BELLA SCOMMESSA SULL’AREA GRECANICA
METROCITY: LE OPPORTUNITÀ, LE RISORSE

di MARIA CRISTINA GULLÍ – La valorizzazione delle minoranze linguistiche dovrebbe essere al vertice dell’attenzione della Regione Calabria per il duplice obiettivo di preservare tradizioni e cultura di comunità che caratterizzano il territorio calabrese e insieme creare una forte attrazione di turismo religioso e culturale di grande suggestione. La Città Metropolitana di Reggio sembra aver compreso bene cosa significa puntare sulle minoranze, potendo contare sull’area grecanica che rappresenta un elemento di grande valenza in tutta la fascia jonica vicina alla Città. Ricordiamolo, a Roghudi, Bova, Gallicianò, e Roccaforte del Greco si parla, ancora, l’antica lingua greca. E sono stati appena celebrati i 200 anni dal riconoscimento del greco di Calabria

Luoghi, questi, che sono un vero e proprio tesoro non solo a livello storico, ma anche turistico culturale e che deve essere valorizzato per poter sfruttare, al meglio, tutte le potenzialità di questi posti che rappresentano il fiore all’occhiello «per ciò che riguarda la lingua e le tradizioni della minoranza greca in Calabria». Un’azione, dunque, che si rende necessaria e doverosa nei confronti questi splendidi luoghi che, purtroppo, ai più sono sconosciuti, quando, invece, dovrebbe essere il contrario.

Ed è per questo che una delegazione della Città metropolitana di Reggio Calabria, guidata dal sindaco Giuseppe Falcomatà, ha svolto una serie di approfonditi sopralluoghi nell’area Grecanica, sul versante ionico, per condividere con amministratori, cittadini e realtà produttive delle comunità locali le problematiche, le prospettive e gli indirizzi programmatici per la crescita e lo sviluppo. 

Presenti agli incontri, insieme al primo cittadino, anche il vicesindaco metropolitano, Armando Neri, i consiglieri metropolitani delegati Carmelo Versace e Domenico Mantegna e i sindaci di Roghudi, Pierpaolo Zavettieri, anche nella sua qualità di presidente dell’Associazione dei sindaci dell’area, di Montebello Jonico, Maria Foti, di Brancaleone, Silvestro Garoffolo, di Staiti, Giovanna Pellicanò, di Bova, Santo Casile, di Bagaladi, Santo Monorchio, di Condofuri, Tommaso Iaria e di Bova Marina, Saverio Zavettieri.

«Con i sindaci e gli amministratori del territorio metropolitano c’è un dialogo e un confronto costante – ha spiegato il sindaco Falcomatà al termine del lungo tour, nella riunione ospitata nel Municipio di Bova Marina – sulle opportunità e risorse di cui disporremo, specie nel quadro del Recovery Fund e più in generale sul ruolo stesso che la Città metropolitana deve avere in questa importante e cruciale fase in termini di programmazione degli interventi. È, però, fondamentale che il nostro territorio e ogni singola comunità adotti un approccio di lavoro radicalmente diverso dal passato, guardando alla condivisione delle scelte e rafforzando la capacità di cooperare entro una logica di sistema».

«Disponiamo – ha evidenziato – di un patrimonio culturale, naturale, storico e paesaggistico di immenso valore e in alcuni casi addirittura quasi sconosciuto, ma occorre un cambio di passo concreto affinché tutto ciò si traduca in benessere e crescita. Dal governo centrale, manca ancora un cronoprogramma chiaro, ma sappiamo già che il nuovo corso legato alle risorse comunitarie imporrà tempi strettissimi e una efficace progettualità che, su temi strategici, penso alla sanità o alle infrastrutture, dovrà farci trovare pronti».

Tanti i temi affrontati nel corso dei sopralluoghi, a cominciare dalla tutela dell’ambiente e dal contrasto al rischio idrogeologico nel territorio di Montebello Ionico. Qui, i rappresentanti di Palazzo “Alvaro” hanno analizzato lo stato dell’arte dei cosiddetti “torrentelli” con riferimento alle necessarie operazioni di bonifica degli alvei di questi piccoli corsi d’acqua che attraversano il centro abitato.

Le potenzialità del comprensorio grecanico, sotto i profili produttivi e turistico culturali, hanno caratterizzato i successivi incontri nel territorio di Brancaleone dove insistono diverse realtà produttive del settore agricolo, in particolare della trasformazione del bergamotto, con le quali sono state messe in evidenza le opportunità del comparto agroalimentare in termini di rilancio economico e occupazionale. Significativa, inoltre, anche la tappa al centro di recupero per tartarughe marine di Brancaleone, impegnato dal 2006 in una importante opera di soccorso, cura e riabilitazione di queste specie animale su tutto il territorio regionale.

Particolarmente suggestiva, la visita all’abbazia di Santa Maria de’ Tridetti, situata in contrada Badia a poca distanza dal borgo grecanico di Staiti, e dichiarata monumento nazionale. Autentico gioiello di interesse storico e artistico il sito di epoca Normanna risale all’XI secolo ed è uno degli importanti tesori del territorio metropolitano. Ricco di fascino anche il borgo di Bova Superiore che negli ultimi anni ha investito con grande determinazione su ricettività, turismo sostenibile e valorizzazione dei propri attrattori come l’importante Museo “Gerhard Rohlfs” nato con il preciso obiettivo di tutelare il patrimonio culturale della minoranza storico-linguistica dei Greci di Calabria. La delegazione metropolitana ha poi fatto visita anche alla sinagoga di Bova Marina situata all’interno del parco archeologico “Archeoderi” ed elemento d’eccellenza del patrimonio culturale reggino.

