In un dibattito promosso dall’Arel ricordato il 50° anniversario dell’elezione di Andreatta a Rettore dell’Unical

di FRANCO BARTUCCI – La frontiera della crescita: Scuola, Educazione, Formazione, è stato il tema di un seminario a distanza, con una diretta sul canale YouTube, promosso dall’Agenzia Arel di ricerche e legislazione, fondata dal prof. Beniamino Andreatta, per presentare il primo numero/2021 della rivista Arel, avendo come titolo Uguaglianza, con la partecipazione del prof. Paolo Guerrieri, già docente di Economia presso La Sapienza di Roma e visiting Professor presso l’Università californiana di Berkeley, nonché del ministro all’Istruzione, prof. Patrizio Bianchi, dell’Università di Bologna, con la conclusione di Enrico Letta, presidente dell’Arel e della “Jacques Delors Institut – Notre Europe”, con sedi a Parigi e Berlino. Un dibattito moderato da Mariantonietta Colimberti, direttore responsabile della stessa rivista.

«Un numero della rivista – ha dichiarato il ministro Patrizio Bianchi, nel suo intervento – che sarebbe piaciuto molto al professore (così veniva chiamato da tutti Andreatta nella sua Bologna) per i temi trattati e gli argomenti sviluppati grazie al coinvolgimento di tanti giovani».

Un contesto di argomenti trattati nella rivista, alla luce degli effetti creati dalla pandemia, che ha pure attivato, attraverso l’intervento del direttore Mariantonietta Colimberti, un momento di intenso ricordo del prof. Beniamino Andreatta che il prossimo 28 maggio ricorre il cinquantesimo anniversario della sua elezione a Rettore dell’Università della Calabria.

«In una società inclusiva – ha affermato nel suo intervento d’introduzione del dibattito – al primo posto devono essere i luoghi e le attività dove si formano le donne e gli uomini di domani: scuola e università, dunque.E allora in questa sede vorrei ricordare che esattamente il 28 maggio di cinquant’anni fa Nino Andreatta veniva eletto rettore della nascente Università della Calabria, che sarebbe sorta sulla collina di Arcavacata di Rende (Cosenza). Una scommessa vinta, un’impresa titanica e innovativa condotta da un uomo del Nord nel profondo Sud degli anni Settanta. La Calabria era una regione segnata da due primati negativi: quello della più alta emigrazione e quello del più basso reddito. Proprio un censimento del 1971 certificò che in un secolo gli emigrati erano stati più numerosi della popolazione residente. Emigravano i poveri, ma emigravano anche i figli dei ricchi, andando a studiare nelle università del Nord o all’estero».

«Andreatta – ha aggiunto – ha una visione: creare al Sud “una città di giovani”, ai quali offrire (sono parole sue), “in una terra abituata a vedere i suoi figli partire, un motivo per restare”. La sua università sarà residenziale per professori e studenti, l’ammissione avverrà per punteggio frutto di un mix di reddito e merito, con prevalenza del primo, lo studio dell’inglese sarà obbligatorio. Un’università viva, “aperta al mondo” e collegata a università straniere, ma anche vicina al territorio, tanto che a dicembre ’72 invia professori e studenti – lui stesso li raggiunge più volte – a dare il loro aiuto a Fabrizia, vicino Catanzaro, devastata da una grave alluvione. A dare aiuto e a studiare il dissesto geologico».

«Cinquant’anni dopo – ha proseguito – sulla rivista da lui creata, abbiamo invitato ragazzi di liceo, adolescenti italiani e stranieri, a misurarsi sul tema dell’uguaglianza in una apposita sezione a loro dedicata. Isabel Andreatta, nipote diciassettenne del nostro fondatore, studentessa in Giappone in uno United World College, ha intervistato altri studenti provenienti da parti diverse del mondo; mentre le professoresse Barbara Maso e Giusy Trimarchi, docenti in due licei romani (il Convitto Nazionale e il Liceo Montale) hanno selezionato gli scritti dei loro allievi ai quali avevano sottoposto due tracce e una giuria formata dalla nostra redazione ha scelto i temi da premiare con la pubblicazione. Della parola proposta i ragazzi hanno approfondito tanti aspetti, compresa la sua ambiguità: dunque uguaglianza non soltanto come risultato di giustizia sociale e non discriminazione, ma uguaglianza anche come pericolo di omologazione, di conformismo, di perdita di identità».

«L’uguaglianza è anche una parola estremamente concreta, che la pandemia – è riportato nel testo di presentazione della rivista – ha reso ancora più significativa nella sua declinazione negativa. Le disuguaglianze, infatti, sono cresciute, in molti casi drammaticamente. Decenni di lotta contro il razzismo, le ingiustizie sociali le discriminazioni sessuali stanno lì a dirci che ancora oggi, pur con contenuti che si aggiornano, l’uguaglianza resta un obiettivo, un’aspirazione, un diritto da conquistare».

Un numero della rivista in cui trovano spazio testimonianze e interviste in cui gli illustri interlocutori parlano di politiche pubbliche: sanità, università, fisco, edilizia, trasporti, digitalizzazione e altro ancora, tutti settori da sempre sotto la lente di ingrandimento.

«Per anni, forse per decenni – ci dice il direttore Mariantonietta Colimberti – parole come “crescita” e “produttività” da una parte e “giustizia sociale”, “uguaglianza” dall’altra sono state considerate antitetiche, in contrapposizione, spesso anche nel campo progressista. Quell’approccio ha fatto sì che le nostre democrazie si sbilanciassero su una dimensione, quella del profitto, dimenticando il dovere costituzionale di promuovere l’uguaglianza. Oggi le cose stanno cambiando e il pensiero prevalente degli studiosi più accorti va nella direzione del recupero di attenzione alla giustizia sociale, all’uguaglianza delle opportunità, alla promozione dell’ascensore sociale, ancora bloccato. Ce lo dicono le interviste e gli interventi pubblicati. Fabrizio Barca, Carlo Trigilia, Gianfranco Viesti, Innocenzo Cipolletta e Paolo Guerrieri concordano sulla necessità di una “crescita”, di uno “sviluppo”, inclusivi. E a proposito di uguaglianza evocativa di giustizia sociale e di inclusione, vi è una sezione a “The economy” di Papa Francesco, che quanto a messaggio di comunità è un leader mondiale assoluto, aperta con un’intervista a suor Alessandra Smerilli, economista e coordinatrice in Vaticano della task force Economia».

A tutto questo, si aggiungono tanti altri interventi rivolti alle nuove generazioni: accanto a studiosi affermati ed esponenti delle istituzioni trovano spazio e ascolto coloro che si stanno formando e alle ricerche di giovani accademici, che in questo numero hanno sviscerato applicazioni e potenzialità dell’intelligenza artificiale in relazione all’uguaglianza in una sezione curata da Federica Merenda (della Scuola Sant’Anna di Pisa). Attraverso l’indice si riscontrano altri nomi come: Stefano Sannino, Mauro Petriccione, Ferdinando Salleo, Baskhar Sunkara; quelli istituzionali con Carla Bassu, Marianna Madìa e Alessandro Zan; lo sport con Sara Gama, la psicoanalisi con Sarantis Thanopulos, Sauro Mezzetti, Pio d’Emilia e Romeo Orlandi

Enrico Letta ha concluso il dibattito sottolineando l’importanza della scuola e della formazione nell’educazione all’uguaglianza. In questo ambito, la priorità va alla qualità dei docenti, che devono essere capaci di promuovere un’uguaglianza sostanziale, non formale, perché, come diceva don Lorenzo Milani, «non c’è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali». (fb)

                                                                                     

BUON COMPLEANNO UNICAL, 50 ANNI OGGI
DA COSENZA, UN MODELLO DI ECCELLENZA

di FRANCO BARTUCCI – Il 16 aprile 1971 il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, firmava il decreto che assegnava a Cosenza il diritto di avere nella sua area territoriale la prima università statale calabrese, dopo che il Consiglio dei Ministri, presieduto dall’on. Emilio Colombo, nella seduta del 16 febbraio 1971, con sottosegretario alla Presidenza del Consiglio l’on. Dario Antoniozzi, ne aveva approvato  lo schema  progettuale e la bozza del decreto presidenziale, prendendo atto  della indicazione favorevole che veniva data dal CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) nella seduta del  3 luglio 1970.

