Autonomie e pre-intese allargano il divario Nord-Sud

di ERNESTO MANCINI  – Il 18 e 19 novembre scorsi il Ministro Roberto Calderoli, regista dell’intero dossier sull’autonomia regionale differenziata, si è recato nei capoluoghi delle regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, per sottoscrivere, coi rispettivi Governatori, le cosiddette “preintese” su tale autonomia. A ciò è stato ufficialmente delegato dalla Presidente del Consiglio Meloni.

Si tratta di accordi che proseguono formalmente il percorso Governo/Regioni verso l’autonomia differenziata nonostante la sentenza della Corte Costituzionale n. 192/24 che ne aveva demolito la legge asseritamente regolatrice (legge n 86/2024).

La stampa e gli altri media hanno dato ampio risalto alle firme e agli incontri istituzionali senza tuttavia spiegare granché nel merito di questi accordi.

Le preintese sottoscritte, peraltro identiche nel contenuto per le quattro regioni, coinvolgono gran parte del Nord Italia, con l’eccezione del Friuli-Venezia Giulia e della Valle d’Aosta, estranee a questa procedura di autonomia differenziata perché in regime di autonomia speciale.

La Regione Emilia-Romagna, anche a seguito di pressione dei Comitati contro ogni autonomia differenziata, ha assunto, con la nuova amministrazione De Pascale, una posizione politica fortemente contraria al progetto governativo di Calderoli, revocando le pre-intese firmate durante l’amministrazione Bonaccini.

Dalle preintese ora sottoscritte risulta che il Governo e le regioni del nord mirano ad ampliare l’autonomia regionale rispetto allo Stato centrale in materia di protezione civile, ordinamento delle professioni, previdenza complementare e integrativa, nonché sanità.  Per le funzioni degli altri 12 settori, possibile oggetto di autonomia differenziata, si dovrà attendere la definizione dei L.e.p (livelli essenziali delle prestazioni).

Il caso della sanità regionale differenziata

Per quanto riguarda il settore sanitario, le preintese stabiliscono testualmente quanto segue: a) autonomia differenziata nella “gestione del sistema tariffario di rimborso, remunerazione e compartecipazione degli assistiti” (art. 3 allegato 2 lettera “a”).

Al riguardo gli accordi prevedono che le Regioni con autonomia differenziata possano gestire in modo indipendente il sistema tariffario di rimborso, remunerazione e compartecipazione degli assistiti. Ciò significa che tali Regioni potranno fissare autonomamente i corrispettivi per tutte le prestazioni sanitarie, pubbliche e private accreditate, svincolandosi dalle indicazioni statali che oggi garantiscono uniformità e congruità dei tariffari sul territorio nazionale.

Questa pretesa autonomia, incidendo direttamente sui valori economici delle prestazioni – fondamentali per i bilanci regionali e – delle aziende sanitarie – può generare un vantaggio significativo per le Regioni dotate di maggiori poteri e risorse, a scapito di quelle che restano vincolate ai parametri nazionali.

D’altra parte, la leva tariffaria può diventare uno strumento competitivo per attrarre operatori e investimenti sanitari, con il rischio di accentuare le disuguaglianze territoriali e compromettendo ulteriormente l’uniformità dei livelli essenziali di assistenza e perciò, in definitiva, del Servizio Sanitario Nazionale.

Ovviamente non va negata la capacità di maggiore attrazione che una Regione riesce ad ottenere rispetto ad altre ma ciò va fatto in condizioni di parità di poteri e non certo di differenziazione e privilegio.

b) Autonomia differenziata nella “programmazione degli interventi sul patrimonio edilizio e tecnologico delle aziende del sistema sanitario regionale” (art. 3 allegato 2 lettera “b”).

La disposizione attribuisce alle Regioni del Nord una piena autonomia nella pianificazione delle strutture sanitarie consentendo di operare in deroga agli standard nazionali che continuerebbero invece a vincolare le Regioni del Centro-Sud.

In pratica, le Regioni differenziate possono superare i parametri nazionali relativi a rapporto posti letto/abitanti, classificazione degli ospedali, dotazione tecnologica, indici di congruità ed ogni altro parametro.

Ciò conferirebbe a queste Regioni una libertà quasi totale nella configurazione della rete ospedaliera regionale, con conseguenze negative sulla uniformità dei livelli essenziali di assistenza (Lea), sull’equità nell’accesso ai servizi e sulla coerenza complessiva della programmazione sanitaria nazionale che, a questo punto, rischierebbe di perdere ogni reale carattere “nazionale”.

c) Autonomia differenziata nella “individuazione di sistemi di governance delle aziende sanitarie e degli enti del servizio sanitario regionale” (art. 3 allegato 2 lettera “c”).

La completa autonomia sui sistemi di governance consentirebbe alle Regioni del Nord di definire regole proprie e differenziate rispetto alle altre Regioni per l’organizzazione dei vertici direzionali aziendali, delle strutture interne (dipartimenti, strutture ospedaliere, distretti, presìdi), nonché per la pianificazione, programmazione, definizione di obiettivi strategici e piani annuali o pluriennali.

In pratica, questa autonomia creerebbe una diversificazione profonda tra Nord e Centro-Sud nell’insieme di regole, strutture, processi e strumenti con cui le aziende sanitarie (ASL, ASST, AO, IRCCS, ecc.) vengono dirette, controllate e rese responsabili del loro operato. Il risultato sarebbe un sistema frammentato, dove la gestione e la responsabilità delle aziende sanitarie non sarebbero più uniformi a livello nazionale né tra di loro confrontabili, mettendo a rischio la coerenza complessiva del Servizio sanitario e l’equità nell’accesso ai servizi su tutto il territorio.

c1) Autonomia differenziata nella “istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi” (art. 3 allegato 2 lettera “c” seconda parte).

I fondi sanitari integrativi sono strumenti che si affiancano alle prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta, in sostanza, di forme di assistenza sanitaria privata di tipo assicurativo, che copre prestazioni non erogate dal SSN ovvero erogate con tempi lunghi ed inaccettabili (visite specialistiche, diagnostica, odontoiatria, ricoveri, interventi chirurgici, ecc.). Ne beneficiano principalmente i cittadini che possono permettersi di sostenere i costi di adesione ed i premi assicurativi.

È vero che i fondi integrativi sono previsti dalla normativa nazionale (art. 9 del d.lgs. 502/1992), ma non certo per le Regioni. La legge infatti stabilisce che i fondi possono essere istituiti da enti, associazioni, società di mutuo soccorso, casse professionali o organismi di origine contrattuale o aziendale. L’istituzione diretta di tali fondi non rientra invece tra i compiti delle Regioni cui spetta garantire un servizio sanitario universale e pubblico, non certo un opposto sistema mutualistico-assicurativo.

d) Autonomia differenziata nella “allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e finalità della spesa sanitaria, in deroga ai vincoli di spesa specifici per le politiche di gestione della spesa sanitaria”

art. 3 allegato 2 lettera “d”).

Le preintese attribuiscono alle Regioni con autonomia differenziata la possibilità di allocare liberamente le risorse sanitarie, derogando ai vincoli di spesa fissati dallo Stato.

Ciò aumenterebbe le disparità territoriali: le Regioni più ricche potrebbero investire in ospedali e tecnologie di eccellenza, mentre quelle più povere faticherebbero a garantire perfino i servizi essenziali.

Inoltre, la libertà di spesa potrebbe spingere alcune Regioni a privilegiare settori più redditizi, trascurando servizi fondamentali come prevenzione, assistenza territoriale e consultori.

Ne deriverebbe un rischio concreto di perdita dell’uniformità dei livelli essenziali di assistenza, con conseguente violazione del principio di uguaglianza garantito dalla Costituzione.

I profili di illegittimità

Tutte le funzioni sopra elencate sono particolarmente strategiche per la materia di rilievo costituzionale “sanità – tutela della salute ex art. 32 Cost.”.  Per le scelte di autonomia differenziata ad esse relative entrano in gioco i seguenti profili di illegittimità delle preintese sottoscritte.

2.1 Violazione dei princìpi cardine della Riforma Sanitaria sui rapporti Stato/Regioni

Le intese presuppongono che lo Stato possa perdere, per ciascuna delle funzioni indicate, le proprie prerogative di coordinamento e di garanzia dell’uniformità del Servizio sanitario nazionale. Ciò contraddice l’impianto complessivo della legge di riforma sanitaria istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (legge 833/78 e successivo riordino ex D.lgs. 502/92) che di nazionale non avrebbe più nulla.  Il sistema risulterebbe infatti frammentato tra le Regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, con una sostanziale estromissione dello Stato da ogni competenza relativa all’organizzazione sanitaria nel Nord.

Alla consueta obiezione secondo cui la sanità sarebbe già differenziata tra Nord e Sud, si può agevolmente rispondere che il modello proposto, lungi dal colmare tale divario, rischia di amplificarlo ulteriormente. Invece di promuovere politiche volte ad avvicinare le condizioni delle diverse aree del Paese, si adotta una logica che, di fatto, esaspera le disparità esistenti andando esattamente nella direzione opposta rispetto a quella che sarebbe dovuta.