Il tour grecanico è servito anche ad accendere un focus sul fronte dell’edilizia scolastica con il sopralluogo al cantiere del nuovo istituto Alberghiero di Condofuri, importante a attesa opera in via di completamento. (mcg)

Giuseppe De Bartolo: Minoranze etnico-linguistiche calabresi un patrimonio culturale a rischio estinzione

di GIUSEPPE DE BARTOLO* – La geografia etnica del nostro Paese è divenuta negli ultimi decenni sempre più articolata, dopo che l’Italia, dagli anni ’70 del secolo scorso, è stata interessata da flussi immigratori sempre più intensi provenienti dal Terzo Mondo e dai paesi dell’est Europa.

Tenuto conto di questa nuova realtà, le minoranze etniche italiane possono essere suddivise in minoranze di recente e di antico o antichissimo insediamento. Queste ultime, chiamate anche minoranze storiche o tradizionali, hanno subìto, durante i secoli, processi di assimilazione più o meno intensi, riducendosi viepiù di numero; pur tuttavia alcune di esse conservano ancora in una certa misura il tratto linguistico.

Sul territorio del nostro Paese possono essere individuati undici gruppi etnico- linguistici tradizionali, suddivisi in minoranze di confine, cioè che parlano una lingua di uno Stato confinante (i tedeschi dell’Alto Adige, gli sloveni del Friuli, i francesi della Valle d’Aosta); quelli che occupano alcune aree interne in seguito ad emigrazioni e diaspore, come gli albanesi del Mezzogiorno, i serbo-croati, gli occitani, i catalani di Sardegna. Abbiamo, infine, i cosiddetti gruppi residuali (grecanici, ladini, friulani e sardi). Di queste minoranze tre sono presenti in Calabria: quella albanese, la occitana e la grecanica della provincia di Reggio Calabria.

Dopo l’Unità, le minoranze etnico-linguistiche hanno avanzato tutta una serie di rivendicazioni di carattere sociale ed economico, tendenti alla riscoperta e alla rivalorizzazione della loro diversità. Rivendicazioni che, dopo la Seconda guerra mondiale, si sono concretate in un vero e proprio movimento culturale con l’obiettivo di dare corpo politico e giuridico alla loro realtà e ai loro ideali, nel tentativo di frenare il processo d’integrazione e di assimilazione che, come per i grecanici, è ormai in una fase molto avanzata.

Ricordiamo che in Italia la tutela delle minoranze è sancita dall’art. 6 della Costituzione, ma ha trovato applicazione soltanto in alcune regioni a statuto speciale che per la loro posizione di frontiera hanno una notevole importanza politica. Con la legge 482 del 1999 lo Stato italiano ha finalmente preso coscienza dell’esistenza anche di altre minoranze linguistiche storiche cosicché ne ha riconosciuto complessivamente dodici (albanese, tedesca, greca, slovena, croata, francofona, franco provenzale, friulana, ladina dolomitica, occitana, sarda) la cui popolazione nel 1995 era stimata dal Ministero dell’Interno in 3.261.600 persone. 

In Italia, la difesa delle minoranze è purtroppo un processo che conosce gravi ritardi. Non esistono, infatti, dati ufficiali aggiornati che li riguardino, dati che non sono disponibili nemmeno per le minoranze linguistiche, le quali sono senza dubbio le più interessanti dal punto di vista culturale. In passato, in verità, numerosi sono stati gli sforzi volti a censire la lingua parlata. Per esempio, in occasione del censimento del 1981 fallì il tentativo di far includere nel questionario del censimento alcune domande riguardanti la lingua parlata, com’era avvenuto nel corso dei censimenti che vanno dal 1861 al 1921, prassi che il regime fascista aveva poi interrotto, abolendo la domanda sulla lingua o il dialetto parlato, e che da allora non è stata più inclusa.

La comunità albanese (arbëreshë) è, fra quelle alloglotte, una delle più numerose. È presente in varie aree del Sud, ma le colonie più importanti si trovano in Calabria, conservando una certa unità territoriale e limitando nel tempo la commistione con le popolazioni italofone. Tutto ciò è stato favorito anche dal rito greco, praticato nelle cerimonie religiose, rito che utilizza esclusivamente la lingua albanese.

Nel corso del tempo, la minoranza arbëreshë ha subìto un forte processo di assimilazione, con la conseguenza che, in molti Comuni, la diffusione della lingua albanese si è ridotta notevolmente o è scomparsa del tutto. Di conseguenza, la parlata albanese oggi è presente solo in diciannove comuni della provincia di Cosenza e in tre in quelle di Catanzaro e Crotone. Oltre a ciò, si aggiunge che dal 1951 in poi le comunità albanofone della Calabria mostrano i primi segni di malessere demografico: la popolazione residente via via si riduce. In molti Comuni, soprattutto quelli più interni, si osserva un forte spopolamento. I residenti nei Comuni albanofoni che al 31-12-2019 sono risultati di 37.450 unità, secondo le nostre previsioni perderebbero ulteriori 10.000 abitanti nei prossimi trent’anni.

Nell’età bizantina tutta la Calabria era ellenofona. In età normanna rimase ellenofona solo la Calabria meridionale. Nel corso del tempo l’area grecanica si è ridotta sempre di più e oggi sopravvive solo in una area limitata della provincia di Reggio Calabria. Tra le cause più remote della diminuzione della grecità, ricordiamo l’abolizione del rito greco nelle cerimonie religiose, mentre dopo l’Unità, un ruolo importante ha avuto la lotta contro la lingua grecanica fatta dalla scuola italiana. Oggi quest’area conta 11.211 residenti e i parlanti sarebbero appena.2.724. Si prevede che, nel 2050, la sua popolazione supererebbe appena le 8000 unità.

