di SANTO STRATI — I numeri sono impietosi e fotografano l’assoluta indifferenza degli istituti bancari nei confronti degli imprenditori. Non basta la garanzia totale dello Stato per i prestiti di liquidità (o per investimenti) che servono a far ripartire l’economia reale, no serve ugualmente una montagna di carte, bilanci, autodichiarazioni, prospetti contabili e quant’altro per far passare la voglia al più “disperato” operatore che pensa a salvare l’azienda, il lavoro, l’occupazione dei suoi dipendenti.
Bastano le cifre per far indignare anche il più tollerante dei cittadini: appena un quarto dei richiedenti i prestiti ha avuto risposta per i finanziamenti fino a 25mila euro (oggi diventati 30mila), mentre va peggio per le aziende che puntano ai prestiti fino a 800mila euro. Il Mezzogiorno e, in particolare, la Calabria, hanno trovato un incredibile muro di ingiustificata indisponibilità da parte delle banche, che portano avanti qualsiasi pretesto per negare gli aiuti finanziari che servono a far ripartire le aziende. Mentre la media nazionale delle mancate risposte è del 62%, al Sud la percentuale sale al 75%.
La burocrazia degli istituti di credito non conosce stop e la discrezionalità concessa ai responsabili della banche per l’accettazione della domanda complica ulteriormente la situazione. In poche parole, le banche non scuciono quattrini (su cui lo Stato garantisce al 100%) e trattano le richieste con una lentezza che fa davvero rabbia. Per dirla in breve, gran parte degli istituti di credito porta avanti le istruttorie dei richiedenti un aiuto finanziario nella stessa maniera con cui operavano in condizioni normali: tre-quattro settimane di istruttoria (a pagamento nell’era pre-covid) per poi concludere con una “semplice” richiesta della firmetta a garanzia, una fidejussione, a totale copertura del finanziamento, anche in presenza di garanzie Confidi, per esempio.
Stanno facendo la stessa cosa e qualcuno si è persino azzardato a suggerire che una garanzia personale (di tutti i soci) avrebbe accelerato l’iter burocratico preliminare alla concessione del prestito.
Siamo impazziti? La commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche, presieduta dalla deputata grillina Carla Ruocco, è stata subissata da migliaia di messaggi – a volte disperati – di imprenditori ed esercenti che non riescono nemmeno a parlare col proprio istituto di credito. Tra liquidità e ritardi, il responsabile della Vigilanza della Banca d’Italia, Paolo Angelini, ha presentato alla Commissione un corposo dossier che mette in luce le criticità del sistema utilizzato per gestire i due decreti “liquidità” e “Cura Italia”. Viene fuori che gli incredibili e ingiustificati ritardi messi in evidenza dalla Commissione nell’erogazione dei prestiti non avrebbero ragione di esistere. Ma soprattutto emergono tempi di attesa incredibili perché gli istituti di credito devono comunque “valutare” il cosiddetto rating creditizio del richiedente. Secondo Angelini «la norma del decreto non esonera in modo esplicito dall’effettuare controlli», così che le istruttorie seguono un iter pressochè identico a quello pre-covid. Sembra corretto il controllo del profilo del richiedente per evitare situazioni di riciclaggio o di stretta vicinanza a organizzazioni mafiose, ma il merito del prestito – superate queste oggettive valutazioni – non può e non dovrebbe essere messo in discussione per quel che riguarda la “solvibilità” del richiedente. È troppo facile dare i soldi a chi non ne ha bisogno e negarli a chi è rimasto a secco e non può ripartire senza l’aiuto finanziario (si tratta sempre di prestiti, ricordiamolo) che lo Stato si è impegnato a offrire.
Peccato che le buone intenzioni del Governo, nell’ottica di aiutare l’economia reale, si siano scontrate con pressapochismo e totale superficialità. Ma il premier Conte e il suo ministro dell’Economia non hanno ascoltato i rappresentanti dell’Associazione Bancaria italiana prima di decidere di affidare agli istituti di credito la gestione dei crediti garantiti? E se sono stati “auditi” i responsabili, perché poi proprio dall’Abi sono state avanzate obiezioni sulla mancata tutela penale degli istituti che potrebbe derivare da prestiti andati a male?
La verità – sottolineata da Angelini – è che la mancata indicazione nei decreti della eventuale salvaguardia e tutela delle banche nelle operazioni creditizie, ha fatto sì che di fatto si autorizzassero le banche a seguire criteri autonomi di scelta su quali prestiti erogare e quali no. Con buona pace di imprenditori che si sono visti negare il prestito perché magari avevano avuto qualche “acceso” scontro verbale col direttore della propria filiale.
Altro tema di non minore importanza è quello dei tassi imposti al credito erogato: in alcuni casi si è arrivati a chiedere il 2,4%, valore che la presidente Ruocco ha definito troppo alto, per sentirsi ribattere dal capo della Vigilanza di Bankitalia che «i tassi sono già ai minimi storici e, a volte, insufficienti anche a recuperare il costo del rischio».
La verità è che i soldi non arrivano alle aziende, soprattutto alle più deboli (e la fragilità delle imprese nel Mezzogiorno è decisamente molto più alta rispetto al Centro-Nord) e la situazione sta innescando un allarme sociale di grandissima entità. Si presume che almeno un quarto di attività operative prima dell’epidemia non potranno riaprire o sceglieranno di non ripartire per le impossibili condizioni di mercato. Il rischio usura è altissimo, con il velenoso sguardo ammiccante del mafioso pronto con i suoi prestiti – impossibili da restituire con percentuali di interesse elevatissime e ovviamente insostenibili. Il risultato, spesso, come è già capitato altre volte, è che la mafia e la delinquenza organizzata mirano a impossessarsi di attività commerciali e industriali “sane”, per farle diventare ottime “lavanderie” di contante.
Cosa si deve e si può fare? La Commissione Ruocco sta facendo un’ottimo lavoro, ma è evidente che non è sufficiente mettere in risalto criticità e incongruenze nella concessione e nell’erogazione dei prestiti alle aziende. Occorre un atto di umità da parte di chi sta al Governo per ammettere di “non aver capito niente” e mettersi seriamente a trovare le soluzioni funzionali perché l’economia del Paese possa ripartire.
Alle banche – a quanto pare – non è servita la circolare dell’Abi del 6 giugno scorso che illustrava le novità introdotte dalla conversione del decreto, ovvero la possibilità di erogare i finanziamenti senza necessità di ulteriori istruttorie, eccezion fatta per i controlli antimafia e antiriciclaggio. Basta un’autocertificazione per accedere ai prestiti. Qualcuno, forse, farà bene a spiegarlo ai funzionari di banca che s’impegnano a complicare la vita a chi crede nella possibilità di riaprire, ripartire, rimettere in moto l’economia. Quella della sua azienda che è poi quella del Paese. (s)