uguaglianza sancita dalla Costituzione». (rcz)

L’OPINIONE / Orlandino Greco: Forza Cassese, il Sud aspetta i Lep che diranno basta ai diritti negati

di ORLANDINO GRECO  – Forza Cassese,  il Sud aspetta i Lep che diranno basta ai diritti negati. È il motto di Italia Del Meridione (IDM), un partito nato a tutela del Mezzogiorno, vittima delle povertà. Da quella infrastrutturale a quella della economia insufficiente per assicurare i servizi primari e le prestazioni indispensabili per la vita delle persone, costrette a rintracciarli altrove spesso mettendo in gioco tutti i loro risparmi, i patrimoni accumulati da più generazioni e i loro affetti.

Una legittima rivendicazione politica funzionale al superamento dei divari sociali, anche di genere, che hanno impedito ai meridionali di misurarsi alla pari degli altri.  I Lep sono garanti dell’uguaglianza sostanziale. Sono strumenti di dignità sociale. Sono sinonimi del miglioramento occorrente e vitale. In quanto tali afferenti a tutte le materie che riguardano la quotidianità dei cittadini all’insegna della civiltà, che nel sud del Paese latita da diversi decenni.
È pertanto insufficiente, e ha fatto bene Calderoli a sollecitare il prof. Cassese ad ampliare la ricerca del Comitato per i Lep (CLEP) ben oltre le 23 materie differenziabili. Con questo estenderle a tutte le materie individuate nell’art. 117 in quelle esclusive statali (32) e concorrenti (19), ma anche a quelle residuate nella competenza, anche essa esclusiva, delle Regioni a statuo ordinario (circa 30). Ciò in quanto nei confronti dell’essenzialità delle prestazioni non può esistere alcun compromesso ovvero diminutio, in quanto è dal loro insieme organico e coordinato che si misura lo stato di diritto e l’esistenza degli aspetti culturali, spontanei e organizzati, che caratterizzano una collettività nei confronti della quale è adempiente solo una corretta attuazione della Costituzione.
È nei Lep la vera unità materiale del Paese, attraverso la quale celebrare la percezione certa ed egualitaria dei diritti civili e sociali della Nazione intera, quale espressione della componente umana della Repubblica.
Il molto prossimo futuro sarà ricordato come il periodo delle scelte, di quelle funzionali a mutare in meglio l’esistenza. Primo fra tutti – nell’ottica del superamento della spesa storica, punitiva per i più poveri di sempre – i costi standard, i fabbisogni standard e un efficiente sistema perequativo, tutti garanti dei Lep percepiti ovunque e da chiunque. Ed proprio nell’ovunque che si concretizzerà la soluzione al vergognoso minus percepito sino ad oggi dai meridionali, atteso che con i Lep godranno di tutto ciò che è reso esigibile nel Paese.
Ci sarà poi l’attuazione della Costituzione che offrirà l’occasione, ex art. 116, alle Regioni interessate a richiedere l’esercizio di una competenza legislativa maggiore. Che lo facciano, fermo restando che i Lep sono intoccabili perché appartengono alle persone ovunque esse siano!
Un altro punto è la cittadinanza europea. Un obiettivo di ieri che pretende un domani molto prossimo perché si realizzi, con un Mezzogiorno che costituirà la parte dell’UE che confina e dialoghi con il Mediterraneo. (og)

SUI LEP OCCHIUTO È CONTRO CALDEROLI
«DISATTENDE QUELLO CHE ERA PATTUITO»

di SANTO STRATI Non è una dichiarazione di guerra, ma poco ci manca: il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto sferra un pesante attacco al ministro Roberto Calderoli a proposito dell’autonomia differenziata che sta procedendo a passo svelto verso l’approvazione. «Non era quello che avevamo pattuito – ha detto Occhiuto in un’intervista al quotidiano La Stampa –: il ministro leghista vorrebbe prima approvare la legge sull’Autonomia e poi garantire le risorse necessarie per finanziare i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP). Secondo Occhiuto «l’approccio è sbagliato: le due cose devono viaggiare insieme, altrimenti per il Sud l’Autonomia rischia di diventare una trappola».