Gli occitano – valdesi sono la più piccola tra le comunità alloglotte della Calabria. Essi sono giunti nella nostra regione, provenienti dal Piemonte, verso la fine del XIV secolo per sfuggire alle persecuzioni religiose. Oggi le colonie occitano-valdesi sopravvivono soltanto a Guardia Piemontese, San Sisto dei Valdesi e San Vincenzo la Costa, ma la lingua è presente solo a Guardia Piemontese. La popolazione di Guardia Piemontese, dopo l’Unità d’Italia ha conosciuto un intenso esodo migratorio e un forte malessere demografico, fenomeni che hanno prodotto un forte spopolamento.

Da queste brevi note emerge dunque che la Calabria rischia di perdere un patrimonio culturale di grande valore se non saranno messe in atto adeguate misure di salvaguardia che queste comunità da tempo reclamano, purtroppo fino ad oggi con scarso successo. (rcs)

*docente dell’Università della Calabria, estratto da un articolo pubblicato negli Atti del primo Convegno Unicart- International Conference Academic Research & Tourism, tenutosi a Bari nel 2019.

MINORANZE LINGUISTICHE, VERO TESORO
QUELL’INESTIMABILE VALORE DIMENTICATO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria ha tra i tanti suoi tesori uno inestimabile, fino ad oggi trascurato e mai adeguatamente valorizzato: si tratta delle tre minoranze linguistiche presenti nel territorio. Nella nostra regione ci sono le comunità  arbëreshë, distribuite nelle province di Cosenza, Crotone e Catanzaro, quella grecanica, nella provincia di Reggio Calabria e l’enclave occitana, a Guardia Piemontese.

Una realtà, quelle delle minoranze linguistiche in Calabria, composta da 47 comuni – 29 comuni dell’area albanese, di cui 21 nella provincia di Cosenza, cinque nella provincia di Catanzaro e tre nella provincia di Crotone, con una popolazione di circa 50.462 abitanti; 15 Comuni dell’Area Grecanica, con una popolazione di circa 48.717 abitanti e un Comune dell’area occitana, con una popolazione di 1.546 abitanti – che deve essere tutelata con ogni mezzo non solo dagli attori politici, ma anche sociali grazie ad iniziative volte a mettere in luce il patrimonio letterario, artistico, storico e culturale di inestimabile valore.

Ed è per questo che le Associazioni di diverse parti d’Italia, appartenenti alle comunità arbëreshë, hanno rivolto un appello a tutte le forze politiche che partecipano alle elezioni regionali in Calabria, chiedendo di farsi carico dell’impegno di portare avanti la tutela delle minoranze linguistiche calabresi, «così come sancito dalla Carta Costituzionale e dalle leggi emanate in sede nazionale che regionale».

«Si tratta di impegni – viene spiegato in una nota – che chiamano in causa interessi di tutti, e che travalicano ogni schieramento politico: il progetto sottostante è di venire incontro alle minoranze linguistiche affinché siano realizzati obiettivi che spettano loro di diritto, ma con piena consapevolezza che, nel contempo, sono del tutto convergenti con gli interessi di tutta la regione, la quale ricaverebbe solo vantaggi dalla tutela e valorizzazione non solo del patrimonio culturale, storico ed artistico di queste preziose presenze nel suo territorio, ma si devono perseguire gli obiettivi, così come riportato negli articoli della Carta Europea, fatti propri dallo Stato Italiano con la Legge di attuazione Costituzionale 482/99».

«Questi obiettivi – prosegue la nota – rappresentano una opportunità ed una risorsa per l’intera regione Calabria, da lungo tempo sottovalutata da una politica che troppo spesso si è persa nei giochi di potere volti alla rincorsa di interessi immediati e di corto respiro, senza alcuna visione di tutela per il futuro di quelle popolazioni appartenenti alle minoranze linguistiche».

«A nome di tutti gli Arbëreshë di Calabria – prosegue ancora la nota – quale che sia la loro appartenenza politica, chiediamo quindi ai massimi rappresentanti di tutti gli schieramenti politici, che stanno per intraprendere la campagna elettorale per la nomina del nuovo Presidente di Regione, di prendere in carico l’impegno di portare avanti la tutela delle minoranze alloglotte calabresi».

«A tal scopo – hanno scritto le Associazioni – proponiamo qui, di seguito, l’articolazione in sei punti del progetto di realizzazione di questi obiettivi, che chiediamo vengano accolti con spirito unitario all’interno dei vari programmi elettorali di ciascun schieramento: Definizione e piena attuazione delle Istituzioni Regionali per le Minoranze Linguistiche, dette ‘Fondazioni’ al fine che divengano organismi operativi per sviluppare progetti concreti volti a valorizzare il patrimonio culturale arbëreshë, Grecanico e Occitano; istituzionalizzare di conseguenza un capitolo di spesa annuale della Regione per le attività delle Fondazioni; si richiede che la Regione Calabria istituisca un Consigliere Regionale rappresentante le minoranze culturali di diretta emanazione della Giunta, con l’autonomia politica e finanziaria sufficiente per operare e coordinarsi con le relative Fondazioni ed il Co.Re.Mi.L., Consigliere che dia voce alle istanze delle tre minoranze linguistiche storiche presenti nella Regione in un percorso che punti alla completa tutela prevista dalle leggi vigenti». 

