Addio a Rosetta Neto Falcomatà, indimenticata professoressa e moglie di Italo

Cordoglio, a Reggio Calabria, per la scomparsa di Rosetta Neto Falcomatà,  madre del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, e moglie di Italo, compianto primo cittadino di Reggio Calabria dal 1993 al 2001.

«L’Amministrazione comunale, in tutte le sue componenti – si legge in una nota – esprime sentimenti di cordoglio e vicinanza al sindaco ed alla sua famiglia in questo momento di inconsolabile dolore. Rosetta Neto Falcomatà, indimenticata professoressa per diverse generazioni di studenti, ha rappresentato per l’intera comunità un modello di cultura e partecipazione attiva alla vita cittadina, alla quale ha contributo per decenni attraverso le iniziative della “Fondazione Italo Falcomatà”, segnando un percorso d’impegno civile la cui eredità è oggi prezioso patrimonio della Città di Reggio Calabria».

La Città Metropolitata, esprimendo il suo cordoglio, ha parlato di «una perdita incolmabile per l’intera comunità reggina che, negli anni, ne ha conosciuto l’impareggiabile bontà, generosità e gentilezza nel percorso intrapreso con la Fondazione intitolata all’indimenticabile Italo, sindaco della Primavera reggina».

«Rosa Neto Falcomatà – si legge nella nota della Metrocity RC – lascia un’eredità colma di amore per la cultura, per la solidarietà e l’impegno civile, un esempio di serietà e rettitudine sempre al fianco dei più deboli e delle persone bisognose. In questo momento di grande dolore giunga ai suoi cari il nostro abbraccio più forte».

Reggio Bene Comune ha espresso il proprio cordoglio, sottolineando come la scomparsa della prof.ssa Rosetta è «una perdita culturale per tutta la città; per il lavoro mirabile svolto sia professionalmente che con la Fondazione Falcomatà».

«Proprio ad inizio aprile dell’anno scorso (durante la presentazione al foyer del Teatro Cilea della biografia di Italo) – ricorda la nota – la prof.ssa Neto raccontò aneddoti curiosi della sua vita con “il Sindaco Professore”; tra questi anche quello che li vedeva a passeggio insieme per le vie cittadine con un instancabile amore per Reggio ad ogni passo: tanto che Italo amava controllare lavori, cantieri e addirittura le griglie dello scolo delle acque per strada che liberava puntualmente da detriti con il suo ombrello; finanche in questi momenti. Ci piace immaginarli a braccetto, di nuovo assieme».

«Ci piace cogliere, al contempo – conclude la nota – quel profondo messaggio d’amore e d’impegno per la città che proveremo a fare nostro nelle quotidiane battaglie per restituire a Reggio la stessa signorilità di Italo e Rosetta».

Il presidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, Antonino Tramontana, i consiglieri e il segretario Generale della Camera di commercio di Reggio Calabria «si uniscono al dolore del Sindaco del Comune di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, per la perdita della cara Mamma ed esprimono le loro più sentite condoglianze alla famiglia». (rrc) 

 

La scomparsa del grande glottologo Anthony Mollica

È morto a Roma il grande glottologo calabro-americano, di origine calabrese Anthony Mollica, Il professore era originario di Bruzzano Zeffirio. Da qualche settimana stava tenendo conferenze in tutt’Italia.

di PINO NANO – Con lui se va un pezzo della storia della lingua italiana in Canada e in tutto il Nord America. Era davvero un’icona della lingua e della letteratura italiana in Ontario. È morto il giorno di Pasqua a Roma, all’Ospedale San Giovanni, ufficialmente per una forma grave di broncopolmonite, ma già nei giorni scorsi lo studioso era caduto facendosi anche abbastanza male. Ricoverato per quella caduta, i medici si sono poi resi conto che aveva anche gravi complicazioni polmonari.

Credo di poterlo scrivere, il prof. Antony Mollica è morto nel pieno del suo entusiasmo, e mi piace immaginare che sia volato in cielo sorridendo e felice di averlo fatto dall’Italia e non dal Canada dove invece abitualmente viveva.

Era appena rientrato in Italia per tenere delle lezioni in varie università italiane, prima fra tutte aveva scelto l’Università della Calabria, “laggiù – mi diceva – ho un amico speciale, si chiama Franco Altimari, saremo insieme il 12 marzo a San Demetrio Corone, con lui abbiamo lavorato per anni insieme” -, ma la motivazione vera è che tornare all’Università della Calabria per lui significava tornare a casa sua, nella terra di origine, e da cui era partito giovanissimo e senza nessuna voglia di seguire la famiglia in Canada.

Nato a Motticella, frazione di Bruzzano Zeffirio, a 11 km da Brancaleone Marina in provincia di Reggio Calabria, emigra con la sua famiglia all’età di 11 anni in Canada, dove consegue la laurea in Lingue moderne presso l’Università di Toronto. Da giovanissimo diventa consulente privilegiato ed esclusivo del Ministero della Pubblica Istruzione dell’Ontario, e alla fine finisce con il coordinare il settore lingue del Provveditorato agli studi di Wentworth. Nel 1984 diventa professore ordinario di Didattica delle lingue moderne alla Brock University, insegnando in corsi di formazione per il francese, italiano, spagnolo e inglese come lingua straniera/seconda.

Autore di almeno 60 libri diversi, è stato due volte Presidente della American Association of Teachers of Italian – il primo canadese dalla fondazione dell’Associazione nel 1924 – e Presidente dell’Ontario Modern Language Teachers’ Association di cui è membro a vita. Per molti anni ha insegnato anche in corsi per l’insegnamento della lingua seconda presso l’Università della Calabria. Fuori d’Italia, ha tenuto lezioni e conferenze all’Università degli Studi di San Marino, in Slovenia, in Serbia, in Brasile, in Grecia, in Germania, in Francia, in Olanda, a Malta e in diverse Università dell’Australia (Sydney, Melbourne, Brisbane), degli USA e del Canada. Una vera e propria autorità accademica internazionale.