Non va dimenticato, inoltre, che l’attuale maggiore efficienza complessiva delle regioni del nord-Italia rispetto alle altre è dovuta a maggiore capacità organizzative e di innovazione pur in un quadro di parità e non di disparità dei poteri con le regioni meno efficienti. Non è perciò con l’autonomia differenziata che si risolvono i problemi di diversa efficienza, che anzi li si aggrava.

2.2 Violazione dell’art.  32 Costituzione sui compiti della Repubblica per la tutela del diritto alla salute.

Ancora più grave è la contraddizione con l’art. 32 della Costituzione, che attribuisce alla Repubblica – e dunque a Stato, Regioni, Enti locali – oggi Asl del territorio locale) – la tutela del diritto fondamentale alla salute. Questo equilibrio istituzionale verrebbe seriamente compromesso se uno dei soggetti costituzionalmente titolari della materia, lo Stato, fosse escluso dall’esercizio del ruolo di sovraordinazione funzionale per una parte rilevante del Paese.

In altri termini, pur essendo contitolare insieme alle Regioni della materia “tutela della salute” ai sensi del nuovo Titolo V, lo Stato si troverebbe nell’impossibilità di esercitare poteri di indirizzo, coordinamento o pianificazione generale su una parte significativa del territorio nazionale. La sua contitolarità sarebbe solo formale, priva dei poteri necessari a garantire un indirizzo unitario sulle funzioni più rilevanti.

2.3 Violazione dell’art. 97 Costituzione sul buon andamento della Pubblica Amministrazione.

Il sistema differenziato nelle funzioni strategiche in sanità produce un’asimmetria istituzionale molto grave perché si avrebbe frammentazione normativa, caos amministrativo, ostacoli all’attività di cittadini, imprese e associazioni che si troverebbero diversi poteri sulla medesima funzione a seconda dei territori di riferimento.

Una simile disomogeneità contrasta con l’art. 97 Cost., che impone alla Pubblica Amministrazione di operare assicurando “buon andamento” mentre le soluzioni ora prospettate creano una situazione esattamente opposta di disordine e frammentazione.

2.4 Violazione del principio di unità ed indivisibilità della Repubblica, del regionalismo cooperativo e solidale a favore del regionalismo competitivo ed egoistico.

Le fratture sopra descritte causate dell’autonomia differenziata non verrebbero meno se anche fossero concesse a tutte le altre regioni del centro-sud i medesimi poteri ora riconosciuti alle regioni del nord; se, in altri termini, ci fosse un autonomismo spinto ma tuttavia paritario per ciascuna regione rispetto alle altre.

In primo luogo, infatti verrebbe comunque annullata la funzione statale di indirizzo, coordinamento e sovraordinazione (funzionale) rispetto al sistema sanitario complessivo. In secondo luogo, le regioni sarebbero l’una contro l’altra armata come piccole repubblichette del tutto svincolate da un sistema nazionale unico caratterizzato da cooperazione e solidarietà come vuole la Costituzione in ogni passo delle sue norme. Anche chi, come il sottoscritto, è per un’autonomia regionale ampia  non può che contrastare qualsiasi autonomismo che pur non differenziato eliminerebbe comunque la funzione statale di indirizzo e coordinamento ai fini dell’uniformità, quanto meno tendenziale, del sistema.

2.5 Violazione del principio di non frammentarietà

Nella nota sentenza n.192/24 la Corte Costituzionale ha avuto modo di riaffermare il c.d. “principio di non frammentarietà” , secondo cui “quando la funzione attiene agli interessi dell’intera comunità nazionale, la sua cura non può essere frammentata territorialmente senza compromettere la stessa esistenza di tale comunità, o comunque l’efficienza della funzione” (Sentenza Corte Costituzionale 192/24 in più passaggi ed in particolare al punto 4.2.1.).

Ciò significa che la funzione di sovraordinazione, coordinamento ed indirizzo dello Stato nella sanità, come del resto in ogni altra materia di pubblica amministrazione, non può valere per una parte del Paese (regioni del centro-sud) e non per un’altra (regioni del nord). Una simile concezione crea inefficienza e, come si diceva, disordine e caos.

Conclusioni

L’analisi critica fin qui condotta si è concentrata esclusivamente sull’autonomia regionale differenziata in ambito sanitario, evidenziando, pur in maniera sintetica e tutt’altro che esaustiva, gli effetti fortemente negativi che tale impostazione produrrebbe in questo specifico settore. Tuttavia, occorre considerare che il progetto Calderoli/regioni del Nord investe ben altri 12 settori di primaria rilevanza costituzionale – tra cui, ad esempio, istruzione, ambiente, trasporti ed infrastrutture, – il che amplificherebbe a dismisura le ripercussioni negative, rischiando di compromettere in modo irreversibile l’unità e l’indivisibilità della Repubblica e dunque l’esistenza della stessa.

Di conseguenza, appaiono fondate le preoccupazioni di chi da tempo denuncia il carattere profondamente eversivo di tale progetto che va pertanto contrastato con fermezza e con tutti gli strumenti a disposizione. Oltre che eversivo il sistema Calderoli è stato giustamente definito nel dibattito di questi anni “predatorio”, “secessionista”, “incostituzionale nell’anima”.

Non si tratta di esagerazioni retoriche; queste valutazioni corrispondono pienamente alla realtà dei fatti.

Stante lo spazio editoriale limitato ho potuto trattare, peraltro in sintesi e solo parzialmente, le preintese in materia sanitaria escludendo perciò ogni analisi critica sulle altre funzioni oggetto dei recenti accordi (protezione civile, professioni, previdenza complementare integrativa). Lo farò in altro momento avvertendo fin da ora che anche nelle altre funzioni le criticità sono altrettanto gravi e non meno dannose di quelle qui esposte per la sanità.

CALDEROLI, IL DECRETO DELEGATO SUI LEP
È IL GRIMALDELLO CHE SPEZZA L’ITALIA

di ERNESTO MANCINIIl Ministro Calderoli ha proposto al Consiglio dei Ministri un disegno di legge per determinare i livelli essenziali delle prestazioni (Lep).

La proposta mira ad ottenere dal Parlamento la delega al Governo per definire questi livelli, adempimento preliminare per l’autonomia regionale differenziata. In pratica, è una delega che il Ministro richiede per se stesso, essendo lui il dominus del procedimento per giungere a tale deleteria autonomia differenziata.

Il Consiglio dei Ministri, stanti i patti di maggioranza per conseguire gli obbiettivi di ciascuna componente politica (premierato, separazione carriere magistrati, autonomia differenziata), ha approvato la proposta ed è molto probabile che il Parlamento, data la corrispondente maggioranza, delegherà il Governo a legiferare.

Sul disegno di legge possono farsi le seguenti osservazioni.

La legge delega ed il Decreto delegato

Seppure lo strumento del decreto delegato appaia formalmente legittimo – si tratta infatti di disciplinare una materia che presenta molti aspetti tecnici, giuridici e finanziari assai complessi – va detto che tale strumento legislativo nelle mani del Ministro Calderoli appare pericoloso e foriero di parecchie insidie per l’unità e l’indivisibilità della Repubblica nonché per l’uguaglianza dei cittadini (artt. 2, 3 e 5 della Costituzione).

Nel disegno di legge-delega, Calderoli prevede nove mesi per la determinazione dei Lep. Considerato che il Ministro utilizzerà il lavoro già svolto dalla Commissione per tali livelli (Clep – Commissione Cassese) c’è da credere che egli arriverà certamente a legiferare nel termine previsto.

Il Ministro non incontrerà al riguardo ostacoli significativi perché i pochi passaggi previsti dalla procedura sono congegnati in modo tale che gli organi preposti al controllo avranno scarsa capacità di incidere sul testo con efficaci emendamenti o con significative correzioni successive. Non lo potrà fare la Conferenza Unificata delle Regioni perché in essa predomina una maggioranza analoga a quella parlamentare; si è già visto come tale maggioranza è stata prona ai diktat di Calderoli al momento dei preliminari pareri sull’autonomia differenziata di fine anno 2023 – primi mesi 2024.

Non lo potranno fare, per gli stessi vincoli di maggioranza, le apposite Commissioni Parlamentari cui il decreto legislativo sarà sottoposto per la prevista valutazione; anche in questo caso si è già visto come la stragrande maggioranza delle qualificate audizioni in Commissione (costituzionalisti, amministrativisti, economisti, autorevoli istituzioni)  contrarie alla indicata prospettiva di autonomia differenziata siano state del tutto non considerate nel testo finale della legge Calderoli n. 86/2024.

Peraltro, in ogni caso, si tratta di valutazioni-pareri da esprimersi in tempi brevissimi (solo 30 giorni) e perciò inaccettabili data la complessità della materia e gli interessi pubblici in gioco. Per giunta si tratterà di pareri non vincolanti sicché il Ministro potrà proseguire disinvoltamente a prescindere dalle valutazioni eventualmente contrarie che, stanti i rapporti di forza politici, non saranno certo prevalenti.

Le materie, le funzioni ed i possibili trasferimenti dallo Stato alle Regioni

Ora va detto che nella bozza di legge-delega si prevedono quattordici “settori organici di materie” all’interno delle quali si intende individuare le “funzioni” ai fini della determinazione delle prestazioni.

