L’OPINIONE / Franco Cimino: La rissa da osteria nelle aule sacre del Parlamento

di FRANCO CIMINO – No, non è una giornata di tensione, oggi (mercoledì ndr) alla Camera e al Senato, come titolano i giornali. È stata una giornata drammatica. Di dolore per il Parlamento, leso nella sua più profonda dignità. Di lutto per la Democrazia, colpita al cuore da cento coltellate. Non è la prima volta che accade una rissa violenta tra gli scranni delle due aule alte. Tante volte si è manifestata la più brutta espressione di persone elette dai cittadini al più alto onore, qual è quello di parlamentare della Repubblica. Tante volte sono volati pugni e schiaffi, urla e insulti, che neppure negli stadi più incivili abbiamo udito e visto.

E tutte quelle volte da quel luogo sacro, la Chiesa laica delle Democrazia, è stata impartita la peggiore lezione che i giovani, in buona parte, hanno appreso molto più rapidamente che quelle dei programmi scolastici. È la lezione della violenza come metodo per la soluzione dei conflitti e dell’aggressività come valvola di scarico delle tensioni e delle frustrazioni personali accumulate nel viaggio breve tra casa, scuola, piazza reale e virtuale, schermo luminoso del telefonino o tablet. Ma oggi, la stessa identica scena, per quelle scarne immagini che le televisioni di “Stato” , tutte quelle al servizio del potere, hanno trasmesso, è più grave. Dolorosa e drammatica. I motivi sono tanti e diversi e, nel dramma, convergenti.

Ne sottolineo solo alcuni, e neppure i più importanti. Ma quelli che mi vengono mentre ci penso e scrivo sulla poltrona dove tento di riposare una pesante stanchezza. La rissa alla Camera, le aggressioni verbali, con abbandono dell’aula dei senatori della maggioranza( atto gravissimo, l’aula non si deve mai abbandonare!) al Senato, avvengono il giorno dopo tre giorni importanti, e in quello, lunghissimo ormai tanti anni, della progressiva perdita di peso e di autorità del Parlamento. Il Parlamento, il nostro più democratico di quelli democratici, perché nato dalla cacciata della Monarchia, dalla condanna del Fascismo, dalla lotta dei partigiani, nato dal sangue versato nella più folle guerra e nella lotta della Resistenza.

Sangue dell’inchiostro rosso con cui è stata scritta la Costituzione più bella, proprio perché fondata, lo ripeto fino alla noia, su quattro pilastri fondamentali, la Libertà, la Persona in cui essa alberga, la Pace, con gli elementi di cui essa si costituisce, la pluralità delle istituzioni, di cui il Parlamento rappresenta l’aspetto più emblematico. Grave, doloroso e drammatico, il giorno funesto odierno, perché di questa fragilità del Parlamento si cerca di approfittare per imporre la più brutta riforma istituzionale, proprio ieri approvata da una delle due aule per il momento. La riforma denominata in gergo popolare del premierato, che, lungi dal rafforzare il potere decisionale del governo, di fatto riduce quello del Parlamento e ne svuota quello del presidente della Repubblica. Il giorno dopo. Quello delle elezioni del Parlamento europeo, la più grande delle vittorie della Democrazia italiana, che sull’Europa, ideata dai grandi della nostra Repubblica, ha fondato la sua più accesa speranza per un Continente che operi per il Progresso e la Pace nel mondo.

Il giorno dopo il centenario della morte di Giacomo Matteotti. Morte causata non, come ancora viene detto, da un manipolo di fascisti indisciplinati, non da una di quelle squadracce nere con il teschio nel cappello e nella bandiera, ambedue di nero colore. Ma trucidato vigliaccamente e orribilmente dal fascismo per ordine del suo despota dittatore. Matteotti, va ricordato, fu sequestrato all’uscita della Camera, dopo aver tenuto uno dei suoi discorsi più belli e significativi. Un discorso vibrante, che dovrebbe essere letto nelle scuole affinché i ragazzi, attraverso quelle parole poetiche comprendano meglio il valore altissimo del Parlamento e la bellezza della Democrazia, luogo privilegiato della Libertà.

In questo discorso Matteotti attacca, con decisione e forza dialettica, Mussolini e ne dimostra il suo aspetto dittatoriale nel progetto, ormai non più segreto, di costruire un regime dittatoriale. La prova che egli porta all’attenzione del Paese è proprio nella concezione fascista del Parlamento. Un ruolo tutto da modificare, in modo che esso diventasse, come poi è diventato, uno strumento del suo potere, il megafono della sua voce recitante, il “bivacco” di cui Mussolini stesso si è vantato, rivendicando con cinismo lo stesso atto barbaro consumato contro il leader socialista. Infine, il giorno dopo(questo odierno tragico), il discorso solenne, bello e pulito, del solito Mattarella, il presidente di tutti gli italiani, che, alle fatiche ordinarie, aggiunge quella immane della difesa della Costituzione, il Parlamento. Bastano, sì che bastano, solo questi motivi per dire della bruttezza di ciò che è accaduta alla Camera oggi.