L’Università della Calabria è entrata oggi, con questi atti ed azioni governative di cui sopra, nel suo cinquantesimo anniversario della nascita, che a breve, seguendo le date di quell’anno, la vedrà ripercorrere altri importanti momenti, per fare memoria alle nuove generazioni,  in quanto costituiscono l’inizio di un percorso storico che man mano andrà a crescere, come la data del  dal 28 aprile 1971, in cui il Ministro della Pubblica Istruzione, on. Riccardo Misasi, nominerà, con relativi atti ministeriali, il Comitato Tecnico Amministrativo e i Comitati Ordinatori delle quattro Facoltà: Ingegneria, Scienze Economiche e Sociali, Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, Lettere e Filosofia.

Non si conosce ancora cosa sarà fatto all’interno dell’Università per commemorare questo importante anniversario che si concluderà nel 2022 con il cinquantesimo anniversario del primo anno accademico 1972/1973, che vide le prime seicento  matricole invadere la città di Cosenza con tanto entusiasmo, partecipazione e speranze.

Intanto è il caso di ricordare il Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, che nel firmare il Decreto certamente avrà pensato a quanto promise il 17 aprile 1966 ai cittadini di Rende, in occasione di una sua visita istituzionale invitato dal Sindaco, on. Francesco Principe, avendo al suo seguito anche l’on. Sandro Pertini.

Nel suo discorso affrontò il tema relativo all’ istituzione di una Università in Calabria e disse: «Quando noi potremo dire che l’intelligenza si forma in Calabria più numerosa di quanto non si formi oggi; che non emigra più tutta, o quasi tutta, ma può essere valorizzata nelle città calabresi; che dalla sua valorizzazione derivano iniziative nel campo economico e in quello civile a beneficio della regione, allora potremo anche dire di essere riusciti negli intenti che oggi ci proponiamo». E ancora sull’ università in Calabria una migliore puntualizzazione: «Per la Calabria, ne dovrebbe derivare non solo e non tanto, a breve termine, un beneficio diretto di valorizzazione economica, ma anche e soprattutto, a più lungo termine, un beneficio diretto di promozione civile. Comunque sia, è contro lo spreco delle risorse umane della Calabria che dobbiamo lottare con tutti i mezzi. Molto dipende dallo Stato e molto, naturalmente, dipende dai calabresi, dalle classi dirigenti che la Calabria sarà in grado di esprimere, dalla interpretazione che queste classi dirigenti sapranno dare delle esigenze di sviluppo della regione, dal modo che sapranno trovare di far valere queste esigenze sul piano nazionale, dalle iniziative che qualificheranno l’azione di ceti differenziati, animatori di una sempre più articolata realtà sociale, plasmata dalla pratica della democrazia, anche e soprattutto in regioni che fino a ieri sono state tenute nell’immobilità, fra il vecchio che era duro a morire e il nuovo che stentava a nascere».

Il nome del Presidente Saragat sarà successivamente legato alla legge 12 marzo 1968 n. 442 istitutiva dell’Università della Calabria, che porta la sua firma, su approvazione, sia della Camera che del Senato, a seguito della presentazione del testo da parte dal Governo, presieduto dall’on. Aldo Moro. Il testo di legge, che verrà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 103 del 22 aprile 1968, porta inoltre la firma, oltre ai presidenti Saragat e Moro, quelle dei Ministri: Gui, Pieraccini, Colombo, Pastore e Giacomo Mancini, che insieme ad Antonio Guarasci, presidente della Provincia di Cosenza, ed altri furono legati in un rapporto stretto di collaborazione per disegnare per la Calabria un progetto di una Università  innovativa in campo nazionale.

Il Decreto del Presidente Saragat che stabiliva la nascita dell’Università degli Studi della Calabria nella zona del cosentino veniva ampiamente pubblicizzato dagli organi di stampa locali e nazionali con dei titoli molto impegnativi: «L’Ateneo calabrese a Nord di Cosenza. L’Istituto dovrà servire da modello non solo all’Italia ma a tutta l’Europa. La parola ai tecnici» (Il Mattino); «L’Ateneo dovrà essere un modello non solo in Italia ma in tutta Europa». (Il Tempo). Bastano questi due titoli per focalizzare bene le attese di quei giorni e al Rettore, prof. Nicola Leone, per prepararsi a celebrare degnamente questo evento del cinquantesimo anniversario della nascita dell’Università della Calabra, per saper leggere ed analizzare il passato e predisporsi ad affrontare il futuro in sicurezza, fortificati dalla conoscenza delle radici di partenza, nelle quali si possono trovare nuovi stimoli e traguardi di crescita e sviluppo. (fba)

Intelligence: al Master di Unical spiegato come funziona l’ecosistema informativo globale

C’è un ecosistema informativo globale alla base delle tecniche e delle metodologie adottate dalle agenzie d’intelligence governative: certe decisioni maturano in base all’elaborazione, più che sofisticata, di milioni di informazioni. Chi possiede le informazioni detiene il potere. È questo il succo, in estrema sintesi, della lezione tenuta all’Unical, al master di Intelligence dal prof. Antonio Teti, responsabile del Settore Sistemi Informativi e Innovazione Tecnologica di Ateneo e docente dell’Università “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara. Il master di Intelligence, all’Unical, è guidato dal prof. Mario Caligiuri e non finisce mai di sorprendere per la complessità che si celano dietro l’utilizzo scientifico delle informazioni. Il tema della lezione è stato “L’intelligence nel XXI secolo? C’è bisogno dei cittadini” e già il titolo lascia intuire come sia necessario il coinvolgimento della popolazione per la raccolta e l’elaborazione dei dati.

Teti ha affermato che «l’utilizzo del Cyberspace, soprattutto nell’ultimo decennio, ha raggiunto una rilevanza assoluta nelle attività condotte dai Servizi poiché fornisce strumenti straordinari per gli operatori di intelligence. Le operazioni di intelligence non sono condotte solo dalle tradizionali agenzie di intelligence governative, ma utilizzate anche da una molteplicità di entità, come i partiti politici, le aziende, i personaggi dello spettacolo, le forze dell’ordine e le organizzazioni no-profit. La globalizzazione ha prodotto la nascita di un ecosistema informativo globale, in cui si annidano informazioni e dati che possono essere acquisiti rapidamente e in tempo reale, con tecniche e metodologie impensabili fino a pochi anni fa. Il tutto per produrre un “prodotto di intelligence” da offrire ai vertici dell’organizzazione il quali devono assumere in tempi rapidissimi le migliori decisioni da assumere in quel particolare momento. L’informazione è potere e la preziosità dei dati viene definita in funzione della capacità di saperle “raffinare” e “fonderle”. Vincerà chi sarà in grado di distinguere l’informazione dalla disinformazione, e chi saprà avvalersi di specifici algoritmi basati su piattaforme di intelligenza artificiale in grado di elaborare continuamente il flusso dati generati dal web e dai social.

«Noi tutti – ha spiegato il prof. Teti – immettiamo quotidianamente, spesso senza rendercene conto, informazioni di ogni genere, finanche riservate, all’interno del mondo virtuale. Sono informazioni che possono rivelare molto di noi, delle nostre pulsioni, dei nostri comportamenti, dei nostri pensieri e perfino dei nostri più intimi desideri. Persino le “emoticons” che inseriamo nei post possono essere analizzate da applicazioni in grado di valutare il “sentiment” dell’individuo. È necessario, quindi, essere consapevoli del valore di ogni singola e apparentemente insignificante informazione che inseriamo all’interno del web, poiché rimarrà per sempre nella Rete, anche in contrasto con le normative internazionali che tendono a garantire la tutela della privacy o il cosiddetto “diritto all’oblio”. Non è più possibile pensare – continua il docente – che sussista ancora una linea netta di demarcazione tra il modo reale e quello virtuale. Tutto ciò che produciamo nel mondo virtuale ha delle conseguenze su quello reale e viceversa».

«Lo smartphone – ha spiegato il prof. Teti – è diventato un prolungamento del nostro corpo, lo strumento che soddisfa in nostro irrefrenabile bisogno di sentirci costantemente online. Basti considerare che solo in Italia abbiamo circa 80 milioni di connessioni basate su dispositivi mobili. I cellulari sono il principale strumento che consente di svolgere tutte le attività legate alla sfera personale, professionale, formative e lavorative. La predilezione dell’utilizzo dei social è riferibile soprattutto alle due maggiori peculiarità che possiedono: semplicità e rapidità di utilizzo. Ed è per questo motivo che rappresentano il “piatto più ghiotto” per la conduzione delle attività di intelligence. Non è certamente un caso che le prime quattro applicazioni maggiormente utilizzate in Italia nel 2020 siano state YouTube, WhatsApp, Facebook e Instagram. È stato calcolato, ad esempio, che in soli sessanta secondi vengono creati 701.389 login su Facebook; 69.444 ore di video guardati su Netflix; 150 milioni di email inviate; 1389 corse prenotate su Uber; 527.760 foto condivise su Snapchat; 2,78 milioni di video visualizzati su YouTube ; 347.222 nuovi tweets e 38.194 post su Instagram».