Tale settori sono i seguenti: a)principi generali sull’istruzione; b) protezione dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; c) sicurezza e tutela del lavoro; d) istruzione; e) ricerca scientifica e tecnologica e supporto all’innovazione nei settori produttivi; f) protezione della salute; g) nutrizione; h) organizzazione sportiva; i) pianificazione territoriale; l) porti e aeroporti civili; m) grandi infrastrutture di trasporto e navigazione; n) regolamentazione della comunicazione; o) produzione, trasporto e distribuzione dell’energia a livello nazionale; p) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e organizzazione di attività culturali. Viene specificato che è esclusa la protezione della salute (lettera f) poiché i Lea (livelli essenziali di assistenza cioè il Lep della sanità) sono già vigenti.  

Si tratta di quattordici “settori organici di materie” (così li definisce la bozza del disegno legge delega) rispetto alle ventitré materie previste dall’art. 117 della Costituzione. Tuttavia, questa riduzione non è effettiva perché si tratta solo di una mera riclassificazione con altro criterio.

Al riguardo va ricordato che la Corte Costituzionale ha escluso il trasferimento di “materie” dallo Stato alla esclusiva competenza delle Regioni perché ciò è in palese contrasto con la Costituzione (art.117, 3° comma). Ha però ammesso che specifiche funzioni relative a tali materie possano essere trasferite alle regioni che ne facciano richiesta sempre che venga rispettato il principio di sussidiarietà cioè l’obbligo di collocare la funzione nel livello più adeguato (Europa, Stato, Regione, Comuni) secondo le caratteristiche della funzione medesima e le esigenze del “bene comune”.

Ora, siccome i quattordici settori organici si articolano ciascuno in molteplici funzioni e siccome queste possono essere oggetto di trasferimento, ne discende che l’autonomia differenziata può avere una dimensione eclatante fino al punto da privare lo Stato delle funzioni più importanti in favore delle Regioni che ne facciano richiesta.

Un esempio chiarirà meglio quanto andiamo dicendo: Con riguardo al solo settore “istruzione”, si contano nel disegno di legge ben quindici articolazioni (articoli da 4 a 19 tra cui le funzioni relative ai piani di studio, alla formazione delle classi, all’edilizia scolastica, alla formazione personale docente, al diritto allo studio, e molto altro). In ognuna di queste articolazioni sono indicate, a loro volta, decine e decine di funzioni facendo riferimento generico ai titoli delle numerose leggi che vengono richiamate (vedi comma due di ciascun articolo dedicato all’istruzione).

Ne consegue che il numero complessivo delle funzioni dei quattordici settori organici delle materie è amplissimo (oltre 500)sicché è amplissima la possibilità di trasferirle alle Regioni che intendono acquisirle quale forma particolare di autonomia ex art. 116. 3° comma del nuovo titolo V della Costituzione.

La realizzazione del “disegno spacca Italia”

Si potrebbe così realizzare il disegno “criminoso” di Calderoli & co, di spaccare l’Italia assegnando alle regioni del nord che ne fanno richiesta gran parte delle funzioni o comunque le più importanti per garantire loro maggiore potere politico, legislativo ed amministrativo rispetto alle altre Regioni ed allo stesso Stato.

Tutto ciò creerà disordine e caos nell’ordinamento pubblico perché i cittadini, le imprese e le altre organizzazioni sociali, dovranno rivolgersi per l’esercizio dei medesimi diritti civili e sociali o allo Stato o alla Regione a seconda del territorio dove risiedono o verso il quale, per mobilità od altro, intendono esercitare tali diritti. Con l’aggravante di diverse procedure, diversi presupposti  e diverse graduazioni dei diritti stanti le diverse capacità, anche finanziarie, delle regioni favorite con l’autonomia differenziata. Insomma, un ulteriore e distruttivo distacco delle regioni ricche del nord rispetto a quelle del sud. Lo Stato, peraltro, dovrà comunque mantenere gli apparati e le relative spese per gestire la funzioni in riferimento alle Regioni che non si differenziano ed in più perderà capacità imperativa o negoziale con qualsiasi interlocutore, pubblico o privato, interessato alla funzione (concessioni, contratti pubblici, economie di scala, ecc.).

Il decreto delegato come grimaldello per spezzare l’Italia

C’è da temere che nessuno spazio avrà l’applicazione obbiettiva del principio di sussidiarietà secondo cui bisogna valutare con la massima imparzialità a quale livello ottimale si può collocare ogni singola funzione (come si diceva: Europa, Stato, Regione, Comuni). Il Governo, stante la matrice secessionista del Ministro ed il pactum sceleris di cui si è detto, è del tutto sbilanciato verso le regioni (beninteso quelle del nord) e la maggioranza parlamentare, pur di evitare una crisi che porterebbe allo scioglimento anticipato delle Camere, sarà acquiescente al volere del ministro e del partito leghista.

Va pure detto che in astratto la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è cosa buona perché consente di misurare quanto le autorità pubbliche siano obbligate a garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale e quanto sia, regione per regione, il distacco o il superamento tra gli attuali livelli e quelli essenziali. Tuttavia, in concreto, nelle mani di un Ministro clamorosamente secessionista, tale determinazione diventa invece il grimaldello per il successivo passaggio alle intese con le regioni del Nord a danno di quelle del Sud notoriamente lontane da tali livelli.

Con l’aggravante che i finanziamenti che  il promesso legislatore prevede per eliminare il gap tra Nord e Sud sono solo teorici ed anzi assolutamente improbabili stante la insufficiente capacità finanziaria dello Stato già  gravemente indebitato; incapacità e debito che si aggraveranno ulteriormente se lo Stato dovrà lasciare gran parte delle entrate fiscali  alle Regioni che pretendono la  differenziazione (il Veneto dopo il referendum farsa del 2017 chiese addirittura l’80% delle entrate fiscali originate nel proprio territorio !!!).

Una battaglia durissima

Si prospetta pertanto una battaglia durissima nella quale si dovranno ancora fare valere nelle Piazze,  nel Parlamento e se del caso ancora davanti al Giudice delle Leggi  i principi costituzionali di unità, indivisibilità della Repubblica ed uguaglianza dei cittadini  e cioè, con espressione univoca e omnicomprensiva “il principio di non frammentarietà” , secondo cui  “quando la funzione attiene agli interessi dell’intera comunità nazionale, la sua cura  non può essere frammentata territorialmente senza compromettere la stessa esistenza di tale comunità, o comunque l’efficienza della funzione” (Sentenza Corte Costituzionale 192/24 in più passaggi ed in particolare al punto 4.2.1.). (em)

(Questo articolo è un contributo al Gruppo di Lavoro dei Comitati NO AD,Tavolo Tecnico NO AD per lo studio e l’approfondimento delle problematiche sui livelli essenziali delle prestazioni)

CHE CALDISSIMA ESTATE, SEN. CALDEROLI!
MA DOVREBBE SCEGLIERSI UN UNICO RUOLO

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Bisognerebbe che qualcuno suggerisse a Roberto Calderoli di scegliersi un ruolo. Quello di arbitro, di centravanti di attacco, di Presidente dell’Istat, di difensore degli interessi del Sud, ma uno.

E invece l’Autore del porcellum, vuole  ricoprire tutte le posizioni. Adesso anche quella di Giudice Costituzionale. Ufficialmente ha quella di Ministro della Repubblica, uomo al di sopra delle parti che lavora per il bene del Paese.

In realtà ricopre quella di Ministro della costituenda macroregione del Nord, che tenta di attuare il principio, inesistente, di un residuo fiscale, che dovrebbe essere mantenuto nelle Regioni in cui si formerebbe, stabilendo una regola strana e cioè  che si dovrebbero avere diritti diversi a seconda di dove si nasce.

In realtà la Costituzione stabilisce che ogni cittadino ha il dovere di pagare le imposte in base al reddito prodotto e di avere servizi analoghi in qualunque parte del Paese, ma la risposta immediata è che ne è parte anche la modifica del Titolo V e l’Autonomia Differenziata. E questo è vero. Ma certamente non il tipo di normativa che hanno approvato, “di notte e di fretta”, come dice Roberto Occhiuto, Governatore della Calabria di Forza Italia, al quale certo non si può  attribuire una opposizione  preconcetta e ideologica.

Si è autoproclamato, Calderoli, anche difensore degli interessi dei cittadini del Sud, costretti, a suo dire, a subire una classe dirigente che li vessa e spreca le risorse, ovviamente del Nord.

Ora vuole essere anche Presidente dell’Istat, sedicente  unico a conoscere i dati veri e di ricercatore del Dipartimento delle Politiche di Coesione per contraddire ciò che lo stesso Dipartimento ha evidenziato, e cioè che ogni anno, se la spesa pro-capite fosse uguale tra le varie parti del Paese, il Mezzogiorno dovrebbe ricevere 60 miliardi in più, e infine anche quella di Giudice della Corte Costituzionale visto che vorrebbe stabilire se il referendum abrogativo è ammissibile o meno.

Cosi con tutti questi cappelli, che cambia a seconda le esigenze, cerca di negare l’evidenza. Vecchio approccio che conosciamo bene. Con argomenti all’apparenza sofisticati tesi a dimostrare che in realtà il Sud ha avuto molti soldi, che li spreca, che è gestito da incapaci e che se i servizi sono minori, anzi spesso inesistenti come l’Alta Velocità Ferroviaria, la colpa è solo dei meridionali.

