A Parigi l’incontro per la candidatura Unesco dell’Infiorata di Taurianova

Per l’Infiorata di Taurianova si avvicina sempre di più il riconoscimento di patrimonio immateriale dell’Unesco. Una delegazione del Comitato internazionale di arte effimera della Cidae (Coordinadora internacional de entidades de alfombristas de arte efimero) – tra i quali la presidente Vicenta Pallarès, la vicepresidente Valentina Mammana (direttore artistico dell’Infiorata di Taurianova) e dalla responsabile tecnica Unesco Carme Polo, oltre ai rappresentanti Cidae dei 5 Paesi coinvolti nella candidatura Unesco, ossia Spagna (capofila), Belgio, Malta, Italia e Messico – è stata ricevuta da Miquel Iceta, ambasciatore spagnolo all’Unesco, nel giorno della presentazione ufficiale della candidatura de L’arte di creare tappeti con fiori e altri materiali naturali

È stato il governo spagnolo a inviare ufficialmente la candidatura e gli infioratori internazionali hanno voluto esprimere il loro personale ringraziamento per il lavoro svolto dal Ministero della Cultura di Madrid, che in questi anni ha elaborato una candidatura complessa, promossa dal Cidae e condivisa dai cinque Paesi coinvolti. Dal canto suo, l’ambasciatore spagnolo, dopo essersi complimentato con loro per il lavoro svolto, ha annunciato che la candidatura raggiunge i valori che l’Unesco ritiene rilevanti per incorporare un nuovo elemento nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità. 

Per gli infioratori internazionali del Cidae, che viaggiano in tutto il mondo per mostrare la qualità delle loro opere, sono stati quattro anni di intenso lavoro e riflessione sui valori che l’arte dei tappeti floreali rappresenta come patrimonio culturale immateriale. Raggiungere l’Unesco significa veder riconoscere la loro perseveranza nel migliorarsi facendo parte di una grande famiglia di infioratori provenienti da 13 Paesi di tre continenti. Per poter però festeggiare ufficialmente, bisognerà aspettare i tempi amministrativi per l’iscrizione della “Tradizione dei tappeti di fiori e di altri materiali naturali” nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’Umanità, che per come previsto avverrà entro il 2025.

La prima occasione ufficiale per godersi questo prestigioso risultato, per gli infioratori di Taurianova sarà il 25 aprile, quando insieme alle altre associazioni Cidae inserite nella candidatura Unesco, si ritroveranno a Firenze in occasione del “Festival di arti effimere – Unesco Edition 2024”, dove realizzeranno un “Tappeto monumentale” in Piazza del Duomo.

«La validazione della candidatura dei tappeti floreali – ha dichiarato Nello Stranges, presidente della Pro Loco “Taurianova nel cuore” – rappresenta per la nostra Infiorata un traguardo storico che premia la costanza e la passione di tutti noi soci e organizzatori della manifestazione che in questi anni, con umiltà, correttezza, rispetto e profondo sentimento di amore per Taurianova, siamo sempre riusciti, nonostante le tante difficoltà, a portare avanti un grande lavoro di squadra che ha cementificato i nostri rapporti interni di amicizia ed esteso le nostre conoscenze fuori dai confini regionali e nazionali». 

«Essere riusciti in soli otto anni a scrivere questa bellissima pagina di storia con la nostra Infiorata – ha aggiunto – è la più grande soddisfazione per tutti noi, ancora di più, se pensiamo che grazie al nostro impegno lasceremo in eredità alle generazioni future un’opportunità unica, capace di rappresentare un volano di crescita turistica per tutto il territorio. Taurianova capitale del libro e la prossima iscrizione dell’Infiorata nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, dimostrano come questa città abbia finalmente imboccato la strada giusta».

«Questa opportunità – gli ha fatto eco il suo vice Pierluigi Melara – deve farci vivere questo momento non come un traguardo, ma come un punto di partenza, dove ogni cittadino di Taurianova deve sentirsi protagonista di un evento che presto sarà patrimonio immateriale dell’umanità, ma ancor prima è patrimonio della nostra città». (Teresa Cosmano)

Educazione alla sostenibilità, la Settimana Unesco fa tappa nel Vibonese

Nel Vibonese ha fatto tappa la Settimana Unesco, quest’anno dedicato su Autonomia energetica e alimentare: Una strada per la pace e la giustizia climatica.

Le comunità del Vibonese hanno risposto all’appello lanciato dall’Unesco con due appuntamenti organizzati in sinergia e stretta collaborazione con le scuole del territorio, l’IC di San Costantino Calabro, dirigente Luisa Vitale, l’IC Garibaldi Buccarelli, dirigente Angelo Stumpo, l’IC Murmura, dirigente Tiziana Furlano, l’IIS ITG ITI di Vibo Valentia, dirigente Maria Gramendola, l’IIS De Filippis Prestia, dirigente Maria Francesca Durante, il comune di Jonadi, con il sindaco Fabio Signoretta e l’assessore alla Cultura, Nicoletta Corigliano,  il comune di Vibo Valentia, con il sindaco Maria Limardo e gli assessori all’Ambiente, Vincenzo Bruni e alla Cultura, Antonella Tripodi, la provincia di Vibo Valentia, presieduta da Salvatore Solano, la Regione Calabria, con l’assessore allo Sviluppo economico, Rosario Varì.