E ancora, «si richiede la sottoscrizione di una Convenzione tra la Regione e la Rai Calabria per la produzione di programmi (culturali, informativi e di intrattenimento), radiofonici e televisivi a diffusione regionale, ma anche da diffondere sulla rete internet, con proprio e dedicato palinsesto per le minoranze linguistiche storiche. La Convenzione regionale potrebbe avere una durata  breve di un anno o due, per poter così richiedere da subito un ampliamento delle ore di produzione e la copertura dei costi, per sempre, da parte del Governo centrale, come già avviene, da oltre 60 anni per le altre Minoranze Linguistiche come da normative vigenti già applicate in altre regioni italiane, con tutti gli accorgimenti possibili, esempio: sottotitoli in italiano eliminando cosi l’eventuale dubbio di discriminazione della popolazione che parla solo l’italiano». 

«Difesa del bilinguismo – continua la nota –. Si chiede di avviare specifici rapporti con il Ministero dell’Istruzione ed il Miur per la realizzazione di corsi di selezione e formazione per docenti nelle lingue arbëreshë, grecanica ed occitana, in modo da far  inserire nelle materie curriculari delle scuole dell’obbligo dei territori delle minoranze. Ne consegue la predisposizione di adeguati libri di testo e di divulgazione sia in italiano che nelle lingue tutelate; attivare la legge regionale n° 15 del 2003 in tutti i suoi articoli, finanziandola adeguatamente, al fine di salvaguardare il patrimonio storico culturale materiale e immateriale e nel contempo rilanciare le imprese del territorio presenti nelle aree dove insistono le tre minoranze storiche calabresi; formulare e determinare nell’ambito della programmazione dei fondi nazionali ed europei, una progettualità destinata alle minoranze territoriali,  per la conservazione della lingua e per la valorizzazione (manutenzione) dei beni tangibili (previa definizione dei centri storici dei katund della Regione storica arbëreshë calabrese e del suo costruito storico civile e religioso, da concordarsi con la Soprintendenza) e dei beni intangibili (già avviato l’iter per il riconoscimento del patrimonio culturale italo – albanese da parte dell’Unesco), come recita l’art. 2 della L.R. n° 15/2003».

«Siamo certi – hanno proseguito le Associazioni – che l’accoglimento di queste nostre istanze proposte possa rappresentare l’avvio di una stagione di rinnovamento profondo e fecondo per tutti i cittadini calabresi, che trarrebbero grandi vantaggi da un piano capace di valorizzare il territorio sotto il profilo lavorativo con ampliamento della base occupazionale nel settore turistico, ambientale e storico».

«Inoltre – hanno concluso – crediamo che, ancora più vantaggioso per tutte le comunità calabresi, sarebbe sperimentare finalmente che è possibile andare oltre gli schieramenti di parte per saper convergere sul bene comune in una logica di responsabilità e di reciproca solidarietà, in più si darebbe fiducia alla gran parte dell’elettorato che non esercita più il diritto di voto».

Un appello, quello fatto dalle Associazioni, che non solo i candidati, ma tutta la politica calabrese non può ignorare, sopratutto per tenere fede alla legge regionale approvata nel 2003 dalla Regione Calabria, Norme per la tutela e la valorizzazione della lingua e del patrimonio culturale delle minoranze linguistiche e storiche di Calabria, che «riconosce le minoranze linguistiche storiche della Calabria e pone nelle sue finalità quelle di recuperare, qualificare e valorizzare le particolarità etnoantropologiche, linguistiche, culturali e storiche delle comunità costituite dalle minoranze linguistiche grecaniche, albanesi e occitane presenti in Calabria come condizione per il recupero dell’identità e lo sviluppo sostenibile del territorio».

E mentre si aspetta un passo avanti da parte della politica, sono tantissimi gli Enti che, invece, si sono spesi per la valorizzazione delle minoranze linguistiche. Un esempio è l’Università della Calabria, che nel ’75 ha istituto una sezione di Albanologia, grazie al prof, Francesco Solano e oggi diretta dal prof. Francesco Altimari.

E proprio dalla Fondazione Universitaria Unical “Francesco Solano”, con la partecipazione di cinque Atenei italiani (Calabria, Palermo, Salento, Venezia Ca’ Foscari e la Statale di Milano), nel 2020 è stata candidata a patrimonio Unesco, i Moti Madg (Il Tempo Grande) – I riti arbëreshë della primavera.

«La proposta – si legge in una nota di Francesco Altimari – punta a iscrivere nel Registro delle Buone Pratiche della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco un insieme di pratiche cerimoniali ed eventi di tipo performativo (musicale, coreutico, teatrale etc.) a cui si accompagnano saperi di stampo tradizionale che rientrano nell’originario ciclo delle feste della primavera e propongono nelle diverse comunità italo-albanesi eventi che attualizzano temi e motivi arcaici di straordinaria suggestione. Queste pratiche sono vive presso gli Arbëreshë (Albanesi d’Italia), comunità linguistica minoritaria di origine albanese storicamente presente da circa sei secoli in 50 comunità in sette regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia) della Penisola italiana, riconosciuta dalla legge quadro nazionale n. 482/1999 “Norme di in materia di tutela delle minoranze linguistiche e storiche”».

O ancora, l’iniziativa dell’Università per Stranieri Dante Alighieri di Reggio Calabria, dove è stata istituita una cattedra di Lingua calabro greca «per salvare una lingua che rischia l’estinzione».

Per il delegato alla Cultura del Comune e della Città Metropolitana di Reggio Calabria Filippo Quartuccio, si tratta di «un atto importantissimo, che serve non solo a preservare il nostro prezioso patrimonio culturale, ma significa anche lavorare attivamente per la sua valorizzazione».