Se poi si sostiene che vi è stata  una volontà di abbandono totale,  di tagliare lo Stivale e farlo affondare da solo, sguscia su tecnicismi vari per dimostrare che il sole gira attorno alla terra, che l’agnello che sta sotto gli sta sporcando l’acqua, e che lo ha offeso quando ancora non era nato.

Negli ormai frequentissimi interventi su tutti i Quotidiani nazionali, novello azzeccagarbugli dei ricordi manzoniani, trova sempre il modo di sostenere l’insostenibile e cioè che le risorse che vengono date al Sud sono molto consistenti e sovrabbondanti. Il concetto di spesa storica accettato da tutti non lo sfiora nemmeno.

Ormai è chiaro che è iniziata la campagna d’autunno anche se si è in piena estate. L’Ultima accusa è che politici e gli intellettuali meridionali, oltre che i Quotidiani del Sud, che peraltro sono  pochi e non molto diffusi, non raccontino la verità, anzi la mistifichino, e che stanno facendo una operazione di disinformazione: «Un po’ li capisco. Ogni mattina guardo la rassegna stampa e quando leggo le ‘balle’ che scrivono sull’Autonomia i giornali del Sud , mi vien da pensare che se io fossi un cittadino che vive in Meridione andrei di corsa a firmare per il referendum», afferma.

Potrebbe continuare il nostro Ministro affermando che non è vero che il tempo pieno a scuola al Sud è inesistente, che i viaggi della speranza per una sanità efficiente sono una illusione, che l’alta velocità arriva fino ad Augusta, e che non è vero che in molte province della Sicilia l’acqua arriva, non a giorni,  ma a settimane alterne.

Calderoli si dice pronto a fare “un’operazione trasparenza”: “«D’ora in avanti – annuncia – tirerò fuori i numeri ufficiali che dicono come vengono spese le risorse dello Stato dalle Regioni. Perché il punto è tutto lì».

La cosa strana è che in realtà non vi è una grande mobilitazione del Sud. Se l’operazione avvenisse al contrario sarebbero cadute le mura di Gerico. Si è vero sono state raccolte 500.000 mila firme on line e ci si avvicina alle 200.000 nei banchetti.

Tale risultato viene considerato un grande successo, e certamente lo è, tanto che sta spaventando un po’ i partiti al  Governo del Paese, e che Forza Italia ha preso le distanze dalla legge, ma rispetto alla protervia e all’atteggiamento tracotante del Ministro mi sembra ben poca cosa e che la reazione sia contenuta.

Nessuna richiesta di dimissioni, nessuna invasione di campo, come accade quando l’arbitro fa stupidaggini, per un Ministro che gioca per una squadra quando dovrebbe essere l’arbitro, nessun invito a smetterla perché con le tante affermazioni si ha la sensazione che creda che i meridionali abbiano  ancora l’anello al naso. Rimane al suo posto invitando nelle commissioni tecniche professionalità che contemporaneamente lavorano per il ministro e per la Regione Veneto.

La certezza comunque che i meridionali non siano capaci di vere reazioni si manifesta in ogni passaggio e vi è un diffusa convinzione che in ogni caso basta poco per zittirli.

D’altra parte quale voce hanno nel dibattito nazionale, se la maggior parte dei quotidiani è di fede nordista, se molti media, compresa la Rai pubblica, difendono  gli interessi economici forti, che prevalentemente hanno radici in una parte del Paese.              

Il 14 agosto  del 1861 nelle città di Pontelandolfo e Casalduni, in provincia di Benevento, si diede vita ad una rappresaglia militare che registrò un numero imprecisato di morti, un centinaio secondo la storiografia ufficiale, secondo altre stime invece circa 400 o 900, forse oltre mille.  Un vero e proprio massacro attuato  per rivendicare l’attacco dell’11 agosto dello stesso anno in cui furono uccisi da briganti e contadini del posto 45 militari dell’esercito unitario, arrivati in città per ristabilire l’ordine pubblico e porre fine alle ribellioni popolari.  Bene non bisogna dimenticare che l’unità del Paese  ha avuto prezzi altissimi. Bisogna quindi evitare  che il livello dello scontro tra Nord e Sud si  alzi sempre di più. E che possano alzarsi le voci per una separazione rispetto ad una parte che viene ritenuta colonizzatrice, mentre l’altra si sente colonia.

Per questo bisogna impedire a un Ministro della Repubblica di prendere posizione così sfacciatamente di parte.

Perché come Catilina sta approfittando della nostra pazienza. (pmb)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)

Pd Calabria: Inaccettabili le parole di Calderoli sul Meridione

Il gruppo del Partito Democratico in Consiglio regionale ha definito «inaccettabili» le parole che il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, ha detto al termine della prima fase di audizioni svolte in Commissione Affari Costituzionali alla Camera.

Il ministro, infatti, «invece di illustrare nel dettaglio le modalità con le quali saranno finanziati i Lep, unico modo per evitare una spaccatura del Paese, il ministro, evidentemente nervoso, si è lasciato andare ad improperi contro i napoletani e i meridionali in generale», hanno spiegato i dem, denunciando come Calderoli si sia scagliato «contro gli stessi soggetti chiamati a svolgere le audizioni, bollati come ‘professoroni che prima di lanciarsi in giudizi avventati dovrebbero mettersi alla prova con elezioni evitando giudizi di analfabetismo costituzionale verso parlamentari eletti, senza avere amministrato mai un condominio’».

«Abbastanza – hanno proseguito i consiglieri dem – per capire quanto sia nervoso e preoccupato Calderoli che si trova a dover difendere un provvedimento sbagliato, iniquo e con profili di dubbia costituzionalità. E, invece di entrare nel merito del provvedimento e delle eventuali osservazioni critiche, il ministro non trova di meglio da fare che nascondersi dietro l’arroganza e le offese, facendo venire fuori l’antimeridionalismo che caratterizza l’azione del governo Meloni, fin dal momento del suo insediamento».

«Come Pd – hanno detto ancora i consiglieri dem – proseguiremo la nostra azione di opposizione per bloccare una riforma sbagliata che vuole cancellare il futuro delle Regioni meridionali e sulla quale chiamiamo nuovamente il governatore Occhiuto al confronto in Consiglio, dopo le sue ultime dichiarazioni pubbliche con le quali ha annunciato che chiederà al suo partito di non votare la riforma senza le risorse per i Lep».

«Pare evidente che le risorse non ci siano e, per questo come gruppo del Pd – hanno ribadito – sottoporremo all’attenzione dei gruppi presenti in Consiglio regionale il testo di una mozione, aperta al contributo di ciascuno, per bloccare una riforma distruttiva per la Calabria e l’intero Mezzogiorno».

«Solo così il centrodestra potrà davvero dimostrare di essere una classe dirigente capace – hanno concluso – competente e autorevole, come ripete spesso il presidente Occhiuto, mettendo fine ad una ambiguità che oggi davvero non ha più senso di esistere e inizia a indispettire, e non poco, l’intelligenza dei tantissimi calabresi orgogliosi della loro identità e storia». (rcz)

SANITÀ, L’AUTONOMIA RIMANE INCOMPIUTA
SE NON SI GARANTISCONO LEP E FABBISOGNI

di ETTORE JORIO – Ovunque la gente muore di mala sanità o quantomeno passa le pene dell’inferno nel rintracciare un medico di famiglia che non ha più ovvero, ancora, ad “acchiappare” un esame diagnostico vitale, altrimenti programmabile a distanza di anni, spesso post mortem.

Ovunque gli anziani sono più soli che mai, e nella loro moltitudine maggioritaria nella nazione non hanno servizi adeguati e non trovano alcuno che garantisca loro l’assistenza sociale. Idem, con somma vergogna, per i disabili. Per non parlare di trasporti pubblici, latitanti e angusti a tutti i livelli; di una scuola che non lo è più; di rifiuti che rientrano per volume nelle abitazioni poste ai primi piani perché incontenibili sui marciapiedi; dell’ambiente degradato; del dissesto idrogeologico; del mare pieno di escherichia coli; di una sicurezza tanto in deficit sociale da far portare a casa qualche coltellata.

Per non parlare della condizione delle infrastrutture con ponti in pericolo e strade con voragini che conducono all’inferno. Ebbene, a fronte di tutto questo, pur di dimostrare di esserci, si fa il tifo perché le cose continuino così, con una spesa storica incapace di rendere servizi, buona solo a farci la cresta sopra. Insomma, invece di affrontare la mamma di problemi, la finanza pubblica, come meglio renderla strumentale a rendere i diritti fondamentali, ci si reinventa.

Con questo si prende a schiaffi la Costituzione, quella voluta di forza nel 2001 dal centrosinistra alla quale ha dato un ampio consenso referendario il Paese il 7 ottobre di quell’anno. Ma non ci si accontenta di ciò. Il centrosinistra maltratta il ddl predisposto e approvato dal governo Prodi il 3 agosto 2007 di attuazione del federalismo fiscale, un po’ prima che fosse mandato a casa. Dal quale testo uscì poi, con qualche miglioramento, quello di Calderoli che si tradusse nella legge 42/2009 con una votazione positiva di tutto il Parlamento, fatta eccezione dell’Udc.