In particolare, gli alunni della scuola primaria di Jonadi hanno partecipato a una interessante iniziativa di sensibilizzazione verso l’importanza del riuso dell’acqua piovana realizzata grazie all’intervento dell’ing. Nicola Tavella, giovane professionista jonadese il quale ha sollecitato i piccoli discenti della scuola a realizzare semplici attività di riciclo dell’acqua piovana per uso domestico e irriguo. L’invito è stato accolto con particolare interesse da parte di docenti e alunni già attivamente impegnati in percorsi didattico-educativi improntati al tema del rispetto dell’ambiente e del corretto uso delle risorse naturali, grazie anche alla partecipazione a progetti ministeriali proposti specificamente sulle tematiche attenzionate.

L’appuntamento realizzato nella sala consiliare della provincia di Vibo Valentia è stato un autentico momento di didattica partecipativa in cui gli studenti presenti hanno avuto modo di condividere una serie di attività realizzate in tema di service learning, riciclo di rifiuti, riuso di materiali esausti, progettazione ed elaborazione di prototipi originali e creativi che hanno conosciuto anche importanti riconoscimenti nazionali e internazionali.

Il confronto, ben animato dalla dirigente scolastica Maria Gramendola e supportato dalla presenza istituzionale dell’ente comunale, provinciale e regionale ha conosciuto momenti di elevato spessore culturale negli interventi di Marco Raugi, prorettore dell’Università di Pisa e chairman dell’unica cattedra al mondo Unesco in comunità energetiche il quale ha ben evidenziato i vantaggi di natura sociale, e non solo economica delle comunità energetiche, ma anche le difficoltà che un paese come l’Italia incontrano nella realizzazione delle comunità stesse e, a seguire, di Annateresa Rondinella, Cict Unesco, chair UniPi, UniBa, Pontificia Università Lateranense la quale ha ben evidenziato, dopo un articolato excursus storico, l’importanza del costruire un “Nuovo contratto sociale per l’Educazione per re-immaginare il nostro futuro insieme”, come richiesto dall’Unesco al fine di allineare i sistemi educativi alle grandi sfide della disuguaglianza, della povertà e dell’esclusione sociale, del regresso democratico, delle sfide dei diritti umani, dei cambiamenti climatici e delle sfide create dall’intelligenza artificiale.

«Le situazioni di gravi crisi che l’umanità sta vivendo per il verificarsi di fenomeni climatici sempre più estremi, frequenti, devastanti, con una concentrazione di gas serra, nell’atmosfera, che ha raggiunto livelli record; la combinazione letale di conflitti, pandemia da SarsCov-19, disastri ambientali che ha generato la più grave emergenza alimentare degli ultimi secoli; l’incombente crisi energetica che coinvolge, in modo trasversale, tutti gli aspetti della vita delle persone sul Pianeta, sono elementi fortemente interconnessi tra di loro e che destano non poca preoccupazione circa il futuro della vita sulla Terra. Le attività che abbiamo messo in campo hanno posto una pietra miliare nel campo dell’educazione dei nostro giovani su questi temi», ha dichiarato soddisfatta Maria Loscrì, Presidente del locale Club per l’Unesco. (rvv)

ASPROMONTE GEOPARCO A TUTELA UNESCO
FINALMENTE L’ATTESO RICONOSCIMENTO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Il sogno del Parco Nazionale dell’Aspromonte, di diventare un geoparco, è diventato realtà. Ci sono voluti quattro anni  ma, dopo il disco verde ricevuto dal Quinto Consiglio dei Geoparchi Unesco nel mese di dicembre, proprio nella Giornata Mondiale della Terra, il Parco dell’Aspromonte è entrato a far parte dell’Unesco Global Geoparks, la Rete Mondiale dei Geoparchi Unesco.

Un momento storico ed entusiasmante, che premia la straordinaria valenza geologica dell’Aspromonte, ponendolo all’attenzione mondiale.

Il riconoscimento internazionale, di cui l’Aspromonte potrà fregiarsi insieme al Parco Nazionale della Maiella, arriva grazie al fondamentale lavoro del team del Geopark Project, guidato dalla dr.ssa Sabrina Santagati, del Parco Nazionale dell’ Aspromonte: all’apporto scientifico del prof. Rosolino Cirrincione e del prof. Gaetano Ortolano, dell’Università di Catania, che hanno affiancato il Geoparco negli ultimi anni; al contributo dell’Università della Calabria con il professor Rocco Dominici, che ha supportato le fasi propedeutiche della candidatura.

«Un ricordo particolare – si legge in una nota – al grande direttore Sergio Tralongo, che ha lavorato con passione a questo progetto e che oggi non è più con noi: a Lui il Parco dedica questa giornata».

Con la particolarità delle sue rocce, l’Aspromonte ha una storia geologica di estremo rilievo che ha permesso di avviare il percorso di candidatura all’Unesco nel 2017, promuovendo  le  peculiarità del massiccio d’Aspromonte che rivelano una storia antica, complessa, unica.

