di SANTO STRATI – C’è un grande problema di rappresentatività nella frettolosa riforma costituzionale sul taglio lineare dei parlamentari. Nel nuovo riparto previsto dalla legge le regioni meno popolose perdono un quarto dei parlamentari e gli italiani all’estero vengono rappresentati da un esiguo numero di deputati e senatori, lasciando grandi comunità senza quella già minima rappresentanza prevista dalla legge Tremaglia del 2001 (12 senatori e sei deputati).
Secondo la legge costitituzionale approvata lo scorso ottobre e per la quale è stato richiesto il referendom confermativo che si terrà il 20 e 21 settembre, il nuovo Parlamento sarà costituito da 400 deputati (sono attualmente 630) e da 200 senatori (sono adesso 315). Restano fuori dal taglio i senatori a vita.
È una riforma votata sulla spinta di un antiparlamentarismo bieco e sfacciato, in nome dell’antipolitica portata avanti dal Movimento Cinque Stelle che, comunque la si voglia vedere, sono riusciti a far passare un’idea di parlamentari sfaccendati, fannulloni e inoperosi, superpagati e poco efficienti. E soprattutto – secondo il vangelo grillino – troppi. Un’idea che, in realtà si scontra con quanti lavorano, con convinzione e dedizione, per il bene del Paese. E, credeteci, sono tanti. Non bastano le miserevoli ruberie di chi ha preso il bonus covid o le miserie umane di qualche parlamentare per delegittimare la politica, quella con la P maiuscola, quella che ci hanno insegnato a rispettare De Gasperi, Moro, Terracini, Nenni e tantisismi altri padri costituenti che hanno fatto crescere il Paese.
Sull’onda dell’anti-casta, in nome di un risibile risparmio annuo (l’equivalente di un caffè per ogni italiano) i pentastellati sono riusciti nell’intento di offendere gli italiani e allontanarli dalla politica, senza però offrire qualcosa di concreto in cambio, qualcosa che non facesse rimpiangere la “vecchia” politica. La cosa più assurda è che alla spinta populista e antiparlamentare dei grillini, al tempo della votazione della legge costituzionale, i dem, una forza politica che ha una storia importante alle spalle e personaggi che hanno fatto grande l’Italia, ha accettato supinamente di votare la legge, senza neanche un colpo di tosse. E contemporaneamente si è accontentata della promessa dei marinai grillini di una veloce legge di riforma elettorale di cui, come tutti possiamo vedere, non c’è traccia. Come si può pensare di riformare, di tagliare il numero dei deputati e dei senatori, senza prima aver provveduto a riformare la legge elettorale che è la madre della inevitabile ingovernabilità del nostro Paese? Eppure, in un Governo e un Parlamento dove la definizione più generosa è quella di “dilettanti allo sbaraglio” cosa ci si poteva aspettare di più?
Purtroppo, i cittadini che andranno a votare per il referendum (che non richiede quorum, vince la risposta SÌ/NO che prende più voti indipendentemente dal numero dei votanti) non sono stati adeguatamente informati, nè lo sono in queste settimane che precedono il ricorso alle urne delle conseguenze che la loro scelta avrà sul futuro del Paese.
Una cosa è certa e ben definita: il Sud, la Calabria, le regioni meno popolose sono quelle che pagheranno di più in termini di rappresentanza parlamentare. E con l’attuale sistema elettorale è fin troppo evidente che il prossimo Parlamento rischia di diventare una sorta di oligarchia non di eletti (dal popolo) da di prescelti dalle segreterie dei partiti. Cosa che già, in parte avviene, si obietterà, ma la minore rappresentatività in Parlamento non è una cosa buona per la democrazia: è la strada che può portare a un governo che risponde più agli interessi di pochi che a quello del bene comune.