Forse il Presidente Occhiuto ha aperto gli occhi (finalmente!) sul trappolone leghista che si basa su un concetto semplice ed egoisticamente impeccabile: vale la spesa storica, ovvero chi ha avuto tanto (da spendere) continuerà ad averne in eguale quantità, chi ha avuto meno (ovvero non aveva risorse per investimenti di natura sociale) si arrangi con la stessa cifra di prima. Con buona pace della perequazione e del divario sociale che la Costituzione proibisce di avere. Ma il fatto è sotto gli occhi di tutti: sono stati approvati nove articoli su 10 e la legge che istituisce e regola la cosiddetta autonomia differenziata è a un passo dall’approvazione. Nonostante le dimissioni di autorevoli esponenti chiamati nel Comitati sui Lep e la grande confusione che regna sovrana intorno all’argomento.

Occhiuto reagisce con veemenza, infischiandosene  (complimenti, Presidente!) della tenuta della maggioranza che scricchiola continuamente tra gaffes e imperdonabili sciocchezze legislative che, di sicuro, non aiutano il popolo, ma soddisfano inconfessabili appetiti di lobbies. Il Governatore ci va pesante: «Temo – ha detto a La Stampa – che il primo vagone del treno, quello con la legge sull’Autonomia, arrivi puntuale in stazione mentre gli altri vagoni, che contengono il finanziamento dei Lep e il meccanismo di perequazione, finiscano su un binario morto.

«Senza il finanziamento dei Lep e senza il fondo perequativo (destinato ai territori con minore capacità fiscale pro-capite), i vantaggi per il Mezzogiorno sarebbero pochi. L’effetto finale, in altre parole, sarebbe quello di avere un aumento del divario tra Sud e Nord. Esattamente il contrario di quello che potremmo ottenere».

Occhiuto chiarisce di non essere contrario all’Autonomia differenziata, se vengono rispettati i patti che ridanno al Mezzogiorno le risorse necessarie per superare le insopportabili sperequazioni che colpiscono pesantemente, tra l’altro, gli asili nido e la formazione scolastica.  Secondo il Governatore, «L’Autonomia può essere una grande opportunità per il Sud, ma solo se quei vagoni di cui parlavamo arrivano nello stesso momento in stazione. Per la Calabria sarebbe un’occasione avere l’autonomia sulla gestione dell’energia o dei porti. Non ho quindi alcun pregiudizio, purché si rispettino gli accordi iniziali. Adesso si può anche approvare la legge al Senato, ma prima dell’ok definitivo bisogna finanziare i Lep. Confido nell’equilibrio e nella saggezza di Giorgia Meloni».

Il giornalista de La Stampa fa notare che Calderoli sostiene che è già in Costituzione la garanzia del finanziamento dei Lep. La replica di Occhiuto è lineare: «È vero, eppure non sono mai state garantite risorse per i pochi Lep finora stabiliti, nonostante l’obbligo costituzionale. L’Autonomia, invece, viene prevista dalla Costituzione solo come una ‘possibilità’, non come un obbligo.

«Trovo quindi assurdo che per la possibilità dell’Autonomia si vada di corsa e ci sia un’attenzione spasmodica, mentre per ottemperare a due obblighi costituzionali non ci sia alcuna fretta. Anche l’idea di permettere delle pre-intese è una fuga in avanti, se non sono finanziati i Lep. Questo modo di procedere non va bene a me e penso non vada bene nemmeno a Forza Italia.

«Ne abbiamo discusso con Tajani in mattinata. Ringrazio lui e i ministri di FI perché è grazie a loro che si era raggiunto quell’accordo, che ora va rispettato. Credo – ha detto Occhiuto – di non parlare a titolo personale. I governatori del Sud hanno le mie stesse preoccupazioni. Anche il gruppo parlamentare ha molti deputati e senatori meridionali che come me non hanno pregiudizi verso l’Autonomia, ma vogliono garanzie sulle risorse per i servizi da fornire ai cittadini. Altrimenti la conclusione è chiara a tutti: l’Autonomia non sarebbe più un’opportunità per il Mezzogiorno».

