di SANTO STRATI – Beffati e traditi i calabresi, mortificata la Calabria e le sue competenze. Svilite le grandi capacità che eccellenti manager hanno da sempre saputo dimostrare. La proroga del già pessimo decreto Sanità Calabria è l’ultimo atto di una guerra silenziosa dichiarata alla Calabria dalla congrega dell’autonomia differenziata: è l’obiettivo, mascherato delle ricche regioni del Nord, quelle, per intenderci che aspettano di liberarsi della “zavorra” del Mezzogiorno e della sua “piagnucolante” popolazione. Quelle regioni, guarda caso, più colpite nella prima fase del coronavirus (Lombardia, Veneto ed Emilia) e oggi di nuovo sull’orlo dell’abisso di un nuovo incubo.
Quando l’incolpevole ministra Erika Stefani, ai primi di luglio dello scorso anno, su mandato di Salvini & company, aveva tentato di far passare il testo sull’autonomia differenziata, poco è mancato che venisse presa a fischi e irripetibili versacci: non era aria, ma lei non l’aveva capito, e aveva tentato di portare. a termine il delicato, quanto esplosivo incarico. Era il tempo del governo gialloverde, mancavano ancora diversi mesi al Papeete e alla salvinata di mezza estate che avrebbe cambiato profilo all’esecutivo. Quell’esecutivo che aveva come ministro della Salute la pentastellata Giulia Grillo. prima firmataria ed esecutrice convinta del decreto Sanità Calabria. Firmato in quel di Reggio, da un Consiglio dei ministri appositamente convocato in Calabria per fare passerella elettorale. Uno spot ai danni dei calabresi sbeffeggiati a casa propria, costretti a subire un provvedimento che peggiorava le cose anziché tentare di migliorarle. La Sanità usciva da otto anni di infelice e terribile commissariamento, con guasti al sistema già di per sé traballante assai, e ripiombava in un nuovo commissariamento, con precise esclusioni di manager locali, come se non ci fossero professionalità di altissimo livello in grado di gestire la Sanità.
Tutto è passato, tra amarezze, inefficaci manifestazioni di protesta (il sen. Marco Siclari ne guidò una davanti a Montecitorio), ma non ci fu verso di modificare neanche una virgola. Lo scorso settembre, quando, naturalmente neanche lontanamente si poteva pensare all’ondata pandemica che avrebbe travolto tutti, l’allora presidente della Regione Mario Oliverio aveva incontrato a Roma il nuovo ministro della Sanità, Roberto Speranza, ottenendo promesse, vaghe, ma era già un risultato, sulle modifiche che sarebbe stato il caso di apportare al famigerato decreto. Finita la legislatura, arrivato il Covid, è giunto alla scadenza naturale l’orribile testo normativo.
La presidente Jole Santelli aveva scritto un’accorata lettera il 13 settembre proprio a Speranza e al presidente Conte indicando le priorità da seguire proprio in vista della scadenza del decreto. Non è successo nulla, nonostante gli appelli, gli allarmi, gli avvisi che da ogni parte si sono levati contro la sola idea di una proroga che sarebbe stata non solo ingiusta ma sicuramente improponibile. E invece, invece è successo. Zitti zitti, a parte una clamorosa litigata all’ora di pranzo tra Speranza e il ministro dell’Economia Gualtieri per gli aspetti economici del decreto che ha fatto slittare il Consiglio dei ministri che doveva decidere, il provvedimento di proroga del decreto è passato, peggiorando ulteriormente la situazione. Si parla di 24 mesi (con l’opzione di rinnovo per altri 12) e di un supercommissario con poteri straordinari (forse magici?) in grado si sovrastare anche il presidente della Regione. Si è giustamente scatenato l’inferno contro il decreto che, in buona sostanza, autorizza il Governo a fare ciò che meglio crede della salute dei calabresi, indifferente a qualsiasi proposta o suggerimento che dovesse venire dalla regione. Una protesta vibrata ma che viene da una sola parte, la destra. Il deputato azzurro Francesco Cannizzaro (probabile e potenziale candidato a presidente della Regione) ha immediatamente chiesto la mobilitazione di tutti i sindaci della Calabria e dei parlamentari calabresi, tutti insieme in via trasversale, per opporsi al decreto e alla sua conversione in legge, anche magari ricorrendo alla giustizia amministrativa.
