di ANNA COMI – La conciliazione vita-lavoro è ancora un macigno che grava sulle spalle delle donne del Sud Italia e, in particolare, di quelle calabresi. Al Sud, come ha spiegato la Svimez in occasione della presentazione del suo cinquantesimo rapporto sull’economia e il sociale del Mezzogiorno, 7 donne su 10 non lavorano. E in Calabria il tasso di occupazione si ferma al 32%.
Così, mentre la Svimez ritiene cruciale la crescita dell’occupazione femminile contro il declino demografico, gli indici statistici ci dicono che la Calabria è fra quelle regioni che presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto alle medie europee.
L’Ispettorato nazionale del lavoro, in una statistica tenuta poco in considerazione della politica nazionale e locale, ci ricorda che spesso una donna si trova davanti al bivio fra lavoro e famiglia e che, sempre più spesso, la conciliazione è praticamente impossibile. Le donne, quindi, scelgono di lasciare il posto di lavoro per accudire i figli, mentre gli uomini lo fanno davanti a un’offerta migliore, rimarcando così ancora una volta il solco tracciato dalla differenza di genere.
Come evidenzia l’Ispettorato nazionale del lavoro in Calabria, lo scorso anno, sono state segnalate 643 dimissioni di donne dai posti di lavoro, un numero in crescita di oltre il 27% rispetto all’anno precedente. Una vera e propria emorragia.
Le donne sono penalizzate, poi, da un mondo del lavoro di bassa qualità, dove le lavoratrici sono costrette ad accettare i ricatti dei datori di lavoro, e dall’atavica carenza di servizi in grado di rendere efficace la richiesta di conciliazione fra lavoro e famiglia.
Questa carenza strutturale, che in Calabria si sente forte per via dei mancati investimenti o dei progetti finanziati e mai nati, finisce per penalizzare le donne nel mondo del lavoro, soprattutto di quelle donne i cui figli frequentano gli istituiti di prima infanzia.
Il governo continua a non investire, persevera nel seguire politiche fuori contesto rimandando lontano dalle istanze provenienti dal Paese reale. Fra queste quella inaccettabile di spingere sul pedale dell’acceleratore del progetto di riforma ispirato all’autonomia differenziata che, se applicato, finirà per sottrarre ancora altre risorse alle regioni più in ritardo della nazione e favorire lo sviluppo di quelle già avanzate.
Contro la quale, tardivamente, pare volersi muovere anche il presidente della giunta regionale, Roberto Occhiuto. Lo stesso governatore che, purtroppo, guarda con poca attenzione alle dinamiche distorte del gender gap, nonostante in tempi non sospetti avevamo avanzato allo stesso la proposta di istituire un assessorato specifico per studiare proposte moderne finalizzate a superare le differenze ancora esistenti fra le calabresi ed i calabresi.
Ma non solo. Risulta incomprensibile l’idea di riformulazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che ha finito per tagliare i numeri dei nuovi asili nido, che per la Calabria si attesta ad un risicato 9% rispetto al target del 33%, con il rischio di allargare ancora di più il divario nell’offerta di servizi educativi, e messo in evidenza la necessità – più volte segnalata dalla Uil Calabria – di dare corso ad un moderno e poderoso piano regionale di rilancio dell’occupazione: l’unico strumento per rendere realmente efficiente la macchina burocratica calabrese. (ac)
[Anna Comi è responsabile Coordinamento Pari Oppportunità Uil Calabria]