di UMBERTO MAZZA – La quantità e gravità delle emergenze che ogni istituzione pubblica di questa terra è costretta ad affrontare ogni giorno continua ad imporre un’attenzione quasi esclusiva sul tentativo di portare a soluzione problemi e disagi la cui genesi però è, in molti casi, pluridecennale quando non secolare. Nessuno di noi può certamente sottrarsi dal farsi interprete e dal condividere progettualità ed iniziative territoriali di mobilitazione e di sensibilizzazione rispetto a questioni che restano aperte e che minano sin dalle fondamenta la sopravvivenza stesse delle nostre comunità.
Mi riferisco alle tante azioni che ogni sindaco mette in campo nel corso dell’anno per la tutela del diritto alla salute, alla mobilità, alla sicurezza, alla giustizia, all’acqua ed al corretto smaltimento differenziato dei rifiuti. Dobbiamo continuare a fare tutto ciò, semmai con maggiore determinazione di prima. Serve però, con la stessa determinazione e lucidità, una nuova e diversa capacità del governo locale:le istituzioni devono sforzarsi di guardare con occhi diversi al proprio territorio, raccontandolo a se stessi e promuovendolo all’esterno senza vittimismi e senza fotografie catastrofiche, auto-distruttive ed oicofobiche. Perché il lamento continuo fa più danni delle stesse emergenze che si vorrebbero affrontare.
Siamo circondati da cose che non vanno e che, lo sappiamo tutti, non saranno portate a soluzione neppure nei prossimi anni; perché servono risorse finanziarie ed umane straordinarie; perché servono tempi lunghi nel sistema burocratico nazionale e regionale; perché passano più generazioni dalla condivisione di un’idea progettuale all’apertura del relativo cantiere. E non bastano spesso più consiliature perché dagli annunci si possa effettivamente passare alla concreta fruizione di un’infrastruttura programmata, seppur spesso vitale e salvifica, come quelle che continua a rivendicare tutto l’entroterra della Sila Greca, sempre più isolato ed a rischio idrogeologico e demografico.
E, però, un sindaco ed una giunta, tanto più se alla guida di un piccolo comune non possono pensare di esaurire e cristallizzare la loro attività nella sola denuncia sistematica di ciò che non c’è e di ciò che servirebbe da sempre o, ancora, nel condividere proteste, riunioni, appelli, lettere aperte, denunce, sit in o progettazioni così grandi che soltanto paesi come la Cina potrebbero cantierare e, nel loro caso, anche concludere in pochi mesi. Noi siamo in Italia, anzi in Calabria.
Il rischio che corriamo tutti è quello di arrivare a fine consiliatura, di aver sempre indossato la fascia insieme ai colleghi del territorio per chiedere sempre e legittimamente la Luna, esigendo e rivendicando diritti e servizi, ma magari di essersi poi persi dei pezzi interi di cittadinanza e di giovani spariti per continuare ad andare ad arricchire altre regioni d’Italia. Ed invece noi abbiamo bisogno di freschezza, creatività, fantasia e provocazione culturale nelle nostre classi dirigenti.
Ecco perché non possiamo permetterci di essere più miopi rispetto a quello che offre comunque il nostro territorio, a partire dal patrimonio identitario distintivo che ereditiamo e su cui siamo stati distratti per troppo tempo. Guardiamo alle nostre realtà con occhi diversi, con linguaggio e atteggiamento ottimista, con visione e spirito positivi, con gli occhi e la mente verso quanto è stato già sperimentato altrove; e facciamolo – attenzione – col cuore rivolto alla bellezza e grandezza della nostra storia e delle nostre tradizioni millenarie. Con orgoglio e con la capacità di promuovere e sostenere quanti hanno voglia investire nella rivitalizzazione e nella promozione di questi angoli di mediterraneo, alcova di una qualità della vita smarrita altrove.
A volte basta poco. Ci abbiamo provato in autunno con la prima Festa Regionale dell’Entroterra, raccontando una Calabria inedita ed inesplorata che per questo diventa straordinaria e che è – per usare la parole del Presidente della Regione Roberto Occhiuto – quella Calabria che l’Italia non si aspetta.
Continueremo a farlo insieme al territorio, nella consapevolezza che con meno piagnistei e più sorrisi, con meno telecronaca dei problemi che vanno comunque risolti a tutti i livelli e con più impegno di tutti a trarre ricchezza da tutto ciò che già si ha, con meno proteste e più capacità di disegnare il futuro senza attenderlo, riusciremo a vivere e progettare con più orgoglio e profitto nei nostri stessi territori, rendendoli anche più attrattivi 365 giorni l’anno. (um)
[Umberto Mazza è sindaco di Caloveto]