A questa seguirono undici decreti delegati condivisi da tutto l’arco parlamentare, tra i quali quello (n. 168/2011) che affidava ai costi e fabbisogni standard, collaborati dal fondo perequativo in soccorso delle Regioni povere, la sostenibilità dei Lep. A proposito di questi ultimi, fatta eccezione per i malconci e inadeguati Lea venuti fuori a fine 2001 e rivisti a gennaio 2017, a nessuno è importato più dello zero (nel senso matematico).

A ricordarsene, con un mero ma confuso accenno perché messo in una relazione errata, Boccia nel suo Ddl del 2020 (Conte II) poi ripreso dalla Gelmini nel governo Draghi che, di fatto, hanno svolto lo stesso ruolo di Prodi. Testi gregari per Calderoli, che ne ha copiato tanto e migliorato parecchio portando così a casa il voto favorevole dal Senato il 23 gennaio scorso.

C’è da essere soddisfatti? Affatto. L’impianto legislativo è appena passabile ma positivamente condizionato alla definizione dei LEP e alla determinazione degli strumenti finanziari per sostenerli.

Il tutto, avvenuto nella confusione totale, nella totale inconsapevolezza di cosa si stesse facendo a partire dall’insediamento dell’attuale Governo: – Legge 197/2022, di bilancio per il 2023. Un obiettivo temporale per definire i LEP con scadenze ballerine, prima entro la fine del 2023, oggi del 2024 e chissà per arrivare fin dove; – L’affidamento ad una Cabina di regia politica con il mandato di determinarli al Clep. Un’invenzione che non va bene per raggiungere la mission di definizione dei Lep. Un organo pletorico che sta dimostrando la sua lentezza e la non adeguatezza a raggiungere velocemente lo scopo istituzionale. Individuare i Lep per materia non è roba da affidare, esclusivamente ad accademici, ai quali manca la duttilità della materia. I Lep sono materiale d’uso, in quanto tale non da racchiudere in schede che nel leggerle si ricava una grande lontananza dal pervenire a ciò che occorre al Paese per usufruire nel concreto dei diritti civili e sociali. I Lep costituiscono l’elemento basico attraverso i quali gli anzidetti diritti prendono forma esigibile e non già assumano circoscrizioni teoriche fini a se stesse; – Il tema nella sua completezza. Un disorientamento totale nel comprendere cosa occorra fare per finanziare il buon esito della partita. Meglio quanti soldi occorrono, una volta individuati, per renderli esigibili alla popolazione intera. E qui si apre il sipario delle fantasie che si leggono e si ascoltano. A proposito, si assiste al dramma della inconsapevolezza di chi pretende il costo delle dipintura dei muri senza neppure avere costruita la casa. Diventa, infatti, ridicolo ascoltare previsioni sia nefaste che stupefacenti.

Entrambe sono impossibili e incredibili sino a quando non si verifichino più cose: a) che vengano definiti i Lep per materie o gruppi di esse, al lordo delle trasversalità necessarie; b) che vengano per ogni materia individuati i fabbisogni delle singole regioni, con una chiara evidenziazione delle differenze negative che le distinguono sul piano delle povertà del gettito; c) che vengano determinati i costi standard per Lep o gruppi di essi; d) che sulla base degli anzidetti rilievi differenziati vengano determinati per Lep i fabbisogni standard cui dare certezza di copertura anche attraverso la perequazione verticale che occorre disciplinare e rendere praticabile previa la costituzione del Fondo. Un’esigenza irresponsabilmente silente in tutto il percorso pre-legislativo.

Solo così potrà farsi ciò che occorre, altrimenti continueranno competizioni sull’acqua calda. Ciò in quanto il regionalismo differenziato, per potervi accedere, è subordinato a tutto quanto evidenziato. Insomma, no Lep, costi e fabbisogni standard? No party! (ej)

[Courtesy Sanità24]

L’AUTONOMIA TRA CONFUSIONE E DIVISIONI
SI LAVORI PER GARANTIRE I LEP E I DIRITTI

di ETTORE JORIOIl regionalismo differenziato è arrivato in Parlamento il 16 gennaio scorso nel testo del ddl Calderoli così com’è uscito implementato alla prima Commissione permanente-Affari costituzionali del Senato.  A sfavore delle aspettative ci sarà un lavoro lungo e difficile, considerati i poco meno di 330  emendamenti proposti dalle minoranze e il dibattito fuori aula che sta assumendo toni accesi e, invero, sviluppando argomentazioni spesso fuori luogo e tema.

Autonomia differenziata, ma legislativa

La disputa sul regionalismo asimmetrico, in verità fondata su argomentazioni confuse, fa nascere l’esigenza di una più generale chiarezza interpretativa e attuativa della Costituzione, violata da quella propria della più accesa competizione politica, spesso fine a se stessa. Prima fra tutte quella afferente alla sua denominazione  da considerarsi quantomeno impropria, se non addirittura coniata leggendo (forse) una Costituzione che non è la nostra. 

Viene, infatti, sostenuta una definizione per metà contraddittoria e per l’altra ridondante. Come se l’autonomia non lo fosse già sufficientemente di suo per essere definita tale. Supporre di rafforzarla con l’aggettivo qualificativo “differenziata” è come non ritenerla già tale per suo conto, come se il governo degli enti regionali dipendesse da terzi. Non è così. Lo si poteva, tutt’al più, immaginare, ma in modo ardimentoso, prima che intervenisse nel 2001 la riscrittura dell’art. 114 della Costituzione, che ha tradotto gli enti sub-statali di ieri (tali erano considerati tutti quelli territoriali) in enti infra-statali, di pari livello di autonomia decisionale e finanziaria (art. 119), sostenuti dallo Stato con il criterio, ancora attuale, della spesa storica.

La Costituzione impone l’ordine delle cose

In tutta questa confusione, incomprensibile per l’Europa, nasce l’esigenza di chiarire e riaffermare le regole costituzionali. Sono pochi infatti gli interlocutori che le tengono nella dovuta considerazione. Un macello, si discute mettendo insieme indistintamente di Lep, federalismo fisale e regionalismo asimmetrico. 

Tante le contraddizioni di chi ha scritto le regole costituzionali nel 2001. Lo stesso che critica oggi, l’estensione alle Regioni della loro potestas legislativa al di là dalle competenze comuni riconosciute loro dall’art. 117, commi 2 e 3, della Costituzione con possibili estensioni a quelle elencate dall’art. 116, comma 3, della Costituzione. 

Ciononostante che il medesimo abbia:  a) aderito, durante il governo Gentiloni, per il tramite del presidente Bonaccini, richiedendo escludendo dalle tutte le 23 materie differenziabili le “norme generali sull’istruzione”; b) elaborato un ddl attuativo del regionalismo differenziato (art. 116, comma 3, della Costituzione) a firma dell’allora ministro Boccia del governo Conte II poi ripreso dalla ministra Gelmini del successivo governo Draghi entrambi molto simili al ddl Calderoli. 

Sulla base di queste considerazioni, ascoltando le dichiarazioni rese in aula nel corso dell’appena iniziato iter parlamentare del ddl Calderoli, sembra di assistere ad una partita ove sono messi a confronto due giocatori che piuttosto che confrontarsi secondo le regole, le scrivono nel mentre. 

Confusione e divisioni pericolosissime

Così facendo non si compete per mettere in piedi il migliore finanziamento per il Paese e per garantire la esigibilità dei Lep della Nazione nella sua interezza, funzionale ad assicurare uniformemente i diritti e la perequazione della quale in pochi, pochissimi parlano. 

Non solo si stimola una eccessiva conflittualità intesa a dividere di più la Nazione. Si privilegia l’accentuazione delle differenze tra nord e sud, si sottolinea la non sufficienza dei finanziamenti concessi al Mezzogiorno negando che, invece, lo stesso non sia mai stato capace di spenderli bene, si difende lo stato di governo attuale finanziato con la spesa storica che ha reso una popolosa metà del Paese senza sanità, senza assistenza sociale, senza trasporti pubblici, senza una scuola accogliente, senza quasi nulla. Si sottace sul miliardo che il nord incamera dalla emigrazione sanitaria che depaupera, di pari entità, le regioni meridionali. 

Insomma, non si comprende come il muro contro muro evita che il nord e un sud si avvicinino attraverso Lep uguali per tutti. Allo stesso modo non si comprende che il maggiore gap per il Mezzogiorno è rappresentato dalla sua classe dirigente, confermata acriticamente dai meridionali in un cinquantennio di pene sociali.

Il momento è cruciale. Occorre stare attenti, a tutela dell’unità sostanziale del Paese e della Nazione, a non tradurre la competizione politica in strumento di divisione, che può costituire una ulteriore causa di alterazione della convivenza sociale, di abbandoni delle residenze tradizionali sino a raggiungere lo spopolamento del sud del Paese. 

Concludo. In situazioni, come quella attuale, funzionali a cambiare radicalmente il sistema della finanza pubblica, allontanandola da quel criterio monstre della spesa storica, che ha distrutto dalle radici l’esigibilità della griglia dei diritti civili e sociali necessita che si eviti di rincorrere “trofei politici” a discapito dei “trofei dei diritti goduti”. 

Non si può, dopo 22 anni di colpevoli ritardi nell’attuare un propria regola costituzionale e non solo (legge 42/2009 e d.lgs. 168/2011), fare battaglie politiche ispirate non si comprende a neppure a cosa, non accorgendosi che il linguaggio esasperato al quale si sta facendo ricorso rappresentano “parolacce” indirizzate a se stessi.