«Non è certamente un caso che le figure maggiormente richieste per svolgere queste attività di ricerca, acquisizione e raffinazione delle informazioni siano i Data Scientist, ovvero quegli “scienziati dei dati” in grado di valorizzare le informazioni presenti nel “mare magnum” di internet, trasformandole in un prodotto di intelligence.

Il mondo virtuale rappresenta una sorta di ecosfera in cui è possibile liberare a livello emozionale tutti i desideri più reconditi che mai sarebbero svelati nella vita reale. Il Cyberspace azzera completamente, a livello inconscio, tutti i timori della psiche dell’individuo, trasformando integralmente le sue metodologie comportamentali. Il mondo virtuale consente anche di eliminare la risposta immediata tipica dell’interazione diretta, che impone risposte immediate; nel mondo virtuale l’interazione viene stravolta, e i tempi di risposta possono essere gestiti a proprio piacimento. Questa sorta di “zona sicura” rappresenta un elemento di grandissima utilità per le attività di ricerca e acquisizione di informazioni.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che l’interazione tra le varie piattaforme hardware e software è un processo consolidato. Le piattaforme per condurre efficacemente e a costi ridottissimi delle attività di intelligence sono ormai fruibili a tutti i livelli.

Vale come esempio la produzione di falsi profili per cercare di carpire le informazioni per mezzo dei “fake profile”. Tali profili possono essere generati da sistemi di machine learning denominati Generative Adversarial Network (GAN), in grado di generare dei volti falsi ma straordinariamente reali. Il più popolare è il portale web ThisPersonDoesNotExist.com (https://thispersondoesnotexist.com/). Questa piattaforma è stata utilizzata per la conduzione di una delle più eclatanti operazioni di intelligence del 2019. Si tratta del caso noto come “Katie Jones”, per mezzo della piattaforma LinkedIn. Utilizzando la tecnica “attractingtargets”, destinata ad attrarre possibili bersagli di interesse, il profilo falso di una giovane ed avvenente ragazza (Katie Jones) è riuscito ad accumulare più di 52 collegamenti “reali” che hanno fornito numerose informazioni “riservate”. Tra le quali diverse personalità di spicco, comparivano politici di Washington, come un vice Segretario di Stato aggiunto, un senior assistant di un senatore e un noto economista della Federal Reserve.
Non è semplice comprendere se il profilo con il quale si entra in contatto all’interno di un social media corrisponde ad una identità reale o falsa, poiché l’analisi del profilo osservato è circoscritta a ciò che l’applicativo mostra.

Le informazioni fluttuano da un dispositivo all’altro in maniera del tutto inconsapevole. Questo scenario è destinato a complicarsi con l’avvento dell’Internet of Things (IoT), ossia con la possibilità di collegare, ad esempio, la nostra automobile ad Internet così come altri dispositivi che noi usiamo comunemente. In questo modo anche la più piccola informazione rappresenta un elemento indispensabile per comporre un puzzle ed ottenere una serie di indicazioni utili per i processi decisionali.
«La relazione virtuale – secondo il docente – presuppone da parte dell’operatore di intelligence, un approccio psicologico e sociologico particolare. Bisogna che l’operatore utilizzi la cosiddetta Social Penetration Theory, sviluppata nel 1973 da Irwin Altman e Dalmas Taylor, i quali sostenevano che le relazioni si formano e si sviluppano man mano che le informazioni vengono scambiate gradualmente tra due o più persone. Gli individui coinvolti nella relazione si scambiano le informazioni in funzione dell’analisi costi-benefici, quando i benefici percepiti superano il rischio di divulgare informazione si formerà una relazione e le poche barriere che tendevano a mantenere protetta l’area più intima, più personale dell’individuo vengono abbattute e si attiva una relazione diretta. Questa metodologia si basa su una serie di step attraverso cui l’operatore di intelligence deve studiare le caratteristiche dell’individuo con il quale vuole interagire. Deve verificare la quantità e la tipologia delle informazioni scambiate per comprendere, ad esempio, gli interessi del proprio interlocutore, le sue di peculiarità caratteriali, come reagisce di fronte alla trattazione di un determinato argomento, qual è il suo orientamento politico.

Tali metodologie possono essere utilizzate solo attraverso una serie di strumenti che sempre di più oggi richiedono l’uso di algoritmi e dispositivi particolari ovvero di piattaforme e di Machine Learning. È indispensabile utilizzare delle piattaforme di apprendimento automatico, perché le informazioni che vengono prodotte in rete sono talmente tante che è praticamente impossibile fare un’analisi “manuale”.

Inoltre, le piattaforme di Machine Learning possono consentire di effettuare il sentiment analysis, ovvero elaborare e attribuire un “senso” a tutti i post, i tweet, gli hashtag prodotti sui social media come Facebook, Instagram, Twetter. Sulla base di queste informazioni raccolte, nel momento in cui ad esempio un personaggio politico fa un’esternazione è possibile capire che tipo di sentiment viene generato: positivo, negativo o neutro e quante volte quella notizia viene condivisa.

Il docente ha poi fatto riferimento al Deep Web al Dark web. Se il Surface web – ha detto – è un web di superficie dove sono presenti le informazioni che tutti possono conoscere, all’interno del Deep Web e soprattutto del Dark Web, che rappresenta circa il 96% dell’intera rete, è possibile prelevare informazioni di ogni genere non prelevabili per mezzo dei più comuni motori di ricerca. Si tratta di metadati prelevati e presenti ad esempio all’interno dei forum non controllati da password, oppure di informazioni presenti nelle VPN (Virtual private network) o accessi a siti web che forniscono accessi free temporizzati.
L’obiettivo, da un punto di vista tecnico, del dark web è quello di rendere anonimo l’indirizzo IP. È utilizzata principalmente per traffici illegali quali la compravendita di armi, il traffico di stupefacenti ma anche per la propaganda politica terroristica, la pornografia e pedofilia, quindi una buona parte che viene dal web oscuro è occupato da attività criminali. Tuttavia, in questo mondo sommerso, sono presenti non solo i criminali ma anche esponenti delle forze dell’ordine e delle Agenzie d’ intelligence.

«Oggi – ha concluso il docente – si inizia ad intravede una nuova forma di attività di intelligence, che prevede la collaborazione dei cittadini, e viene definita come “Intelligence collettiva”. Tale forma di intelligence collettiva viene utilizzata da molti Stati nel mondo. La Cina nel luglio del 2018 ha, addirittura, varato una legge che impone a tutti i cittadini sia residenti che non residenti nel Paese di fornire qualsivoglia informazione che possa essere utile in termini non solo di sicurezza nazionale ma anche in termini di vantaggio economico. Pertanto, un cittadino cinese che opera in una struttura di ricerca straniera ha il dovere di fornire informazioni che possono consentire di diminuire la competitività del Paese ospitante e migliorare la competitività della Cina. Questa attività apre scenari e risvolti nuovi sul piano dello spionaggio internazionale e tuttavia la strada ormai è tracciata, poiché sempre di più a un livello internazionale si ricerca la collaborazione dei cittadini per svolgere attività d’intelligence». (rcs)

[Immagine di copertina courtesy Fondazione Democenter]

Unical nomina Maria Stella Ciarletta Consigliera di fiducia contro le discriminazioni