Una pagina orribile. Non da stracciare. Deve restare aperta. Finché non l’avranno letta gli italiani. Tutti. Anche quelli che votano e sostengono i “forzuti” della politica, che hanno i muscoli ma non la ragione. Che hanno il potere piccolo, quanto il loro cervello, ma non il cuore. (fc)

L’OPINIONE / Roy Biasi: Parlamento accolga richiesta di Anci per il terzo mandato dei sindaci

di ROY BIASI – La maggioranza che sostiene il governo Meloni accolga la richiesta che l’Anci nazionale formula per l’estensione anche ai Comuni sopra i 15.000 abitanti della possibilità di un terzo mandato per i sindaci.

Parlo con cognizione di causa, essendomi candidato in maniera provocatoria, nel lontano 2006, per un terzo mandato che gli elettori mi accordarono ma lo Stato no, visto il ricorso della Prefettura contro la convalida degli eletti in quel consiglio comunale, che decadde non senza formulare un monito riformatore altissimo che superò i confini regionali. Sono felice che, seppur dopo tanti anni, il governo, anche grazie alle sollecitazioni del vice premier Matteo Salvini, abbia colto la giustezza di quella mia posizione, contro un anacronistico divieto che annichilisce senza motivo la volontà popolare e la democrazia.

In effetti il caso di Taurianova e di Varapodio, l’altro centro del Reggino dove un sindaco fu eletto per un terzo mandato, ottennero all’epoca la ribalta nazionale, per una estrema obiezione di coscienza che servì a prendere atto di un corto circuito legislativo nel momento in cui il Parlamento, invece, spingeva per l’elezione diretta dei vertici istituzionali di enti piccoli e grandi, ponendo degli argini temporali di fronte gli elettori sembravano protestare.

Proprio per questo faccio mio l’appello che il presidente nazionale Anci, Antonio Decaro, indirizza ai parlamentari che dovranno convertire in legge il Decreto in modo da rimuovere il vincolo per tutti i Comuni. Auspico che la Lega, impegnata a fare in modo che questo divieto – incoerente rispetto alla necessità dei cittadini di riconoscere i meriti di quegli amministratori e di quei governatori che danno prova di competenza ed efficienza – decada anche per gli enti di rilevanza costituzionale, come le Regioni, faccia valere negli emendamenti da presentare il punto di vista che proviene dal massimo rappresentante dell’associazione dei sindaci, e che in Calabria abbiamo imposto nel dibattito nazionale da lungo tempo, anche a costo di sacrifici e di una prova di forza esercitata nell’urna e con il consenso del popolo. (rb)

[Roy Biasi è sindaco di Taurianova]

LEGALITÀ, DA AFRICO LEZIONE DEI GIUDICI
BASTA PASSERELLE MA FATTI CONCRETI

di MIMMO NUNNARI – L’altro sabato ad Africo alla presenza del ministro dell’interno Matteo Piantedosi è stata inaugurata la nuova caserma dei carabinieri ospitata in una villetta confiscata a una potente famiglia di ‘ndrangheta della zona. Erano attesi anche – ma la notizia non è mai stata confermata – la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro della Difesa Guido Crosetto.

Probabilmente questa attenzione del Governo, per l’inaugurazione di una nuova caserma in Aspromonte, aveva un significato duplice: dotare la Calabria di un nuovo presidio di sicurezza e riaffermare – in un territorio a sovranità limitata, a causa della presenza pervasiva della mafia – che lo Stato c’è. Tutto giusto, se l’evento, con la sua enfatizzazione, non confermasse il vecchio vizio dei Governi di delegare solo a forze dell’ordine e magistratura il compito di combattere la mafia, restando assente invece nell’azione che dovrebbe essere la più efficace, per arginare il dominio mafioso: promuovere sviluppo nei settori dell’economia, del lavoro, del sociale. Paradossalmente questa “assenza” dello Stato finisce col favorire la mafia, che gli spazi vuoti tende a riempirli, sostituendosi volentieri naturalmente in maniera illegale – alle istituzioni.

Tutto ciò significa che in materia di lotta alla mafia serve altro oltre alla presenza di carabinieri e poliziotti e/o nuove caserme. Molti anni fa, lo storico Sergio Zoppi, spiegava che sbaglia chi pensa che per promuovere lo sviluppo in Calabria sia necessario prima vincere la mafia, o al contrario che occorre prima realizzare concreti obiettivi di sviluppo, e poi ingaggiare la definitiva battaglia contro la criminalità organizzata:

«Lungi dal porsi tra di loro in modo disgiunto, questi due termini della questione – ragionava Zoppi – si reggono soltanto in quanto tra di loro uniti e quasi complementari». Questo lucido quanto inascoltato ragionamento di uno degli studiosi più autorevoli della questione meridionale, ci è tornato in mente leggendo il documento dei magistrati di “Magistratura democratica” di Reggio – reso noto dopo la visita di Piantedosi ad Africo – in cui più o meno si dice la stessa cosa di Zoppi.

«Ci sarebbe piaciuto – hanno scritto i magistrati – che ad affiancarlo [il ministro Piantedosi] vi fossero stati: il ministro dellEconomia e quello dellAmbiente, per illustrare nuovi piani e progetti per rilanciare leconomia locale in termini eco-compatibili con il territorio; quello del Lavoro, per indicare nuove norme, volte ad agevolare le assunzioni in territori svantaggiati; quello delle Infrastrutture che riferisse dellavvio del raddoppio ed elettrificazione della linea ferrata e dellammodernamento della SS 106; quelli della Cultura e del Turismo che illustrassero le iniziative assunte per rilanciare la storia e le tradizioni dellarea-grecanica, in una prospettiva di riscoperta del territorio dalle spiagge dove le nidificano le tartarughe alle montagne dellAspromonte ricche di flora e fauna uniche».