L’ingresso nella Rete Mondiale dei Geoparchi Unesco consentirà al Geoparco Aspromonte di valorizzare il prezioso patrimonio (8 Geositi di rilevanza internazionale, 89 geositi censiti), le sue specificità culturali, identitarie e naturalistiche. Il riconoscimento Unesco Global Geopark è nuova occasione di valorizzazione del patrimonio geologico in stretta connessione con quello naturale e culturale, che può portare importanti ricadute in termini sociali ed economici sul territorio, anche e soprattutto in chiave turistica.

«L’ingresso nella rete mondiale dei Geoparchi Unesco – ha dichiarato il Presidente Leo Autelitano – è per noi motivo di orgoglio, ma soprattutto è incentivo a lavorare con sempre maggiore attenzione e maggiore slancio per ottenere risultati visibili sul territorio. La nostra candidatura è stata accolta grazie al lavoro incessante del nutrito e professionale team del progetto Geoparco, e al supporto che le altre istituzioni, le associazioni e tutto il popolo dell’Aspromonte, hanno voluto concedere, attraverso attiva partecipazione e fattiva collaborazione».

«Da qui in avanti – ha aggiunto – il nostro compito sarà quello di continuare a lavorare insieme, coinvolgendo tutti gli attori del territorio e tutto il popolo dell’Aspromonte nel percorso di valorizzazione costante dei geositi e dei loro significati, fatti di tradizioni, di cultura, di identità e di speranza. Sarà anche occasione per far divenire l’Aspromonte il luogo deputato per incontri di studio e approfondimento sulle scienze geologiche. È un’opportunità ma è anche una responsabilità, questa consapevolezza  accompagnerà ogni scelta futura. Le nostre rocce, uniche e grandiose, che sopravvivono ai millenni, in una continua e lentissima trasformazione,  siano da esempio per una crescita costante e solida a cui questo territorio deve aspirare».

Il Geoparco dell’Aspromonte (Aspromonte Geopark) nasce con l’intento di salvaguardare e valorizzare uno dei più particolari patrimoni geologici del Mediterraneo centrale. Il territorio dell’Aspromonte è caratterizzato da una grande diversità paesaggistica, da peculiarità geo-ambientali e dalla presenza di interessanti realtà storico-culturali radicate in un antico passato influenzato da diverse civiltà. Nel lungo percorso verso il riconoscimento, l’Aspromonte Geopark ha attivato numerose forme di animazione territoriale per informare sulla strategia del geoparco e agevolare il processo di sensibilizzazione, informazione, comunicazione e conoscenza, favorendo la costruzione di un’idea-azione condivisa di sviluppo ecosostenibile del territorio.

Determinante, inoltre, la consapevolezza delle comunità locali, elemento primario del Geoparco, che nei numerosi forum e momenti d’ incontro promossi sul territorio, hanno acquisito coscienza sulle potenzialità della Rete Unesco, in un processo di condivisione e compartecipazione del percorso e delle opportunità di sviluppo sociale, turistico ed economico per l’intero Aspromonte.

Per il Touring Club Reggio Calabria, il «riconoscimento Unesco Global Geopark è nuova occasione di valorizzazione del patrimonio geologico in stretta connessione con quello naturale e culturale, che può portare importanti ricadute in termini sociali ed economici sul territorio, anche e soprattutto in chiave turistica».

«Una novità – si legge in una nota – che darà la possibilità al Geoparco dell’Aspromonte, guidato oggi da Leo Autelitano, di valorizzare il prezioso patrimonio: «8 geositi di rilevanza internazionale, 89 geositi censiti, le sue specificità culturali, identitarie e naturalistiche».

Il club si ritiene «onorato di aver contribuito come stakeholder all’iniziativa, inoltre un ringraziamento va rivolto a tutti i dipendenti del Parco che hanno profuso tutto il loro impegno per il raggiungimento dell’importante traguardo ed al Professore Giuseppe Bombino che, nel 2017, unitamente al compianto Sergio Tralongo, hanno avviato tale percorso».

Grande soddisfazione è stata espressa dal Consiglio Nazionale dei Geologi e dal Comitato Nazionale dei Geoparchi italiani per il prestigioso traguardo raggiunto dal Parco dell’Aspromonte, in quanto si tratta di «un’ulteriore dimostrazione, a livello internazionale, dell’apprezzamento delle bellezze geologiche del nostro territorio, e il loro ringraziamento a tutti gli attori, enti e Ordini regionali dei Geologi che hanno concorso all’attuazione di questo importante progetto».

