TENUTA NASCOSTA L'INSIDIA DELL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA, TUTTI ADESSO PARLANO DI MEZZOGIORNO ;
Elezioni politiche 2022

RISCOPERTO IL SUD PER NON PERDERE VOTI
MA I MERIDIONALI NON SONO MICA FESSI

di GIOVANNI MOLLICACrediamo non si sia mai vista, in Italia, una campagna elettorale nazionale così sgangherata e becera. Adesso che è quasi terminata abbiamo l’impressione che il merito – o, meglio, il demerito – sia soprattutto di esponenti politici di sesso maschile. 

Che hanno ecceduto in attacchi personali (il nemico fascista, traditore della Nato, temuto da Ue e americani), in proposte cialtronesche (meno tasse per tutti, aumento delle pensioni, migliaia di nuovi posti di lavoro). 

Fino ad arrivare a più o meno aperte minacce da bulli di periferia (“…dovranno buttare sangue” e “…vieni senza scorta se hai il coraggio”).

Immaginiamo lo sconforto di Draghi. Viene il dubbio che il suo No a un nuovo incarico derivi dalla triste riscoperta dell’attualità del motto mussoliniano: “Governare gli Italiani non è impossibile: è inutile”.

In questo guazzabuglio di chiacchiere senza costrutto, diviene sempre più evidente che “l’agenda Draghi” è una pura invenzione: quello che un qualsiasi nuovo governo dovrebbe perseguire è “il metodo” dell’ex Presidente della Bce: affrontare i problemi del Paese uno a uno e con serietà.

E, soprattutto, dire la verità alla gente, anche se è poco gradita. Basta con le menzogne.

Solo Meloni – forse perché donna, più equilibrata dei maschietti e meno usa alla rissa e ai toni arroganti (chiedo scusa per il femminismo d’antan) – è rimasta una spanna al di sopra di polemiche. Più squallide che efficaci. Non parliamo di “politica” ma di “buona educazione”.

È anche vero, però, che le elezioni non sono un pranzo di gala e la conclusione della campagna elettorale merita qualche ulteriore riflessione. 

Vanno analizzati con realismo e crudezza sia l’eredità lasciata dall’attuale governo che gli aspetti più “politici” del confronto, sottolineando la sospetta tempistica con la quale alcuni leader hanno affrontato problemi che riguardano la vita dei cittadini.

In altre parole, la credibilità di un’iniziativa dipende anche dal momento nel quale viene proposta: le forze politiche che pontificano sull’energia solo quando appare imminente il suo razionamento sono poco affidabili, soprattutto se hanno ignorato il tema per anni. 

Magari irridendo con l’accusa di “sovranismo” chi sosteneva la necessità di una minore dipendenza dall’estero.

Lo stesso dubbio nasce se si parla di Ponte sullo Stretto, da realizzare immediatamente dopo essere andati al governo. 

Quando, solo poche settimane fa, chi oggi lo promette è uscito dall’aula per non votarne l’inserimento tra i programmi urgenti dell’Esecutivo.

Analogamente, gli strenui difensori di Draghi dovrebbero avere l’onestà intellettuale di ammettere che si è circondato di Ministri e Sottosegretari culturalmente e tecnicamente inadeguati rispetto ai pesantissimi compiti che il Premier aveva loro affidato. Giovannini, Carfagna, Gelmini e lo stesso Cingolani – a nostro personalissimo parere – si sono guardati bene dall’affrontare temi fondamentali per i loro Dicasteri. Che l’abbiano fatto per ignoranza (difficile!) o solo al fine di evitare grane, poco cambia perché il loro fingere di non vedere è la negazione del “metodo Draghi” ed espone il Premier all’accusa di “doroteismo”. 

Meglio tirare a campare che tirare le cuoia.

L’esempio più eclatante è la Questione meridionale che si porta appresso un’infinità di “grane” – sarebbe meglio chiamarli drammi –, impossibili da occultare sotto il tappeto di media compiacenti. Così è accaduto che a pochi giorni dal voto è emersa la prorompente crescita del M5S nel Meridione, rendendo indispensabile una reazione da parte dei partiti che perdevano vistosamente i consensi che, scioccamente, credevano acquisiti.

In epoca non sospetta avevamo detto che solo chi era convinto che gli elettori del Sud fossero idioti poteva credere di prenderli in giro a lungo e in modo così volgare; ma evidentemente l’arroganza e il cinismo dei leader politici, degli opinion maker da salotto romano e dei direttori di media asserviti ai loro editori supera le più pessimistiche congetture.

Adesso sono in molti a tentare, pateticamente, di “metterci una pezza”.

Si è improvvisamente scoperto che “L’Italia non cresce se non cresce il Sud”, dopo che, per vent’anni, sono stati ignorati gli appelli di tanti meridionalisti disperati. 

Compreso chi scrive. Ci si accapiglia sul Ponte di Messina senza capire che è la premessa dell’individuazione di aree territoriali innovative, nelle quali sperimentare il futuro del trasporto, della mobilità e dell’economia green. 

Proiettandosi verso il Mediterraneo, l’Africa (Moraci).

Altro argomento che ha dominato la campagna elettorale è il ruolo dell’Italia nell’Ue e nel sistema politico internazionale. Non certo dal punto di vista economico (come sarebbe doveroso) né in quello geostrategico (da definire urgentemente, vista la nostra posizione geografica e quanto accade nel Mediterraneo) ma esclusivamente per quanto concerne lo schieramento. 

Ricorda l’intimazione “Amiken o Nemiken?” del soldato nazista creato dal grande Bonvi. Senza accettare la geniale risposta “Semplice conoscente”. 

Un’alternativa tragica che non dovrebbe essere la premessa ma la conseguenza logica delle prime due scelte. 

L’atlantismo può benissimo convivere con la nuova globalizzazione, senza essere figlio della Guerra fredda.

Aver evitato il confronto sulle fonti energetiche, sul futuro del Sud e sull’atlantismo sono solo alcuni dei tanti temi furbescamente utilizzati per mascherare la carenza di sensibilità sociale e di una vera cultura di governo da parte dei futuri policy maker. 

Speriamo che questo sia l’ultimo Parlamento imbelle, più legato alle poltrone che ad affrontare i problemi del Paese. Un Parlamento nelle cui spire Draghi è rimasto avvinto e dai cui riti (riteniamo) non vede l’ora di scappare.

Tornando all’oggi, era facile prevedere che l’aver fatto del Reddito di Cittadinanza l’unico efficace strumento di ricerca del consenso in un terzo del Paese diverrà un elemento di stravolgimento dei risultati elettorali e nella formazione di maggioranze omogenee. 

E darà nuovo vigore a metodi di governo basati sul compromesso. Finalizzati soprattutto all’ingresso nella “stanza dei bottoni”, allo scopo di non far fare ciò che serve veramente al Paese. Speriamo di sbagliarci. (gm)