Le esigenze di sicurezza, spiegano ancora i magistrati nel documento, sono ancora all’ordine del giorno, ma è necessario che in futuro lo sguardo si allarghi, anche per evitare che la destinazione alla pubblica sicurezza, in un simile quadro, assuma le sembianze di una “foglia di fico” che non riesce a nascondere più pressanti problematiche. Meritano un plauso questi magistrati di Md, che interpretano al meglio la responsabilità del loro ruolo costituzionale di difendere la giurisdizione, ma anche di porre attenzione ai diritti dei cittadini, soprattutto quando sono penalizzati dalle disuguaglianze, come in Calabria.  

Ci sarebbe piaciuto che le cose dette da loro le avessero dette – almeno in quest’occasione – i silenti parlamentari eletti in Calabria, anche quelli – tra loro ex magistrati – dirottati nel profondo Sud all’unico scopo di ottenere un seggio-premio a Palazzo Madama, o a Montecitorio. (mnu)

L’addio di Roberto Occhiuto alla Camera: ci sarà oggi la proclamazione?

Il neopresidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto, già capogruppo di Forza Italia alla Camera, si è dimesso da parlamentare. Ieri, a Montecitorio, ha salutato i colleghi e passato il testimone di capogruppo a Paolo Barelli. Oggi, con molta probabilità, ci dovrebbe essere la proclamazione ufficiale a Germaneto, ma fino a tarda sera la notizia non è stata confermata.

«È stato per me un onore – ha detto il presidente Occhiuto salutando i colleghi e gli amici parlamentari alla Camera – presiedere in questi mesi il gruppo di Forza Italia della Camera. Ringrazio il presidente Berlusconi per questa straordinaria opportunità, e tutti i colleghi che mi hanno aiutato a svolgere al meglio questo delicato ruolo. Faccio le mie più sincere congratulazioni al neo capogruppo Paolo Barelli, un dirigente di esperienza che, ne sono certo, guiderà con serietà e abnegazione la pattuglia dei deputati azzurri a Montecitorio». (rrm)

Gran parte del Parlamento contro Morra: continua la bufera dopo le squallide dichiarazioni

Anche se ufficialmente non ha preso posizione il presidente della Camera Roberto Fico (grillino come Morra) un crecsente numero di deputati si schiera apertamente contro le spregevoli frasi del Presidente della Commisione antimafia a proposito della defunta Jole Santelli e die calabresi in generale. La presidente del Senato Elisabetta Casellati, al contrario ha stigmatizzato il comportamento del senatore grillino: «La frase di Morra – ha detto la presidenet Casellati – disonora le istituzioni: infanga la memoria di Jole Santelli ritenuta colpevole di essere stata malata; discrimina senza umanità i malati specie quelli oncologici; delegittima la libera scelta degli elettori, offende i calabresi come fossero tutti delinquenti».

Intanto i componenti della Commissione bicamerale Antimafia parlamentaridella Lega, di Fratelli d’Italia e di Forza Italia, hanno dichiarato che non parteciperanno ai prossimi lavori in commissione se non dopo le dimissioni del presidente Morra.

Lo sdegno è trasversale: «Il rispetto per chi non c’è più distingue gli uomini dalle bestie. Le parole di Morra sulla compianta Jole Santelli sono semplicemente indegne. Solidarietà ai familiari e a tutto il popolo calabrese», ha scritto su Facebook il capogruppo di Italia Viva al Senato Davide Faraone, cui ha fatto eco il presidente di Italia Viva Ettore Rosato, che scrive: «Ho riascoltato le frasi pronunciate dal senatore Morra. Affermazioni inaccettabili, chieda scusa. Questi sono gli effetti di quando si perde umanità e senso del limite per un titolo in più sul giornale»

Per il Partito Democratico il deputato Emanuele Fiano, ha detto che «le parole del senatore Morra sono indegne nei confronti dei calabresi e ingiuriose e volgari nei confronti della memoria di Iole Santelli. Bisogna combattere senza tregua la ’Ndrangheta, non offendere i calabresi con parole qualunquiste. Il senatore Morra avrebbe già dovuto scusarsi da molte ore». Anche il senatore Franco Mirabelli, vice presidente dei senatori del Pd e capogruppo dem in commissione Antimafia, ha commentato negativamente: «Morra sbaglia. Alimentare sterili polemiche non serve ad affrontare il tema della lotta alla criminalità organizzata in Calabria. È la ‘Ndrangheta il vero problema di quella regione. Accusando genericamente i cittadini e gli elettori calabresi si finisce per non vedere dove sono le vere responsabilità e per mancare di rispetto alla memoria di Iole Santelli che era stata democraticamente eletta presidente di quella regione. In quella terra la criminalità organizzata si è insediata sempre di più nel tessuto economico politico e sociale. È questo che una politica responsabile deve combattere, insieme alle forze dell’ordine, cercando unita e senza scadere in accuse generiche e senza senso».

