di SANTO STRATI – I numeri la dicono tutta: hanno vinto Di Maio & Company, puntando tutto sull’odio anti-casta e la poco mascherata delegittimazione del Parlamento che gli italiani non hanno ben compreso. Ha vinto Zingaretti con un pareggio, nelle regionali, che non era per niente scontato, ha vinto il Governo che riceve, alla fine, una spintarella alla stabilità che sembrava in pericolo. In realtà, a proposito di quest’ultima considerazione, sarebbe invece opportuno pensare che, ora, si apre ancor di più il dilemma di posizioni tra dem e cinquestelle. Zingaretti potrebbe passare all’incasso cercando di ottenere il via libera fino ad oggi a vario titolo negato, ma l’obiettiva crisi interna dei grillini non renderà le cose facili e anzi i problemi si accentueranno. Il Pd deve a questo punto capire quanto vale l’alleanza mortifera con i grillini (ha vinto dove non era in tandem) e decidere se avviare finalmente il processo di riforme di cui l’Italia non può più fare a meno. Di fatto, le tante anime all’interno del Partito democratico, più divisive che mai, guardano a un congresso che tra una scusa e l’altra continua a non trovare una data. Mancava e manca tuttora un progetto politico che riesca a mettere insieme la sinistra che chiede di essere rifondata, nel rispetto delle diverse aspettative, ma con uno spirito riformista serio e cogente.
Un segnale evidente di come la gente non stia solo a guardare è l’inaspettata affluenza al voto del referendum: 45,21 % in Calabria, 53,84% in Italia. I fautori del No dovranno espiare a vita l’errore di comunicazione nell’impostazione della campagna: non c’è stato l’impegno necessario per spiegare, illustrare i contenuti dell’intera legge, pensando – come al solito – che l’intellighentia al potere avrebbe supplito all’insensatezza del Sì. Del resto, data la percentuale bulgara di votanti a favore quando il provvedimento è passato in Parlamento, quanti hanno immaginato che sarebbe stato imbarazzante ex post dichiarare di aver sbagliato ad approvarlo? Resta, comunque, un buon segnale: in tempi di covid nessuno si sarebbe aspettato un’affluenza così alta. E chi pensava che la Calabria avrebbe votato No ha avuto sbattute in faccia le percentuali più alte d’Italia di Sì a Crotone (81,9 %) e Cosenza (80,97), che hanno fatto diventare la regione la seconda in Italia in termini di adesione al Sì (dietro al Molise).
La gente ha mostrato che ci tiene a votare, che vuole manifestare le proprie idee e vuole essere coinvolta dalla politica. È un controsenso, visto che il voto favorevole registrato segna il trionfo dell’antipolitica e del populismo anti-casta, ma è un indicatore ben preciso che i partiti – ormai in crisi profonda – dovrebbero tenere a mente. Soprattutto nella nostra regione dove si registra l’esempio più evidente della grande crisi della sinistra e del pd.
Si guardi a Crotone, dove è persino mancato il simbolo dem per una becera bega interna e la percentuale (ancora di stima) ottenuta dal candidato di sinistra fa immaginare di essere finiti in un’altra città, in un’altra regione, senza storia passata. Crotone, con la sua tradizione popolare e di sinistra, la rossa Crotone andrà a finire in un ballottaggio difficile tra liste civiche e centrodestra. I numeri delle proiezioni sono impietosi e, se verranno confermati, indicano la caduta libera della sinistra che ha perso se stessa, oltre che la speranza di tornare protagonista.
Anche a Reggio non si scherza. La destra che aveva la vittoria in pugno, con i troppi tentennamenti di Ciccio Cannizzaro e soci, è arrivata lacerata a pochi giorni dall’appuntamento con le urne, con un candidato “imposto” da Salvini e mal gradito dalla città. Un “burocrate” – secondo la voce popolare – che però sa perfettamente come funziona la macchina comunale (le esternazioni del sindaco di Genova Bucci a suo favore qualificano competenza e capacità) e rischia di restare fuori per un ballottaggio su cui nessuno è disposto a scommettere un centesimo. Nino Minicuci dovrà compattare la coalizione e modificare – a nostro modesto avviso – strategia di comunicazione: programmi e progetti vanno bene, autoincensamenti (lauree e affini) non portano voti. La scommessa sarà su quanti torneranno alle urne il 5 ottobre. La forte percentuale di votanti in città mostra la voglia dei reggini di tornare ad essere protagonisti della politica, ma bisognerà convincerli a tornare alle urne e indicare che strada vogliono intraprendere, se vogliono un’amministrazione di destra o una di sinistra.
La partita a tre, come previsto, ha finito per lasciare a terra l’elemento più debole della competizione. Angela Marcianò – terzo incomodo in questa cattivissima contesa comunale – sconta due errori gravissimi: il primo, aver aspettato troppo a lanciarsi nella competizione elettorale, rinunciando a tempo prezioso per inseguire e convincere la piazza. Chi è andata ad ascoltarla nei suoi comizi è rimasto ammaliato: ha grazia, mostra capacità, riesce a convincere chi le presta attenzione. Avrebbe avuto bisogno di altri due mesi almeno di campagna elettorale e sarebbe diventata una seria antagonista per il ballottaggio. Il secondo errore, che tradisce un’imperdonabile ingenuità politica, è aver accettato l’appoggio di Fiamma Tricolore-Msi, che ha permesso ai suoi detrattori di dipingerla come candidata dei “fascisti”. In verità, restiamo convinti che l’appoggio della Fiamma le abbia sottratto voti, senza portarle alcun vantaggio. Se la lista si fosse, astutamente, chiamata, per esempio, Reggio Tricolore (senza fiamme e orpelli di evidente ispirazione nostalgica) probabilmente nessuno avrebbe avuto da ridire. Ora si tratta di vedere dove andrà il probabile 12% di voti della candidata civica. Difficile o, meglio, pressoché impossibile che possano convergere sul sindaco uscente, ma non è scontato nemmeno che finiscano per favorire Minicuci. Il quale, però intelligentemente potrebbe chiamare a vicesindaco proprio la Marcianò, mettendola in seria crisi d’identità. Ottima scelta, ma andatelo a spiegare a quanti hanno difeso la totale autonomia della candidata dalle lusinghe destrorse. Un brutto impiccio comunque si guardi la situazione. È, comunque, un pacchetto di voti che può decidere il risultato del ballottaggio, soprattutto a favore di Minicuci.
Ballottaggio che per Giuseppe Falcomatà, invece, sembra non costituire una seria preoccupazione. Il sindaco uscente gioca la carta dell’«usato sicuro» che a Reggio ha sempre funzionato e potrebbe, oltrettutto, trainare i voti de La Strada di Saverio Pazzano che – secondo gli exit-poll – supererà abbondantemente il quorum minimo per portare a casa consiglieri comunali. Il giovane Falcomatà ha dalla sua liste forti, con candidati che hanno in dote una montagna di voti, quindi potrebbe prevalere su Minicuci senza affanno. Sempre che vengano confermati i dati dell’exit-poll che danno i due antagonisti incredibilmente appaiati (31-35%). Se invece ci sarà, come probabile, dallo spoglio uno scostamento da parte o dall’altra, andranno totalmente ripensate le strategie per conquistare l’elettorato reggino. E non sarà una passeggiata. (s)