Nominata all’Università della Calabria la prima Consigliera di fiducia, una figura esterna che sarà un riferimento preciso per contrastare discriminazioni, molestie e abusi. Chiunque studi o lavori all’interno dell’Università della Calabria e ritenga di essere vittima di un atto o di un comportamento lesivo della dignità della persona, da oggi, dunque, potrà rivolgersi alla Consigliera di fiducia.
L’Unical, su decisione del rettore Nicola Leone, ha infatti nominato per la prima volta questa figura esterna, che consolida l’impegno dell’Università della Calabria nel contrasto alla violenza e a tutte le discriminazioni di genere.
«È nostro preciso obiettivo – ha commentato il Rettore – garantire il diritto alla tutela da qualsiasi atto o tipo di comportamento discriminatorio, per assicurare pari dignità e libertà a tutte le persone che vivono e operano all’interno dell’Università».
La vincitrice del bando è Maria Stella Ciarletta, avvocata ed ex consigliera regionale di Parità della Calabria, che il primo marzo riceverà ufficialmente l’incarico per la durata di 12 mesi.
La nomina della Consigliera di fiducia è il risultato della collaborazione delle diverse strutture che all’Unical si occupano di questioni di genere e pari opportunità (CUG, Ufficio Pari opportunità e Centro di Women’s Studies), che hanno promosso l’istituzione di questa figura dal 2019, trovando piena accoglienza da parte del Rettore e della Direttrice generale.
«Questa nomina – ha commentato con soddisfazione la professoressa Giovanna Vingelli, delegata del Rettore per le Pari opportunità – è la prima in un’università calabrese, allinea l’Ateneo alle migliori prassi del Paese, istituendo una figura cruciale per fornire consulenza ed assistenza a chi denuncia di essere vittima di molestia sessuale o morale, nel rispetto dell’anonimato». La Consigliera di fiducia è una specialista chiamata ad affrontare il tema delle molestie, non solo sessuali, sui luoghi di lavoro e del mobbing e a individuare possibili soluzioni. Avrà il compito di accogliere le segnalazioni di studentesse e studenti, del personale docente e tecnico amministrativo, e di indirizzare i provvedimenti necessari in ogni singolo caso, offrendo consulenza e assistenza completamente gratuite.
L’Unical riserva particolare attenzione ai temi di parità di genere e contrasto alle violenze, essendo anche una delle dieci università che compongono la rete UNIRE (Università in Rete contro la Violenza di genere) e nell’ambito di questo network, che si amplierà nei prossimi mesi a livello europeo, promuoverà la riapertura dello Sportello contro le molestie sessuali che avrà sede presso l’Ufficio Pari opportunità dell’Università della Calabria, raccogliendo l’eredità dello Sportello Pari Opportunità, istituito nel 2004.
«Ricordiamo – spiega la professoressa Vingelli – che chiunque sia stato oggetto di molestia sessuale o morale può rivolgersi, entro 60 giorni dal suo verificarsi, alla Consigliera di fiducia, la quale, raccolte tutte le informazioni, sempre previo consenso della/del denunciante – e secondo la procedura del consenso informato rispetto a coloro che sono richiesti di fornire le informazioni – indirizza la persona molestata a adottare una specifica procedura».
L’avvocata Ciarletta è attualmente consigliera di fiducia dell’Università di Padova e della Regione Lazio, ed è esperta giuridica in diritto antidiscriminatorio presso l’Unar, Ufficio Nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

RECOVERY, PER L’IDEALE “CITTÀ DEL SOLE”
CI SONO I PROGETTI LASCIATI DA OLIVERIO

di FRANCO BARTUCCI – Con il Recovery Plan ci sarebbe una straordinaria occasione per costruire “La città del sole”. Mentre si attende la soluzione della crisi di governo si sta perciò discutendo molto della bozza del documento predisposta dal Governo Conte in cui la Calabria avrebbe poca visibilità progettuale.

Pochissimi i progetti per la Calabria: il potenziamento  tecnologico e interventi infrastrutturali sulla linea Salerno/Reggio Calabria per l’alta velocità, nonché piccoli lavori di ampliamento della SS 106 jonica. Ben poca cosa rispetto alle attese e programmazioni strutturali e ambientali già ampiamente programmate e in parte finanziate dal precedente Governo regionale del presidente Mario Oliverio. Il riferimento non è casuale in quanto dallo scorso mese di ottobre la Calabria è orfana di un suo presidente e governo nel pieno delle sue funzioni per la scomparsa dell’on. Jole Santelli e questo la penalizza molto in questa circostanza. Ciò che si è capito è che con urgenza bisogna predisporre e consegnare all’Unione Europea una programmazione del Recovery Plan ben confezionata nella individuazione di progetti infrastrutturali strettamente legati allo sviluppo del Paese, come delle Regioni, per non parlare dei progetti di riforma degli apparati della Pubblica Amministrazione, della Giustizia e della finanza.Report di fine mandato di Mario Oliverio

Dal mondo della politica e sindacale calabrese sono giunte segnalazioni che riguardano: l’alta velocità Salerno/Reggio Calabria, il porto di Gioia Tauro, il raddoppio del tracciato ferroviario jonico Reggio Calabria/Taranto, la diga sul Mento, il nuovo asse ferroviario Cosenza/Catanzaro ed altro ancora. Tate enunciazioni non sono supportate nella sostanza dall’attivazione di un tavolo di lavoro dove i vari soggetti istituzionali, sociali e imprenditoriali si ritrovano con urgenza per fare le giuste scelte e predisporre quanto necessario in virtù delle richieste dell’Unione Europea, a supporto anche del Governo nazionale. Sul tavolo, su cui lavorare, ci sarebbe da recuperare il  Report predisposto dal Presidente Mario Oliverio e affidato alla Regione e ai calabresi al termine del suo mandato. Un Report che contiene le basi per il domani della Calabria, dove ci sono le tracce per come intervenire sul sistema infrastrutturale, portuale ed aeroportuale, sul dissesto idrogeologico, sulla ricerca universitaria, sul programma “Scuole sicure” ed il sistema metropolitane, per non parlare della digitalizzazione dei vari servizi nei vari settori del pubblico e del privato. Il tempo è tiranno e  ancor di più se si pensa al fatto che ormai è in corso una campagna elettorale per scegliere i candidati per il nuovo consiglio regionale ed il nuovo presidente. Di fatto la Calabria non ha un governo regionale operativo se non per l’ordinaria amministrazione.  Vedi ad esempio l’assenza totale dalla vicenda riguardante il futuro delle Terme Luigiane.

Prendendo spunto dalla sollecitazione fatta dal sottosegretario ai Beni Culturali, Anna Laura Orrico, di guardare con attenzione alla predisposizione di progetti immediatamente cantierabili,  è facile pensare al cantiere ancora aperto dell’Università della Calabria, rimasta incompleta rispetto ai progetti del concorso internazionale conclusosi nel 1974 con la scelta degli elaborati progettuali degli architetti Gregotti e Martensson. Si tratta di  completarla nella parte che va da Piazza Vermicelli, dove attualmente la struttura è bloccata, fino a raggiungere il territorio di Settimo di Montalto Uffugo, realizzando il polo tecnologico, le strutture fieristiche utili alla diffusione e promozione  dei brevetti scientifici, il villaggio dello sport per le universiadi, la  tanto attesa stazione ferroviaria di Settimo venuta in auge nell’ultimo anno per effetto della Frecciargento  Sibari/Bolzano e per la metro UniCal Settimo/Centro storico di Cosenza, come predisposto dalla stessa Università durante il mandato del Rettore Gino Mirocle Crisci.

L’Università della Calabria, cuore pulsante della nuova unica grande città dell’area metropolitana Montalto/Rende/ Cosenza/Castrolibero e relativo hinterland. Una Università che raccoglie oggi circa 25 mila studenti iscritti, dei quali oltre 900 provenienti da circa 80 paesi del mondo ed un nucleo di circa 1.800 tra docenti e personale tecnico amministrativo. Una Università che si è conquistata, per le sue attività di ricerca meriti e prestigio, come dimostrano le varie classifiche che valutano tutto questo in ambito universitario nazionale e mondiale.

Fin dal suo sorgere è stato sempre affermato che l’Università della Calabria rappresentava il “volano di sviluppo” della regione Calabria e dell’intero Mezzogiorno. Purtroppo il suo sviluppo, come noto, è stato rallentato e bloccato nel 2007; ma i livelli di prestigio che ha conquistato in questi anni a livello internazionale, come ben evidenziano le varie ricerche e classifiche  mondiali in materia di qualità della produzione scientifica, ne fanno, proprio per il Recovery Plan, un punto di grande richiamo ed investimento pensando al ruolo e funzioni  stabiliti dai suoi padri fondatori. Essi, con Beniamino Andreatta Rettore, guardavano alle potenzialità delle piccole medie imprese della valle del Crati in stretto legame con l’Università per interagire in materia di consulenza, formazione,  ricerca innovativa e produzione; come anche alla valorizzazione della piana di Sibari, in quanto area agricola con particolare funzione strategica verso gli scavi archeologici dell’antica Sibari, punto di  intenso richiamo turistico. Era il tempo del pensiero “l’Università della Calabria cuore pulsante dell’unica grande città dell’area della media valle del Crati”, con le sue infrastrutture e vie di collegamento con i vari centri urbani piccoli e grandi del territorio circostante.