Fabrizio Cicchitto, presidente di Riformismo e Libertà: «Il presidente della Commissione Antimafia Morra ha dato una bella prova di se stesso parlando in termini che è poco definire spregevoli di Jole Santelli. Ma il suo è un atteggiamento di stampo razzista nei confronti della Calabria e dei calabresi. Detto ciò, rifiutiamo il metodo della sentenze anticipate, nel senso che l’accusa guidata dal Pm Gratteri ha aperto un processo dalle implicazioni certo molto inquietanti per quanto riguarda la sanità calabrese. La dialettica processuale però in un Paese civile si basa su quello che afferma l’accusa e sulle risposte della difesa. Finora la difesa di Tallini non ha ancora parlato. Siamo abituati a situazioni nelle quali tutto veniva dato per scontato e poi invece la dialettica processuale ha visto la sentenza anticipata negata da assoluzioni sancite dalla magistratura giudicante. Francamente ci auguriamo che tutto quello che ha affermato la procura sia vero però essa deve passare attraverso il vaglio della dialettica processuale perché siamo in Italia e non ancora né in Polonia non in Ungheria non in Egitto».

«Ogni giorno, ma proprio ogni giorno, trovo un motivo in più per sentirmi fiero di non avere nulla a che fare con questa gentaglia» ha scritto su Twitter  Carlo Calenda, leader di Azione.

Il sen. Ernesto Magorno (sindaco di Diamante) di Italia Viva si è espresso duramente contro le frasi di Morra: «Nelle ultime ore Nicola Morra ha reso affermazioni non degne di un rappresentante delle istituzioni. La Calabria è una terra meravigliosa, unica con persone oneste e laboriose. Morra non aveva il diritto di offendere i calabresi che, invece, hanno voglia di riscatto. Sperano in un futuro migliore, un futuro che noi Sindaci vogliamo contribuire a costruire offrendo risposte concrete e sostenendo battaglie giuste come quelle sulla sanità che ci ha visto a Roma giovedì scorso. Saremo sempre in prima linea a sostenere i diritti della Calabria, a difendere i nostri cittadini».

Intanto cresce anche la polemica sulla decisione Rai di cancellare la partecipazione del sen. Morra alla trasmissione televisiva Titolo V su Rai 3. Secondo Michele Anzaldi «Ieri è andata in onda una pagina nera per il servizio pubblico Rai, forse il punto più basso toccato negli ultimi anni – ha scritto su Facebook. Su ordine dei vertici Rai, è stata annullata all’ultimo minuto l’intervista ad un parlamentare per le sue “offensive”, come giustamente sono state definite dalla conduttrice di “Titolo V” su Rai3, dichiarazioni del giorno prima. Le parole di Morra sono indifendibili e inqualificabili, sono state stigmatizzate da tutti, ma il precedente creato da questi vertici Rai è gravissimo. La Rai dovrebbe fare giornalismo e informazione, non politica. Invece di informare, di mettere giornalisticamente alle strette Morra, il servizio pubblico ha abdicato al suo ruolo e ha preferito censurarlo, con una decisione peraltro arrivata solo dopo le esplicite richieste del centrodestra di annullare l’intervista. Una decisione politica, non giornalistica. Questa è l’autonomia giornalistica dei conduttori e delle reti del servizio pubblico?
Da chi è arrivato l’ordine di censurare Morra, da Salini, da Foa o da entrambi? In ogni caso la responsabilità ricade sull’amministratore delegato. La commissione di Vigilanza deve urgentemente occuparsi del caso».   (rp)

DALLA CALABRIA L’INIZIATIVA POPOLARE
D’UNA LEGGE PER I SANITARI POST-COVID

Parte dalla Calabria, anzi da Reggio, la proposta di legge d’iniziativa popolare che prevede una contribuzione aggiuntiva convenzionale ai fini pensionistici per i medici e gli operatori sanitari che sono stati e sono ancora impegnati a contrastare l’epidemia da Covid-19. Prima firmataria della proposta di legge – pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 10 luglio scorso – è l’avv. Giovanna Cusumano del Foro di Reggio che ha coinvolti colleghi avvocati di diverse regioni del Paese, in rappresentanza di importanti Fori come Milano, Bolzano, Torino, Venezia, Firenze, Perugia, Avezzano e Roma. Nel comitato promotore figurano anche numerosi e apprezzati docenti universitari di tutt’Italia. L’obiettivo è riconoscere un adeguamento finanziario che abbia ripercussioni ai fini pensionistici a quanti, in ambito medico, si sono prodigati, anche a costo della propria vita, ad assistere e curare i pazienti colpiti da coronavirus.

Il comitato si adopererà in tutte le regioni d’Italia, affinché la proposta venga regolarmente sottoscritta, entro i sei mesi previsti, da almeno 50.000 cittadini italiani attraverso il coinvolgimento degli Ordini professionali dei medici e degli infermieri, i cui iscritti sono i naturali destinatari del beneficio pensionistico. Raggiunto il quorum necessario,  è auspicabile che le forze politiche rappresentate in Parlamento si impegnino e approvino la proposta in Aula perché diventi Legge. È significativo che l’iniziativa di legge popolare sia partita della Calabria, una regione non ha patito in modo pesante gli effetti della pandemia, ma ha potuto apprezzare la professionalità, l’impegno e l’abnegazione mostrata da tutto il personale medico degli ospedali calabresi con il prezioso contributo del personale sanitario e paramedico, nei confronti dei pazienti affetti da coronavirus. È giusto un riconoscimento aggiuntivo a questi nuovi eroi del terzo millennio che in tutto il Paese si sono prodigati senza mai fermarsi, qualche volta anche a costo della propria vita.