«Il riconoscimento di Geoparco a livello mondiale – si legge in una nota – che, peraltro ha visto in questa giornata Unesco, il nostro Paese protagonista con due nuovi Geoparchi della rete mondiale su otto, non può che costituire un significativo ed ulteriore tassello nello sviluppo socio-economico delle micro-economie locali e nella tutela della geodiversità, intesa nella sua accezione di bene comune dell’umanità e non più rinnovabile». (ams)

 

È L’ANNO DELLE MINORANZE LINGUISTICHE
UN PROGETTO SULLA CULTURA ARBËRESHË

di PINO NANO – Nasce un importante progetto per la valorizzazione e il rilancio della cultura minoritaria arbëreshe nel meridione d’Italia. Il progetto è coordinato dalla Fondazione Universitaria Unical “F. Solano” con la partecipazione di cinque atenei italiani (Calabria, Palermo, Salento, Venezia-Ca’ Foscari e Milano “Statale”). E proprio in questi giorni è stata trasmessa alla commissione nazionale Unesco la proposta di candidatura della cultura immateriale degli albanesi d’Italia a patrimonio universale. Il 2021 deve diventare l’anno delle minoranze linguistiche: la Calabria ha un patrimonio di culture (occitana, arbëreshë e grecanica) da difendere, valorizzare e rilanciare in un progetto di ampio respiro che può diventare un’attrazione irresistibile per il turismo culturale ed esperenziale.

Ne parliamo con Francesco Altimari, presidente della Fondazione Universitaria Unical “F. Solano”, oggi uno degli accademici italiani più legati al mondo arbëreshë,  intellettuale calabrese puro, vero ambasciatore dell’Arbëria, professore universitario che ha girato il mondo solo per raccontare la magia delle tradizioni italo-albanesi della sua terra, scrivendo saggi di altissimo valore scientifico e accademico.

«A nome di un nutrito gruppo di lavoro costituito da illustri studiosi e da numerosi detentori e praticanti – dice – è stata presentata in questi giorni alla Commissione Nazionale Unesco dalla Fondazione universitaria Unical “Francesco Solano”, che ho l’onore di presiedere, la candidatura della cultura immateriale degli albanesi d’Italia a patrimonio universale”.

– Meraviglioso. Non si poteva immaginare di più, e di meglio, per il mondo degli italoalbanesi d’Italia. L’Arbëresh, dunque, patrimonio immateriale dell’Unesco. Professore Altimari, immagino sia fiero di tutto questo?

«Non posso dirlo io, ma intimamente lo sono, per aver portato a compimento, con la presentazione della candidatura una missione che non è personale. Essa ha coinvolto assieme a me tanti illustri studiosi e colleghi che hanno dedicato il loro tempo e la loro scienza allo studio di questi fenomeni culturali e con alcuni dei quali abbiamo lavorato strenuamente insieme in questi mesi difficili. Il progetto coinvolge soprattutto tanti gruppi, e semplici praticanti, che con tenacia hanno conservato nel tempo questa memoria».

– Una bella ambizione, non crede?

«La Fondazione Solano si è fatta solo interprete di questa missione primaria, portando avanti e coordinando, con i colleghi delle altre Università coinvolte, un lungo lavoro di ricognizione sul campo per individuare questa rete di tradizioni rituali che è stato da noi progettato e realizzato grazie alla collaborazione attiva di numerosi detentori e praticanti di tali elementi rituali, che coprono gran parte delle nostre comunità».

– Cosa intende con il termine “praticanti di elementi rituali”?

«Intendo fare riferimento a organizzazioni, gruppi e persone di varia estrazione sociale e culturale che nelle loro quaranta lettere di adesione auspicano che venga ora finalmente riconosciuto la peculiarità di questo loro ricco patrimonio che rappresenta il vero bene comune dell’Arbëria. Parliamo di un patrimonio sostanzialmente ignorato dalle istituzioni e salvaguardato materialmente sinora solo grazie all’impegno diretto dei gruppi di praticanti e alla tenacia delle comunità interessate. Si tratta anche di rilevanti “pratiche educative” che nel disinteresse generale hanno alimentato nel passato l’auto-tutela della comunità quando la nostra identità minoritaria non era ancora riconosciuta dallo Stato».

– Perché a questo progetto sui riti arbëreshë del ciclo della primavera avete dato il nome “Moti i Madh”? “Tempo Grande”?

«Moti i Madh vuol dire “Tempo Grande. Si tratta di un insieme di eventi di tipo musicale, coreutico, teatrale ecc, oggi inglobate all’interno del ciclo pasquale di tradizione cristiana orientale, che in parte continuano antiche ritualità della grande stagione della rigenerazione della natura e dell’umanità. Appunto, il “Tempo Grande”. È stato il genio di Girolamo De Rada a coniare questa espressione, che nella cultura albanese fa riferimento al tempo di Scanderbeg -. un passato che continua ad avere significato anche nel presente – ripreso anche dallo scrittore arbëresh Carmine Abate nel suo celebre romanzo – epopea degli arbëreshë Il mosaico del Tempo Grande.

– Ci fa un esempio?

«Dopo oltre mezzo millennio, come “tasselli” di un unico mosaico, questa rete di riti si ritrova tra gli albanesi d’Italia, coprendo l’intero arco del periodo primaverile, documentata da un ricco patrimonio di letteratura orale, che ha significative corrispondenze anche nei Balcani. Pensiano per esempio alla “Vallja” del periodo pasquale, con i canti di Scanderbeg, simbolo forte di una Arbëria “resiliente”. Pensiano alle suggestive cerimonie, comprese quelle nuziali, che si intrecciano con le celebri  “rapsodie” di Costantino e Garentina, o di Costantino il piccolo, ma anche ai canti paraliturgici dell’intero ciclo pasquale, alle cosiddette “kalimere,  al “banchetto degli invisibili”, per richiamare col titolo della celebre monografia del collega Mario Bolognari i coinvolgenti riti di commemorazione dei defunti nella nostra tradizione orientale, ma anche a tanti saperi tradizionali che ritroviamo nello spazio arbëresh, dall’Abruzzo alla Sicilia».