L’epidemia Covid-19 ha portato dall’Unione Europea l’investimento Recovery fund a sostegno dello sviluppo e le Università sono al centro dell’attenzione per le sue attività di ricerca e formazione. Quale migliore  occasione per impegnarsi a realizzare il sogno della “Grande Cosenza”  di cui sopra, che per effetto dei suoi valori culturali, scientifici, umani, in accordo con la storia e gli impegni dell’Accademia Cosentina, può essere lo strumento possibile storico nel realizzare quella  “Città del Sole” pensata da Tommaso Campanella. Immaginiamo insieme con quali grandi potenzialità di crescita e sviluppo ci si potrebbe  presentare  al Paese e all’Europa nel costruire il nostro futuro forti di trovarci collocati  con “la città del sole” al centro dell’area del Mediterraneo. Sarebbe una rivoluzione nell’espressione più completa del termine: sviluppo, crescita sociale ed economica, grande spirito umanitario. (fb)

Per approfondire: Report dell’Amministrazione regionale 2014-2020

 

 

 

La ricerca Unical scopre l’uso dell’argilla calabrese per l’industria del cuoio

L’argilla calabrese – secondo una sofisticata ricerca scientifica dell’Università della Calabria – diventa un elemento fondamentale per l’industria del cuoio, durante le fasi della concia.

«L’argilla – spiega Mauro La Russa, professore associato di Georisorse –, per la sua versatilità, può essere utilizzata in più fasi della concia. È una materia prima a basso costo, facilmente reperibile, per cui si riducono anche i costi e i tempi di approvvigionamento e di trasporto, ed è a basso impatto ambientale. I preparati formulati saranno quindi i primi con caratteri multifunzionali presenti sul mercato, garantiranno prestazioni superiori rispetto ai materiali tradizionalmente utilizzati e soprattutto aiuteranno la filiera a diventare più sostenibile».

Un team di ricercatori dell’Unical e un’azienda con sede in Toscana collaborano in EcoCalMix, il progetto che ha come obiettivo lo sviluppo di preparati ecosostenibili basati su materie prime calabresi e destinati al settore conciario. Le argille sono facili da modellare, versatili, disponibili in grandi quantità e a basso costo. Si tratta di materie prime antichissime che ancora oggi trovano applicazione in filiere produttive diverse: quella della ceramica, su tutte, ma anche in quella cosmetica e farmaceutica, così come in edilizia e industria.

L’ultimo settore, in ordine di tempo, a fare ricorso all’argilla è l’industria conciaria. Le aziende oggi utilizzano in prevalenza, nella fase finale di lavorazione di cuoio e pellami, materiali come caolino e silice e composti chimici a base organica, che producono però emissioni dannose per l’ambiente e esalazioni nocive per i lavoratori.

L’argilla potrebbe rappresentare un’alternativa green e più sostenibile. E un tipo di argilla in particolare, molto diffusa in Calabria e che ha mostrato qualità interessanti negli studi condotti dai ricercatori del Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Università della Calabria, tanto da richiamare l’interesse di un’azienda toscana.

«Le argille che abbiamo studiato hanno proprietà battericide e una serie di caratteristiche che rendono superfluo il ricorso ad additivi chimici nella formulazione dei pre-fondi e dei preparati utilizzati durante la concia – ha detto il prof. La Russa –. La nostra era una ricerca di base, non c’erano in quel momento scopi applicativi. I risultati sono stati poi messi ‘in vetrina’ sul portale Ingegno della Regione Calabria, uno strumento che favorisce l’incontro tra il mondo della ricerca e le aziende».

Lo studio ha attirato l’interesse di Alpa spa, azienda chimica attiva nel settore conciario con una sede in Toscana, uno dei principali distretti italiani del cuoio e della pelle. È nato così il progetto EcoCalMix (Ecofriendly Mix based on Calabrian clay for tanning applications) che ha come obiettivo lo sviluppo di preparati ecosostenibili basati su argille calabresi per l’industria conciaria.

«Il progetto seguirà ora una serie di fasi. Partiremo con il censimento di ulteriori cave e miniere attive in regione e acquisiremo tutti i dati mineralogici, chimici e tecnologici sulle argille e sulle “terre” in questo momento reperibili nel territorio – spiega La Russa, che del progetto è responsabile scientifico – Condurremo poi ulteriori analisi di laboratorio di tutti i materiali a matrice argillosa campionati per arrivare alla formulazione preliminare di nuove miscele sperimentali».

Completata la fase esplorativa si passerà alla verifica degli effetti dei vari trattamenti – in base a quanto previsto dalle norme – attraverso, per esempio, la valutazione della bagnabilità, delle proprietà antimicrobiche, degli effetti del trattamento sulla morfologia della superficie del prodotto conciario, degli effetti sulla morbidezza e sulle proprietà meccaniche del cuoio, della resistenza allo strappo e della bondability della pelle. (rcs)

 

Unical: residenze e laboratori aperti, ma esami e lauree soltanto a distanza

L’Unical ha deciso di mantenere aperte le residenze e i Laboratori ma si svolgeranno a distanza esami e lauree. Il nuovo decreto adottato dal rettore Nicola Leone disciplina l’attività dell’ateneo fino al 28 febbraio, secondo le indicazioni del Coruc e le nuove disposizioni del Governo. Il nuovo decreto disciplina le attività all’interno dell’ateneo fino al 28 febbraio, nel rispetto delle indicazioni espresse dal Comitato regionale di Coordinamento delle Università calabresi lo scorso 12 gennaio e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 gennaio, che ha introdotto nuove misure restrittive e limitazioni agli spostamenti per il contrasto all’emergenza Covid.

Restano aperte le biblioteche, per il servizio di prestito, restituzione e consultazione in sala dei libri, continua a essere garantito il servizio mensa ed è possibile il rientro nelle residenze, per il quale è stato definito un accurato protocollo di sicurezza.

Ecco il riepilogo di tutte le misure previste in ateneo:

LABORATORI E TESI – Tutte le attività di laboratorio, tirocinio, tesi possono essere svolte in presenza nelle strutture dell’ateneo, previa autorizzazione del direttore del Dipartimento.

Da qui al 28 febbraio non sono invece previste lezioni, vista la conclusione dei corsi del primo semestre e l’avvio della sessione di esami.

RICERCA – Dall’inizio della pandemia non si è mai fermata. Le strutture restano accessibili ai ricercatori dell’ateneo per le loro attività, nel rispetto di tutte le misure di sicurezza anti Covid.

ESAMI, LAUREE, DOTTORATI – Il quadro epidemiologico e le restrizioni agli spostamenti previste per la regione Calabria (in alcuni comuni ancora più stringenti) richiedono il mantenimento di misure precauzionali. Seguendo le indicazioni del Coruc, l’Unical ha disposto quindi che lo svolgimento di esami, sedute di laurea e di dottorato continui a essere garantito in modalità telematica.

ALLOGGI – Gli studenti che hanno necessità di rientrare nelle residenze potranno farne richiesta, accedendo al portale dei servizi on line del Centro residenziale. Al rientro negli alloggi bisognerà rispettare un periodo di quarantena di quattro giorni: il gestore del servizio mensa provvederà, nella fase di autoisolamento, alla consegna dei pasti nelle residenze. Trascorsa la quarantena, gli studenti saranno sottoposti a tampone antigenico rapido, che sarà effettuato dagli operatori del Centro Sanitario d’ateneo. Ulteriori dettagli sul protocollosono disponibili qui.

BIBLIOTECHE – Restano confermate in questo caso le disposizioni adottate già a dicembre. Le biblioteche di ateneo saranno aperte alla comunità accademica per lo svolgimento dei servizi di prestito e di restituzione dei libri. Sarà consentita anche la consultazione in sala per i libri fuori prestito. L’accesso è regolato su prenotazione, secondo le modalità stabilite dalle Biblioteche, in sale dedicate e nel rispetto delle misure di sicurezza previste per il contenimento del Covid-19. Tutte le indicazioni sono disponibili sul sito del sistema bibliotecario d’ateneo.

MENSA – Il servizio è attivo nella sala A del quartiere Maisonnettes. Il gestore delle mense universitarie, inoltre, sta garantendo anche la consegna a domicilio dei pasti per tutti gli studenti che sono rientrati negli alloggi e osservano, come previsto dal protocollo, un periodo di quarantena prima del tampone.

I pasti consegnati a domicilio attualmente sono circa 70 al giorno, sia a pranzo che a cena. Pasti completi, organizzati in monoporzioni termosigillate e trasportati all’interno di contenitori termici e di furgoni coibentati, autorizzati per gli alimenti. Il Centro Residenziale fornisce al gestore della mensa l’elenco degli studenti che usufruiscono del servizio. Il gestore, a sua volta, comunica ogni giorno agli studenti il menu, così da gestire eventuali esigenze o intolleranza, e l’orario di arrivo a domicilio.