«Bisogna attenzionare e valorizzare le comunità presenti nel nostro territorio, e quella greca è quella più presente con oltre 22 mila persone» ha ribadito Lucia Anita Nucera, presidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Reggio Calabria,  in occasione dell’incontro con il console onorario di Catania Arturo Bizzarro Coutsogeorgou e Vourda Vasiliki, rappresentante legale del Centro di lingua e cultura ellenica “Ellinomatheia”.

L’assessore Nucera, infatti, ha ricordato che nel 2016 è stata assegnata, per la prima volta, la delega alla minoranza linguistica, e che ha avviato una iniziativa ambiziosa: riconoscere la lingua greca come «insegnamento curriculare nelle scuole in cui è presente un’insegnante che lo parli. È un passo importante per tramandare le nostre radici e  tradizioni».

Una iniziativa che ha trovato appoggio da parte della Vasiliki, che ha sottolineato come «il legame tra Calabria e la Grecia è indissolubile ed ha basi umane e culturali».  (ams)

 

È L’ANNO DELLE MINORANZE LINGUISTICHE
UN PROGETTO SULLA CULTURA ARBËRESHË

di PINO NANO – Nasce un importante progetto per la valorizzazione e il rilancio della cultura minoritaria arbëreshe nel meridione d’Italia. Il progetto è coordinato dalla Fondazione Universitaria Unical “F. Solano” con la partecipazione di cinque atenei italiani (Calabria, Palermo, Salento, Venezia-Ca’ Foscari e Milano “Statale”). E proprio in questi giorni è stata trasmessa alla commissione nazionale Unesco la proposta di candidatura della cultura immateriale degli albanesi d’Italia a patrimonio universale. Il 2021 deve diventare l’anno delle minoranze linguistiche: la Calabria ha un patrimonio di culture (occitana, arbëreshë e grecanica) da difendere, valorizzare e rilanciare in un progetto di ampio respiro che può diventare un’attrazione irresistibile per il turismo culturale ed esperenziale.

Ne parliamo con Francesco Altimari, presidente della Fondazione Universitaria Unical “F. Solano”, oggi uno degli accademici italiani più legati al mondo arbëreshë,  intellettuale calabrese puro, vero ambasciatore dell’Arbëria, professore universitario che ha girato il mondo solo per raccontare la magia delle tradizioni italo-albanesi della sua terra, scrivendo saggi di altissimo valore scientifico e accademico.

«A nome di un nutrito gruppo di lavoro costituito da illustri studiosi e da numerosi detentori e praticanti – dice – è stata presentata in questi giorni alla Commissione Nazionale Unesco dalla Fondazione universitaria Unical “Francesco Solano”, che ho l’onore di presiedere, la candidatura della cultura immateriale degli albanesi d’Italia a patrimonio universale”.

– Meraviglioso. Non si poteva immaginare di più, e di meglio, per il mondo degli italoalbanesi d’Italia. L’Arbëresh, dunque, patrimonio immateriale dell’Unesco. Professore Altimari, immagino sia fiero di tutto questo?

«Non posso dirlo io, ma intimamente lo sono, per aver portato a compimento, con la presentazione della candidatura una missione che non è personale. Essa ha coinvolto assieme a me tanti illustri studiosi e colleghi che hanno dedicato il loro tempo e la loro scienza allo studio di questi fenomeni culturali e con alcuni dei quali abbiamo lavorato strenuamente insieme in questi mesi difficili. Il progetto coinvolge soprattutto tanti gruppi, e semplici praticanti, che con tenacia hanno conservato nel tempo questa memoria».

– Una bella ambizione, non crede?

«La Fondazione Solano si è fatta solo interprete di questa missione primaria, portando avanti e coordinando, con i colleghi delle altre Università coinvolte, un lungo lavoro di ricognizione sul campo per individuare questa rete di tradizioni rituali che è stato da noi progettato e realizzato grazie alla collaborazione attiva di numerosi detentori e praticanti di tali elementi rituali, che coprono gran parte delle nostre comunità».

– Cosa intende con il termine “praticanti di elementi rituali”?

«Intendo fare riferimento a organizzazioni, gruppi e persone di varia estrazione sociale e culturale che nelle loro quaranta lettere di adesione auspicano che venga ora finalmente riconosciuto la peculiarità di questo loro ricco patrimonio che rappresenta il vero bene comune dell’Arbëria. Parliamo di un patrimonio sostanzialmente ignorato dalle istituzioni e salvaguardato materialmente sinora solo grazie all’impegno diretto dei gruppi di praticanti e alla tenacia delle comunità interessate. Si tratta anche di rilevanti “pratiche educative” che nel disinteresse generale hanno alimentato nel passato l’auto-tutela della comunità quando la nostra identità minoritaria non era ancora riconosciuta dallo Stato».

– Perché a questo progetto sui riti arbëreshë del ciclo della primavera avete dato il nome “Moti i Madh”? “Tempo Grande”?

«Moti i Madh vuol dire “Tempo Grande. Si tratta di un insieme di eventi di tipo musicale, coreutico, teatrale ecc, oggi inglobate all’interno del ciclo pasquale di tradizione cristiana orientale, che in parte continuano antiche ritualità della grande stagione della rigenerazione della natura e dell’umanità. Appunto, il “Tempo Grande”. È stato il genio di Girolamo De Rada a coniare questa espressione, che nella cultura albanese fa riferimento al tempo di Scanderbeg -. un passato che continua ad avere significato anche nel presente – ripreso anche dallo scrittore arbëresh Carmine Abate nel suo celebre romanzo – epopea degli arbëreshë Il mosaico del Tempo Grande.

– Ci fa un esempio?

