di DOMENICO MAZZA – Fino a qualche decennio fa, nella creazione di nuovi ambiti provinciali generati per scissione da precostituiti Enti, si dotavano i Capoluoghi delle neonate Province di tutta una serie di servizi legati alla capillarizzazione periferica del sistema centrale dello Stato. Nel corso degli ultimi anni, a seguito dei processi di spending review e della graduale aziendalizzazione degli apparati pubblici, lo Stato ha razionalizzato i processi di spesa e di devolution. I servizi, pertanto, sono stati assegnati seguendo non già la logica degli ambiti provinciali, ma sulla base di rigorosi criteri legati all’ampiezza dei territori e alla loro demografia. Il vecchio termine di Provincia, col tempo, ha ceduto il passo al più dirompente concetto d’Area Vasta. Ad oggi, in molti credono che le Province siano state soppresse. Esiste la convinzione, infatti, che il passaggio da un sistema elettorale diretto ad uno di secondo livello abbia generato la dismissione dell’Ente. Non è così! Anzi, è vero il contrario.
Il buio in cui brancola l’Establishment jonico
Dopo anni di profondo letargo sul tema, la Politica jonica ha, nella coda d’estate, riacceso i riflettori sul tema. Tuttavia, leggendo quanto riportato nei dispacci di stampa, si scorgono grossolani errori percettivi e valutativi circa il nuovo impianto geo-politico che si vorrebbe scorporare all’attuale contesto cosentino. Tale condizione, non aiuta i neofiti della materia amministrativa a raccapezzarsi sulle aspettative che potrebbero derivare dalla costituzione di un Ente di secondo livello. Ancora oggi, a distanza di oltre 10 anni dalla legge 56/14 (Delrio), taluni, pensando forse ad un caso di sinonimia, confondono il concetto di Provincia con quello di Area Vasta. Nonostante l’ultimo termine sia entrato nel vocabolario amministrativo da circa un ventennio, si fa fatica a classificare le sottili differenze con il primo. Il più delle volte, infatti, si finisce con esprimere concetti che mal delineano le diversità di una nomenclatura per nulla scontata.
Senza la creazione di ambiti ottimali non c’è devolution da parte dello Stato
La Provincia è un Ente di secondo livello, a limitata capacità amministrativa, intermedio tra Comune e Regione. Conseguentemente la riforma Delrio, ha mantenuto deleghe specifiche in materia di viabilità ed edilizia scolastica. In alcuni casi, il perimetro di una Provincia può corrispondere a quello di un’Area Vasta. Tale condizione si verifica quando territorio e demografia dell’ambiente provinciale esprimono 2500km² e almeno 350mila ab. A seguito, poi, delle modifiche apportate nell’ultimo decennio al Tuel (Testo Unico degli Enti locali), in caso di istituzione di nuove Province, lo Stato non è tenuto a dotare di decentramento amministrativo periferico il Capoluogo del nuovo Ente.
L’Area Vasta, invece, è una classificazione geo-politica che non gode di Rappresentatività diretta. Accentra, in identificate Località d’ambito e comprensoriali, sulla base di rigorosi parametri demografici, tutte una serie di competenze dapprima assegnate ad ogni Capoluogo di Provincia. Il metro d’Area Vasta è il sistema oggi utilizzato per stabilire l’erogazione dei servizi ad un territorio o ad agglomerati territoriali contermini. Rappresenta, altresì, il metodo di capillarizzazione delle funzioni di prossimità lungo il territorio nazionale. Classifica, quindi, il sistema di decentramento effettivo dei servizi statali.
L’ambiente provinciale, dunque, corrisponde a quello di un’Area Vasta solo quando si suffragano specifici requisiti demografici e territoriali. In tutti gli altri casi, le Aree Vaste assommano più ambiti provinciali con accentramento dei servizi in sede al Capoluogo più rappresentativo degli agglomerati provinciali costituenti il perimetro vasto.
Questa breve classificazione per chiarire un assunto: il principio utilizzato nella erogazione dei servizi centrali, da oltre un decennio, non è più quello dell’ambito provinciale, bensì il dedicato range demografico d’Area Vasta.
Non esiste elevazione amministrativa quando mancano i numeri
Creare ambiti provinciali senza contestualmente inverare i parametri d’Area Vasta, significa non determinare alcuna modifica nella ramificazione periferica dei servizi statali. Vieppiù, l’operazione si dimostra inidonea a scalfire i cristallizzati equilibri politici in capo ai preesistenti contesti.
Con la riforma degli Enti intermedi, in attesa di licenza da parte del Governo, saranno reintrodotti i criteri di suffragio universale nelle elezioni provinciali. Tuttavia, il Disegno di Legge non apre alla istituzione di nuovi Enti. Quand’anche fosse possibile, è bene rimarcare che l’idea di una nuova Provincia, senza che questa abbia i requisiti per poter aspirare ad un inquadramento di tipo vasto, sarebbe assolutamente inutile ai fini di un’agognata autonomia politico-istituzionale del nuovo perimetro amministrativo.
D’altronde, pensare di ritagliare un nuovo Ente, mantenendosi nel solo alveo della Provincia di Cosenza, ci mette davanti ad una serie di problematiche. Prima fra tutte, permettere ai due ridisegnati Enti di godere della forza numerica e territoriale su richiamata. Fermo restando i circa 700mila abitanti della Provincia di Cosenza, si dovrebbero immaginare due ambiti di circa 350mila abitanti cadauno. Alla conta dei numeri, l’idea Sibaritide-Pollino, nella migliore delle ipotesi, potrebbe spingersi fino a 250mila persone. Già questo dato, oltre i limiti derivanti dalla mancata omogeneità territoriale tra un ambiente riviesco e un’area valliva, dovrebbe farci desistere dal proseguire in azioni sconsiderate. A meno che, con manie di malriposto protagonismo, non si voglia arrivare a bussare alle porte di Rende. Raggiungere la soglia dei 350mila abitanti, partendo dalla linea di costa sibarita, significherebbe spingersi fino alle sponde del Campagnano. Tuttavia, dubito che la prosopopea ammaliatrice jonica possa convincere le Amministrazioni della cinta bruzia a sentirsi parte di un contesto estraneo alle proprie peculiarità.
Contrariamente, l’idea di un nuovo perimetro provinciale che parta da un Ente già precostituito, ma infruttuoso a sé stante (Crotone), allargando la sfera di competenza a tutto il contesto dello Jonio cosentino, godrebbe dei requisiti richiesti per inverare appieno la condizione di ambito ottimale. Il doppio Capoluogo, esperimento già promosso dall’attuale Governo con la elevazione di Cesena e Carrara, consentirebbe di impostare il nuovo ambito su base policentrica. Nessun Ente aggiuntivo, quindi, ma la riorganizzazione funzionale delle definizioni perimetrali attuali. L’omogeneità territoriale presente tra la Sibaritide e il Crotonese, inoltre, consentirebbe di avviare processi di rivendicazione comuni. Si potrebbero chiudere, definitivamente, storiche vertenze aperte: dalla costituzione di un’Azienda Ospedaliera (che non è una semplice Asp), alle medesime battaglie di mobilità e trasporti, alla salvaguardia del comune patrimonio archeologico per finire alla maggior tutela dello specchio d’acqua del golfo di Taranto. Quest’ultimo, oggi più che mai, oggetto di sempre più accentuate speculazioni romane.
Significherebbe declinare, con l’autorevolezza di un reale ambito vasto e con l’ausilio dei numeri, la prospettiva dell’Arco Jonico, ristabilendo una condizione d’equilibrio geo-politico con i tre Capoluoghi storici della Regione. (dm)