Nel novembre 2002 gli è stato consegnato il Distinguished Service Award dalla American Association of Teachers of Italian e nel dicembre dello stesso anno gli è stato attribuito l’Ontario March of Dimes per i suoi quarant’anni nel campo educativo. L’evento è stato utilizzato come raccolta di fondi per l’Ontario March of Dimes. Nel luglio del 2003 è diventato il primo beneficiario di “Una vita per l’italiano”, premiato dall’Università di Venezia, “Ca’ Foscari”, in riconoscimento della sua attività lungo tutta la vita per la promozione dell’italiano.

Nel maggio 2004, nel suo “banchetto per festeggiare il suo pensionamento”10 borse di studio di $500,00 sono state istituite attraverso le donazioni di amici e colleghi. L’ “Anthony Mollica Excellence Award per l’insegnamento delle lingue seconde” sarà destinato per i prossimi dieci anni a uno studente meritevole della Faculty of Education.

Nel 2006, il Presidente della Repubblica italiana lo ha insignito del titolo di “Commendatore della Stella della Solidarietà”, riconoscendolo come promotore della lingua e della cultura italiana.

Nel 2011, questo illustre cattedratico italo-canadese viene insignito del prestigioso titolo di socio onorario dell’ASLI, che è l’Associazione per la Storia della Lingua Italiana, una candidatura supportata da famosi linguisti come Francesco Sabatini, Luca Serianni e Francesco Bruni. Ma già dal 2010 per quasi un decennio consecutivo ha insegnato “Ludolinguistica”, all’Università per gli Stranieri di Siena, grazie all’invito dell’allora Rettore, Massimo Vedovelli.

Socio onorario dell’Associazione per la Storia della Lingua Italiana dal 2011, Anthony, Mollica era considerato un innovatore assoluto nella ludolinguistica applicata all’insegnamento delle lingue straniere, e chi si occupa di questa materia alle varie prestigiose università mondiali ci parla di lui come del massimo esperto di questa materia nel mondo.

Una sorta di eccellenza italiana che il mondo della letteratura ci invidia.

Una storia, anche questa di Anthony Mollica, che sembra quasi una leggenda. ν

Addio al poeta-architetto reggino Natale Cutrupi

Reggio Calabria piange la scomparsa del poeta dialettale e architetto Natale Cutrupi che lascia questo mondo all’età di 86 anni.

Da tempo viveva nella sua casa di Ortì, Cutrupi con la sua poesia raccontava la propria terra lontana dagli stereotipi negativi. Appassionato studioso, non ha mai smesso di occuparsi della sua Reggio con progetti e ricerche. Nel 2022 è stato premiato con il San Giorgio d’oro. (rrc)

“Dio amante della vita”, il libro del poliedrico don Mario Ciardullo

di CARMELA INFANTE – “Dio amante della vita: dalla bioetica sul fine vita a Chiara Luce Badano” è il titolo del testo di don Mario Ciardullo, edito da Tau Editrice – Todi, nel novembre 2023, con la prefazione puntuale di mons. Giovanni Checchinato, arcivescovo metropolita di Cosenza – Bisignano.

«Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? (Salmo 8,5). Queste affermazioni del salmo – scrive mons. Checchinato – ci mettono davanti allo stupore per la vita e la sua bellezza: esse provengono dalla nostra tradizione ebraico cristiana che ha dato tanto alla promozione della dignità dell’uomo, e che desidera offrire ancora i suoi valori di solidarietà radicale a tutti coloro che sentono la vita come bene incommensurabile, e desiderano per questo la vita».

Il poliedrico autore del testo, Mario Ciardullo, nasce a Cosenza il 10/07/1989. Sacerdote dell’Arcidiocesi di Cosenza – Bisignano dal 10/05/2014, già parroco di Carolei, Domanico, Potame, Vadue di Carolei, è attualmente parroco della parrocchia Santa Maria della Consolazione in Rende. Dopo aver conseguito il baccellierato in Sacra Teologia si è licenziato in Teologia Morale con indirizzo Bioetico ed in seguito ha ottenuto l’abilitazione all’insegnamento della religione cattolica. Don Mario è anche un cantautore con al suo attivo sedici brani musicali ed è autore di tre opere scultoree.

«La vita dunque è anche nelle nostre mani. Uno degli ultimi messaggi che Chiara Badano ha mandato ai giovani recita così: “Abbiamo una sola vita. E vale la pena di viverla bene”. Merita ascolto!». È questa la frase conclusiva del testo che parla di sacralità della vita e affronta nell’insieme temi complessi, con linguaggio disinvolto, chiaro e comprensibile a tutti, quali vita e morte attraversando tematiche cruciali quali bioetica, eutanasia, biofilia, aborto.

È riuscito a trattare temi ostici quali vita, morte, bioetica, eutanasia, con un linguaggio semplice che arriva a tutti. Quale il segreto?
Nessun segreto. La semplicità vince sempre. Penso che la formazione, lo studio, la quotidianità, la strada, ti portino a scegliere come essere. Scegliamo noi ogni giorno chi essere. Io ho scelto di arrivare a tutti. Spero di riuscirci.