L’Avvocatura italiana  con questa proposta di legge  ricorre ad uno degli strumenti di democrazia diretta riconosciuti dalla nostra Costituzione qual è, appunto, l’iniziativa legislativa popolare, al fine di tributare, appunto, un doveroso riconoscimento all’impegno profuso dagli operatori sanitari per fronteggiare la terribile pandemia causata dal Covid-19. Visto che il Parlamento non ha messo in cantiere iniziative a favore di medici e personale sanitario, il ricorso a una legge di iniziativa popolare è sembrata la via più adeguata per sollecitare e promuovere interventi di sostegno a chi ha messo al primo posto la salute degli altri. Il Presidente del comitato, avv. Giovanna Cusumano, ha spiegato che «il beneficio della contribuzione aggiuntiva convenzionale ai fini pensionistici previsto da questa proposta di legge,  ha l’obiettivo di compensare il maggiore sacrificio e/o il maggior rischio, sostenuti dagli operatori sanitari nell’espletamento delle loro mansioni durante la pandemia».

I medici e gli operatori del Servizio Sanitario Nazionale impegnati a fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, infatti, secondo i promotori,  hanno il diritto di incrementare il trattamento pensionistico, che sarebbe loro spettato in condizioni ordinarie di svolgimento dell’attività professionale, e per compensare il maggior dispendio di energia fisica e psichica necessaria per lo svolgimento dell’attività lavorativa nel corso della pandemia e per l’elevata probabilità di contagiarsi, con ulteriore rischio di diffusione del contagio ai propri familiari.

La proposta, pertanto, spiega ancora l’avv. Cusumano, prevede che il contributo previdenziale del lavoratore venga moltiplicato per un coefficiente di maggiorazione determinando una anzianità contributiva convenzionale che si somma a quella effettiva ed è utile sia ai fini della misura che ai fini del diritto alla pensione. Il beneficio dovrà così essere calcolato: per ogni mese di attività lavorativa effettivamente svolta in condizioni di emergenza epidemiologica, viene riconosciuta una maggiorazione contributiva di tre mesi,  fino a un massimo di 3 anni.

«È doveroso precisare – afferma sempre il presidente Cusumano – che la maggiorazione contributiva ha natura di indennità, in quanto finalizzata a compensare una prestazione sanitaria resa in peculiari condizioni ambientali, senza che rilevino profili risarcitori derivanti dal contagio del Covid-19 o dall’inadempimento di obblighi di prevenzione del datore di lavoro (carenza strumenti di protezione)».

L’avv. Giovanna Cusumano illustrerà nei prossimi giorni i dettagli dell’iniziativa nel corso di  una conferenza stampa. La promotrice ha voluto sottolineare come questa proposta di legge si inserisce nel solco di quella “Giustizia distributiva” che riguarda le relazioni della società con i singoli individui e comprende ogni forma di distribuzione di beni fatta da una Autorità tra i membri della società. «È, infatti, una questione di giustizia ed equità che i medici e tutti gli operatori sanitari impegnati durante l’emergenza pandemica ricevano dallo Stato un trattamento pensionistico migliore rispetto ai loro colleghi “pre e post Covid-19”. Pertanto – conclude l’avv. Cusumano – poiché attraverso questa proposta di legge si tende a realizzare giustizia, essa non poteva non essere pensata e sostenuta da avvocati che sono strumento di giustizia per antonomasia, sebbene mai come in questo preciso momento storico si tenda maldestramente ed indegnamente di attribuire alla figura dell’avvocato una accezione sovente negativa». (rrm)

 

Il «mea culpa» di 4 parlamentari M5S: «Chiediamo scusa a tutti i calabresi»

I deputati del Movimento 5 StelleFrancesco SapiaBianca Laura GranatoGiuseppe d’IppolitoPaolo Parentela, hanno scritto una lettera aperta ai calabresi, dal titolo Ripartiamo dall’umiltà.

«Chiediamo umilmente scusa. Siamo coscienti – hanno scritto i parlamentari – che il Movimento 5 Stelle ha perso in Calabria un importante consenso elettorale e che non siamo riusciti ad entrare in Consiglio regionale. Abbiamo commesso tanti sbagli, intanto riguardo al decreto Calabria. Inoltre, a causa di individualismi interni spesso prevalenti sul “noi”Quattro deputati chiedono scus e sui princìpi del Movimento, non abbiamo saputo fare gioco di squadra: sia con la base, sia nel portare avanti le battaglie storiche su ambiente, beni comuni e sanità pubblica, sia per cambiare passo nella nostra regione».

«Dagli errori, però, si impara, si cresce e – proseguono i parlamentari Sapia, Granato, d’Ippolito e Parentela – si riparte con determinazione, coscienza, progetto. Ci avete eletto parlamentari e questo ci carica di grande responsabilità.  Perciò sentiamo l’obbligo morale di rispondere al disperato “urlo” di aiuto del popolo della Calabria».