La scelta populista di dire sì alla legge di riforma non porterà alcun beneficio ai cittadini e sarebbe opportuno che ci venisse evitato il ritornello dei risparmi col taglio di 330 parlamentari: se veramente si voleva intervenire in termini di economia, sarebbe bastato ridurre gli stipendi o alzare le tasse a deputati e senatori. Invece, l’obiettivo – destabilizzante – di Grillo & Company è quello di delegittimare il voto popolare e, di conseguenza, le forze politiche e il Parlamento, come istituzione.
Come possono gli italiani che ragionano accettare questo orribile mix di populismo e delegittimazione di qualcosa che i padri costituenti hanno costruito con fatica sulle macerie di una guerra disastrosa, con l’unico obiettivo di dare stabilità e forza a un Paese che voleva rinascere. Se i padri costituenti hanno indicato 630 deputati e 315 senatori ci sarà stata una ragione che non può essere strattonata o buttata giù solo per mostrare di essere (apparentemente) “padroni” della volontà popolare.
Orbene, nonostante ci siano un milione di motivi per dire NO, i partiti tradizionali mostrano un’arrendevolezza che qualifica l’incapacità dei loro rappresentanti, dei loro esponenti che sono alla guida.
Secondo il sen. Marco Siclari (Forza Italia) che è tra i 71 parlamentari che hanno firmato per chiedere il referendum (sennò la riforma sarebbe passata tout court), «il taglio del numero dei parlamentari così come fatto non soltanto non rappresenta un taglio ai costi della politica, ma non migliora neanche la funzionalità delle due Camere».
Facendo i conti in tasca alla riforma, Siclari fa notare che il risparmio ottenuto corrisponde a 1,50 euro per italiano all’anno, quando per il debito pubblico ogni italiano “paga” circa mille euro l’anno per gli interessi.
«Per quanto riguarda il numero dei parlamentari – afferma il sen. Siclari – saranno penalizzate le regioni con meno abitanti come la Calabria che avranno meno rappresentanti rispetto, ad esempio, la Lombardia. In pratica aumenta l’oligarchia del Nord a sfavore di tutto il Sud e molte regioni non conteranno più nulla quando si dovrà decidere dove far affluire i fondi nazionali per il rilancio del Sud, del turismo, della sanità e delle grandi opere. Il SÌ rimarrà un voto di pancia e creerà ancora più problemi alla regioni del Sud».
«L’antipolitica – dice ancora il sen. Siclari – non può essere una guerra alla sacralità della democrazia, bensì deve rappresentare un’azione rivolta a selezionare, sin dalla candidatura, cittadini di qualità che hanno un curriculum lavorativo, culturale o professionale in gardo di dare un contributo agli italiani e al Paese, apportando idee, soluzioni, disegni di legge, etc, nel lavoro che si svolge nelle Commissioni o nelle aule parlamentari».
Dicevamo della rappresentanza estera. L’on. Nicola Carè (ex pd, oggi Italia Viva) eletto nella circoscrizione estera Africa, Asia, Oceania Antartide), sta facendo un gran lavoro di informazione presso gli italiani che vivono fuori dell’Italia.
«Il referendum del 20 e 21 settembre sulla riduzione del numero dei parlamentari – dice l’on. Carè – impone di sottoporre all’opinione pubblica alcune riflessioni che portano ragionevolmente a sostenere le ragioni del ‘no’. Innanzitutto – spiega il deputato – non reputo corretto far credere ai cittadini, in maniera riduttiva e semplicistica, che con la vittoria del ‘sì’ l’Italia si allineerebbe ai Paesi dell’UE e scenderebbe al quinto posto per numero di parlamentari. Quest’analisi è monca, superficiale e alquanto approssimativa in quanto, se è vero che l’Italia scenderebbe al quinto posto per numero di eletti nelle due Camere, è altrettanto vero che scivolerebbe molto giù per quanto riguarda la rappresentanza. Un vulnus inaccettabile. È quest’ultimo il dato che fa seriamente riflettere. Il nostro Paese è, infatti, attualmente al 24esimo posto nella graduatoria delle Camere Basse con un deputato ogni 100mila abitanti. Oggi ogni deputato viene scelto esattamente da 96.006 cittadini, ogni senatore da 189.424. Con la riduzione dei parlamentari ogni deputato rappresenterebbe 150mila italiani, un senatore 300mila; proporzione ben più alta rispetto alla media europea. Senza tralasciare che il taglio dei parlamentari lascerebbe immutate le problematiche relative al bicameralismo perfetto».