Il Suo testo è un inno alla vita perché anche nella morte di Chiara Badano emerge la sacralità della vita di cui «solo Dio può decretarne la fine»…
Assolutamente sì. “Il Dio amante della vita” vuole mettere in evidenza la sacralità della vita. Sostanzialmente per due motivi, il primo è da ricercare all’interno di un bisogno pastorale: da sacerdote si incontrano tante situazioni di sofferenza, si piange con chi soffre e soprattutto si presta orecchio a tante domande quali il perché della sofferenza, il perché della malattia, il valore della vita umana e ovviamente la figura del Dio di Gesù che per molti sta lì fermo ad osservare e a gioire per il male che si affronta. Il secondo motivo è riconducibile ad un’esperienza personale legata alla sofferenza vissuta da mio padre (che lo ha portato poi alla morte) e di conseguenza alla sofferenza che tutta la mia famiglia ha vissuto in quei cinque anni. Lo sappiamo, quando un membro della famiglia soffre, tutta la famiglia soffre. Precisamente ciò che mi ha segnato in quei cinque anni è da ricercare non tanto nella sofferenza, ma nel modo in cui Dio si è reso presente in quella sofferenza. Quel Dio che ha redento la sofferenza, attraversandola, si è mostrato non solo vicino, presente, vivo, provvidenziale. Una sofferenza certamente vissuta nella serenità, ma soprattutto nella fede nel Dio “amante della vita”. Nasce così l’idea di unire le due cose per provare ad affrontare la problematica situazione storica dell’uomo, colta nel mistero del male e della sofferenza, ma soprattutto per provare a rispondere alla domanda che accomuna ancora oggi cristiani cattolici: “perché Dio permette la sofferenza?” Ecco allora che nasce quello che noi oggi potremmo definire un ossimoro bioetico: da un lato il Dio amante della vita in tutte le sue forme (evidenzio a partire dall’Antico Testamento fino al Nuovo Testamento come si manifesta questo amore di Dio per la vita, in modo particolare come Gesù opera a favore della vita) dall’altro lato, nello specifico, il caso di Chiara Luce Badano, oggi beata, che ha saputo, con il suo esempio e la sua testimonianza luminosa, essere discepola del Dio biofilo anche nella situazione estrema del dolore. Un dolore che oggi ci invita a porci degli interrogativi bioetici.

A me pare che questo testo possa essere letto anche da chi non crede ed è quanto emerge da più angolature ma soprattutto dal modo in cui viene trattato il tema dell’eutanasia.
Quando si scrive, si scrive cercando di dare luce alla verità. Spero che in tanti, attraverso questo libro, possano comprendere sempre più il valore sacro della vita, ma soprattutto l’importanza di un Dio che essendo amante della vita tout court, non può godere per la morte (concezione ancora presente oggi nella maggior parte dei cristiani). Infatti, oggi, si ha l’impressione che nonostante tutto niente è impossibile all’uomo. E allora, se una cosa è possibile è anche sempre lecita? Il “sentire” di tanti uomini di oggi è cambiato: ad esempio il principio valoriale non è più la vita in sé, ma una certa “qualità della vita”. Ecco allora che il “Vangelo della vita” è il piano pastorale più urgente affidato a noi comunità cristiana e a tutti gli uomini di buona volontà perché la vita non è difesa, non è protetta, non è promossa, non è apprezzata, è diventata spesso uno “scarto”; in una parola è “disangelizzata”. Uno degli ultimi messaggi che Chiara Badano ha mandato ai giovani recita così: «Abbiamo una sola vita. E vale la pena di viverla bene». Merita ascolto!

«Non fare del bene se non hai la forza di sopportare l’ingratitudine»: una delle frasi più famose del saggio cinese Confucio. Mi sembra che questa frase possa ben incastrarsi nelle tematiche presenti nel testo. È solo una mia supposizione o comunque in qualche modo ci rientra?
Beh ci sta! Molte volte siamo irriconoscenti nei confronti di Dio e del prossimo. Alcuni sono mossi dal rancore e dall’invidia proprio con le persone che meno lo meritano. Il rischio è di dimenticare in fretta il bene ricevuto. Nel testo le tematiche trattate ci riportano al principio cardine che è la gratitudine. Siamo nelle mani di Dio da sempre. Dovremmo dire grazie ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo.

Il titolo del Capitolo II cita così: “L’inizio era così: La biofilia di Dio”. In parole semplici come Lei sa fare: perché Dio è biofilo?
Dio è biofilo (biofilia significa “amore per la vita”) semplicemente perché è sempre per la vita. Lo vediamo sia nell’Antico Testamento, sia nel Nuovo Testamento (in modo più esplicativo nei Vangeli). Gesù guarisce sempre; zoppi, storpi, ciechi, paralitici. È per la vita non per la morte. E anche oggi, dove tutto sembra il contrario, se aprissimo le orecchie e gli occhi del cuore, ci accorgeremmo di quanto Dio sia più vicino a noi di quanto noi minimamente possiamo pensare o immaginare. Cammina con noi, ci sostiene, ci dà forza. Ma noi preferiamo notare e “vedere” solo le cose visibili. La mano “invisibile” di Dio, invece, sfugge perennemente ai nostri sensi.

Chi sono i Caino e gli Abele dei nostri giorni?
In potenza tutti; proprio in virtù di quell’ingratitudine di cui sopra, ognuno di noi può diventare Caino o essere Abele. Sta a noi riconoscere negli altri il volto di Dio. Il grande filosofo Levinàs direbbe che: «Il volto dell’altro mi sta di fronte nella sua presenza e al tempo stesso nella sua enigmatica astanza: oggetto di un inesauribile desiderio, sempre trascendente rispetto ad ogni tentativo di conoscenza esaustiva, di dominio, di possesso». Attraverso il volto dell’altro dunque posso e devo andare verso l’Alto.

Che fare per far sì che il profitto e la smania di arrivare dei tempi moderni non arrivino a calpestare tematiche quali biofilia e bioetica?
Bisogna semplicemente crescere nella consapevolezza che è Dio a guidare la storia. Questo Dio si fida talmente tanto dell’uomo che gli dona il compito di custodire ogni cosa da Lui creata. Sta a noi dunque non oltrepassare il limite. Per far questo bisogna riconoscersi uomini e cioè diversi da Dio. Altro rispetto a Lui. Evangelicamente “come bambini”. (ci)

Ultima navigazione in mare del Comandante Sebastiano Morabito

di COSIMO SFRAMELI – Stroncato da un improvviso malore, all’età di 53 anni, si è addormentato il 2° Capo Aiutante NP/MS Sebastiano Morabito, che ha ricoperto incarichi anche in Unità navali della Guardia Costiera come Conduttore di Macchine e di Comandante.