Si pensi pertanto, piuttosto che aizzare gli uni contro gli altri, andando a sbandierare quei titoli di libri generati allo scopo di fare cassetta, a sollecitare la definizione dei Lep che sta andando a rilento. E ancora a determinare i costi standard per Lep e i fabbisogni standard individuati correttamente sulle diverse esigenze delle Regioni. Il tutto da assicurare con la perequazione per quelle più povere. Ma tutto questo è altra cosa dall’autonomia legislativa differenziata, e sarà compito dei governi che si avvicenderanno a finanziare un siffatto percorso. Magari privilegiando la sanità rispetto alle armi in Ucraina e al perdono degli extraprofitti delle banche. (ej)

(L’articolo nel suo testo integrale è sul domenicale)

AUTONOMIA (ED EGOISMO) A TUTTI I COSTI
E IL SUD ASPETTA LA DEFINIZIONE DEI LEP

di PIETRO MASSIMO BUSETTA La domanda che sorge spontanea è come mai una riforma come quella dell’autonomia differenziata, contestata dalla maggioranza degli italiani, dalle parti sociali, dalla Banca d’Italia, dagli organi indipendenti, dai Governatori appartenenti anche alla maggioranza, vista l’ultima presa di posizione di Occhiuto, Governatore della Calabria, oltre che da gruppi organizzati di cittadini che hanno raccolto circa 100 mila firme per una legge di iniziativa popolare che correggesse il grande errore della modifica del titolo V, e perfino, con la sua “moral suasion”, dal Presidente della Repubblica, in tempi velocissimi, sta arrivando in Parlamento? 

Come mai Fratelli d’Italia che è portatrice di una logica opposta, vista la sua storia e il centralismo attuato in molti provvedimenti, compreso quello della Zes unica, e il Fondo Sviluppo e Coesione, che tante lamentele ha provocato in molti Governatori /Presidenti, consente un percorso che, se può essere positivo a breve per le Regioni del Nord, danneggia pesantemente il Sud e quindi tutto il Paese?

La ragione è molto semplice e deriva da una mancanza di rappresentanza parlamentare delle Regioni meridionali e da una sovra rappresentanza, dovuta alla legge elettorale vigente, di un movimento territoriale come la Lega. Tale partito  ha ormai piazzato nei posti chiave del Governo i suoi uomini, che ovviamente perseguono gli obiettivi propri di un movimento territoriale, che parte accusando Roma di essere ladrona, passa da un progetto di indipendenza/secessione e  nel tempo cambia strategia, visto l’insuccesso della prima, puntando all’autonomia differenziata. 

L’obiettivo rimane lo stesso  ma tenendosi  pure i vantaggi  di avere una realtà con il 40% del territorio da utilizzare per le esigenze contingenti. La squadra è di quelle di alto livello: Giorgetti all’economia, che, in passato, da Ministro dello sviluppo economico dirottò l’investimento della Intel a Vigasio, in provincia di Verona, malgrado in tale realtà vi è la piena occupazione e grande difficoltà a trovare ingegneri se non emigrano dal Sud, adesso  ha un ruolo fondamentale nel Governo Meloni. 

Il vice Presidente del Consiglio, Matteo Salvini, ha la stessa provenienza, anche se sembra avere una visione di Paese. In particolare  intestandosi una battaglia importante per valorizzare la posizione logistica dello Stivale con, l’avversata da molti,  costruzione del ponte sullo stretto di Messina. 

E poi Calderoli, noto per la sua preparazione e determinazione, che ha deciso, insieme a Luca Zaia e a tutto il partito, che l’autonomia dovrà essere lo scalpo da portare alle elezioni europee del 2024. Costi quel che costi. Anche una crisi di Governo nel caso in cui ciò non avvenga come ha dichiarato in maniera assolutamente esplicita alla Stampa, il 18 maggio 2023, il Governatore del Veneto Luca Zaia «se non passa la riforma, viene meno la maggioranza».

In parole povere si minaccia la crisi di Governo, e certo le parole sono pietre e vanno valutate adeguatamente. Poco importa al Governatore del servizio di bilancio, che dovrebbe essere un organismo neutrale, e con il solito garbo istituzionale afferma: «Mi piacerebbe sapere chi sia il signor Servizio di Bilancio che ha bocciato la proposta di Calderoli. Si tratta di giudizi politici più che tecnici».  

Anche Calderoli non ci va leggero ed a una precisa domanda di un cronista, il recente l’11 novembre, che sostiene che c’è un patto stretto con Forza Italia e che prima si debbano trovare le risorse per garantire i Lep e poi si può fare l’Autonomia, risponde in modo netto:
«Mi dispiace, ma sbagliano, non è così. Il patto è che la legge venga approvata e che non venga trasferita nessuna funzione prima che siano definiti i Lep e i relativi costi e fabbisogni standard. La garanzia delle risorse per i Lep è nella Costituzione».  

Definiti, notate la sottigliezza, non finanziati. Il finanziamento lo garantisce la Costituzione. Verrebbe da dire che infatti in vigenza di essa i livelli essenziali sono stati completamente diversi nelle due parti del Paese. Ma viene spontanea la domanda che ci si è posti all’inizio: come mai tutto questo può avvenire e non vi è alcuna reazione da parte del Sud che secondo molti sarebbe la vittima sacrificale di tale nuova legislazione? La risposta non è così complessa. In realtà il Sud manca di una sua rappresentanza politica.

Infatti malgrado vengano eletti deputati e senatori al Parlamento italiano in realtà essi fanno riferimento a partiti nazionali che, molte volte, hanno interessi diversi rispetto a quelli territoriali del Sud. E la disciplina di partito è tale per cui chiunque voglia ribellarsi a tale visione, con la legge elettorale esistente, non sarà nemmeno più non solo eletto ma nemmeno candidato.

E quindi la disciplina ferrea viene rispettata da tutti e la classe dominante estrattiva meridionale, spesso ascara rispetto a quella settentrionale, si accontenta dei piccoli vantaggi derivanti dal ruolo ricoperto disinteressandosi totalmente degli interessi dei propri territori.

È una dinamica antica che ha consentito che l’autostrada si fermasse a Napoli come anche che i diritti di cittadinanza fossero diversi nelle varie parti del Paese, come è stato rilevato in modo inoppugnabile dall’esigenza di finanziare i Lep, cosa ovviamente complicata considerata la mancanza permanente di risorse. 

Quindi ci si ritrova con una parte che porta avanti i propri interessi e la parte opposta, quella che dovrebbe difendersi, che   funziona da supporto, come si è visto peraltro in Conferenza Delle Regioni, nella quale i Presidenti  meridionali hanno perfino votato a favore. Tranne qualche pentimento dell’ultima ora forse strumentale a  presentarsi presso gli elettori da vittime piuttosto che da carnefici.

In tutto questo l’opposizione prima ha supportato il percorso, con Bonaccini che ha fatto la stessa richiesta di autonomia, per poi, fulminato sulla via di Damasco, rientrare nei ranghi di un PD che adesso è contro. Lo stesso movimento Cinque Stelle ha sottovalutato molto tale provvedimento è oggi si schiera contro, ma quando i buoi sono scappati. Evidentemente funziona sempre il meccanismo del vaso di coccio vicino  a quello di ferro, qualunque scossone finisce per rompere il coccio. Potrebbe accadere anche questa volta. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

SUI LEP OCCHIUTO È CONTRO CALDEROLI
«DISATTENDE QUELLO CHE ERA PATTUITO»

di SANTO STRATI Non è una dichiarazione di guerra, ma poco ci manca: il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto sferra un pesante attacco al ministro Roberto Calderoli a proposito dell’autonomia differenziata che sta procedendo a passo svelto verso l’approvazione. «Non era quello che avevamo pattuito – ha detto Occhiuto in un’intervista al quotidiano La Stampa –: il ministro leghista vorrebbe prima approvare la legge sull’Autonomia e poi garantire le risorse necessarie per finanziare i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP). Secondo Occhiuto «l’approccio è sbagliato: le due cose devono viaggiare insieme, altrimenti per il Sud l’Autonomia rischia di diventare una trappola».

Forse il Presidente Occhiuto ha aperto gli occhi (finalmente!) sul trappolone leghista che si basa su un concetto semplice ed egoisticamente impeccabile: vale la spesa storica, ovvero chi ha avuto tanto (da spendere) continuerà ad averne in eguale quantità, chi ha avuto meno (ovvero non aveva risorse per investimenti di natura sociale) si arrangi con la stessa cifra di prima. Con buona pace della perequazione e del divario sociale che la Costituzione proibisce di avere. Ma il fatto è sotto gli occhi di tutti: sono stati approvati nove articoli su 10 e la legge che istituisce e regola la cosiddetta autonomia differenziata è a un passo dall’approvazione. Nonostante le dimissioni di autorevoli esponenti chiamati nel Comitati sui Lep e la grande confusione che regna sovrana intorno all’argomento.

Occhiuto reagisce con veemenza, infischiandosene  (complimenti, Presidente!) della tenuta della maggioranza che scricchiola continuamente tra gaffes e imperdonabili sciocchezze legislative che, di sicuro, non aiutano il popolo, ma soddisfano inconfessabili appetiti di lobbies. Il Governatore ci va pesante: «Temo – ha detto a La Stampa – che il primo vagone del treno, quello con la legge sull’Autonomia, arrivi puntuale in stazione mentre gli altri vagoni, che contengono il finanziamento dei Lep e il meccanismo di perequazione, finiscano su un binario morto.

