di SANTO STRATI – A dispetto del Piano rilancio di Vittorio Colao che in 121 pagine non cita mai il Mezzogiorno, agli Stati generali in corso a Roma, a Villa Pamphilj, si è parlato di Sud. Riafferma convinto il premier Conte che «Se corre il Sud corre l’Italia» e ricorda il Piano per il Sud (100 miliardi in 10 anni) presentato a febbraio col ministro Provenzano a Gioia Tauro: «Molti di quei progetti saranno trasferiti nel Piano di Rilancio». È un buon segnale che le cose non sono peggio di quello che s’immagina, ma anzi potrebbero (permetteteci il condizionale) voltare in positivo. Il post-Covid se ben gestito è un’opportunità per tutto il Paese, ma è molto di più per la Calabria che ha fame di infrastrutture e di investimenti.
Non a caso, è stato proprio il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, in apertura di queste giornate di incontri nel verde della bella villa romana, a sottolineare come il Mezzogiorno pur rappresentando un quarto di Pil nazionale, vanta il 75% delle opere incompiute sul 30% dei lavori pubblici nazionali già avviati. In poche parole occorre cambiare registro e smetterla con gli annunci e le proiezioni, serve concretezza e gli investimenti dalla carta devono necessariamente, con priorità assoluta, diventare progetti esecutivi. Come si fa? Semplice, apparentemente: basta programmare le risorse e utilizzarle, ovvero spendere razionalizzando costi e benefici nell’ottica di uno sviluppo possibile e non più solo immaginario. E alle parole di Visco, che ha dedicato all’argomento Mezzogiorno due paragrafi della sua bella e accurata relazione, ha fatto eco il ministro per il Sud e la Coesione sociale Peppe Provenzano: «Il Sud non è solo un capitolo del Piano di rilancio, ma il luogo in cui attuarlo con più urgenza e determinazione – ha detto il ministro –. Accanto all’aumento degli investimenti pubblici, per garantire scuola, salute, infrastrutture e digitale, come previsto nel Piano Sud 2030, oggi è ancor più necessario accelerare e potenziare gli effetti degli investimenti con una fiscalità di vantaggio e un incentivo all’occupazione femminile».
E il tema fiscalità di vantaggio è stato centrale nella giornata di ieri, dove hanno avuto la dovuta considerazione le tre proposte avanzate da un gruppo di deputati dem per riallineare il sistema Paese, colmando il divario tra Nord e Sud. «Si tratta – ha osservato la deputata calabrese Enza Bruno Bossio – di misure anti cicliche a sostegno dell’economia meridionale che vanno ben oltre l’attuale congiuntura. Nello specifico, abbiamo proposto: una fiscalità di vantaggio per il Sud per il 2020 per dare ossigeno e fornire immediata liquidità al tessuto produttivo; dare continuità alle misure già previste nel decreto “imprese”che, attraverso le garanzie prestate dallo Stato, permette di uniformare l’accesso al credito per le imprese meridionali; introdurre un regime amministrativo e fiscale speciale nel Mezzogiorno, per attrarre insediamenti industriali nelle aree qualificate Zone Economiche Speciali, a partire dalle aree calabresi, nei prossimi sette anni, rinnovabili per altri sette». In ogni caso – ha fatto notare la deputata dem «al di là della discussione degli Stati Generali la maggioranza di governo sarà chiamata a verificarsi nelle sedi parlamentari sul merito di queste proposte».
Tra i firmatari calabresi delle proposte avanzate dal Pd figura anche l’on. Antonio Viscomi. «Questa misura di politica fiscale di natura temporanea – è stato affermato dal gruppo dei firmatari –, tuttavia, sarebbe poco efficace se non fosse accompagnata dagli altri due interventi di sostegno alle imprese. Dare continuità a quanto già previsto nel decreto liquidità che, attraverso le garanzie prestate dallo Stato, permette di uniformare l’accesso al credito per le imprese meridionali. Esse, in assenza dell’intervento del Governo, scontano una onerosità dei crediti erogati sensibilmente superiore rispetto al Centro-Nord e una conseguente inevitabile perdita di competitività. Infine, come previsto da un progetto di legge già da noi presentato alla Camera dei Deputati, riteniamo importante irrobustire il tessuto imprenditoriale nelle regioni meridionali attraverso l’introduzione di un regime amministrativo e fiscale speciale per attrarre insediamenti industriali nelle aree qualificate Zes. Assicurare liquidità e ridurre i costi di accesso al credito alle imprese esistenti e attrarre al Sud insediamenti produttivi di nuove società significa tracciare un percorso di rilancio per il settore produttivo meridionale e una nuova stagione di crescita nel Mezzogiorno».
In questi “stravaganti” Stati generali dopo i quali qualcuno rischia, come da corsi e ricorsi storici, di perdere la testa (metaforicamente parlando) si continua a parlare, purtroppo, in astratto, come se all’Italia e al Mezzogiorno servisse un altro “libro dei sogni” dove ci sono indicazioni più che scontate per non dire lapalissiane (basta guardare alle considerazioni sulle località italiane meta ambita del turismo straniero, e sai la novita!), ma mancano gli elementi di programmazione che aiutino a pianificare le risorse e attuare gli investimenti. Come, del resto, hanno osservato i maggiori osservatori di economia.
Sei priorità, nove capitoli e 55 voci per il Rilancio: c’è aspetto principale trascurato in questo piano, l’economia reale del Paese. Messa a dura prova dal Covid e con prospettive ancora più disastrose vista l’attuale politica finanziaria del Governo a favore delle piccole imprese, degli artigiani, degli esercenti. Aiuti promessi e presentati come un grande sforzo del Paese per far ripartire l’economia. Veramente non c’è stato neanche il minimo sforzo di immaginazione per prospettare scenari che sono sotto gli occhi di tutti, tranne che di quelli che ci governano. Il presidente dell’Inps, il cosentino Pasquale Tridico, ci ha fatto vergognare per lui quando ha avuto la faccia tosta di dichiarare: «abbiamo riempito di soldi gli italiani», quando metà degli aventi diritto ancora aspetta la cassa integrazione. E se gli imprenditori non avessero messo mano al portafogli (chi ha potuto, naturalmente) non sappiamo quante famiglie avrebbero saltato i pasti, negando anche il minimo essenziale ai propri figli. E Conte che ha annunciato 400 miliardi per le imprese, senza specificare che si trattava di garanzie su prestiti e non denaro fresco. Servivano e servono tuttora soldi veri, ma si continua a lasciar fare alle banche l’opera di disgregazione sociale tra famiglie e imprese negando ogni aiuto, pur in presenza di garanzia totale dello Stato sugli importi da erogare.
Ma dove vivono i nostri governanti? Il distacco tra Paese reale e Paese legale è sempre più abissale: oggi lo Stato conta di incassare 10 miliardi tra tasse, contributi, Imu e via discorrendo. A nessuno viene in mente che forse spostare in autunno, magari spalmando in più rate, le tasse dovute alla scadenza del 16 giugno sarebbe stata la dimostrazione concreta che lo Stato c’è e non tratta i suoi cittadini, i suoi imprenditori, come sudditi da spremere come limoni, poi gettarli via. Se si impedisce alle piccole aziende, quelle che creano e mantengono occupazione, che creano ricchezza e mettono in circolo il denaro, non ci potrà essere alcun rilancio. Con buona pace della task force coordinata da Londra dal supermanager Colao e del suo bel libro dei sogni. (s)