Congiuntamente alle decorazioni, è stato insignito dal Presidente della Repubblica della Medaglia Mauriziana al Merito per dieci lustri di servizio benemerito e con elevato rendimento di carriera militare. Cavaliere Mauriziano e, quindi, socio dell’Associazione Nazionale “Nastro Verde” Sezione Calabria, si è distinto per attaccamento alle tradizioni militari marinare e bontà d’animo.

Lascia la moglie Elisabetta e il figlio Saverio che, increduli e ravvivati dalla fede cristiana, sono già illuminati nel loro cammino dalla luce viva di Sebastiano.

I funerali religiosi sono stati celebrati nella Chiesa parrocchiale di Mosorrofa di Reggio Calabria e officiati da don Mimmo Labella. La commemorazione militare è stata a un Picchetto di Marinai della Capitaneria di Porto, alla presenza del Comandante Direttore Marittimo CP Giuseppe Sciarrone, ha commemorato in forma militare e austera al feretro di Sebastiano Morabito, rendendo gli onori al suo passaggio. La popolazione commossa si è unita al dolore della famiglia. Presenti i colleghi, soci, gli amici del “Nastro Verde” Calabria con Labaro e Bandiera Tricolore.

La comunità Combattentistica e d’Arma esprime cordoglio alla famiglia e alla Marina per la scomparsa di Sebastiano Morabito, fedele servitore dello Stato. Supportati dalla fede e uniti nella preghiera, giungano alla moglie e al figlio le più sentite condoglianze, con la consapevolezza che Sebastiano, in quell’angolo di mare, con Santa Barbara e San Maurizio, saprà proteggere e illuminare il cammino di tutti. Sebastiano, ci hai preceduti, navigando avanti in mari più azzurri. (cs)

La calabrese Mariateresa Russo presidente della Società Italiana Chimica degli Alimenti

Prestigioso incarico per la calabrese Mariateresa Russo, docente di Chimica degli Alimenti presso il Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria e Prorettrice ai grandi progetti e infrastrutture di ricerca, che è stata eletta presidente della Società Italiana Chimica degli Alimenti.

Russo, che è anche coordinatore scientifico della Infrastruttura di ricerca Diaita – Mediterranean Lifestyle, è stata eletta all’unanimità – nel corso dell’Assemblea nazionale svoltasi all’Università La Sapienza di Roma – alla guida della società scientifica i cui soci sono esclusivamente professori, ricercatori, tecnologi afferenti al Settore Scientifico Disciplinare CHIM/10.

La neo presidente sarà affiancatavda un neoeletto Consiglio direttivo e da un Comitato Scientifico, entrambi composti da colleghi di elevato profilo scientifico. I temi al centro dell’interesse della ItaChemFood sono legati al cibo – oggi al centro delle sfide globali sulla sostenibilità – inteso in tutta la sua complessità.

Mariateresa Russo, nel sottolineare come intorno al cibo, all’alimentazione e ai sistemi produttivi si giochi una parte importante del futuro dell’umanità, evidenzia il ruolo strategico che, in tale contesto, assumono le scelte alimentari del consumatore. Sebbene il consumatore del nuovo millennio mostri sempre più un approccio al cibo di tipo ortoressico, quindi incentrato sull’ossessione del “mangiar sano” è, in questo, fortemente influenzato dai media e, soprattutto, dai social media – diventando, a volte, ostaggio di preoccupante disinformazione.

I social media, sono diventati il luogo in cui si plasma e si consolida una sorta di identità sociale ed individuale e si interpreta e reinterpreta il cibo ed valore del cibo, motivo per il quale, uno degli obiettivi operativi del prossimo triennio sarà quello di consolidare il ruolo della ItaChemFood quale voce autorevole a sostegno di scelte knowledge driven e della irrinunciabile dimensione etica del cibo. (rrc)

Mariele Lo Bianco, la ragazza del futuro che vince il premio “America Giovani”

di MARIACHIARA MONACO – La ragazza del futuro ha un nome: Mariele Lo Bianco. Originaria di Briatico (Vv), si è laureata in Lingue e Letterature Moderne presso l’Università della Calabria con il massimo dei voti, ed è stata insignita, lo scorso 29 gennaio presso la Camera dei Deputati, del prestigioso premio “America Giovani”, un riconoscimento della fondazione Italia-Usa al talento universitario che viene conferito ogni anno a mille, tra studenti e studentesse italiani/e, che si sono distinti/e per la loro eccellente carriera accademica, e per aver approfondito studi che sono compatibili con il Master “Leadership per le relazioni internazionali e il Made in Italy”, offerto agli studenti grazie ad una borsa di studio a copertura totale.

Ma Mariele si aspettava tutto questo? «La notizia è stata totalmente inaspettata, conoscevo la fondazione, ed ero a conoscenza del Premio e del Master, perché altri colleghi dell’Unical lo hanno ricevuto prima di me, ed è stato bellissimo sapere di poter avere la loro stessa opportunità».

Emozioni che si raccontano e che si ricordano, in uno dei giorni più belli che una persona possa vivere: «La premiazione presso la Camera dei Deputati è stata veramente molto emozionante. Eravamo lì, studenti e studentesse nella stessa fase di vita, con esperienze molto diverse ma allo stesso tempo molto simili».

Un riconoscimento, frutto di una passione che Mariele ha sempre avuto: quella per le lingue straniere. «La passione per le lingue è nata da piccolina: mi affascinava tantissimo l’idea di avere più modi di dire qualcosa, ma soprattutto mi piaceva pensare di poter parlare con persone che erano cresciute in un posto diverso dal mio. Le lezioni di inglese erano le mie preferite, e quando le mie insegnanti passavano dall’inglese all’italiano in maniera naturalissima io pensavo che volevo assolutamente riuscirci, prima o poi!».

