di MIMMO NUNNARI – Carissime amiche e carissimi amici del Nord dobbiamo fermarci prima del precipizio che abbiamo davanti, non solo chi vive al Sud ed è “meridionale con difficoltà”, come diceva Sciascia con riferimento alla Sicilia, perché il Sud è notoriamente terra di contrasti e contraddizioni e il popolo è un popolo che soffre, perché dominato da secoli, lasciato ai margini della comunità nazionale per colpe che non conosce, e patisce insieme all’assedio mafioso soffocante di un deficit civile di proporzioni altissime, conseguenza principalmente del vivere senza gli stessi diritti e opportunità dei connazionali dei territori del Nord.
Il precipizio nel quale rischiamo di cadere tutti, per una serie di ragioni interne: scarsa competitività, corruzione, invecchiamento della popolazione, inefficace politica di rilancio economico, ma anche esterne – declino globale, allontanamento dall’etica e dalla morale che da anni permea la società occidentale – riguarda anche voi, che che state al Nord, e in teoria avreste meno problemi dei meridionali, almeno materiali.
La vostra situazione è la situazione non buona dell’Italia degli ultimi decenni nascosta come la polvere sotto il tappeto, che nel 1992, in un saggio che ho avuto l’onore di scrivere insieme al cardinale Carlo Maria Martini e all’arcivescovo Giuseppe Agostino [“Nord Sud l’Italia da riconciliare” edizioni Paoline], l’allora arcivescovo di Milano impietosamente così: «Siamo di fronte ad una società percorsa da forze dissolutrici, gravemente intaccata da corruzione e illegalità, sovente incapace di trovare le vie di una vera convivenza civile; e il pericolo è di credere che tutto sia così, che tutto sia marciume, che non ci sia più alcuna forza positiva, che manchino le persone oneste e capaci».
È un ritratto, quello fatto da Martini trent’anni fa, purtroppo ancora attuale. Abbiamo tutti perciò un problema, al Nord e al Sud, ma voi al Nord ne avete uno in particolare, che vi deve far riflettere, e riguarda la qualità della classe politica settentrionale ormai da molti anni pessima. Spesso il Sud vi serve come alibi per non parlare della vostra classe politica impresentabile, specchio della vostra indifferenza, non certo della vostra cultura e intelligenza. Di quella del Sud sappiamo: è suddita, nel senso che pensa che i diritti debbano arrivare per elemosina, è portatrice insana di consensi elettorali, per convenienza personale, un incarico, una prebenda.
Ma che sia scarsa la classe politica del Nord è qualcosa davvero difficile da spiegare non solo all’Italia ma anche all’Europa. Perché se il Nord che ha le migliori Università, una ricerca eccellente, una buona sanità, un’impresa che vola in alto, un diffuso benessere, esprime una classe dirigente mediocre, scarsa, qualche problema c’è. E quando parliamo di mediocrità non parliamo dell’aurea mediocritas, che per i latini aveva una connotazione positiva, significava stare in una posizione intermedia tra l’ottimo e il pessimo, tra il massimo e il minimo, ed esaltava il rifiuto di ogni eccesso, ma parliamo di quella poco lucente mediocritas simbolo di ignoranza, di vuoto a perdere, che invade ogni sfera della vita sociale.
Prendo in prestito la battuta di un caro e illuminato amico del Nord (ne ho tantissimi) che a proposito di cultura costituzionale mi dice sconsolato: «Siamo passati da Calamandrei a Calderoli». Calamandrei, giurista, scrittore e uomo politico ha lasciato pensieri profondi: «La libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare». Frase che pronunciò nel suo celebre discorso sulla Costituzione agli studenti di Milano del 26 gennaio 1955. Di Calderoli, chirurgo maxillofacciale, triumviro della prima Lega e più volte ministro, la frase che probabilmente sarà tramandata ai posteri sarà: «La legge elettorale? L’ho scritta io, ma è una porcata». Outing, fatto da Enrico Mentana durante la trasmissione Matrix, che poi Calderoli spiegò meglio: «…Una porcata, fatta volutamente per mettere in difficoltà destra e sinistra, che devono fare i conti col popolo che vota».
Qualche domanda lassù al Nord dovreste farvela, per capire in che mani siete finiti. Potreste rileggere per fare un esame di coscienza un testo teatrale di Marco Giacosa, dedicato ai fratelli Terroni che votano: «Vent’anni fa ci furono i gazebo per l’indipendenza della macro-regione del Nord, si dibatteva se un marchigiano era un terrone e andava fatto affondare nei debiti della sanità, o salvato nella gloriosa Padania…. Secondo me, terroni, dovreste vergognarvi a votare Salvini. Almeno quanto noi del Nord, certo… Ma voi, terroni, Salvini proprio no. Comunque, contenti voi». Si parlava in quel testo breve di teatro a nuora (Sud) perché suocera (Nord) intendesse.
Ecco, siamo ancora fermi lì, ad arrovellarsi su quanto bisogna vergognarsi al Sud a votare Salvini, ma anche a ragionare su come abbia fatto il Nord a sperperare il patrimonio di cultura, competenza e dignità, ereditato dai giganti della politica che hanno operato nel dopoguerra. Pensiamo, per fare un solo esempio, non alle prime file, ai grandi leader, ma al lavoro intelligente di quanti hanno pensato, scritto e attuato programmi sociali ed economici per la nuova Italia nata dalla Resistenza, come gli economisti valtellinesi Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno, Sergio Paronetto, Tulio Bagiotti, Bruzio Manzocchi; alcuni dei quali – come Saraceno – concepivano il problema dell’unificazione economica dell’Italia anzitutto come una questione etico-politica. Saraceno, pensava che l’obiettivo del superamento del divario tra il Nord e il Mezzogiorno chiamava in causa responsabilità dello Stato, e che il permanere del divario poteva alla lunga riflettersi negativamente sulla stessa unità nazionale, con conseguenze che potevano risultare esiziali anche dal punto di vista politico e degli equilibri sociali.
Il suo era un pensiero profetico. Come il Nord abbia potuto dimenticare quelle pagine gloriose per arrivare alle rappresentazioni di oggi bisognerebbe studiarlo, interrogarsi su come sia potuto accadere. Cari amici del Nord la battaglia contro l’Autonomia differenziata bisogna dunque combatterla assieme. La sfasatura del dualismo Settentrione Meridione, pesa, in maniera preoccupante, e dietro l’angolo c’è il caos, cioè il disordine, il disorientamento. L’Autonomia è una via di fuga dalle responsabilità, irresponsabile e pericolosa. Le guerre civili sono nate a volte per cause imponderabili. La soluzione è la riconciliazione del Paese, non una spaccatura ulteriore.
È l’unica strada percorribile la riconciliazione in questa fase di fragilità della storia italiana. E Il primo banco di prova per quest’Italia debole e smarrita è il “No” all’Autonomia voluta dal Governo Meloni che definire antipatriottico e antiunitario è il minimo. (mnu)