SERVIZI DIDATTICI – L’attività di front office per studenti, laureandi, futuri iscritti, soggetti esterni all’ateneo continua a essere garantita in modalità telematica attraverso un videosportello online implementato col software Teams (qui i riferimenti utili).

AMMINISTRAZIONE – Tutte le attività amministrative non solo proseguono regolarmente, ma grazie all’innovazione introdotta quest’anno nelle procedure di gestione del bilancio, l’anno contabile 2021 è stato aperto già il 7 gennaio, in anticipo di circa due mesi rispetto alle prassi del passato: una novità importante, che evita il blocco amministrativo consentendo a Dipartimenti e strutture di operare e di procedere senza interruzioni all’acquisto di beni e servizi. (rcs)

Unical: accordo tra Italia e Azerbaijan per un progetto di ricerca sui beni archeologici

È un progetto dell’Università della Calabria ad avere vinto il bando promosso dalla Direzione Generale per la promozione del Sistema Paese del ministero degli Esteri e dall’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Azerbaijan.

Si tratta di uno dei quattro progetti ammessi a livello nazionale al termine della selezione e sarà finanziato nell’ambito dell’accordo di collaborazione culturale, educativa, scientifica e tecnologica sottoscritto da Italia e Azerbaijan.

Il professor Mauro La Russa – docente del Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Unical – è il responsabile scientifico del progetto, che per gli anni 2021-23 studierà la messa a punto di nuovi prodotti consolidanti e nuovi protocolli per il consolidamento del patrimonio archeologico presenti in territorio azero.

Il titolo del progetto è “Sviluppo di nuovi prodotti e protocolli per il consolidamento di materiali in terra cruda” e ha come obiettivo la tutela del patrimonio archeologico azero, attraverso metodologie di ricerca e protocolli innovativi messi a punto dall’Ateneo calabrese. (rcs)

METRO LEGGERA PER LA ‘GRANDE COSENZA’
E IL COLLEGAMENTO CON IL CAMPUS UNICAL

di FRANCO BARTUCCI – Quale prospettiva di realizzazione della “Grande Cosenza”? La metro leggera Università/Rende/Cosenza centro storico è funzionale alla nascita della “Grande Cosenza” o come è stata definita nell’arco di questi  ultimi anni la “Città unica” ed altri la “nuova città” dell’area metropolitana. Il Consiglio regionale adottando la delibera di trasferire i 156 milioni, disponibili e finalizzati alla realizzazione della metro Cosenza/Università entro il 2023, sui fondi assegnati al capitolo di 500 milioni destinati a finanziare le azioni di contrasto all’emergenza Covid-19,  avrebbe commesso un grave errore a danno dello sviluppo dell’area della media valle del Crati, dove si discute dell’opportunità della nascita di una nuova realtà urbana in considerazione dei vari quartieri legati  ormai tra di loro ed estesi sui territori comunali di Cosenza, Castrolibero, Rende, Montalto Uffugo. Tutto questo pur prevedendo da parte del Consiglio regionale un trasferimento dell’idea progettuale della metro Università/Rende/Cosenza, a cui aggiungerei Montalto Uffugo per effetto della stazione ferroviaria di Settimo ancora da realizzare, sul prossimo Fondo Sviluppo e Coesione 2021/2027.

Per troppi anni, generazioni di giovani, adulti, rappresentanti delle istituzioni locali dell’area, del mondo universitario e politici hanno lavorato e lottato per realizzare tale progetto e solo negli ultimi due anni con la costituzione strumentale del Comitato “No Metro” e l’azione politica della parlamentare europea Laura Ferrara si è creato un movimento contrario alla realizzazione dell’opera, convinti che trattasi di un progetto anti economico, ed  al quale il  Consiglio regionale con il trasferimento al futuro Fondo Sviluppo e Coesione 2021/2027 ha dato il colpo di grazia. Tutto questo senza conoscere lo stato di frequentazione ed invasione delle macchine nell’area dell’Università, come la stessa storia per la quale è nata l’idea della metro Università/Cosenza.

L’origine scaturisce con la nascita dell’Università della Calabria e con il lavoro impostato dal Comitato Tecnico Amministrativo, nominato nel  mese di marzo del 1971 dal  Ministero della Pubblica Istruzione, con Ministro l’on. Riccardo Misasi,  (fra tre mesi si entra nel cinquantesimo anniversario) che affronta il problema dell’insediamento delle strutture universitarie sul territorio di Rende ed analizza  come queste debbano essere collegate al centro storico di Cosenza, ai vari centri urbani della provincia, guardando alle potenzialità  storiche culturali ed archeologiche di Sibari, auspicando, in funzione anche del disegno della “Grande Cosenza”, di valorizzare appieno tutte le infrastrutture viarie e ferroviarie esistenti e da programmare.

Sono le prime seicento matricole dell’Università dell’anno accademico 1972/73, ben guidata dal suo primo Rettore, prof. Beniamino Andreatta,  che scoprono le difficoltà di superamento del confine tra le due città di Cosenza e Rende, rappresentato dal fiume Campagnano, che per consentire e facilitare un collegamento di servizio pubblico di trasporto, più economico e funzionale rispetto a quello privato, effettuano una  manifestazione di protesta il 18 gennaio 1973, costringendo l’autista di un  pullman dell’ATAC a portarli all’edificio polifunzionale nei pressi di Arcavacata, abbandonando l’area urbana di Cosenza ed entrando in un’area extra urbana come Rende, con la prospettiva  e l’auspicio di costituire un consorzio intercomunale dei trasporti.

Finanche il concorso internazionale, indetto per la realizzazione della sede dell’Università della Calabria sui territori di Rende e Montalto Uffugo, vinto dal gruppo degli architetti guidato dal prof. Arch. Vittorio Gregotti, individua come porta d’ingresso ed uscita lato Sud la statale 107 Paola/Cosenza/Sila/Crotone; mentre a Nord termina con la stazione ferroviaria sul tracciato Cosenza/Paola/Sibari, accentuando le funzioni di una università aperta al territorio da ogni lato sfruttando tutte le infrastrutture viarie e ferroviarie compreso il disegno di una metropolitana.

Altre manifestazioni ed occupazioni, da parte degli studenti, si susseguono negli anni coinvolgendo le istituzioni, le forze sociali e politiche del territorio maturando varie proposte e tra queste una metropolitana veloce di collegamento dell’Università con Sibari, la metro su gomma Università/Cosenza, la metro su rotaie utilizzando il tracciato ferroviario Cosenza, Castiglione, Rende Scalo, su idea del Sindaco di Rende Sandro Principe, fino ad arrivare al 10 dicembre 1998 con la sottoscrizione dell’accordo raggiunto  dai rispettivi consigli comunali di Cosenza e Rende, riunitisi in seduta straordinaria congiunta.

In tale circostanza vengono approvati i “piani generali”, ovvero lo studio di fattibilità della metropolitana leggera, il quale rappresentava un primo passo necessario per ottenere i finanziamenti previsti nell’ordine di 180 milioni di lire.  In quella occasione il Sindaco, Giacomo Mancini,  attraverso gli organi d’informazione, così si esprimeva: «In questa iniziativa c’è il superamento del municipalismo più deteriore. Le nostre sono città piccole e come tali hanno sempre contato poco. Noi abbiamo l’ambizione di diventare più forti, creando un’autorevole area urbana, quella del Crati, dalla quale è passata la storia. Anche oggi come in passato Cosenza si propone punto di riferimento con un primo progetto, quello della metropolitana, che dovrà costituire un richiamo per il presente ed il futuro». Non di meno si  sono espressi pure in quelle circostanze gli onorevoli Francesco e Sandro Principe, Sindaci di Rende, assidui sostenitori di tale progetto di collegamento, facendo emergere la necessità di creare effettivamente un’ampia area metropolitana.