Poi il salto in alto, l’università, i passi percorsi da un cubo all’altro seguendo lezioni, sostenendo esami, o semplicemente chiacchierando fra colleghi, senza mai dimenticare l’obbiettivo: «Ho seguito il corso di laurea di Lingue e Culture Moderne dell’Università della Calabria, scegliendo inglese e francese come prima e seconda lingua. All’Unical ho trovato dei docenti e delle docenti che con tanta passione e tanta cura mi hanno trasmesso tantissimo, non solo a livello prettamente linguistico, ma su più fronti. Nel corso della triennale e della magistrale – in Lingue e Letterature Moderne – si intrecciava un po’ in tutti i corsi una visione globale e intrinsecamente internazionale del mondo, con un forte focus sugli studi di genere, transnazionali e della migrazione. Tutto quello che ci è stato trasmesso siamo stat* chiamat* ad accoglierlo con uno sguardo aperto all’integrazione e alle diversità, uno sguardo che non teme i confini culturali, linguistici, geografici, sociali».

Dietro i riflettori che illuminano Mariele però, ci sono stati sacrifici, giornate intere di studio e di confronto con i numerosi docenti, fonte d’ispirazione dall’inizio fino alla fine: «Quando penso ai miei “maestri”, mi viene in mente la prof.ssa Margherita Ganeri, Ordinaria di Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università della Calabria e fondatrice del centro Italian Diasp e abbiamo poi collaborato in occasione di più progetti, come la pubblicazione del volume Calabrian Voices, e l’organizzazione dell’Italian Diaspora Studies Writing Retreat. In tutte queste esperienze, la professoressa Ganeri mi ha insegnato veramente il significato della parola “intercultura”: mi ha donato uno sguardo sul mondo affascinato, curioso, che legge la diversità come ricchezza e che attraversa i confini imparando sempre qualcosa di nuovo. È poi per me doveroso menzionare altri e altre docenti del corso di laurea: le professoresse Carla Tempestoso, Bruna Mancini, Renata Oggero, Annafrancesca Naccarato, Carla Riviello e i professori Mirko Casagranda, Danilo De Salazar, Yannick Preumont. Se la qualità dei loro corsi è innegabile, è forse ancora maggiore la sensibilità con cui hanno saputo trasmettere la sensibilità interculturale e all’integrazione che non è solo uno focus del Clia, ma un fil rouge del corso di laurea. Doveroso menzionare anche la prof.ssa Martina Di Florio, docente di Italian Studies al Trinity College di Hartford (Connecticut, Usa), e il prof. Steven J. Sacco, visiting professor al corso Clia 2020: se studiare lingue è un po’ come costruire un ponte tra l’Italia e altri posti nel mondo, insieme alla prof.ssa Ganeri loro sono stati la base del mio piccolo ponte tra Italia e Stati Uniti».

La ragazza del futuro, seppur proiettata verso nuove avventure, si guarda indietro e trova le esperienze, e i maestri che l’hanno ispirata, e che le hanno insegnato a camminare da sola, fino alla Luna. Perché Mariele, proprio come un’astronauta, ambisce a scoprire nuovi pianeti della conoscenza: «Un’altra esperienza universitaria che non dimenticherò mai è stata quella a fianco del visiting professor Alan Gravano, il quale mi ha un po’ fatta sentire su un ponte tra il mondo accademico americano e quello italiano, il ché è stato particolarmente significativo, trattandosi del corso di Cultura e Letteratura Italo-Americana».

Un bagaglio di vita vissuta tanto prezioso e importante, fatto di relazioni interpersonali, e di consapevolezze. Mariele è pronta per un nuovo salto in alto: ma qual è il suo sogno nel cassetto? «Essere felice e soddisfatta, in qualsiasi contesto, o ambito. Mi piacerebbe fare qualcosa di buono per gli altri e per il mondo, e che si colleghi in qualche modo con un futuro maggiormente sostenibile, dove i diritti sociali e civili rappresentino una fonte alla quale attingere».

Ora sta frequentando il Master online offerto dalla Fondazione Italia-Usa, un’occasione per conoscere nuovi mondi come quello del marketing e della comunicazione: «Questo percorso appena iniziato mi sta schiarendo molto le idee, perché ho la possibilità di approfondire degli ambiti che ho già trattato all’università, e allo stesso tempo mi sta facendo immergere anche in ambiti totalmente nuovi». (mm)

Addio alla storica preside d’ingegneria all’Unical, Laura Luchi

di FRANCO BARTUCCIDiciamo che da ieri l’Università della Calabria ed in particolare l’area di ingegneria è in lutto per la scomparsa della prof.ssa Laura Luchi che per un decennio, dal 1997 ne ha guidato le sorti come Preside di Facoltà, succedendo al prof. Jaques Guenot, e anticipando la presidenza del prof. Paolo Veltri avvenuta nel 2007.

Come ha scritto l’attuale direttore del dipartimento Dimeg, del quale ne faceva parte, la prof.ssa Francesca Guerriero, in una nota ufficiale dello stesso dipartimento diramata per darne comunicazione della scomparsa: «La prof.ssa Maria Laura Luchi, storica preside della Facoltà di Ingegneria è stata una personalità tra le più carismatiche e autorevoli dell’Università della Calabria». 

Dal profilo ne emerge la figura, il suo carisma, la sua personalità: «Nata ad Orvieto nel 1950, Laura Luchi a 24 anni consegue la Laurea in Ingegneria Meccanica presso l’Università di Pisa. Subito dopo la laurea lei e il suo compagno Andrea Poggialini, anch’egli Ingegnere Meccanico, accettano la proposta del prof. Pietro Caparrini e si trasferiscono a Cosenza, dove sta nascendo l’Università della Calabria. Laura e Andrea vengono infatti cooptati, fra i più brillanti neolaureati italiani, dai membri del Comitato Ordinatore che aveva il compito di allestire i corsi di studio. Fecero quindi parte del nucleo iniziale dei docenti che posero le basi della Facoltà di Ingegneria. È il 1974 e i corsi all’Unical erano stati avviati solo da due anni. Le lezioni si svolgevano dentro i capannoni sparsi fra i cantieri in cui si lavorava alacremente per costruire il Campus di Arcavacata». 