– È abbastanza non crede?

«Vede, quando si tratta di ridare volto vita e storia alla tradizione di un popolo come il nostro niente è mai abbastanza. Purtroppo essa è stata per troppo tempo sottovalutata e offuscata dal disinteresse e dall’incuria delle istituzioni. Ora gli altri questa tradizione ce la invidiano, non trattandosi come qualcuno si ostina ancora a credere, e a praticare, solo vuoto folklore, ma espressione di una civiltà “resiliente” che va riscoperta e rilanciata. In questa riscoperta della tradizione rientrano anche tanti prodotti tipici dell’artigianato, ma anche i ricchi costumi femminili arbëreshë, così come anche i prodotti della tessitura, nonché quelli dell’alimentazione, riferita sia ai cibi rituali che ai cibi tradizionali».

– Nel presentare oggi questo vostro progetto che aspettative nuove si aprono per il mondo arbëresh?

«Queste pratiche rituali, di cui chiediamo l’iscrizione nel registro Unesco delle buone pratiche della cultura immateriale, non sono solo nostre, ma testimoniano una eredità antica e un tempo comune a tutta l’area europea. E anche oltre. Esse per fortuna, nonostante le discriminazioni subite, sono ancora vive presso gli Arbëreshë, gli Albanesi d’Italia, storicamente presenti da circa sei secoli in 50 comunità in sette regioni italiane».

– Intuisco che non sempre vi siate sentiti difesi e tutelati?  

«Assolutamente vero. Purtroppo, la nostra minoranza, così come tutte le altre minoranze interne, come anche le consorelle minoranze grecaniche e occitane calabresi, a differenza delle iper-garantite minoranze di confine, sono rimaste ancora molto indietro e senza una adeguata tutela. Prive, come sono tutt’oggi di rappresentanza politica nelle diverse istanze elettive. Sia da parte dello Stato che da parte delle Regioni interessate. Rischiano pertanto seriamente di scomparire per sempre, per la forte pressione assimilatrice che subiscono dalla società globalizzata».

– Questo significa che l’Unesco potrebbe essere la chiave di volta di questo riscatto?

«Vede, il vero paradosso è che ciò avviene quando queste comunità minoritarie sono state riconosciute, ormai da oltre vent’anni, come minoranze linguistiche storiche dalla legge quadro nazionale n. 482/1999, anche se con mezzo secolo di ritardo dalla promulgazione della Costituzione repubblicana che all’art. 6 ne riconosce la tutela. Con un riconoscimento internazionale e prestigioso come quello garantito dall’Unesco, la nostra comunità potrà forse cominciare a ritrovare maggiore fiducia in sé, se vedrà riconosciuti i suoi beni culturali non come esclusività del proprio patrimonio erroneamente e riduttivamente ritenuto “etnico”, ma come patrimonio comune e condiviso di valenza universale. Speriamo che non sia troppo tardi.

– È stato un lavoro complesso?

«Quando si inseguono dei sogni, nulla è facile e scontato. E questo sogno, che non è mio personale, parte invece da molto lontano, Parte dall’azione di ricerca e sensibilizzazione promossa sinergicamente dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso dalle cattedre universitarie di Albanologia dell’Università della Calabria e di Palermo, allora rette dai nostri indimenticabili maestri, i proff. Francesco Solano e Antonino Guzzetta, e alla cui memoria va il nostro pensiero. Poi sono arrivato io, in tandem assieme con il carissimo amico e collega Matteo Mandalà, titolare della cattedra albanologica palermitana».

– Man mano che gli anni passavano il gruppo è diventato sempre più numeroso?

«In realtà questa nostra azione è stata portata avanti, perfezionata e resa poi funzionale grazie al concorso di un’equipe interdisciplinare, coordinata dalla Fondazione Solano, in cui in questi mesi sono stati coinvolti studiosi di altre cattedre universitarie di Albanologia, ma anche colleghi di Antropologia, di Etnomusicologia e di Storia delle culture afferenti alle Università della Calabria, di Palermo, del Salento, di Venezia e Milano “Statale”. Ma ci sono anche esperti di candidature Unesco, oltre che giuristi e informatici che collaborano con la Fondazione».

– Un lavoro di squadra intende?

«Una squadra di altissimo valore professionale e scientifico. Con me e Matteo Mandalà hanno collaborato Nicola Scaldaferri, Monica Genesin, Eugenio Imbriani, Giuseppina Turano, Giovanni Macrì e Battista Sposato. A loro, che in questi mesi che non si sono risparmiati nel mettere al servizio della comunità arbëreshe, con autentico spirito di volontariato, il loro impegno professionale per questo obiettivo comune, va il mio primo vero e grande grazie.

– Nella proposta all’Unesco c’è tutta la vostra storia e tradizione?