Nella lettera, che dà l’idea di un manifesto programmatico, i quattro parlamentari del Movimento 5 Stelle assicurano: «Con il cuore e la passione è nostra intenzione: avanzare proposte concrete e ove necessario in ogni modo criticare, pur non essendo in Consiglio regionale, l’operato della giunta e della maggioranza Santelli e di tutta la politica, continuando a denunciare eventuali abusi, ritardi, omissioni e ingiustizie; ricevere ogni istanza per garantire una forte presenza politica in Calabria; sollecitare il governo sulle iniziative essenziali per rispondere dell’emergenza sociale ed economica; chiedere conto e insistere rispetto all’erogazione degli aiuti previsti».

Gli stessi parlamentari promettono anche di: «avviare un colloquio con le organizzazioni sindacali e datoriali per sveltire l’iter delle procedure di cassa integrazione; predisporre, sulle base delle notizie pervenute, informative al governo per i casi di particolare difficoltà; studiare misure specifiche al fine di rendere il Servizio sanitario un bene pubblico fondamentale (alcune già in cantiere, come la cessazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, la ridefinizione degli standard ospedalieri, il ritorno allo Stato della potestà legislativa sulla sanità, la creazione dell’Agenzia nazionale della Salute e la salvaguardia dell’ambiente per la tutela della salute e la prevenzione delle epidemie virali)».

Gli altri impegni assunti dai 5 Stelle sono: «valorizzare agricoltura e cultura e batterci per il recupero dei borghi e per la tutela delle tipicità dell’ecosistema calabrese; ribadire al governo la necessità di considerare una proposta economica sulla Calabria, già posta all’attenzione del ministro dello Sviluppo economico, che potrebbe risolvere l’odierna questione meridionale».

«A tale ultimo riguardo – hanno precisato i parlamentari Sapia, Granato, d’Ippolito e Parentela – alludiamo alla creazione di un’area No Tax coincidente con l’intera Calabria, con lo scopo di attrarre alla svelta investimenti sul territorio, di garantire al sistema produttivo una forma di “compensazione”, abbattendo la fiscalità. Di certo si tratta di un progetto ampio, volto anche a modificare il ruolo delle banche, in modo che siano a sostegno concreto e veloce dei bisogni delle aziende, senza le risapute speculazioni. Per questa via può partire da subito la filiera agroindustriale in tutta la Calabria».

«Ancora, ci impegniamo – hanno proseguito i parlamentari 5 Stelle – a chiedere l’intervento del governo per l’avvio immediato della Zona Economica Speciale e a pretendere la rapida nomina, per la governance del Porto di Gioia Tauro, di figure altamente qualificate. Chiederemo al governo – concludono i quattro parlamentari – ogni sforzo possibile per debellare la più potente organizzazione criminale al mondo, la ‘ndrangheta, che rovina e distrugge il nostro territorio. Infine presteremo attenzione ai bisogni delle istituzioni pubbliche e delle forze dell’ordine».

 

La lettera “Ripartiamo dall’umiltà”

Cari concittadini calabresi,

siamo preoccupati per la crisi della Calabria, già colpita da vecchi e gravi mali che l’hanno spinta ai margini dell’Europa. Con il Covid-19 la Regione rischia un tracollo economico e sociale senza precedenti. Dobbiamo impedirlo.

Siamo coscienti che il Movimento 5 Stelle ha perso in Calabria un importante consenso elettorale e che non siamo riusciti ad entrare in Consiglio regionale. Abbiamo commesso tanti sbagli, intanto riguardo al decreto Calabria. Inoltre, a causa di individualismi interni spesso prevalenti sul “noi” e sui princìpi del Movimento, non abbiamo saputo fare gioco di squadra: sia con la base, sia per portare avanti le battaglie storiche del Movimento, specie su ambiente, beni comuni e sanità pubblica; sia per cambiare passo nella nostra regione. Chiediamo umilmente scusa. Dagli errori, però, si impara, si cresce e si riparte con determinazione, coscienza, progetto.

Ci avete eletto parlamentari, abbiamo avuto la vostra fiducia. Questo è un fatto che ci carica di grande responsabilità.  Perciò sentiamo l’obbligo morale di rispondere al disperato “urlo” di aiuto del popolo della Calabria. Con il cuore, la passione e l’amore per la Calabria è nostra intenzione: avanzare proposte concrete e ove necessario in ogni modo criticare, pur non essendo in Consiglio regionale, l’operato della giunta e della maggioranza Santelli e di tutta la politica, continuando a denunciare eventuali abusi, ritardi, omissioni e ingiustizie; mettere subito a disposizione i nostri contatti per ricevere ogni istanza, per garantire una forte presenza politica in Calabria; sollecitare il governo sulle iniziative essenziali per rispondere dell’emergenza sociale ed economica, nonché chiedere conto e insistere rispetto all’erogazione degli aiuti previsti; avviare un colloquio con le organizzazioni sindacali e datoriali, per agire in sinergia e sveltire l’iter delle procedure di cassa integrazione; predisporre, sulle base delle notizie pervenute, informative al governo per i casi di particolare difficoltà;  studiare misure specifiche al fine di rendere il Servizio sanitario un bene pubblico fondamentale (alcune già in cantiere, come la cessazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, la ridefinizione degli standard ospedalieri, il ritorno allo Stato della potestà legislativa sulla sanità, la creazione dell’Agenzia nazionale della Salute e la salvaguardia dell’ambiente per la tutela della salute e la prevenzione delle epidemie virali); valorizzare agricoltura e cultura e batterci per il recupero dei borghi e per la tutela delle tipicità dell’ecosistema calabrese, che occorre salvaguardare da pratiche tese al profitto privato e non al benessere collettivo, per esempio inquinamento, maladepurazione, sfruttamento energetico da combustione, maldestre gestioni del ciclo dei rifiuti, lucroso commercio dell’acqua pubblica; ribadire al governo la necessità di considerare una proposta economica sulla Calabria, già posta all’attenzione del ministro dello Sviluppo economico, che a nostro avviso potrebbe risolvere l’odierna questione meridionale.