«In quell’anno Laura Luchi vince il primo concorso all’Unical come Tecnico Laureato e dopo un anno e mezzo quello di Assistente di Ruolo per il corso di Meccanica Applicata. Non passa molto tempo e a soli 27 anni diventa Professore Associato di Costruzioni di Macchine. A 40 anni è già Professore Ordinario di Disegno e Metodi dell’Ingegneria Industriale ed è a questo punto che inizia a ricoprire ruoli gestionali di responsabilità sempre maggiore. L’anno successivo viene eletta Direttore del Dipartimento di Meccanica e dopo poco tempo Presidente del Consiglio di Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica. Nel 1997 assume il ruolo di Preside della Facoltà di Ingegneria, la prima donna in Italia a ricoprire questo ruolo all’interno di una Facoltà di Ingegneria. Viene rieletta per tre mandati consecutivi e, nel frattempo, ricopre altri ruoli prestigiosi come il Delegato del Rettore per l’Orientamento Laureati, Coordinatore della Scuola di Dottorato in Ingegneria Meccanica». 

«Da Preside di Ingegneria, focalizza la sua attenzione sull’orientamento in ingresso, lavorando per sensibilizzare le scuole superiori di secondo grado del territorio rispetto alla necessità di fornire ai propri studenti una preparazione adeguata agli studi universitari di tipo tecnico-scientifico.  L’attività di ricerca è spaziata dai metodi numerici per lo studio dello stato di sollecitazione dei corpi, in particolare il Metodo degli elementi Finiti e degli elementi di contorno, con applicazioni nel campo della Meccanica della frattura. In seguito si è occupata di Modellazione geometrica, seguendo un approccio decompositivo, di Realtà virtuale e di Elaborazione dell’immagine. Ha goduto di grande stima come studiosa in ambito nazionale e internazionale, diventando tra l’altro presidente della Giunta del Collegio Nazionale dei Docenti del suo settore scientifico disciplinare (ING-IND/15)  e svolgendo un ruolo attivo nell’ambito del Collegio dei Presidi delle Facoltà di Ingegneria. Ha condiviso con il prof. Poggialini la formazione di un folto gruppo di giovani ricercatori calabresi».

«Come altri suoi colleghi, che decisero di spendere la propria esistenza in una sorta di emigrazione all’incontrario Nord-Sud presso l’Università della Calabria, ha lasciato un tratto indelebile fra quanti l’hanno conosciuta di persona, soprattutto per la sua autorevolezza e la sua umanità.  La prof.ssa Laura Luchi ha dato un’impronta fondamentale nel progettare e costruire il corso di laurea d’ Ingegneria meccanica per quello che è oggi, così come più in generale l’intero impianto dei corsi di laurea in Ingegneria dell’Unical».

Ad arricchire questo profilo è il caso di ricordare alcune cose importanti che l’hanno portata a considerarsi parte attiva ed integrante della vita e dello sviluppo dell’Università della Calabria. Mi riferisco alla competizione elettorale, svoltasi il 17 giugno 1999, per eleggere il Rettore dell’Università, in cui fu candidata insieme al prof. Giovanni Latorre, che la spuntò. Ma ricordo perfettamente la passione e l’entusiasmo che mise durante il periodo della campagna elettorale per essere scelta per la guida dell’Ateneo come Rettore.

Un altro suo impegno verso gli studenti laureati della Facoltà d’Ingegneria lo esercitò nel promuovere fin dopo la sua prima elezione a Preside la ricerca annuale sullo stato occupazionale dei laureati d’Ingegneria dell’UniCal, dalla quale uscivano dati incoraggianti sul loro stato occupazionale a breve distanza dal conseguimento della laurea. Poi e precisamente il 15 marzo del 2003 arrivò nell’edificio polifunzionale la prima edizione della manifestazione “Ingegneri d’argento”, che volle promuovere convocando una quarantina di laureati per festeggiarli a distanza di 25 anni dal conseguimento della laurea in ingegneria nell’anno accademico 1977/1978. Era un modo come costruire un ponte fra la Facoltà e i suoi ex studenti, molti dei quali già con incarichi e posizioni di prestigio, in modo da rinsaldare i legami tra l’Università ed il mondo del lavoro.

Come non ricordare, infine, tutte le iniziative e i progetti indirizzati e finalizzati a dare alla Facoltà di Ingegneria una impronta internazionale con accordi e protocolli d’intesa con altre Università estere. Emergono in questo due straordinarie iniziative, promosse in ambito universitario, come l’accordo con la Repubblica Popolare Cinese, avviato per prima in Italia nel 1978 dal rettore Pietro Bucci; nonché l’Istituzione della prima Università Italo Russa sorta in accordo con l’Università russa di Nizhny Novgorod nel 1997 per impegno del Rettore, Giuseppe Frega, con accanto la collaborazione dei professori, Davide Infante, Giovanni Latorre e Sergeiev Yaroslav.

Una figura carismatica e riservata anche dopo il suo abbandono dalle attività d’insegnamento per effetto dell’età, ma sempre attenta e sensibile alla vita ed ai percorsi di sviluppo dell’Università, dando anche il suo appoggio e sostegno alla nascita dell’Associazione internazionale “Amici dell’Università della Calabria”, istituita nel 2009 da Aldo Bonifati, padre costruttore dell’Ateneo di Arcavacata. 