Ma quasi in contemporanea, sempre nel 1998 e precisamente nel mese di ottobre, attraverso gli organi di stampa nazionale e locale, l’Università della Calabria si vede attribuito un finanziamento di 600 miliardi di lire destinati al completamento delle sue strutture attorno all’asse ponte Pietro Bucci, dalla stazione ferroviaria di Settimo di Montalto Uffugo alla statale 107 con via di percorrenza Cosenza/Paola ecc. Si va verso il completamento dell’idea Campus Universitario di Arcavacata. A remare contro in quella circostanza fu il Sindaco di Cosenza, Giacomo Mancini, cosicché, tra le polemiche e l’intensa campagna mediatica con giudizi pro e contro, quella massa di soldi sparì ed il campus universitario, disegnato da Gregotti, è rimasto tronco sulle colline di Arcavacata con danni gravissimi allo sviluppo del territorio, causando una forte penalizzazione sul  benessere sociale ed economico della popolazione gravitante nell’area, per non parlare del blocco dello stato occupazionale dei lavoratori impegnati nel cantiere di realizzazione dell’opera. Dico questo perché a volte e questo succede spesso a porre freno allo sviluppo della nostra amata Calabria siamo noi stessi perché  non sappiamo guardare alle idee e progetti lungimiranti che ci capitano sul nostro cammino,  rimanendo impelagati nel guazzabuglio dei giochi, interessi e beghe politiche. Lo capiremo ancora di più e meglio proseguendo nel racconto di questa storia che guarda ad un mancato disegno di una metro, di un campus universitario e di una nuova grande città. (fb)

È L’ANNO DELLE MINORANZE LINGUISTICHE
UN PROGETTO SULLA CULTURA ARBËRESHË

di PINO NANO – Nasce un importante progetto per la valorizzazione e il rilancio della cultura minoritaria arbëreshe nel meridione d’Italia. Il progetto è coordinato dalla Fondazione Universitaria Unical “F. Solano” con la partecipazione di cinque atenei italiani (Calabria, Palermo, Salento, Venezia-Ca’ Foscari e Milano “Statale”). E proprio in questi giorni è stata trasmessa alla commissione nazionale Unesco la proposta di candidatura della cultura immateriale degli albanesi d’Italia a patrimonio universale. Il 2021 deve diventare l’anno delle minoranze linguistiche: la Calabria ha un patrimonio di culture (occitana, arbëreshë e grecanica) da difendere, valorizzare e rilanciare in un progetto di ampio respiro che può diventare un’attrazione irresistibile per il turismo culturale ed esperenziale.

Ne parliamo con Francesco Altimari, presidente della Fondazione Universitaria Unical “F. Solano”, oggi uno degli accademici italiani più legati al mondo arbëreshë,  intellettuale calabrese puro, vero ambasciatore dell’Arbëria, professore universitario che ha girato il mondo solo per raccontare la magia delle tradizioni italo-albanesi della sua terra, scrivendo saggi di altissimo valore scientifico e accademico.

«A nome di un nutrito gruppo di lavoro costituito da illustri studiosi e da numerosi detentori e praticanti – dice – è stata presentata in questi giorni alla Commissione Nazionale Unesco dalla Fondazione universitaria Unical “Francesco Solano”, che ho l’onore di presiedere, la candidatura della cultura immateriale degli albanesi d’Italia a patrimonio universale”.

– Meraviglioso. Non si poteva immaginare di più, e di meglio, per il mondo degli italoalbanesi d’Italia. L’Arbëresh, dunque, patrimonio immateriale dell’Unesco. Professore Altimari, immagino sia fiero di tutto questo?

«Non posso dirlo io, ma intimamente lo sono, per aver portato a compimento, con la presentazione della candidatura una missione che non è personale. Essa ha coinvolto assieme a me tanti illustri studiosi e colleghi che hanno dedicato il loro tempo e la loro scienza allo studio di questi fenomeni culturali e con alcuni dei quali abbiamo lavorato strenuamente insieme in questi mesi difficili. Il progetto coinvolge soprattutto tanti gruppi, e semplici praticanti, che con tenacia hanno conservato nel tempo questa memoria».

– Una bella ambizione, non crede?

«La Fondazione Solano si è fatta solo interprete di questa missione primaria, portando avanti e coordinando, con i colleghi delle altre Università coinvolte, un lungo lavoro di ricognizione sul campo per individuare questa rete di tradizioni rituali che è stato da noi progettato e realizzato grazie alla collaborazione attiva di numerosi detentori e praticanti di tali elementi rituali, che coprono gran parte delle nostre comunità».

– Cosa intende con il termine “praticanti di elementi rituali”?

«Intendo fare riferimento a organizzazioni, gruppi e persone di varia estrazione sociale e culturale che nelle loro quaranta lettere di adesione auspicano che venga ora finalmente riconosciuto la peculiarità di questo loro ricco patrimonio che rappresenta il vero bene comune dell’Arbëria. Parliamo di un patrimonio sostanzialmente ignorato dalle istituzioni e salvaguardato materialmente sinora solo grazie all’impegno diretto dei gruppi di praticanti e alla tenacia delle comunità interessate. Si tratta anche di rilevanti “pratiche educative” che nel disinteresse generale hanno alimentato nel passato l’auto-tutela della comunità quando la nostra identità minoritaria non era ancora riconosciuta dallo Stato».

– Perché a questo progetto sui riti arbëreshë del ciclo della primavera avete dato il nome “Moti i Madh”? “Tempo Grande”?

«Moti i Madh vuol dire “Tempo Grande. Si tratta di un insieme di eventi di tipo musicale, coreutico, teatrale ecc, oggi inglobate all’interno del ciclo pasquale di tradizione cristiana orientale, che in parte continuano antiche ritualità della grande stagione della rigenerazione della natura e dell’umanità. Appunto, il “Tempo Grande”. È stato il genio di Girolamo De Rada a coniare questa espressione, che nella cultura albanese fa riferimento al tempo di Scanderbeg -. un passato che continua ad avere significato anche nel presente – ripreso anche dallo scrittore arbëresh Carmine Abate nel suo celebre romanzo – epopea degli arbëreshë Il mosaico del Tempo Grande.

– Ci fa un esempio?

«Dopo oltre mezzo millennio, come “tasselli” di un unico mosaico, questa rete di riti si ritrova tra gli albanesi d’Italia, coprendo l’intero arco del periodo primaverile, documentata da un ricco patrimonio di letteratura orale, che ha significative corrispondenze anche nei Balcani. Pensiano per esempio alla “Vallja” del periodo pasquale, con i canti di Scanderbeg, simbolo forte di una Arbëria “resiliente”. Pensiano alle suggestive cerimonie, comprese quelle nuziali, che si intrecciano con le celebri  “rapsodie” di Costantino e Garentina, o di Costantino il piccolo, ma anche ai canti paraliturgici dell’intero ciclo pasquale, alle cosiddette “kalimere,  al “banchetto degli invisibili”, per richiamare col titolo della celebre monografia del collega Mario Bolognari i coinvolgenti riti di commemorazione dei defunti nella nostra tradizione orientale, ma anche a tanti saperi tradizionali che ritroviamo nello spazio arbëresh, dall’Abruzzo alla Sicilia».

– È abbastanza non crede?

«Vede, quando si tratta di ridare volto vita e storia alla tradizione di un popolo come il nostro niente è mai abbastanza. Purtroppo essa è stata per troppo tempo sottovalutata e offuscata dal disinteresse e dall’incuria delle istituzioni. Ora gli altri questa tradizione ce la invidiano, non trattandosi come qualcuno si ostina ancora a credere, e a praticare, solo vuoto folklore, ma espressione di una civiltà “resiliente” che va riscoperta e rilanciata. In questa riscoperta della tradizione rientrano anche tanti prodotti tipici dell’artigianato, ma anche i ricchi costumi femminili arbëreshë, così come anche i prodotti della tessitura, nonché quelli dell’alimentazione, riferita sia ai cibi rituali che ai cibi tradizionali».

– Nel presentare oggi questo vostro progetto che aspettative nuove si aprono per il mondo arbëresh?

«Queste pratiche rituali, di cui chiediamo l’iscrizione nel registro Unesco delle buone pratiche della cultura immateriale, non sono solo nostre, ma testimoniano una eredità antica e un tempo comune a tutta l’area europea. E anche oltre. Esse per fortuna, nonostante le discriminazioni subite, sono ancora vive presso gli Arbëreshë, gli Albanesi d’Italia, storicamente presenti da circa sei secoli in 50 comunità in sette regioni italiane».

– Intuisco che non sempre vi siate sentiti difesi e tutelati?  

«Assolutamente vero. Purtroppo, la nostra minoranza, così come tutte le altre minoranze interne, come anche le consorelle minoranze grecaniche e occitane calabresi, a differenza delle iper-garantite minoranze di confine, sono rimaste ancora molto indietro e senza una adeguata tutela. Prive, come sono tutt’oggi di rappresentanza politica nelle diverse istanze elettive. Sia da parte dello Stato che da parte delle Regioni interessate. Rischiano pertanto seriamente di scomparire per sempre, per la forte pressione assimilatrice che subiscono dalla società globalizzata».

– Questo significa che l’Unesco potrebbe essere la chiave di volta di questo riscatto?