«In caso di vittoria del ‘sì’, quindi, risulterebbe pregiudicata – aggiunge l’on. Carè – non solo la rappresentanza democratica per i cittadini che vivono nei confini nazionali, ma anche e soprattutto quella dei tantissimi italiani che vivono all’estero (oltre sei milioni). Questi ultimi, infatti, sarebbero pressoché privati di una loro rappresentanza, non potrebbero far sentire la loro voce e l’Italia rinuncerebbe all’apporto imprescindibile di suoi connazionali di seconda, terza e quarta generazione e di numerose istituzioni e centri di cultura che hanno dato un prezioso contributo in questi anni alla crescita del Paese.
«Votare ‘no’ significa invece impedire – precisa l’on. Carè – l’impoverimento delle istituzioni repubblicane e delle nostre libertà fondamentali e aprire la strada all’attuazione delle riforme, quelle vere, che sono necessarie alla crescita del Paese. Basta demagogia e populismo, occorrono scelte concrete che possono aiutare le famiglie italiane e le imprese e rilanciare l’Italia nel panorama internazionale».
Il deputato calabrese spiega con i numeri il senso del suo ragionamento: «I numeri sono inoppugnabili e certificano una realtà oggettiva e sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi quindici anni, infatti, gli italiani all’estero sono passati da 3 milioni a 6,2 milioni (dati Anagrafe Consolare). Questi dati ribadiscono la necessità di votare ‘no’ al taglio dei parlamentari. Se dovesse prevalere il ‘sì’ la rappresentanza parlamentare degli italiani all’estero sarebbe risibile e assolutamente insufficiente. Allora è lecito domandarsi: perché non dare voce ai numerosissimi italiani all’estero e non beneficiare del loro apporto in termini sociali, culturali e di immagine? Perché recidere un rapporto che potrebbe dare un contributo significativo alla crescita del Paese? Rinunciare, inoltre, al contributo di associazioni che si prodigano nella promozione della cultura, dell’educazione, della salute, come ad esempio la ‘Nomit’, che supporta la crescita della nuova comunità italiana a Melbourne, priverebbe l’Italia di preziose risorse e importanti sinergie. Per tali ragioni – osserva l’On. Carè – rappresenterebbe una scelta sicuramente autolesionistica ridurre il numero dei deputati da 12 a 8 ed il numero dei senatori da 6 a 4. Gli eletti nella circoscrizione estero, 8 deputati e 4 senatori, non potrebbero rappresentare adeguatamente gli oltre 6 milioni di italiani che vivono oltre confine».
Il sondaggio di Nando Pagnoncelli per il Corriere della Sera dice che al referendum andrà a votare il 52% degli aventi diritto al voto e di questi il 71% è orientato a votare per il sì. Il dato più rilevante è che l’81% degli italiani è a conoscenza del referendum.
Non si comprende l’incredibile assordante silenzio dei partiti sulla vicenda referendum. A parte le chiarissime posizioni anticasta di chi ha costruito la propria fortuna su questa filosofia, crediamo che gli italiani abbiano diritto di avere un quadro onesto e pulito sul voto referendario. La maggioranza degli elettori dei principali partiti sembra siaa favore della riduzione dei parlamentari, ma siamo certi che sono state fornite loro le informazioni utili su cosa effettivamente cambierà in caso di vittoria del sì? Permetteci qualche ragionevole dubbio. ′ (s)