«Senza il finanziamento dei Lep e senza il fondo perequativo (destinato ai territori con minore capacità fiscale pro-capite), i vantaggi per il Mezzogiorno sarebbero pochi. L’effetto finale, in altre parole, sarebbe quello di avere un aumento del divario tra Sud e Nord. Esattamente il contrario di quello che potremmo ottenere».

Occhiuto chiarisce di non essere contrario all’Autonomia differenziata, se vengono rispettati i patti che ridanno al Mezzogiorno le risorse necessarie per superare le insopportabili sperequazioni che colpiscono pesantemente, tra l’altro, gli asili nido e la formazione scolastica.  Secondo il Governatore, «L’Autonomia può essere una grande opportunità per il Sud, ma solo se quei vagoni di cui parlavamo arrivano nello stesso momento in stazione. Per la Calabria sarebbe un’occasione avere l’autonomia sulla gestione dell’energia o dei porti. Non ho quindi alcun pregiudizio, purché si rispettino gli accordi iniziali. Adesso si può anche approvare la legge al Senato, ma prima dell’ok definitivo bisogna finanziare i Lep. Confido nell’equilibrio e nella saggezza di Giorgia Meloni».

Il giornalista de La Stampa fa notare che Calderoli sostiene che è già in Costituzione la garanzia del finanziamento dei Lep. La replica di Occhiuto è lineare: «È vero, eppure non sono mai state garantite risorse per i pochi Lep finora stabiliti, nonostante l’obbligo costituzionale. L’Autonomia, invece, viene prevista dalla Costituzione solo come una ‘possibilità’, non come un obbligo.

«Trovo quindi assurdo che per la possibilità dell’Autonomia si vada di corsa e ci sia un’attenzione spasmodica, mentre per ottemperare a due obblighi costituzionali non ci sia alcuna fretta. Anche l’idea di permettere delle pre-intese è una fuga in avanti, se non sono finanziati i Lep. Questo modo di procedere non va bene a me e penso non vada bene nemmeno a Forza Italia.

«Ne abbiamo discusso con Tajani in mattinata. Ringrazio lui e i ministri di FI perché è grazie a loro che si era raggiunto quell’accordo, che ora va rispettato. Credo – ha detto Occhiuto – di non parlare a titolo personale. I governatori del Sud hanno le mie stesse preoccupazioni. Anche il gruppo parlamentare ha molti deputati e senatori meridionali che come me non hanno pregiudizi verso l’Autonomia, ma vogliono garanzie sulle risorse per i servizi da fornire ai cittadini. Altrimenti la conclusione è chiara a tutti: l’Autonomia non sarebbe più un’opportunità per il Mezzogiorno».

La posizione critica di Occhiuto merita l’apprezzamento di tutto il Sud: il criterio della spesa storica è la stortura che sta alla base del provevdimento e che verrebbe sanata solo con la parificazione per livelli essenziali di prestazione, ma il problema è che non ci sono le risorse e quindi i LEP costituiscono un serio ostacolo per la riforma ideata da Calderoli. Ma il rischio di far passare il provevdimento rinviando a data successiva il reperimento delle risorse finanziarie per i Lep ci sta tutto.

Sia ben chiaro: il Governo senza i voti di Forza Italia, che si sta mostrando decisamente critica nei confronti del provvedimento, non avrebbe i numeri per imporre una legge che divide ancor più in due l’Italia: Il Nord opulento e ricco, il Meridione povero e destinato a perpetuare una condizione di sottosviluppo, soprattutto nell’ambito del welfare e dell’assistenza.

Inoltre, il progetto di Autonomia differenziata va a scontrarsi con la pacata indifferenza di troppi attori politici del Mezzogiorno che avrebbero dovuto (e dovrebbero) issare muri e paletti contro una legge penalizzante e discriminatoria (c’è da chiedersi, ove passasse, se il Presidente Mattarella la firmerebbe).

Un invito a Occhiuto “a guidare le regioni del Sud alla ribellione pacifica” è venuto da Orlandino Greco, leader dell’Italia del Meridione. «È stata una bella notizia – ha detto il sindaco di Castrolibero – l’aver letto sulla stampa le ultime dichiarazioni del Presidente della Regione Calabria, il quale, svestendo i panni di alleato in coalizione ed indossando la casacca dei calabresi, ha lanciato un monito al Governo ed al Ministro Calderoli sull’autonomia differenziata.

«Quello, infatti, del mancato calcolo e  finanziamento dei Livelli Essenziali delle Prestazioni e dell’istituzione di un fondo perequativo per i territori più poveri, prima dell’approvazione della riforma è uno dei temi cari all’Italia del Meridione: sono mesi, infatti, che lo diciamo in giro per il Sud, nelle piazze e nelle istituzioni.

«Oggi anche il Presidente Occhiuto ha preso consapevolezza dei rigurgiti nordisti della Lega, consapevole della sua autorevolezza istituzionale. Ritengo, infatti, che il momento sia propizio affinché egli guidi la ribellione pacifica delle regioni del Sud. D’altronde è da tempo che molti amministratori del Sud, come il sottoscritto, hanno proseguito il loro impegno politico e civile al di fuori dei partiti tradizionali, in quanto consapevoli degli egoismi trasversali e di parte che hanno connotato lo scenario nazionale fin oggi.

«Questo è il tempo di fare rete tra le migliori energie del Sud per curare gli interessi di tutto il Paese: noi siamo orgogliosamente meridionali, siamo una forza politica autenticamente costituzionale che lotta per abbattere i divari e proprio per questo abbiamo a cuore le sorti di tutti gli italiani, da Bolzano a Siracusa, perché agganciare il vagone dello sviluppo meridionale al resto del Paese significherebbe sconfiggere il nordismo trasversale che attraversa tutti i partiti e costruire un treno ad alta velocità che proietterebbe l’Italia in una nuova dimensione nazionale di mercato e di diritti, rimettendoci al passo dei grandi paesi occidentali».

Diversa la posizione del PD calabrese che beffardamente sostiene che «Sull’autonomia differenziata Roberto Occhiuto recita a soggetto a danno dei calabresi. Si avvicinano le elezioni europee e il presidente della Regione Calabria si affida al teatro». Ricordano i dem della Calabria che Occhiuto «ha già votato a favore dell’autonomia differenziata in Conferenza Stato-Regioni e che nello scorso gennaio tenne con Calderoli una conferenza stampa a Catanzaro, al termine della quale lo stesso Occhiuto disse che “l’autonomia differenziata può determinare occasioni positive per la Calabria”, precisò di “conoscere e apprezzare Calderoli” e sottolineò che, “se c’è uno che può realizzarla, è proprio lui”. Allora Occhiuto aggiunse, con riferimento al disegno di legge in questione del ministro leghista, che è “evidente che si fa carico in qualche modo delle ragioni delle Regioni del Sud”».

«Ormai – sostengono i dem della Calabria – i calabresi conoscono bene il vizio insanabile del presidente Occhiuto, che dice tutto e l’esatto contrario per alimentare il proprio consenso virtuale. L’ambiguità di Occhiuto fa perdere credibilità alle istituzioni. Dunque, il governo Meloni continuerà a prendere decisioni inaccettabili sulla testa dei calabresi, proprio grazie a questo atteggiamento del presidente Occhiuto, politicamente pilatesco, opportunistico e bipolare».

Il presidente del  Gruppo Misto in Consiglio regionale Antonio Lo Schiavo a questo proposito sostiene che la presa di posizione di Occhiuto «arriva tardi e rischia di restare uno sfogo del tutto vano». La Lega – ha detto Lo Schiavo – è finalmente uscita allo scoperto, tradendo gli impegni sui Lep e confermando che i nostri timori erano e sono più che fondati. Dimostrando, qualora ce ne fosse bisogno, che l’operazione in atto mira solo ad aumentare il divario tra Nord e Sud del Paese».

E siamo di nuovo alla “rissa”: se al posto di mantenere una status di conflittualità permanente in Consiglio regionale, ci fosse uno sforzo comune per una risposta chiara e decisa contro l’attuale progetto dell’Autonomia, forse si farebbero gli interessi dei calabresi, mettendo da parte quelli di bottega (e di partito). In Calabria – dev’essere chiaro – serve una forza trasversale e unitaria che alzi unitariamente la voce e pretenda soluzioni immediate e concrete. Diversamente, il divario crescerà ancora e sarà il freno a qualsiasi ipotesi di sviluppo. (s)

IL TERMINE È AUTONOMIA DIFFERENZIATA
MA SIGNIFICA “SECESSIONE DEI PIÙ RICCHI”

di DAMIANO SILIPO – È molto probabile che tra pochi mesi l’autonomia differenziata di Calderoli diventi realtà, dando la possibilità alle tre regioni che nel 2017 hanno già sottoscritto le pre-intese con il governo (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna)  di attuare subito la secessione. Perché si scrive autonomia differenziata e si legge secessione dei ricchi. Infatti, il DDL Calderoli prevede che le regioni possono chiedere l’autonomia in 23 materie fondamentali per la vita dei cittadini (dalla sanità alla scuola e università, da infrastrutture e trasporti a energia e ambiente, etc.).