La posizione critica di Occhiuto merita l’apprezzamento di tutto il Sud: il criterio della spesa storica è la stortura che sta alla base del provevdimento e che verrebbe sanata solo con la parificazione per livelli essenziali di prestazione, ma il problema è che non ci sono le risorse e quindi i LEP costituiscono un serio ostacolo per la riforma ideata da Calderoli. Ma il rischio di far passare il provevdimento rinviando a data successiva il reperimento delle risorse finanziarie per i Lep ci sta tutto.

Sia ben chiaro: il Governo senza i voti di Forza Italia, che si sta mostrando decisamente critica nei confronti del provvedimento, non avrebbe i numeri per imporre una legge che divide ancor più in due l’Italia: Il Nord opulento e ricco, il Meridione povero e destinato a perpetuare una condizione di sottosviluppo, soprattutto nell’ambito del welfare e dell’assistenza.

Inoltre, il progetto di Autonomia differenziata va a scontrarsi con la pacata indifferenza di troppi attori politici del Mezzogiorno che avrebbero dovuto (e dovrebbero) issare muri e paletti contro una legge penalizzante e discriminatoria (c’è da chiedersi, ove passasse, se il Presidente Mattarella la firmerebbe).

Un invito a Occhiuto “a guidare le regioni del Sud alla ribellione pacifica” è venuto da Orlandino Greco, leader dell’Italia del Meridione. «È stata una bella notizia – ha detto il sindaco di Castrolibero – l’aver letto sulla stampa le ultime dichiarazioni del Presidente della Regione Calabria, il quale, svestendo i panni di alleato in coalizione ed indossando la casacca dei calabresi, ha lanciato un monito al Governo ed al Ministro Calderoli sull’autonomia differenziata.

«Quello, infatti, del mancato calcolo e  finanziamento dei Livelli Essenziali delle Prestazioni e dell’istituzione di un fondo perequativo per i territori più poveri, prima dell’approvazione della riforma è uno dei temi cari all’Italia del Meridione: sono mesi, infatti, che lo diciamo in giro per il Sud, nelle piazze e nelle istituzioni.

«Oggi anche il Presidente Occhiuto ha preso consapevolezza dei rigurgiti nordisti della Lega, consapevole della sua autorevolezza istituzionale. Ritengo, infatti, che il momento sia propizio affinché egli guidi la ribellione pacifica delle regioni del Sud. D’altronde è da tempo che molti amministratori del Sud, come il sottoscritto, hanno proseguito il loro impegno politico e civile al di fuori dei partiti tradizionali, in quanto consapevoli degli egoismi trasversali e di parte che hanno connotato lo scenario nazionale fin oggi.

«Questo è il tempo di fare rete tra le migliori energie del Sud per curare gli interessi di tutto il Paese: noi siamo orgogliosamente meridionali, siamo una forza politica autenticamente costituzionale che lotta per abbattere i divari e proprio per questo abbiamo a cuore le sorti di tutti gli italiani, da Bolzano a Siracusa, perché agganciare il vagone dello sviluppo meridionale al resto del Paese significherebbe sconfiggere il nordismo trasversale che attraversa tutti i partiti e costruire un treno ad alta velocità che proietterebbe l’Italia in una nuova dimensione nazionale di mercato e di diritti, rimettendoci al passo dei grandi paesi occidentali».

Diversa la posizione del PD calabrese che beffardamente sostiene che «Sull’autonomia differenziata Roberto Occhiuto recita a soggetto a danno dei calabresi. Si avvicinano le elezioni europee e il presidente della Regione Calabria si affida al teatro». Ricordano i dem della Calabria che Occhiuto «ha già votato a favore dell’autonomia differenziata in Conferenza Stato-Regioni e che nello scorso gennaio tenne con Calderoli una conferenza stampa a Catanzaro, al termine della quale lo stesso Occhiuto disse che “l’autonomia differenziata può determinare occasioni positive per la Calabria”, precisò di “conoscere e apprezzare Calderoli” e sottolineò che, “se c’è uno che può realizzarla, è proprio lui”. Allora Occhiuto aggiunse, con riferimento al disegno di legge in questione del ministro leghista, che è “evidente che si fa carico in qualche modo delle ragioni delle Regioni del Sud”».