Tante le testimonianze di affetto e cordoglio che diversi colleghi dell’Università le hanno manifestato attraverso lo strumento interno di comunicazione “Mercurio”. Tra di questi vi è quello del Rettore Giovanni Latorre, del Preside Paolo Veltri, del prof. Marco Turbino, Presidente della Conferenza nazionale per l’Ingegneria (Copl), dell’Università di Trento, che ha inviato agli ingegneri italiani facenti parte della organizzazione il seguente messaggio: «Con profonda tristezza vi partecipo la scomparsa della prof.ssa Laura Luchi, ordinario di Disegno e Metodi dell’Ingegneria Industriale presso l’Università della Calabria. Figura carismatica, autorevole e di profonda umanità, Laura ha fatto parte del nucleo di docenti che ha “fondato” negli anni ’70 la Facoltà di Ingegneria dell’Università della Calabria e ha promosso lo sviluppo del corso di laurea in Ingegneria Meccanica. È stata la prima donna in Italia a ricoprire il ruolo di Preside in una Facoltà di Ingegneria, svolto per tre mandati consecutivi a partire dal 1997. Esprimo alle colleghe e ai colleghi dell’Università della Calabria il profondo cordoglio della Conferenza per l’Ingegneria». (fb)   

L’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, mons. Claudio Maniago eletto vicepresidente della Cec

Prestigioso incarico per mons. Claudio Maniago, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, che è stato eletto vicepresidente della Conferenza Episcopale Calabra, subentrando a mons. Francesco Milito, vescovo emerito di Oppido – Palmi.

L’elezione è avvenuta nel corso della sessione invernale della Cec, presieduta dall’arcivescovo di Reggio Calabria mons. Fortunato Morrone, subito dopo l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico interdiocesano calabro e del Tribunale ecclesiastico calabro d’appello.

Monsignor Maniago è componente della Presidenza della Cec insieme al segretario, il vescovo di Mileto – Nicotera – Tropea, monsignor Attilio Nostro e al presidente della Cec, l’arcivescovo Morrone.

Monsignor Maniago è nato l’8 febbraio 1959 a Firenze. Dopo la maturità classica è entrato nel Seminario maggiore frequentando lo Studio Teologico Fiorentino. Alunno dell’Almo Collegio Capranica, ha conseguito la licenza in Liturgia presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Il 19 aprile 1984 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Dal 1987 al 1994 è stato rettore del Seminario minore diocesano, direttore del Centro diocesano vocazioni, membro del Consiglio pastorale diocesano e assistente ecclesiastico del Serra Club.

Nel 1988 è divenuto cerimoniere dell’arcivescovo metropolita di Firenze e ha iniziato ad insegnare Liturgia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale; nel 1991 è stato nominato direttore dell’Ufficio liturgico diocesano e membro della Commissione ordinandi. Dal 1994 è stato pro-vicario generale dell’arcidiocesi metropolitana, moderatore della Curia arcivescovile, canonico onorario della chiesa cattedrale di Firenze e nel 2001 è stato nominato vicario generale.

Il 18 luglio 2003 è stato nominato vescovo ausiliare di Firenze e consacrato l’8 settembre successivo. Nel 2008 è stato confermato vicario generale. Il 12 luglio 2014 è stato nominato vescovo di Castellaneta. Dal 2015 al 2021 è stato presidente della Commissione episcopale per la liturgia (Cel) e del Centro di azione liturgica (Cal). Dal 2016 è membro della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Il 29 novembre 2021 papa Francesco lo ha nominato arcivescovo di Catanzaro – Squillace: ha iniziato il suo ministero episcopale in Calabria il 9 gennaio 2022, solennità del Battesimo del Signore.

La Conferenza episcopale calabra ha espresso all’arcivescovo di Catanzaro – Squillace i migliori auguri di buon lavoro per il nuovo ministero a servizio di tutti i calabresi: anche a monsignor Maniago è affidato il gravoso compito di favorire un cammino comune delle Chiese calabresi alla luce del rinnovamento segnato dal cammino sinodale.

Il sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, ha espresso i suoi auguri a mons. Maniago.

«Abbiamo imparato a conoscere le qualità pastorali di monsignor Maniago sin dall’inizio del suo ministero presso la nostra arcidiocesi, due anni fa – ha detto Fiorita – e per questo siamo certi che egli saprà dare il suo prezioso contributo alla nostra Calabria. A lui, dunque, gli auguri più affettuosi di buon lavoro».

Il Rettore dell’Università di Catanzaro, prof. Giovanni Cuda, ha espresso le più sincere congratulazioni, Sue e dell’intera comunità accademica catanzarese, all’Arcivescovo metropolita di Catanzaro Squillace Mons. Claudio Maniago, eletto Vicepresidente della Conferenza Episcopale Calabra.

«Un incarico importante, di continuità, per Sua Eminenza che già da tempo rappresenta una guida luminosa per la nostra comunità di fedeli», e ringrazia Mons. Maniago per «la disponibilità ad un servizio così importante che certamente svolgerà con passione e dedizione nell’interesse generale della intera collettività calabrese». (rcz)

La calabrese Giusy Utano nella sede Rai di Reggio Calabria

di PINO NANOSi rafforza sempre di più la sede Rai di Reggio Calabria, anche questa una scelta strategica fortemente voluta dal direttore della testata giornalistica regionale Alessandro Casarin che ancora una volta ha scelto il meglio possibile, e che alla crescita della sede calabrese ha sempre dedicato grande attenzione e grande sensibilità.

Dal primo febbraio, quindi da giovedì prossimo, prende servizio alla sede RAI di Reggio Calabria la giornalista Giusy Utano, volto notissimo in città per via dei suoi trascorsi di cronista freelance in città, e soprattutto per via delle sue mille relazioni professionali costruite in tutti questi anni lavorando per la Rai e coprendo l’intero territorio provinciale. Con il suo arrivo salgono ora a 3 i giornalisti in servizio nella città dello Stretto, Pino Guglielmo, Mario Meliadò e lei, Giusy Utano.