Lombardia e Veneto hanno chiesto l’autonomia in tutte le 23 materie, l’Emilia Romagna in 15 delle 23.
Unitamente al trasferimento delle funzioni, vengono trasferite alle regioni le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, necessarie per attuare l’autonomia nelle materie richieste.
In particolare, il DDL Calderoli prevede che le regioni possono trattenere gran parte delle tasse, che oggi vengono trasferite allo stato centrale, anche oltre quelle necessarie per finanziare le funzioni aggiuntive richieste.
Se si pensa che le sole tre regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata hanno un reddito complessivo di più di 700 miliardi all’anno (più del 40% del reddito complessivo dell’Italia), l’autonomia differenziata non è il riconoscimento formale della macro-regione Padania sognata da Bossi e co. ma certamente corrisponde alla secessione dei redditi delle regioni più ricche del Nord.
Tra l’altro, queste regioni disporranno di enormi risorse aggiuntive e saranno in grado di pagare, ad esempio, stipendi più alti ad insegnanti e personale sanitario rispetto alle altre regioni, anche per far fronte alla già forte carenza di medici ed altro personale sanitario. La secessione dei ricchi sarà quindi un impulso potente per medici, paramedici, insegnanti, ecc. della Calabria e delle altre regioni meridionali a trasferirsi nelle regioni più ricche, con il duplice effetto di affossare ancora di più il sistema sanitario calabrese e rendere impossibile la realizzazione dei livelli essenziali di assistenza, anche qualora venissero realizzati i nuovi ospedali. Senza contare che l’ulteriore depauperamento del capitale umano avrà effetti drammatici sulla qualità dell’istruzione e sulle prospettive di sviluppo della regione. Pertanto, la tesi degli autonomisti che trattenere nei propri territori una parte cospicua del “residuo fiscale” induce le regioni meno produttive a “darsi una mossa” è ipocrita, perché induce i cittadini di queste regioni a darsi una mossa a raggiungere le regioni più ricche, che offrirebbero salari più alti.
Come fa il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto a non rendersi conto di questi effetti, o a svendere le sorti di una regione per puro tornaconto personale o di partito?

È merito della Segretaria Elly Schlein aver attestato, senza se e senza ma, il Partito Democratico contro l’autonomia differenziata. Una posizione chiara e coraggiosa, tenendo conto che anche nel PD ci sono simpatie e spinte autonomiste. Il passo successivo è come contrastare questo disegno eversivo di Calderoli e del governo Meloni, e quale assetto istituzionale alternativo proporre per l’Italia.

Molti degli emendamenti proposti dai gruppi parlamentari del PD suggeriscono di ridurre a poche e non strategiche le materie su cui concedere l’autonomia.

Seppur importante, ritengo che il punto centrale non sia il numero di materie ma la realizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) su tutto il territorio nazionale, come pre-requisito per l’attuazione di qualunque forma di autonomia differenziata.

Nel DDL Calderoli la definizione dei LEP costituisce un puro requisito formale per la concessione dell’autonomia differenziata in alcune materie e non è contemplata alcuna realizzazione. Se già oggi la Calabria non rispetta i livelli essenziali di assistenza (LEA) in tutte le aree (prevenzione, distrettuale e ospedaliera), come si può pensare che quando il meccanismo della secessione si metterà in moto e genererà gli effetti appena descritti,  i LEP (che comporteranno una spesa ancora maggiore rispetto ai LEA) verranno mai realizzati nelle regioni meno ricche? 

Si potrebbe obiettare che vincolare la concessione dell’autonomia differenziata alla realizzazione dei LEP su tutto il territorio nazionale sarebbe come rinviare sine die l’attuazione di qualche forma di autonomia alle regioni. Come ha stabilito un tempo entro cui definire i LEP, il Governo Meloni potrebbe anche assegnare alle regioni le risorse sulla base dei fabbisogni standard e un termine entro cui attuare i LEP, con tappe intermedie per la loro realizzazione, che se non rispettate dovrebbero prevedere la decadenza dei Presidenti di Regione e poteri sostitutivi del governo.

Questo sì che darebbe luogo al più importante processo di attuazione della Costituzione Repubblicana e renderebbe l’Italia un paese migliore, perché ridurrebbe le diseguaglianze e aiuterebbe la crescita.

Viceversa, la secessione non solo allontanerà definitivamente la Calabria e il Mezzogiorno dal resto del Paese, ma farà più piccola l’Italia, perché quanto volete che conti in Europa e nel mondo anche un Presidente eletto dal popolo, quando il potere economico e politico appartiene a poche regioni ricche? (dsi)

BASTA PENSARE ALL’AUTONOMIA, CI SI
CONCENTRI DI PIÙ SU SVILUPPO DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTALa forza dei fatti è contro il caterpillar Calderoli. Ce l’ha messa tutta ma, come dice il Vangelo, quando non parleranno le persone parleranno le pietre.
E quello che oggi dicono le pietre è che i Lep non sono, come forse ha ritenuto il Ministro, un fatto tecnico ma un fatto economico.

Mettere insieme una commissione di oltre 60 elementi era chiaro che sarebbe stato inutile, perché una volta calcolati i livelli essenziali di prestazioni poi bisognava trovare il modo di realizzarli.

Non posso credere che il Ministro in realtà fosse così ingenuo da pensare che le motivazioni di diversi diritti alla salute, alla mobilità, alla scuola, derivassero da incapacità tecniche! Troppo navigato per non capire che il tema era essenzialmente economico. Evidentemente sperava di potersi limitare all’individuazione di essi, cosa più semplice della loro attuazione.

Ma il giocattolo gli è sfuggito di mano. Una mobilitazione ha portato ad una raccolta di oltre 100 mila firme per una legge di iniziativa popolare che mettesse in discussione la modifica dell’articolo 5 voluta, inopinatamente e con scarsa visione politica, dal Pd.

Si sono mobilitati i sindacati ma anche le organizzazioni datoriali, giustamente preoccupati degli effetti dirompenti della statuizione dell’esistenza di due paesi, con cittadini di serie A e B.

Molti consigli comunali si sono espressi contro e le preoccupazioni dell’anima centralista di Fratelli d’Italia ha cominciato a nutrire preoccupazioni sugli effetti di una riforma che rafforzava enormemente i governatori a scapito di Palazzo Chigi.

Peraltro anche molti governatori di Forza Italia, che avevano votato a favore della riforma in Conferenza delle Regioni, come Occhiuto e Schifani, hanno poi manifestato in riunioni di partito tutte le loro perplessità su una riforma che stabilisce la cristalizzazione della spesa storica. 

Forse il vero tema sul quale concentrarsi sarebbe quello dello sviluppo del Sud, unico modo perché ognuno si tenga le risorse che produce. Se vuoi evitare di aiutare i tuoi figli l’unico modo è che guadagnino abbastanza per mantenersi autonomamente. Sembra un principio banale che in realtà stenta a diventare patrimonio condiviso.

Un modello di sviluppo che vede una parte che continua a diventare sempre più povera e peggio servita e un’altra che procede, anche se più lentamente di realtà analoghe dei competitor europei.

Una parte che continua ad antropizzarsi sempre più, nella quale si spostano i meridionali in cerca dei diritti di cittadinanza negati nelle loro terre, oltre quelli al lavoro anche quelli ad una sanità adeguata, una mobilità possibile e a un progetto di futuro per i propri figli, mancante totalmente nelle loro aree di origine, con le conseguenze di un utilizzo del suolo sempre più intenso, con l’esigenza di infrastrutturazioni sempre più invasive, come le terze e quarte corsie autostradali.

Probabilmente a livello teorico il principio della convenienza per tutti viene accettato ma poi è quando vi devono essere i comportamenti conseguenti che tutto diventa più difficile.    

Se non si affronta la problematica della sottoutilizzazione del capitale umano del Sud, dove lavora solo una persona su quattro quando il rapporto fisiologico sarebbe perlomeno una persona su due, rimarrà sempre l’esigenza di assistenza di un’area che rimarrà non autonoma ma dipendente a livello economico di quella più ricca, pur avendo servizi molto contenuti e limitati. L’obiettivo è quello di avere la consapevolezza condivisa che una locomotiva non è sufficiente per fare viaggiare ad una velocità adeguata tutto il treno del Paese.

È chiaramente un cambio di paradigma rispetto alle politiche attuate dall’Unità d’Italia in poi. Che prevedono che si sposti l’asse di interesse verso le aree più deboli. A cominciare delle più facili e banali come individuare le città del Sud per i grandi eventi, che servano da date catenaccio per avere certezza sulla definizione dei tanti lavori necessari.

Bisogna convincersi che il Sud non è una palla al piede, ma come la ex Ddr per la Germania, un tesoro da valorizzare con un doppio risultato: quello di non pesare più sul Nord ma anche quello di contribuire alla formazione della ricchezza complessiva. E deve essere chiaro che rispetto a questo progetto non vi è il piano B che aveva immaginato Calderoli, se non si vuole spaccare il Paese. Opzione illogica in un momento in cui già l’Unione Europea è già troppo piccola rispetto ai colossi che si confrontano a cominciare da Usa, Cina e India. (pmb)

[Courtesy Il Quodiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]