Da questo punto di vista Calabria.Live può riferire l’autorevole parere di un ex presidente del Tar secondo il quale il decreto è assolutamente impugnabile: «sembrano sussistere tutti i presupposti per impugnare quell’ibrido di decreto ministeriale». Quindi si può e si deve fare l’impugnazione davanti al Tar, al Consiglio di Stato, dovunque sia necessario perché questo obbrobrio non deve passare.
Ma, in attesa del ricorso al Tar, c’è una domanda che si fanno i calabresi: dov’è la sinistra della regione? Dove sono i parlamentari, i consiglieri regionali, i sindaci, gli amministratori che se ne stanno in silenzio di fronte a questa mortificazione (ma sarebbe meglio parlare di vera e propria violenza) nei confronti dei calabresi? Non sono bastati i guasti di dieci anni di commissariamento a far capire che non è questa la strada da seguire: servono medici-manager in grado di interpretare le istanze del territorio e impegnare ogni risorsa per tutelare la salute dei cittadini: i commissari hanno lavorato solo con l’obiettivo di tagliare i costi, indipendentemente dalle nefaste prevedibili conseguenze. Con la salute, che è il bene primario di tutti i cittadini, non si possono fare considerazioni di natura economica e finanziaria, e invece risparmiare sui costi a spese del benessere dei cittadini è stata l’unica via seguita. E, del resto, si è visto cos’hanno fatto il commissario Cotticelli e i suoi gregari quando si chiedeva a giugno, da ogni parte, di provvedere a realizzare nuovi posti letto in terapia intensiva. Sapete quanti ne hanno realizzati al Grande Ospedale Metropolitano di Reggio? Appena sei, quando se ne potevano fare un centinaio (le risorse finanziarie c’erano e non sono state utilizzate). Questo perché a gestire la sanità non servono rispettabilissimi generali a riposo, ma necessitano competenze e capacità specifiche. Quando, in piena epidemia primaverile il Rettore dell’Università Magna Graecia Giovambattista De Sarro insisteva a trasformare in ospedale Covid Villa Bianca di Catanzaro (praticamente già pronta all’uso) qualcuno dei commissari (Zuccatelli, tanto per non fare nomi) ne fece una battaglia d’opinione riuscendo a spuntarla. E oggi stiamo a guardarci in giro e ascoltare sconsolati i medici che si stanno ammazzando di lavoro che quando provano a smistare in altri ospedali qualche ricoverato in terapia intensiva si sentono rispondere in maniera ancora più sconsolata: i posti ci sono, ma non abbiamo il personale.
Le somme è facile tirarle, a questo punto: servono assunzioni immediate di medici e infermieri e invece nel Palazzi del potere, stanno a discutere dei compensi e delle spese di trasferta dei futuri commissari che verranno a “regnare” nella Calabria rassegnata. Marco Siclari, il senatore reggino che per primo, quando pochi intuirono la gravità di ciò che sarebbe accaduto, chiedeva mascherine per tutti e assunzioni di medici per prevenire il virus, (nessuno però gli diede ascolto), provocatoriamente lancia il nome di Guido Bertolaso come commissario straordinario a costi zero. Ma la sua voce, assieme a quella di tutta la destra, si perde nell’assordante silenzio dei dem e della sinistra calabrese che, cinicamente – dobbiamo pensare – coglie solo l’occasione della zona rossa (giustificata da carenze strutturali nella sanità e non decisa per numero di contagi) per fare campagna elettorale: «i guasti della sanità li ha provocati il governo di destra.
Molto sintetico il senatore Ernesto Magorno sulla zona rossa: «le responsabilità non possono che essere ascritte all’operato della Giunta Regionale che, pur avendo avuto risorse per oltre 80 milioni di euro dal Governo, non è intervenuta in modo da mettersi in linea con quelle che erano le esigenze per affrontare al meglio la seconda ondata di contagi». E del decreto Sanità, sen. Magorno cosa dice? E il vicepresidente del Consiglio regionale Nicola Irto gli fa eco: «dove sono i posti in terapia intensiva annunciati nei mesi passati? In tutti questi anni, sulla sanità, si è parlato a vanvera fin troppo. E lo stesso sta avvenendo nelle ultime ore. Siamo arrivati al punto di non ritorno dopo dieci anni di commissariamento che non sono serviti a nulla. La cura in sé si è rivelata sbagliata. Probabilmente peggiore del male». E sul decreto sanità? Neanche una parola. Lo stesso vale per i parlamentari, i consiglieri regionali, i sindaci, etc. Si parla solo di zona rossa che è un buon pretesto per aizzare la folla. La campagna elettorale per Germaneto, ahimè, è iniziata nel peggiore dei modi. (s)