«Ormai – sostengono i dem della Calabria – i calabresi conoscono bene il vizio insanabile del presidente Occhiuto, che dice tutto e l’esatto contrario per alimentare il proprio consenso virtuale. L’ambiguità di Occhiuto fa perdere credibilità alle istituzioni. Dunque, il governo Meloni continuerà a prendere decisioni inaccettabili sulla testa dei calabresi, proprio grazie a questo atteggiamento del presidente Occhiuto, politicamente pilatesco, opportunistico e bipolare».

Il presidente del  Gruppo Misto in Consiglio regionale Antonio Lo Schiavo a questo proposito sostiene che la presa di posizione di Occhiuto «arriva tardi e rischia di restare uno sfogo del tutto vano». La Lega – ha detto Lo Schiavo – è finalmente uscita allo scoperto, tradendo gli impegni sui Lep e confermando che i nostri timori erano e sono più che fondati. Dimostrando, qualora ce ne fosse bisogno, che l’operazione in atto mira solo ad aumentare il divario tra Nord e Sud del Paese».

E siamo di nuovo alla “rissa”: se al posto di mantenere una status di conflittualità permanente in Consiglio regionale, ci fosse uno sforzo comune per una risposta chiara e decisa contro l’attuale progetto dell’Autonomia, forse si farebbero gli interessi dei calabresi, mettendo da parte quelli di bottega (e di partito). In Calabria – dev’essere chiaro – serve una forza trasversale e unitaria che alzi unitariamente la voce e pretenda soluzioni immediate e concrete. Diversamente, il divario crescerà ancora e sarà il freno a qualsiasi ipotesi di sviluppo. (s)

DOVE INDIVIDUARE LE RISORSE PER I LEP
NODO CRUCIALE PER LA LORO ATTUAZIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTABagnarsi le mani e scoprire l’acqua calda. Affrontare problematiche con risvolti economici rilevanti e scoprire da giurista il concetto di equità. Con affermazioni anche pittoresche “Sui Lep si è fatto finora “flatus voci”, cioè discorsi privi di consistenza. 

L’audizione del  professore Sabino Cassese, presidente del Comitato per l’individuazione dei Lep, alla commissione Affari Costituzionali del Senato nell’ambito del disegno di legge sull’Autonomia, riserva grandi sorprese. Sembra la reazione di un alieno che, arrivato in Italia,  scopre grandi verità che però sono state assolutamente studiate, diffuse e acquisite dalla maggior parte di coloro che indagano le problematiche del Mezzogiorno e che sono argomento di battaglia intellettuale e politica. 

Per avere contezza basta guardare i tanti lavori prodotti dalla Svimez oltre che i suoi rapporti annuali per rendersi conto che nell’audizione scopriamo la ruota e l’arco. La prima scoperta é che i diritti di cittadinanza nel nostro Paese sono diversi a seconda dei territori in cui si vive, ma che ciò  dipende da una mancanza di conoscenza e dalla carenza di volontà .   

«Ritengo importante il lavoro che è stato fatto» dal Comitato sui livelli essenziali delle prestazioni «perché è stata una esplorazione in una terra incognita».  

Non sorge il dubbio al professore Sabino Cassese che il motivo della mancanza dei Lep e della loro attuazione non sia tecnico, ma economico e conseguentemente politico? Si chiede il professore se è conseguente alla mancanza di risorse? 

In realtà si ma lo risolve facilmente: «Se le risorse sono più limitate, sono più limitate per tutti e se sono più ampie sono più ampie per tutti, questa è una preoccupazione fondamentale della Costituzione». 

Tradotto in cifre significa che poiché gli asili nido a Reggio Emilia, con una popolazione di  169.908  al 31 dicembre 2021, sono 66 e a Reggio Calabria, con 172.479, sono  3 la soluzione consiste, in previsione di crescite contenute o negative, di chiudere 31 asili nido in Emilia Romagna per darli alla Calabria, in modo che l’una città ne abbia 35 e l’altra  34?  O che il diritto dell’agrigentino di fare 150 km in una ora su strada per arrivare a Palermo sarà garantito. O che si avrà la possibilità di una sanità che non costringa a prendere l’aereo?

