di SANTO STRATI – Quasi due ore di colloquio, cordiale e affabile – riferisce la delegazione dei sindaci accolta a Palazzo Chigi dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte –. Forse qualcosa sta cambiando, forse è la volta buona che il Governo muta l’atteggiamento un po’ arrogante e supponente con cui fino a oggi ha affrontato le criticità della Calabria. È un segnale da cogliere, questo, forse la ritrovata coscienza dell’Esecutivo che s’è fatto troppo poco per i calabresi e, dopo le figure da cioccolataio con la nomina dei commissari a scadenza immediata, è maturata la convinzione che non si può più scherzare. I calabresi hanno perso il senso dell’umorismo e non hanno alcuna intenzione di stare a guardare e lasciar fare chi decide sulla loro testa.
Era la giornata dei sindaci, un tiepido giovedì di novembre, con più di 150 (su 400) sindaci giunti da ogni parte della Calabria per manifestare contro il Governo: si aspettava l’en-plein, ma il Covid ha scoraggiato o impedito una partecipazione massiccia. Poco male, la rappresentanza era assortita, trasversale, sì da far capire che in questo momento non c’è la destra, la sinistra, il centro: ci sono i calabresi che esigono risposte. Soluzioni serie e rapide che il premier Conte s’è impegnato a trovare subito.
All’uscita da Palazzo Chigi, le facce di Maria Limardo (la sindaca di Vibo) di Giuseppe Falcomatà (Reggio), di Mario Occhiuto (Cosenza), Sergio Abramo (Catanzaro) e Flavio Stasi (Corigliano Rossano) con quella del capodelegazione Anci Calabria Francesco Candia (sindaco di Stignano) erano serene e per niente tese. Avrebbe dovuto esserci il sindaco di Crotone, Vincenzo Voce, all’incontro istituzionale, ma è rimasto bloccato perché ancora in quarantena. Al suo posto il giovane sindaco di Corigliano-Rossano che ha mostrato di avere le idee molto chiare, soprattutto a proposito dell’azzeramento del debito della sanità.
Conte ha voluto ascoltare le ragioni e le motivazioni di tutti, ha preso appunti, ha rassicurato e ha quasi convinto la delegazione che è uscita soddisfatta. “Quasi” convinta perché – è legittimo, visti i precedenti – avere un minimo di dubbio. C’era anche il ministro della Salute Roberto Speranza all’incontro, ma non è rimasto fino alla fine: di commissari non si è parlato se non a proposito della necessità di individuare e formare una squadra di eccellenze del territorio in grado di avviare un serio processo di rinnovamento della sanità calabrese. Missione impossibile, per chiunque, se non si cancella il debito e si riparte da zero: è una sorta di risarcimento che il Governo deve alla Calabria per i guasti causati dagli uomini scelti a gestire in nome dello Stato la salute dei calabresi. Troppi danni, tagli indiscriminati, chiusure di ospedali, servizi essenziali sospesi o eliminati in barba alle reali esigenze di cura dei calabresi, costretti a recarsi fuori regione anche per un’unghia incarnita (riferisce amareggiata qualche fonte medica). Un “turismo” sanitario che costa alla Calabria oltre 300 milioni e se si considera che i debiti della sanità sono poco più di 200 milioni se si riportassero le prestazioni in Calabria ci sarebbe persino la possibilità di sanare il disavanzo. Un deficit che il nuovo decreto Sanità che dovrà essere convertito in legge (e che si sta rivelando micidiale per i calabresi) prevede di coprire con 60 milioni aggiuntivi l’anno per tre anni. Ma se si deve continuare a pagare i debiti, si devono accantonare somme per il cosiddetto rientro, come si può investire in assunzioni di medici, specialisti, infermieri, paramedici, tecnici e attrezzature di nuova generazione? Bella domanda, facile la risposta: se ci sono debiti da saldare, i nuovi investimenti possono aspettare con buona pace dei calabresi.
Ora si tratta di vedere cosa succederà nei prossimi giorni: c’è una vacatio politica provocata dalla drammatica scomparsa della presidente Jole, ma c’è anche un vuoto clamoroso nella sanità, visto che il nuovo decreto il 3 novembre scorso ha azzerato tutte le nomine e cancellato tutti gli incarichi preesistenti. Serve dunque rapidamente una guida, possibilmente con competenze scientifiche e buona conoscenza di amministrazione, non il contrario. In Calabria ci sono ottimi professionisti, eccellenze sia in campo medico-scientifico sia in quello amministrativo e la conoscenza del territorio – pare evidente – è un requisito essenziale per chiunque sarà incaricato di risolvere la critica (ma sarebbe meglio dire drammatica) situazione calabrese. Non sarà un atto di nascita con origini locali certificate a garantire la bontà di un manager se poi manca la conoscenza del territorio. E allo stesso tempo non ci può essere solo il manager che taglia e spende se non conosce le dinamiche della sanità, a maggior ragione in questo terribile momento di pandemia. Ma c’era ottimismo sui volti dei sei sindaci che uscivano da Palazzo Chigi: ci piacerebbe condividerlo presto. (s)