«Certamente si, anche se siamo ora solo alla prima tappa. In corso d’opera la proposta andrà rigorosamente implementata e ulteriormente documentata, partendo dalla dettagliata mappa che abbiamo già allestito e consegnato, che delinea gli ambiti di intervento nelle diverse aree albanofone, che attraverso la prima rete dei praticanti-collaboratori, a cui auspichiamo se ne aggiungano altri, coprono quasi tutta l’Arbëria. Tutto questo, come lei lo definisce, sono soltanto alcune delle tante espressioni culturali e rituali tipiche che rientrano in questa proposta di candidatura della cultura immateriale arbëreshe. Nella fase realizzativa saranno ovviamente coinvolte a ogni livello tutte le nostre comunità e in forme nuove di partecipazione, attraverso le nuove tecnologie, pensiamo di coinvolgere tutti i cittadini arbëreshë interessati, anche quelli che vivono oggi fuori dai nostri Comuni, nella “diaspora della diaspora”. Ma siamo aperti a condividere questo percorso con tutti i soggetti istituzionali e associativi che vorranno darci una mano, anche esterni alla comunità, che mostrano un reale interesse e hanno a cuore la nostra cultura, perché concepiamo l’Arbëria come un bene culturale comune».

– Rilevo, con ammirazione, che non siete soli, in questa non facile impresa…

«Per fortuna, no. Mi permetta di ricordare al riguardo l’autorevole sostegno dato a questa nostra proposta di candidatura dal FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano, certamente il più rappresentativo organismo che opera nel nostro Paese a livello nazionale in ambito culturale e ambientale: Tutto questo ha portato alla stipula di un apposito protocollo d’intesa tra il FAI e la nostra Fondazione per condividere insieme il percorso intrapreso per l’iscrizione dei riti e dei canti tradizionali del Moti i Madh nel registro di buone pratiche di salvaguardia, secondo la convenzione Unesco 2003. La delegazione FAI di Cosenza, guidata dall’avvocato Laura Carrattelli, è stata incaricata dalla sede nazionale e dalla sede regionale, di seguire con la propria attività collaborativa, tramite azioni di supporto e di promozione, l’evento connesso alla presentazione del dossier di candidatura della cultura immateriale arbëreshe».

– E il Mibact, il Ministero dei Beni Culturali?

«C’è anche quello, sì. Grazie alla sensibilità e all’attenzione ricevuta in questi mesi dalla Sottosegretaria del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Anna Laura Orrico, che ringraziamo per aver compreso la rilevanza di questo bene culturale che può e deve essere un fattore di crescita e di sviluppo delle nostre aree, soggette nell’ultimo decennio ad un pauroso crollo demografico che rischia di farle scomparire».

– Ma so che avete anche altri sostenitori importanti alle spalle…

«Sì, è vero! C’è l’apprezzamento e il supporto che è stato garantito alla proposta di candidatura Moti i Madh, che troverà forme di ulteriori collaborazioni e condivisioni, dal Governo della Repubblica d’Albania attraverso il Ministero della Cultura Albanese nelle persone del Ministro Elva Margariti, ma anche dal Vice-Ministro Meri Kumbe, che ringraziamo entrambe sentitamente per la concreta attenzione rivolta alla nostra cultura e per la proficua collaborazione avviata con la nostra Fondazione e con le cattedre universitarie italiane di albanologia».

– Vedo che trascorre anche questi giorni di festa chiuso in casa a lavorare al suo progetto, professore.

«Ma questa, mi creda, è la mia vita. Trovo del tutto normale agire inseguendo questa filosofia di vita. Alla fine, sono un uomo fortunato. Perché riesco a coniugare la mia passione con il mio impegno professionale. Oggi si parla tanto, soprattutto nel mio mondo accademico di “terza missione”, a proposito di quelle attività con cui l’Università, attraverso le sue risorse umane, scientifiche e tecnologiche, riesce ad intervenire sul territorio che la ospita contribuendo al suo sviluppo culturale, ma anche quello sociale ed economico. In virtù degli insegnamenti ricevuti dai nostri padri accademici, e per noi che ci occupiamo di albanologia, per giunta nelle regioni che ospitano gli Arbëreshë, è stato naturale, anzi direi scontato, operare con questo spirito di servizio. La definirei, la prima missione extra-moenia. Questi “nostri” progetti potranno dare un apporto concreto al nostro mondo, e potranno disseminare nella nostra comunità, ripeto ancora purtroppo non tutelata e senza difese immunitarie, quei saperi e quelle conoscenze scientifiche avanzate che possono invece contribuire fattivamente alla sua crescita».

– Come crede che andrà a finire?

«Il progetto, dicevo, è stato avviato e siamo alla prima tappa. Per arrivare al traguardo bisogna continuare a lavorare intensamente e di buona lena. Serve ancora costituire delle reti di collaborazione articolate, che coinvolgano gli enti preposti, le associazioni, gli studiosi, i singoli operatori culturali e scolastici, i musei e le scuole del territorio, e via di questo passo. Quello che oggi è fondamentale fare è una efficace disseminazione e condivisione dell’esperienza legata a questa candidatura».