A tale ultimo riguardo alludiamo alla creazione di un’area No Tax coincidente con l’intera Calabria. Tale misura ha lo scopo di attrarre alla svelta investimenti sul territorio, di garantire al sistema produttivo una forma di “compensazione”, abbattendo la fiscalità. Questo strumento è di per sé un acceleratore di sviluppo e non necessità di tempi biblici. Di certo si tratta di un progetto ampio, volto anche a modificare il ruolo delle banche, in modo che siano a sostegno concreto e veloce dei bisogni delle aziende, senza le risapute speculazioni. Per questa via può partire da subito la filiera agroindustriale in tutta la Calabria. Senza dubbio, il progetto complessivo andrà articolato e presentato nella sua “vastità”.

Ancora, ci impegniamo a chiedere l’intervento del governo per l’avvio immediato della Zona Economica Speciale (ZES), che già può essere utilizzata e dunque anticipare le ricadute della suddetta area No Tax. Infine, prendiamo l’impegno di chiedere al governo la rapida nomina, per la governance del Porto di Gioia Tauro, di figure altamente qualificate.

In sintesi: vogliamo essere presenti sul territorio, metterci la faccia, denunciare le storture e portare avanti proposte di lungo respiro.

Siamo consapevoli di vivere in un contesto complicato, fragile e drammatico. Sappiamo, perciò, che le organizzazioni criminali cercheranno di abusare, di “violentare” la società civile e quel poco di economia presente. Dunque chiederemo al governo ogni sforzo possibile per debellare la più potente organizzazione criminale al mondo, la ‘ndrangheta, che rovina e distrugge il nostro territorio. Infine presteremo attenzione ai bisogni delle istituzioni pubbliche e delle forze dell’ordine.

Il referendum del 29: perché se ne parla poco?
Penalizzati la Calabria e gli italiani all’estero

di SANTO STRATI – Il prossimo 29 marzo gli italiani saranno chiamati al referendum confermativo per decidere sul taglio dei parlamentari. Un provvedimento di modifica costituzionale approvato sull’onda populista dei Cinque Stelle contro la “casta” e che probabilmente raccoglierà una marea di sì, giocando facilmente sui sentimenti dell’antipolitica che ormai convivono su moltissimi italiani. Ma siamo sicuri che questa scelta sia in linea con lo spirito dei Costituenti che, se hanno indicato in 630 il numero dei deputati e in 315 quello dei senatori, qualche ragionamento l’avranno pur fatto. Nel 1946, all’alba della ricostruzione postbellica, i sentimenti dell’antipolitica non esistevano, anzi c’era semmai una forte voglia di partecipazione: si costruiva l’Italia repubblicana, si stava ricostruendo il Paese. È la Costituzione rappresenta le fondamenta del nostro Paese: troppo facilmente si è cercato, questa volta, di “scassinarla” nei suoi principi di rappresentanza.

Come siamo finiti, ahinoi, con lo sciocco e bieco populismo dei pentastellati ce lo racconteranno negli anni a venire gli storici di professione, adesso occorre, invece, fermarsi un attimo a riflettere e cercare di bloccare un provvedimento che farà solo male, soprattutto alle piccole regioni, come la Calabria, e in modo particolare agli italiani all’estero che vedranno assottigliarsi ancor di più la propria rappresentanza parlamentare. La motivazione che il taglio dei parlamentari offrirà un grande risparmio agli italiani è risibile: gli 80 milioni risparmiati all’anno corrispondono a 1,35 euro per cittadino, come dire che ciascun italiano non offrirà più un caffè al politico democraticamente eletto dal popolo. Non prendiamoci in giro da soli. Invece, sarà l’avvio di un più temibile processo di revisione dell’attività politica, con una rappresentanza ristretta sempre più elitaria e di scelti e non eletti. È questo che la maggioranza degli italiani vuole? Non lo crediamo proprio. Non si tratta di confermare “privilegi” della casta, ma di mantenere i principi costituenti della giusta rappresentanza del popolo attraverso gli eletti.

Inspiegabilmente, del referendum se ne parla davvero troppo poco e, considerando che in questa occasione, non servirà il quorum, c’è il rischio che il voto confermativo di pochi assatanati dell’antipolitica sconvolgano la nostra vita futura. Occorre mobilitarsi per spiegare le ragioni del No (ma, per correttezza, anche le ragioni del Sì) perché gli elettori si sveglino e decidano in piena autonomia ma con la consapevolezza di cosa significherà approvare il provvedimento o respingerlo.