«Dopo oltre mezzo millennio, come “tasselli” di un unico mosaico, questa rete di riti si ritrova tra gli albanesi d’Italia, coprendo l’intero arco del periodo primaverile, documentata da un ricco patrimonio di letteratura orale, che ha significative corrispondenze anche nei Balcani. Pensiano per esempio alla “Vallja” del periodo pasquale, con i canti di Scanderbeg, simbolo forte di una Arbëria “resiliente”. Pensiano alle suggestive cerimonie, comprese quelle nuziali, che si intrecciano con le celebri  “rapsodie” di Costantino e Garentina, o di Costantino il piccolo, ma anche ai canti paraliturgici dell’intero ciclo pasquale, alle cosiddette “kalimere,  al “banchetto degli invisibili”, per richiamare col titolo della celebre monografia del collega Mario Bolognari i coinvolgenti riti di commemorazione dei defunti nella nostra tradizione orientale, ma anche a tanti saperi tradizionali che ritroviamo nello spazio arbëresh, dall’Abruzzo alla Sicilia».

– È abbastanza non crede?

«Vede, quando si tratta di ridare volto vita e storia alla tradizione di un popolo come il nostro niente è mai abbastanza. Purtroppo essa è stata per troppo tempo sottovalutata e offuscata dal disinteresse e dall’incuria delle istituzioni. Ora gli altri questa tradizione ce la invidiano, non trattandosi come qualcuno si ostina ancora a credere, e a praticare, solo vuoto folklore, ma espressione di una civiltà “resiliente” che va riscoperta e rilanciata. In questa riscoperta della tradizione rientrano anche tanti prodotti tipici dell’artigianato, ma anche i ricchi costumi femminili arbëreshë, così come anche i prodotti della tessitura, nonché quelli dell’alimentazione, riferita sia ai cibi rituali che ai cibi tradizionali».

– Nel presentare oggi questo vostro progetto che aspettative nuove si aprono per il mondo arbëresh?

«Queste pratiche rituali, di cui chiediamo l’iscrizione nel registro Unesco delle buone pratiche della cultura immateriale, non sono solo nostre, ma testimoniano una eredità antica e un tempo comune a tutta l’area europea. E anche oltre. Esse per fortuna, nonostante le discriminazioni subite, sono ancora vive presso gli Arbëreshë, gli Albanesi d’Italia, storicamente presenti da circa sei secoli in 50 comunità in sette regioni italiane».

– Intuisco che non sempre vi siate sentiti difesi e tutelati?  

«Assolutamente vero. Purtroppo, la nostra minoranza, così come tutte le altre minoranze interne, come anche le consorelle minoranze grecaniche e occitane calabresi, a differenza delle iper-garantite minoranze di confine, sono rimaste ancora molto indietro e senza una adeguata tutela. Prive, come sono tutt’oggi di rappresentanza politica nelle diverse istanze elettive. Sia da parte dello Stato che da parte delle Regioni interessate. Rischiano pertanto seriamente di scomparire per sempre, per la forte pressione assimilatrice che subiscono dalla società globalizzata».

– Questo significa che l’Unesco potrebbe essere la chiave di volta di questo riscatto?

«Vede, il vero paradosso è che ciò avviene quando queste comunità minoritarie sono state riconosciute, ormai da oltre vent’anni, come minoranze linguistiche storiche dalla legge quadro nazionale n. 482/1999, anche se con mezzo secolo di ritardo dalla promulgazione della Costituzione repubblicana che all’art. 6 ne riconosce la tutela. Con un riconoscimento internazionale e prestigioso come quello garantito dall’Unesco, la nostra comunità potrà forse cominciare a ritrovare maggiore fiducia in sé, se vedrà riconosciuti i suoi beni culturali non come esclusività del proprio patrimonio erroneamente e riduttivamente ritenuto “etnico”, ma come patrimonio comune e condiviso di valenza universale. Speriamo che non sia troppo tardi.

– È stato un lavoro complesso?

«Quando si inseguono dei sogni, nulla è facile e scontato. E questo sogno, che non è mio personale, parte invece da molto lontano, Parte dall’azione di ricerca e sensibilizzazione promossa sinergicamente dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso dalle cattedre universitarie di Albanologia dell’Università della Calabria e di Palermo, allora rette dai nostri indimenticabili maestri, i proff. Francesco Solano e Antonino Guzzetta, e alla cui memoria va il nostro pensiero. Poi sono arrivato io, in tandem assieme con il carissimo amico e collega Matteo Mandalà, titolare della cattedra albanologica palermitana».

– Man mano che gli anni passavano il gruppo è diventato sempre più numeroso?

«In realtà questa nostra azione è stata portata avanti, perfezionata e resa poi funzionale grazie al concorso di un’equipe interdisciplinare, coordinata dalla Fondazione Solano, in cui in questi mesi sono stati coinvolti studiosi di altre cattedre universitarie di Albanologia, ma anche colleghi di Antropologia, di Etnomusicologia e di Storia delle culture afferenti alle Università della Calabria, di Palermo, del Salento, di Venezia e Milano “Statale”. Ma ci sono anche esperti di candidature Unesco, oltre che giuristi e informatici che collaborano con la Fondazione».

– Un lavoro di squadra intende?

«Una squadra di altissimo valore professionale e scientifico. Con me e Matteo Mandalà hanno collaborato Nicola Scaldaferri, Monica Genesin, Eugenio Imbriani, Giuseppina Turano, Giovanni Macrì e Battista Sposato. A loro, che in questi mesi che non si sono risparmiati nel mettere al servizio della comunità arbëreshe, con autentico spirito di volontariato, il loro impegno professionale per questo obiettivo comune, va il mio primo vero e grande grazie.

– Nella proposta all’Unesco c’è tutta la vostra storia e tradizione?