Per Giusy Utano è in realtà quello di oggi un ritorno a casa, dopo aver lavorato prima nella redazione giornalistica di Campobasso, Rai Molise, e poi subito dopo nella redazione giornalistica della sede Rai di Bari, Rai Puglia, dove le era stato affidato il compito delicatissimo di seguire uno dei territori più difficili della regione, il comprensorio tra Trani Barletta e Andria e dove in questi ultimi mesi ha seguito i casi più delicati e le inchieste più scottanti di cronaca nera, terra da sempre governata e controllata dalla Sacra Corona Unita. 

La storia professionale di Giusy Utano è una di quelle storie che sembrano uscite dai vecchi manuali di giornalismo, nel senso che lei arriva a fare la giornalista della Rai dopo anni e anni di lavoro durissimo, di chilometri macinati per strada, di testimonianze e di vicende vissute con la propria macchina da presa tra le più eclatanti degli ultimi anni, una free lance senza orari e senza paura, che ha sempre portato a casa il prodotto che i vari capi redattori le chiedevano ogni giorno.

Un racconto professionale che inizia per lei nel 1999 sono gli anni in cui lei frequenta la facoltà di Giurisprudenza all’Università perché ha un sogno segreto nel cassetto, che è quello di diventare un magistrato. Ma in quegli anni parallelamente decide anche di seguire un corso per “guida subacquea esperta”, più esattamente per “guida subacquea specializzata in video riprese”, proprio per via di una insana passione che la ragazza ha nei confronti del mare e del mondo sottomarino. Ma come darle torto? per una giovane donna che come lei vive la sua infanzia e la sua giovinezza di fronte allo stretto di Messina, con questo mare ineguagliabile che visto dal lungomare di Reggio Calabria sembra ancora più bello di quanto in realtà già non lo sia.

Concluso il suo bel corso di “riprese subacquee” Giusy decide allora di mettere a frutto la sua esperienza “sottomarina”, e questa volta fuori dall’acqua, incominciando così a girare le sue prime immagini e i suoi primi filmati tra la gente e in città.

Mesi e mesi di lavoro senza un attimo di sosta, alla fine diventa così padrona della sua macchina da presa che decide di dar vita alla sua “società di produzione televisiva”, e arrivano le prime collaborazioni importanti. Prima fra tutte, la storica emittente televisiva “Reggio Tv” di Reggio Calabria, dove Giusy racconta nei fatti e grazie alle sue immagini la vita reale della sua città natale.

Poi un giorno le capita “l’incontro della vita”. È l’agosto del 2005 quando per via di una pura coincidenza gli capita di incontrare e conoscere un giornalista della Rai, Alfredo Di Giovampaolo, allora lui era in forza alla Tgr di Potenza, quindi Rai Basilicata, e che durante un’immersione subacquea con telecamera al seguito, resta colpito dalle immagini girate da Giusy sui fondali di Scilla, tanto da consigliarmi di provare a rivendere il materiale raccolto alla redazione giornalistica di Rai Calabria.

Le cose nella vita a volte accadono per caso. La giovane free lance si presenta negli studi di Viale Marconi a Cosenza e propone le immagini girate. 

«Parte così la mia stagione Rai – racconta oggi –, e grazie al rapporto di fiducia che riesco ad instaurare con la redazione tutta di Cosenza il mio excursus professionale è un crescendo di incontri, esperienze, inchieste, interviste, dossier e riprese di ogni genere sui grandi fatti di cronaca dell’intera provincia reggina. Una professione non facile, o meglio un mestiere difficile, fino a quel momento sconosciuto almeno per me, ma in realtà non mi sono mai fermata o rassegnata. Sono andata avanti dritta per la mia strada, con grande determinazione e soprattutto con una passione immensa che mi bruciava dentro».

Nel frattempo, Giusy trova anche il tempo e la voglia di concludere i suoi studi universitari, e nel 2006 si laurea in giurisprudenza. Non contenta di questo, due anni dopo si presenta all’esame di stato per l’abilitazione di avvocato e diventa anche avvocato.

In Rai intano la chiamano per coprire mille avvenimenti diversi, e questo la costringe a mollare le sue prime collaborazioni. Lascia Reggio Tv, rinuncia alle commesse di Mediaset, arrivate subito dopo, e si tuffa anima e corpo nel rapporto esclusivo con “mamma Rai”.

Prima diventa giornalista pubblicista, poi nel 2013 diventa giornalista professionista, e da qui il passo successivo è il riconoscimento da parte dell’azienda di un contratto definitivo, cosa che arriva ufficialmente il 6 marzo del 2018.

«Prima destinazione – dice Giusy – Rai Molise, data di assunzione 8 marzo 2018, dove ad accogliermi trovo Giancarlo Fiume, caporedattore del tempo e con cui sin da subito si crea un’intesa professionale importante, che sarà poi determinante nella scelta successiva, quando ad ottobre del 2021, su mia espressa richiesta per esigenze del tutto personali, vengo trasferita in Puglia, e dove chiedo di poter essere trasferita anche perché sapevo di ritrovare a Bari lo stesso Giancarlo Fiume che nel frattempo aveva lasciato Campobasso per tornare nella sua sede i origine che era appunto Bari».

Giusy Utano si fa in Puglia altri tre anni e mezzo pieni. Durissimi. Esaltanti, dice lei. Complessi sotto tutti i profili, finché il mese scorso non decide che anche per lei è arrivato il momento di una sintesi finale. Nonostante abbia sempre avuto con la sede RAI di Bari un feeling del tutto speciale, chiede al direttore di Testata Alessandro Casarin di poter tornare a casa, e questa volta a Reggio Calabria.

Immediata e velocissima la risposta del direttore della TGR, che probabilmente non vede l’ora di rafforzare la sede RAI distaccata a Reggio Calabria e dove una sola unità forse non basta a coprire un territorio così vasto e complesso come lo è la città dello Stretto.

Da giovedì prossimo quindi, primo febbraio 2024, la giornalista Giusy Utano torna a Reggio Calabria, «da dove sono partita nel lontano 2005». Corsi e ricorsi della storia. (pn)

[Courtesy Giornalistitalia]