La politica, occupata più a valutare l’agonia perenne di un governo che si regge sulle stampelle, sta trascurando quest’appuntamento fondamentale per la nostra democrazia rappresentativa. Con qualche meritoria eccezione: il deputato Nicola Carè, eletto per il Pd nella circoscrizione estera Africa Asia Oceania Antartide e oggi passato a Italia Viva ha lanciato un accorato appello, cercando di spiegare le insidie nascoste nel referendum. «Per oltre un anno – ha detto l’on. Carè – mi sono battuto contro la riduzione della rappresentanza parlamentare, ma nonostante la contrarietà e l’impegno profusi, la riforma è stata accolta.  Tuttavia, attraverso il Referendum del 29 marzo prossimo, c’è ancora la possibilità di invertire la rotta. Tra poche settimane, proprio domenica 29 marzo, tutti gli italiani, anche all’estero, si pronunceranno su essa. Un referendum importante che sarà un atto di grande responsabilità di tutti gli elettori, perché questa scelta potrebbe alterare il funzionamento delle Istituzioni democratiche del nostro Paese».

Carè mette in guardia sui risultati del referendum: «In caso di definitivo accoglimento – ha spiegato –, si ridisegnerebbe, con 345 eletti in meno, la composizione del Parlamento. La riduzione penalizzerebbe soprattutto l’elettorato estero, già scarsamente rappresentato. I deputati da 12 a 8 ed i senatori da 6 a 4. A nulla sono valse valide rimostranze: solo la Ripartizione Africa, Asia, Oceania e Antartide di mia competenza raggruppa, ad esempio, 117 Paesi e Gerusalemme. Sono anni che chiediamo, a fronte di questa situazione e della massiccia migrazione italiana dell’ultimo decennio (aumentata del 70%) una più equa redistribuzione della rappresentanza in Parlamento. Non solo abbiamo ottenuto solo indifferenza, ma  questa già grave situazione peggiorerà. Sono circa 5 milioni e mezzo solo gli italiani registrati all’AIRE, quasi il 9% del totale della popolazione italiana. Si corre il rischio concreto di avere, ad esempio, solo nella Ripartizione Europa un Senatore della Repubblica ogni due milioni di elettori. Inaccettabile».

Quello del 29 marzo sarà il quarto referendum costituzionale. Gli altri si sono svolti nel 2001 modifica del titolo V, nel 2006 (modifica delle Ii parte della Costituzione, e nel 2016 quello sul bicameralismo: quattro anni fa votò oltre il 65% degli elettori che bocciarono la riforma (proposta da Matteo Renzi e Maria Elena Boschi) che aboliva il Senato (per come è adesso).

Quanti saranno gli elettori che si recheranno alle urne per respingere (o approvare) una legge spinta da pura demagogia grillina per “punire” la democrazia parlamentare e ridurre la sua efficacia? Gianroberto Casaleggio (il padre dei pentastellati) sognava una Repubblica che potesse fare a meno della rappresentanza parlamentare e fosse affidata agli algoritmi della sua società. I grillini ortodossi hanno continuato in questa missione riuscendo, non si sa come, a piegare tutto il Parlamento a votare una legge di “autocastrazione” che in buona sostanza serve solo a mortificare se non ad umiliare l’attività politica, soprattutto quella sana. Come funzionerà la Camera con 400 deputati e il Senato con 200 senatori? Qualche dubbio sul corretto funzionamento della macchina parlamentare è lecito. Ma è il discorso di rappresentanza quello che più deve preoccupare: la Calabria, tanto per fare un esempio, perderà tre senatori e sette deputati, in totale 20 parlamentari (6+1 – dai resti – senatori, e 13 deputati) al posto di 30.

Mette in evidenza l’on. Carè che «saranno innumerevoli le implicazioni negative, tra cui principalmente un netto danneggiamento del rapporto eletto/elettore. Oggi esso è di un deputato ogni 96.006 cittadini e un senatore ogni 188.424. In caso di definitivo accoglimento vi sarà un deputato ogni 151.210 ed un senatore ogni 302.420. Il Paese diverrà, tra i 28 Stati dell’UE, quello con il peggior rapporto di rappresentanza».  Secondo Carè si mutilerà seriamente il Parlamento e, come immediata conseguenza, vi sarà la modifica dei collegi elettorali. Non è escluso – fa notare Carè – che si richiedano anche possibili correttivi legislativi come equiparare l’età dell’elettorato attivo (anche i 18enni potranno votare per il Senato) o modificare i delegati regionali per l’elezione del Senato e del Presidente della Repubblica. Vi è, insomma, il pericolo di rendere sempre più difficoltosi i lavori parlamentari. Una riforma pensata per rendere più agile la dialettica politica finirà per complicarla. Un grave danno anche per la credibilità internazionale e la stabilità economica. Al contrario, è compito della politica confrontarsi sulle vere priorità del Paese: occupazione, internazionalizzazione delle PMI, cooperazione globale e Green Economy. Svuotare le istituzioni democratiche non è di certo la risposta giusta. Bisogna chiedersi se sacrificare la democrazia elettiva e mutilare i nostri ideali costituzionali siano un prezzo accettabile. Certamente No. Una trasformazione così non è solo inutile, ma profondamente dannosa». (s)

Vedi anche l’intervista di Calabria.Live al sen. Andrea Cangini, uno dei promotori del referendum