«Certamente si, anche se siamo ora solo alla prima tappa. In corso d’opera la proposta andrà rigorosamente implementata e ulteriormente documentata, partendo dalla dettagliata mappa che abbiamo già allestito e consegnato, che delinea gli ambiti di intervento nelle diverse aree albanofone, che attraverso la prima rete dei praticanti-collaboratori, a cui auspichiamo se ne aggiungano altri, coprono quasi tutta l’Arbëria. Tutto questo, come lei lo definisce, sono soltanto alcune delle tante espressioni culturali e rituali tipiche che rientrano in questa proposta di candidatura della cultura immateriale arbëreshe. Nella fase realizzativa saranno ovviamente coinvolte a ogni livello tutte le nostre comunità e in forme nuove di partecipazione, attraverso le nuove tecnologie, pensiamo di coinvolgere tutti i cittadini arbëreshë interessati, anche quelli che vivono oggi fuori dai nostri Comuni, nella “diaspora della diaspora”. Ma siamo aperti a condividere questo percorso con tutti i soggetti istituzionali e associativi che vorranno darci una mano, anche esterni alla comunità, che mostrano un reale interesse e hanno a cuore la nostra cultura, perché concepiamo l’Arbëria come un bene culturale comune».

– Rilevo, con ammirazione, che non siete soli, in questa non facile impresa…

«Per fortuna, no. Mi permetta di ricordare al riguardo l’autorevole sostegno dato a questa nostra proposta di candidatura dal FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano, certamente il più rappresentativo organismo che opera nel nostro Paese a livello nazionale in ambito culturale e ambientale: Tutto questo ha portato alla stipula di un apposito protocollo d’intesa tra il FAI e la nostra Fondazione per condividere insieme il percorso intrapreso per l’iscrizione dei riti e dei canti tradizionali del Moti i Madh nel registro di buone pratiche di salvaguardia, secondo la convenzione Unesco 2003. La delegazione FAI di Cosenza, guidata dall’avvocato Laura Carrattelli, è stata incaricata dalla sede nazionale e dalla sede regionale, di seguire con la propria attività collaborativa, tramite azioni di supporto e di promozione, l’evento connesso alla presentazione del dossier di candidatura della cultura immateriale arbëreshe».

– E il Mibact, il Ministero dei Beni Culturali?

«C’è anche quello, sì. Grazie alla sensibilità e all’attenzione ricevuta in questi mesi dalla Sottosegretaria del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Anna Laura Orrico, che ringraziamo per aver compreso la rilevanza di questo bene culturale che può e deve essere un fattore di crescita e di sviluppo delle nostre aree, soggette nell’ultimo decennio ad un pauroso crollo demografico che rischia di farle scomparire».

– Ma so che avete anche altri sostenitori importanti alle spalle…

«Sì, è vero! C’è l’apprezzamento e il supporto che è stato garantito alla proposta di candidatura Moti i Madh, che troverà forme di ulteriori collaborazioni e condivisioni, dal Governo della Repubblica d’Albania attraverso il Ministero della Cultura Albanese nelle persone del Ministro Elva Margariti, ma anche dal Vice-Ministro Meri Kumbe, che ringraziamo entrambe sentitamente per la concreta attenzione rivolta alla nostra cultura e per la proficua collaborazione avviata con la nostra Fondazione e con le cattedre universitarie italiane di albanologia».

– Vedo che trascorre anche questi giorni di festa chiuso in casa a lavorare al suo progetto, professore.

«Ma questa, mi creda, è la mia vita. Trovo del tutto normale agire inseguendo questa filosofia di vita. Alla fine, sono un uomo fortunato. Perché riesco a coniugare la mia passione con il mio impegno professionale. Oggi si parla tanto, soprattutto nel mio mondo accademico di “terza missione”, a proposito di quelle attività con cui l’Università, attraverso le sue risorse umane, scientifiche e tecnologiche, riesce ad intervenire sul territorio che la ospita contribuendo al suo sviluppo culturale, ma anche quello sociale ed economico. In virtù degli insegnamenti ricevuti dai nostri padri accademici, e per noi che ci occupiamo di albanologia, per giunta nelle regioni che ospitano gli Arbëreshë, è stato naturale, anzi direi scontato, operare con questo spirito di servizio. La definirei, la prima missione extra-moenia. Questi “nostri” progetti potranno dare un apporto concreto al nostro mondo, e potranno disseminare nella nostra comunità, ripeto ancora purtroppo non tutelata e senza difese immunitarie, quei saperi e quelle conoscenze scientifiche avanzate che possono invece contribuire fattivamente alla sua crescita».

– Come crede che andrà a finire?

«Il progetto, dicevo, è stato avviato e siamo alla prima tappa. Per arrivare al traguardo bisogna continuare a lavorare intensamente e di buona lena. Serve ancora costituire delle reti di collaborazione articolate, che coinvolgano gli enti preposti, le associazioni, gli studiosi, i singoli operatori culturali e scolastici, i musei e le scuole del territorio, e via di questo passo. Quello che oggi è fondamentale fare è una efficace disseminazione e condivisione dell’esperienza legata a questa candidatura».

– È vero che punterete in futuro anche su esperti e studiosi più giovani rispetto a lei professore?

«Certamente sì. Ma già ora noi contiamo di avvalerci del contributo dei nostri valenti giovani laureati, e di altre qualificate ed importanti professionalità, che per fortuna non mancano nel nostro mondo. Alcuni di loro sono già attivamente impegnati nei nostri progetti. Ma contiamo soprattutto nell’apporto nel comitato scientifico di altri insigni specialisti, italiani e albanesi, a conferma del grande e riconosciuto valore scientifico che tali specificità rivestono non solo per la nostra cultura, ma anche per la ricostruzione, come dicevo, dell’antica base culturale comune della nostra Europa».