E tutto questo può accadere senza sconvolgimenti sociali? 

 Ma continuiamo con l’audizione: «Il Comitato per la determinazione dei Lep dovrebbe finire il suo lavoro entro ottobre, poi occorrerà mettere una cifra accanto ai Lep». 

Tutto legittimo ma per arrivare alla conclusione che le risorse necessarie, quantificabili in 100 miliardi l’anno, non ci sono?

Purtroppo nella commissione sono stati coinvolti pochi economisti ed evidentemente la loro mancanza si fa sentire. Cassese in grande buona fede, conoscendo l’uomo,  afferma «La mia prima preoccupazione è stata che non venisse ignorato un solo diritto civile e sociale del cittadino su tutto il territorio nazionale” ed ha poi spiegato  che è stato predisposto un elenco di 223 Lep “primari”, che a loro volta contengono livelli non quantificabili».

Scoprirà presto che saranno solo buone intenzioni, come si sono resi conto che rischiavano di essere strumentalizzati da Calderoli coloro che si sono dimessi dalla Commissione. Gli ex presidenti della Corte Costituzionale Amato e Gallo, l’ex Presidente del Consiglio di Stato Pajno e l’ex Ministro della Funzione pubblica Bassanini non lavoreranno più al progetto: «Non ci sono più le condizioni per una nostra partecipazione. Il nodo sta nell’individuazione delle finanze necessarie per procedere con la riforma e nello scarso ruolo attribuito al Parlamento».

Nell’audizione il Presidente si preoccupa anche dell’aspetto della messa a terra dei Lep, dimostrando che veramente crede che potranno essere attuati: «La quantificazione dei Lep e delle risorse necessarie sono il penultimo miglio, ma c’è l’ultimo miglio da fare e dipende dalla qualità dell’amministrazione che gestisce. I divari di capacità amministrativa in Italia ci sono e non li possiamo risolvere con la definizione dei Lep”…».

Dimentica il grande professore tutta la polemica della diversa spesa pro capite, che se fosse uguale in tutto il Paese porterebbe al Sud una quantità di risorse maggiori di quelle disponibili e pari a 60 miliardi l’anno. Che poi sono la causa della differenza nelle diverse capacità amministrative dei Comuni.

 Come peraltro è stato documentato da diverse istituzioni nazionali e come è stato calcolato dall’ormai in smantellamento dipartimento per le politiche di coesione, problematica sulla quale il Quotidiano del Sud ha impostato una battaglia di conoscenza. 

Introduce poi  un elemento di novità nel suo ragionamento e cioè che i Lep siano strumento per un centralismo. Finora avevamo pensato che autonomia differenziata e conseguentemente i Lep, passaggio subito da Calderoli per attuarla, fossero propedeutici ad un percorso federalista. 

Invece Cassese sostiene che «introducono uniformità e cercano di bilanciare diversità e unità. Dobbiamo equilibrare l’unità con la diversità e a questo servono i Lep. La loro funzione è quella di creare un sistema di valori e cercano di bilanciare le due esigenze che hanno percorso tutta la storia italiana». Risponde così alla domanda «se non ci sia il rischio di uno Stato arlecchino con l’autonomia differenziata», il costituzionalista. 

Mi pare che il nostro Presidente, nel solco del rispetto che si deve ad una legge costituzionale modificata con il titolo V, cerchi di prendere il buono che da essa viene fuori. E certo se l’effetto dell’attuazione dell’autonomia differenziata fosse che i diritti di cittadinanza diventassero simili nelle diverse parti del Paese si sarebbe raggiunto un obiettivo di equità che supererebbe molti dei problemi della dualità che attengono all’Italia. la cosa più probabile é invece che il punto di arrivo dia legittimità alla spesa storica.

Gli obiettivi potrebbero essere virtuosi ma non bisogna dimenticare che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Il timore che ci si limiti all’individuazione e si passi all autonomia pervade molta parte dell’opinione pubblica meridionale oltre che molti studiosi. D’altra parte non bisogna dimenticare che stiamo andando in cordata con chi può tagliare la corda in qualunque momento e che ha interessi, provinciali, contrapposti a quelli del Sud.  (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]