«Vede, il vero paradosso è che ciò avviene quando queste comunità minoritarie sono state riconosciute, ormai da oltre vent’anni, come minoranze linguistiche storiche dalla legge quadro nazionale n. 482/1999, anche se con mezzo secolo di ritardo dalla promulgazione della Costituzione repubblicana che all’art. 6 ne riconosce la tutela. Con un riconoscimento internazionale e prestigioso come quello garantito dall’Unesco, la nostra comunità potrà forse cominciare a ritrovare maggiore fiducia in sé, se vedrà riconosciuti i suoi beni culturali non come esclusività del proprio patrimonio erroneamente e riduttivamente ritenuto “etnico”, ma come patrimonio comune e condiviso di valenza universale. Speriamo che non sia troppo tardi.

– È stato un lavoro complesso?

«Quando si inseguono dei sogni, nulla è facile e scontato. E questo sogno, che non è mio personale, parte invece da molto lontano, Parte dall’azione di ricerca e sensibilizzazione promossa sinergicamente dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso dalle cattedre universitarie di Albanologia dell’Università della Calabria e di Palermo, allora rette dai nostri indimenticabili maestri, i proff. Francesco Solano e Antonino Guzzetta, e alla cui memoria va il nostro pensiero. Poi sono arrivato io, in tandem assieme con il carissimo amico e collega Matteo Mandalà, titolare della cattedra albanologica palermitana».

– Man mano che gli anni passavano il gruppo è diventato sempre più numeroso?

«In realtà questa nostra azione è stata portata avanti, perfezionata e resa poi funzionale grazie al concorso di un’equipe interdisciplinare, coordinata dalla Fondazione Solano, in cui in questi mesi sono stati coinvolti studiosi di altre cattedre universitarie di Albanologia, ma anche colleghi di Antropologia, di Etnomusicologia e di Storia delle culture afferenti alle Università della Calabria, di Palermo, del Salento, di Venezia e Milano “Statale”. Ma ci sono anche esperti di candidature Unesco, oltre che giuristi e informatici che collaborano con la Fondazione».

– Un lavoro di squadra intende?

«Una squadra di altissimo valore professionale e scientifico. Con me e Matteo Mandalà hanno collaborato Nicola Scaldaferri, Monica Genesin, Eugenio Imbriani, Giuseppina Turano, Giovanni Macrì e Battista Sposato. A loro, che in questi mesi che non si sono risparmiati nel mettere al servizio della comunità arbëreshe, con autentico spirito di volontariato, il loro impegno professionale per questo obiettivo comune, va il mio primo vero e grande grazie.

– Nella proposta all’Unesco c’è tutta la vostra storia e tradizione?

«Certamente si, anche se siamo ora solo alla prima tappa. In corso d’opera la proposta andrà rigorosamente implementata e ulteriormente documentata, partendo dalla dettagliata mappa che abbiamo già allestito e consegnato, che delinea gli ambiti di intervento nelle diverse aree albanofone, che attraverso la prima rete dei praticanti-collaboratori, a cui auspichiamo se ne aggiungano altri, coprono quasi tutta l’Arbëria. Tutto questo, come lei lo definisce, sono soltanto alcune delle tante espressioni culturali e rituali tipiche che rientrano in questa proposta di candidatura della cultura immateriale arbëreshe. Nella fase realizzativa saranno ovviamente coinvolte a ogni livello tutte le nostre comunità e in forme nuove di partecipazione, attraverso le nuove tecnologie, pensiamo di coinvolgere tutti i cittadini arbëreshë interessati, anche quelli che vivono oggi fuori dai nostri Comuni, nella “diaspora della diaspora”. Ma siamo aperti a condividere questo percorso con tutti i soggetti istituzionali e associativi che vorranno darci una mano, anche esterni alla comunità, che mostrano un reale interesse e hanno a cuore la nostra cultura, perché concepiamo l’Arbëria come un bene culturale comune».

– Rilevo, con ammirazione, che non siete soli, in questa non facile impresa…

«Per fortuna, no. Mi permetta di ricordare al riguardo l’autorevole sostegno dato a questa nostra proposta di candidatura dal FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano, certamente il più rappresentativo organismo che opera nel nostro Paese a livello nazionale in ambito culturale e ambientale: Tutto questo ha portato alla stipula di un apposito protocollo d’intesa tra il FAI e la nostra Fondazione per condividere insieme il percorso intrapreso per l’iscrizione dei riti e dei canti tradizionali del Moti i Madh nel registro di buone pratiche di salvaguardia, secondo la convenzione Unesco 2003. La delegazione FAI di Cosenza, guidata dall’avvocato Laura Carrattelli, è stata incaricata dalla sede nazionale e dalla sede regionale, di seguire con la propria attività collaborativa, tramite azioni di supporto e di promozione, l’evento connesso alla presentazione del dossier di candidatura della cultura immateriale arbëreshe».

– E il Mibact, il Ministero dei Beni Culturali?

«C’è anche quello, sì. Grazie alla sensibilità e all’attenzione ricevuta in questi mesi dalla Sottosegretaria del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Anna Laura Orrico, che ringraziamo per aver compreso la rilevanza di questo bene culturale che può e deve essere un fattore di crescita e di sviluppo delle nostre aree, soggette nell’ultimo decennio ad un pauroso crollo demografico che rischia di farle scomparire».

– Ma so che avete anche altri sostenitori importanti alle spalle…

«Sì, è vero! C’è l’apprezzamento e il supporto che è stato garantito alla proposta di candidatura Moti i Madh, che troverà forme di ulteriori collaborazioni e condivisioni, dal Governo della Repubblica d’Albania attraverso il Ministero della Cultura Albanese nelle persone del Ministro Elva Margariti, ma anche dal Vice-Ministro Meri Kumbe, che ringraziamo entrambe sentitamente per la concreta attenzione rivolta alla nostra cultura e per la proficua collaborazione avviata con la nostra Fondazione e con le cattedre universitarie italiane di albanologia».

– Vedo che trascorre anche questi giorni di festa chiuso in casa a lavorare al suo progetto, professore.

«Ma questa, mi creda, è la mia vita. Trovo del tutto normale agire inseguendo questa filosofia di vita. Alla fine, sono un uomo fortunato. Perché riesco a coniugare la mia passione con il mio impegno professionale. Oggi si parla tanto, soprattutto nel mio mondo accademico di “terza missione”, a proposito di quelle attività con cui l’Università, attraverso le sue risorse umane, scientifiche e tecnologiche, riesce ad intervenire sul territorio che la ospita contribuendo al suo sviluppo culturale, ma anche quello sociale ed economico. In virtù degli insegnamenti ricevuti dai nostri padri accademici, e per noi che ci occupiamo di albanologia, per giunta nelle regioni che ospitano gli Arbëreshë, è stato naturale, anzi direi scontato, operare con questo spirito di servizio. La definirei, la prima missione extra-moenia. Questi “nostri” progetti potranno dare un apporto concreto al nostro mondo, e potranno disseminare nella nostra comunità, ripeto ancora purtroppo non tutelata e senza difese immunitarie, quei saperi e quelle conoscenze scientifiche avanzate che possono invece contribuire fattivamente alla sua crescita».

– Come crede che andrà a finire?

«Il progetto, dicevo, è stato avviato e siamo alla prima tappa. Per arrivare al traguardo bisogna continuare a lavorare intensamente e di buona lena. Serve ancora costituire delle reti di collaborazione articolate, che coinvolgano gli enti preposti, le associazioni, gli studiosi, i singoli operatori culturali e scolastici, i musei e le scuole del territorio, e via di questo passo. Quello che oggi è fondamentale fare è una efficace disseminazione e condivisione dell’esperienza legata a questa candidatura».

– È vero che punterete in futuro anche su esperti e studiosi più giovani rispetto a lei professore?

«Certamente sì. Ma già ora noi contiamo di avvalerci del contributo dei nostri valenti giovani laureati, e di altre qualificate ed importanti professionalità, che per fortuna non mancano nel nostro mondo. Alcuni di loro sono già attivamente impegnati nei nostri progetti. Ma contiamo soprattutto nell’apporto nel comitato scientifico di altri insigni specialisti, italiani e albanesi, a conferma del grande e riconosciuto valore scientifico che tali specificità rivestono non solo per la nostra cultura, ma anche per la ricostruzione, come dicevo, dell’antica base culturale comune della nostra Europa».

-Insomma, mi pare di capire che, comunque vada, sarà un successo?

«L’ha detto lei. Io lo prendo come un augurio per il 2021. Grazie, comunque, per quanto anche voi farete per noi, e per la nostra causa». (pn)