-Insomma, mi pare di capire che, comunque vada, sarà un successo?

«L’ha detto lei. Io lo prendo come un augurio per il 2021. Grazie, comunque, per quanto anche voi farete per noi, e per la nostra causa». (pn)

Il sindaco di Civita Alessandro Tocci scrive a Spirlì per la questione delle minoranze culturali

Alessandro Tocci, sindaco di Civita, ha inviato una lettera al presidente f.f. della Regione Calabria, Nino Spirlì, in merito al progetto per lo sviluppo delle minoranze linguistiche della Calabria.

Il progetto, a cui il sindaco ha espresso la volontà di «collaborazione franca e sincera, purtroppo, con la funesta scomparsa della dott.ssa Jole Santelli, ha subìto, inevitabilmente, una battuta d’arresto e rischia di spegnersi il barlume di speranza acceso per applicare anche in Calabria le leggi e normative in uso da anni nelle Regioni di confine».

Il sindaco Tocci, dunque, ha scritto a Spirlì «come segno concreto per la costruzione di una grammatica relazionale istituzionale, volta alla tutela ed al benessere delle nostre popolazioni per il raggiungimento di obiettivi comuni».

«Le scrivo – si legge – come amministratore democratico che vorrebbe che Lei si confrontasse con tutti; io non sono il paladino delle culture minoritarie, ma vorrei che le nostre specificità distintive vengano fuori, la tutela e l’applicazione dell’art.6 e art.3 della Costituzione per la valorizzazione delle identità dei territori può rappresentare il vero circuito virtuoso della rinascita economica e culturale del mondo legato all’etnia, e Lei sarebbe il primo Presidente di Giunta Regionale a mettere finalmente fine a questo vulnus costituzionale che dura dal 1948».

«Data – continua la lettera – la situazione creatasi, penso che sarebbe interessante da parte Sua dare un segnale positivo al progetto di produzione Rai che deve prendere corpo insieme all’altro problema, ancora irrisolto, della piena funzionalità dell’Istituto Regionale per le Minoranze Culturali, detta ‘Fondazione’, che da anni attende ancora alcune nomine e specifiche nel merito da parte della Regione Calabria, al fine di poter operare per lo sviluppo della cultura arbëreshë in particolare, e anche per le altre minoranze linguistiche storiche presenti in Calabria, come è noto, individuate dalla Legge di attuazione Costituzionale la 482/99 e per continuità legislativa e attuativa dalla Legge Regionale n. 15 del 2003».

«Nel rinnovare – conclude la lettera – linvito a visitare il Nostro Comune, a breve, anche per potersi confrontare sui problemi esposti». (rcs)

Minoranze Linguistiche, Regione e Rai per valorizzare Grecanici, Occitani e Arbëreshe

Il vicepresidente della Regione Calabria Nino Spirlì ha incontrato nella sede della Cittadella, il direttore della sede regionale RAI Calabria Demetrio Crucitti per discutere sulla necessità di programmare spazi dedicati alle minoranze linguistiche.

In tal senso, il vicepresidente ha manifestato la volontà di avviare un progetto che preveda la produzione e la diffusione di programmi e servizi giornalistici in italiano e in lingua dedicati alle minoranze linguistiche storiche presenti in Calabria, con riferimento a programmi culturali, educativi e di intrattenimento nelle lingue d’identità albanese, greca e occitana.

Spirlì ha messo in evidenza l’importanza che il progetto dovrà avere “affinché il patrimonio delle lingue occitana, greca e arbreshe venga conservato e tramandato. Mai come in questo momento – ha specificato il vicepresidente – è importante, al fine di preservare le nostre identità, raccogliere le conoscenze delle nostre comunità arbreshe, occitane e grecaniche prima che le stesse si disperdano”.

Il direttore Crucitti ha ringraziato l’assessore Spirlì per aver consentito questo incontro e per aver messo in connessione la Regione Calabria con la RAI: evento quasi eccezionale in quanto nelle passate legislature è stato pressoché impossibile colloquiare e programmare con la Regione progetti di tale portata.

In precedenza, aveva presieduto, in Cittadella regionale, una riunione con il Comitato Regionale delle Minoranze Linguistiche, le Comunità Grecaniche OccitaneArbëreshë.

«Il Coremil – si legge in una nota – rappresenta uno degli strumenti essenziali per la tutela e la promozione della grande pluralità linguistica e culturale della nostra regione e, in tale ambito, le identità costituiscono un vero tesoro e patrimonio culturale. Noi lavoreremo affinché non resti nel dimenticatoio, come già successo con le passate amministrazioni e, in particolar modo, per tutelare le identità e mantenere ed aumentare il numero di persone che parlino l’Arbëreshë, l’Occitano e il Grecanico, evitando che il patrimonio linguistico, e dunque, una lunga storia umana si disperda. Questo Comitato – ha spiegato Spirlì – si adopererà per dare finalmente una svolta decisiva a questo grande progetto, mettendo in campo le giuste competenze e professionalità, per dare le risposte che da troppo tempo questo territorio attende».

Hanno partecipato all’incontro i direttori generali Sonia Tallarico, alla cultura, Maurizio Nicolai, alla programmazione, Francesca Gatto, al turismo, e Maria Antonella Cauteruccio, dirigente settore cultura, musei, biblioteche, archivi e minoranze linguistiche. i quali sono impegnati, ognuno per i settori di competenza, a portare avanti questa iniziativa che mira alla valorizzazione e alla promozione delle identità culturali della Calabria.

 

(rrm)