– È vero che punterete in futuro anche su esperti e studiosi più giovani rispetto a lei professore?

«Certamente sì. Ma già ora noi contiamo di avvalerci del contributo dei nostri valenti giovani laureati, e di altre qualificate ed importanti professionalità, che per fortuna non mancano nel nostro mondo. Alcuni di loro sono già attivamente impegnati nei nostri progetti. Ma contiamo soprattutto nell’apporto nel comitato scientifico di altri insigni specialisti, italiani e albanesi, a conferma del grande e riconosciuto valore scientifico che tali specificità rivestono non solo per la nostra cultura, ma anche per la ricostruzione, come dicevo, dell’antica base culturale comune della nostra Europa».

-Insomma, mi pare di capire che, comunque vada, sarà un successo?

«L’ha detto lei. Io lo prendo come un augurio per il 2021. Grazie, comunque, per quanto anche voi farete per noi, e per la nostra causa». (pn)

ASPROMONTE, IL RICONOSCIMENTO UNESCO
CON L’AMBIZIONE DI DIVENTARE GEOPARCO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Era il 2 marzo 2017 quando il Parco Nazionale dell’Aspromonte ha inviato la sua candidatura per entrare a far parte della rete globale dei geoparchi dell’Unesco:  nella giornata di ieri, ha ricevuto il disco verde dal Quinto Consiglio dei Geoparchi Unesco. Il sogno sta diventando realtà. Un riconoscimento ambito e importante che qualifica e valorizza un Parco straordinario dove la biodiversità trova la sua espressione più completa, un Parco e una regione che il mondo così comincerà a conoscere un po’ di più.

Si tratta di un primo importante traguardo per il Parco che – candidatosi insieme al Parco della Maiella, in Abruzzo – ambisce a diventare l’11esimo geoparco nazionale, quella rete di territori che possiedono un «patrimonio geologico particolare e una strategia di sviluppo sostenibile sorretta da un programma europeo idoneo a promuovere tale sviluppo», che comprendono un certo numero di siti geologici di particolare importanza in termini di qualità scientifica, rarità, valore estetico o educativo e che possiedono un ruolo attivo nello sviluppo economico del suo territorio attraverso la valorizzazione di un’immagine generale collegata al patrimonio geologico ed allo sviluppo del geoturismo.

Una sfida ambiziosa per l’Ente guidato da Leo Autellitano e che ha visto impegnato, in prima persona, il compianto direttore Sergio Tralongo, che ha ideato un progetto dal titolo Aspromonte Geopark: Terre Migranti, «ovvero la geologia come profezia dei territori determinati dagli eventi, svincolati da confini stabili, immateriali, capaci di proiettarsi nel futuro in chiave antropologica, cultura,e sociale, filosofica, ambientale, umana; il geoparco non pi contenuto in un perimetro fisico ma libero e aperto alle esperienze e al confronto dei popoli. È un sogno, un obiettivo, una responsabilità collettiva».

L’obiettivo, è quello di «essere parte della Rete mondiale dei Geoparchi e lavorare in sinergia per favorire l’implementazione e la coesione della stessa rete, nonché dare l’opportunità alle imprese locali di promuovere la creazione e commercializzazione di nuovi prodotti e servizi collegati al patrimonio geologico, in uno spirito di complementarità con gli altri membri della rete».

Come si legge nelle slide preparate dall’Ente, «un Geoparco Aspromonte è prodotti agricoli e dell’artigianato locali, cooperazione internazionale e networking, scambio di esperienze e progetti formativi tra membri del network» e, sopratutto, «è futuro».

Il via libera del Consiglio ai geoparchi  – ha evidenziato Pier Luigi Petrillo, a capo dei negoziatori ministeriali – riconosce la qualità del lavoro svolto dai due parchi in risposta alle raccomandazioni adottate nel 2018 e nel 2019 sui dossier trasmessi. Ora, la parola passa all’Executive Board dell’Unesco che, nella prossima primavera, sarà chiamato a confermare le valutazioni tecniche a favore dei due nuovi siti italiani e di quelli proposti da altri paesi (Germania, Indonesia, Finlandia, Polonia, Danimarca e Grecia)».

«Con questo primo via libera tecnico – ha osservato il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa – l’Italia torna a essere protagonista anche in questo settore dell’Unesco, potenziando la rete delle Zone economiche ambientali e offrendo agli altri Paesi membri dell’agenzia delle Nazioni Unite un modello di crescita che sappia coniugare la salvaguardia dell’ecosistema e lo sviluppo dei territori. L’Unesco conferma, così, l’efficacia di politiche che puntano, in modo consistente, sui parchi nazionali. Basti pensare che l’ultima legge di bilancio stanzia a favore dei parchi e per lo sviluppo delle Zone economiche ambientali oltre 150 milioni di euro in azioni e progetti concreti».

Il parco dell’Aspromonte, istituito nel 1989 in Calabria, comprende 37 Comuni e la provincia di Reggio Calabria e si estende per 65 milioni di ettari in una collocazione geografica unica, stretta tra Mar Ionio e Tirreno, che affaccia su panorami che abbracciano lo Stretto di Messina, l’Etna, le isole Eolie, i territori greci calabresi, il territorio di Locri e la Piana di Gioia Tauro.

Ad oggi, nella rete di eccellenza Unesco risultano scritti 161 parchi in 44 paesi. I geoparchi italiani riconosciuti nelle rete globale Unesco sono 9, ovvero: Madonie (2004), Rocca di Cerere (2004), Beigua (2005), Adamello-Brenta (2008), Cilento Vallo di Diano e Alburni (2010), Colline metallifere toscane (2010), Alpi Apuane (2011), Sesia-Val Grande (2013) e Pollino (2015). Il parco della Maiella, localizzato in Abruzzo dove si trova il massiccio più singolare dell’Appennino, si estende per oltre 74 milioni di ettari tra le province di Pescara, L’Aquila e Chieti, includendo 39 Comuni, e offre un affascinante paesaggio montano costituito da numerosi rilievi carbonatici che superano o sfiorano i 2000 metri, separati da valli e da pianori carsici.

Riuscire a entrare a far parte della rete globale dei geoparchi dell’Unesco, sarebbe un prestigioso traguardo non solo per il Parco Nazionale dell’Aspromonte, che vanta un patrimonio culturale e naturalistico senza precedenti, ma anche per tutta la Calabria che, in caso di conferma da parte del prossimo Consiglio esecutivo dell’Unesco, in programma a marzo, potrà ‘vantare’ di avere ben due geoparchi Unesco, dato che il Parco del Pollino ne fa già parte. (ams)

Patrizia Nardi, responsabile del Comitato scientifico Unesco

Il nome di Patrizia Nardi è molto conosciuto tra gli addetti ai lavori per l’intensa attività culturale che l’ex assessore al Comune di Reggio ha svolto e svolge tutt’ora. Reggina, orgogliosamente calabrese, Patrizia Nardi ha appena ricevuto il prestigioso incarico UNESCO di responsabile del CSICH – Comitato scientifico per il Patrimonio culturale immateriale per la sua costituzione.

La nomina è stata assegnata presso l’Università Roma Tre nel corso dell’assemblea nazionale di ICOMOS Italia – International Council On Monuments and Sites, organizzazione non governativa associata all’UNESCO. Un impegno che l’eccellente Patrizia porterà avanti con l’usuale determinazione e la sua straordinaria competenza in ambito culturale.

ICOMOS

Su FB, la Nardi ha voluto esprimere la sua felicità e la soddisfazione per l’importante riconoscimento. «Una novità assoluta negli obiettivi ICOMOS – ha scritto – e una bella prospettiva in favore di questo aspetto del patrimonio culturale italiano a me molto caro, che si avvarrà delle competenze di alte professionalità del settore. Ringrazio il Presidente Pietro Laureano, il Consiglio direttivo e l’Assemblea dei soci, Rosa Anna Genovese coordinatrice dei Comitati Scientifici di Icomos Italia».

«Ringrazio molto “la squadra” con la quale condividerò quella che immagino come una bellissima esperienza: Maurizio DiStefano, che mi ha incoraggiata in questa nuova sfida, che sarà italiana e internazionale; Luca Fabbri, Gianni BonazziMaria Grazia Bellisario Teresa Coletta, Olimpia Niglio, Francesco Calabrò , Carmen De Luca e tutti i colleghi soci che risponderanno alla call interna. Ringrazio l’Associazione Delle Fondazioni Universitarie Italiane e la Fondazione Gabriele D’Annunzio nella persona di Luigi Capasso, che sosterrà il lavoro del Comitato. E Francisco Javier López Morales, che seguirà i nostri passi». Complimenti da tutta la Calabria! (rrm)

PARCO D’ASPROMONTE VERSO UNESCO E SCAVI ARCHEOLOGICI: INIZIATIVE A REGGIO

13 luglio- Una due giorni dedicata alla candidatura del Parco d’Aspromonte alla Rete dei Geoparchi dell’Unesco e il futuro degli scavi di piazza Garibaldi. Oggi e domani a Reggio a cura del Comitato Corso Sud e Parco Nazionale d’Aspromonte si parlerà, in piazza Garibaldi, accanto agli scavi, dalle 18 alle 20, delle iniziative per sostenere la prestigiosa candidatura Unesco e individuare soluzioni per l’area archeologica scoperta accanto alla Stazione Centrale.
Oggi in primo piano il Parco d’Aspromonte con un dibattito pubblico, aperto alla cittadinanza, che vedrà la partecipazione di esponenti del Parco, della Regionem dell’Amministrazione Comunale e della Sovrintendenza Archeologica.

Il sindaco Falcomatà davanti agli scavi di piazza Garibaldi

Domani, invece, si discuterà del futuro degli scavi di piazza Garibaldi e il titolo dell’incontro “Opportunità o degrado” è già indicativo degli obiettivi che si propongono gli organizzatori. Saranno difatti presentate due proposte progettuali per la sistemazione della piazza e degli scavi, una della Sovrintendenza archeologica, l’altra elaborata dal Comitato Corso Sud. Nell’occasione sarà anche presentato il primo censimento dei siti archeologici presenti nel Parco Nazionale d’Aspromonte. (rrc)