LA RIFLESSIONE DELL'ESPONENTE DEM GIUSEPPE TERRANOVA EVIDENZIA LA GRANDE DISPARITÀ DI TRATTAMENTO;
Il ponte crollato a Longobucco

IL CROLLO DEL PONTE DI LONGOBUCCO È
L’ESEMPIO DI QUANTO POCO CONTI IL SUD

di GIUSEPPE TERRANOVA – Lo scorso 3 maggio crollò, nello stupore generale, il ponte di Longobucco, creando enormi disagi e nei fatti l’isolamento del comune della presila ionica in Calabria.  A quasi due mesi da quel crollo si sono succedute visite sul luogo di esponenti istituzionali e continui annunci di pronto intervento da parte anche di organi nazionali preposti.

Ad oggi, le travi di quella strada crollata sono riverse nel letto del fiume di una terra piegata e debole che vive nella sfiducia imperante e nell’abbandono diffuso. Eppure le proteste e le richieste sono incessanti e forti, soprattutto da parte del sindaco di Longobucco che vive sulla propria pelle le tensioni dei suoi cittadini con ansie e paure e il peso dell’anima di un intero territorio che si sente emarginato.

C’è da chiedersi perché tutto questo e, soprattutto, perché i calabresi e i meridionali sono considerati come figli di un Dio minore?

Perché di questo si tratta. Anche a Genova il 14 agosto del 2018 crollò il ponte Morandi che creò sgomento e dolore nel Paese per le decine di morti e, un mese dopo, il Parlamento nazionale approvò con  urgenza il decreto Genova, meglio conosciuto “Decreto Ponte Morandi”.

Non ci furono annunci e passerelle. Nel decreto approvato dal Parlamento furono scritte norme chiare e precise, in particolare: Il provvedimento, innanzitutto, delineava la figura del commissario straordinario per Genova, specificando che rimaneva in carica per 12 mesi rinnovabili per non più di un triennio.

Nel decreto, poi, si mise nero su bianco che le spese per la ricostruzione del nuovo ponte sarebbero state  a carico di Autostrade. Venivano comunque stanziati 30 milioni l’anno fino al 2029 in caso la società non dovesse rispettare l’impegno o dovesse ritardare i pagamenti.

Altre misure, poi, istituivano  la zona franca a Genova, a sostegno delle imprese che hanno avuto difficoltà economiche a causa del crollo del ponte. Specifiche norme riguardavano invece la zona portuale e retroportuale. Sono stati previsti aiuti e sostegni, anche sul fronte della tassazione, ai cittadini del capoluogo ligure, e in particolare a sostegno di chi ha perso la casa o ha dovuto abbandonarla.

Furono stabilite Risorse anche per il trasporto locale (poco più di 40 milioni totali) e per gli autotrasportatori che hanno subito forti disagi in conseguenza del crollo del ponte e delle difficoltà notevoli sulla viabilità.

Infatti 21 mesi dopo il crollo, il Ponte era stato ricostruito e aperto normalmente al traffico.  Questo avvenimento, che segue tanti altri episodi dimostra la diversa sensibilità istituzionale e politica esistente verso il Nord e il Sud. Si potrebbero riportare svariati momenti per supportare la tesi che il mezzogiorno è puntualmente emarginato nelle scelte nazionali. Eppure al Sud risiede e vive quasi il 40% della popolazione nazionale.

È stato giusto e opportuno ripristinare il ponte a Genova con immediatezza, così come è stato giusto stabilire misure eccezionali e urgenti di sostegno economico e finanziario ai genovesi. Perché Genova collega l’Italia al cuore dell’Europa e soprattutto perché quel ponte ha tolto la vita a molti innocenti. Sarebbe  anche giusto e opportuno un simile intervento a Longobucco e per i longobucchesi per dare una speranza di vita al territorio e trasmettere fiducia al meridione e ai meridionali.

Perché Longobucco nei fatti, come tanti borghi montani calabresi, è il cuore vero della Calabria che per storia e collocazione geografica è l’unica terra che collega l’Italia al mediterraneo, nuovo baricentro delle relazioni tra sud e nord del mondo. Ma per Longobucco ad oggi così non è.

Perché probabilmente il Nord vive nella consapevolezza che il mezzogiorno sia il ventre molle dell’Italia e che sia destinato a confermarsi solo come area di consumo per le grandi industrie del Veneto, del Piemonte e della Lombardia.

Eppure i fatti dicono che la criticità economica e sociale del Sud ha contribuito in larga misura all’assegnazione da parte dell’Europa di 230 Miliardi  che e’ la quota più grande di tutti gli stati membri. Nessuno ha avuto i soldi del Pnrr che ha avuto l’Italia  per il semplice fatto che nessuno in Europa ha territori sofferenti come la Calabria e il resto del mezzogiorno.

Ora è anche il caso di chiedersi come, quando e dove quei soldi vengono spesi. E soprattutto porsi l’interrogativo, e anche la speranza, se nel 2027 la Calabria e il mezzogiorno saranno usciti dalla sofferenza e quindi avremo territori maggiormente progrediti?

Ad esempio dei 1.857 nuovi asili nido e 333 scuole materne previsti nel Pnrr in Italia, quanti saranno costruito nel mezzogiorno e in Calabria?

Perché costruire asili nido significa progettare il futuro. E poi ancora, il Pnrr prevede la costruzione di nuovi ospedali. Per gli ospedali di comunità, in termini di finanziamento, è previsto 1 miliardo di euro dal Pnrr con l’obiettivo di costituire almeno 400 ospedali di comunità sull’intero territorio nazionale.

Viene spontaneo chiedersi: realisticamente quanti ne verranno costruiti  nel Mezzogiorno e in Calabria,  dove è enormemente maggiore il bisogno di sanità e anche dove e’ sensibilmente minore la media di attesa di vita?

Anche perché la Calabria è la terra dove da 13 anni si è in attesa di tre grandi ospedali in territori importanti e nevralgici, come Sibari, Vibo Valentia e piana di Gioia Tauro, ma tranne qualche muro, per il resto non vi è traccia e notizia.

In questo scenario ha un ruolo e una funzione lo Stato centrale? Oppure prevale la stessa visione e funzione che da un quindicennio ha instaurato il commissariamento della Sanità che in questa terra ha significato sopratutto aumento del debito, nomine clientelari, ispessimento della corruzione nella sanità, Asp che stabilmente non approvano bilanci, e soprattutto assenza di risposta ai cittadini, che sempre più in fuga oggi finanziano nei fatti altri sistemi sanitari regionali come in Veneto, Lombardia, Liguria, Toscana ed. Emilia Romagna.

Inoltre negli assi assi strategici, il Pnrr pone l’attenzione anche sulle strade e sulle autostrade. La missione “Infrastrutture per la Mobilità sostenibile” nel particolare stanzia 25,4 miliardi per completare, entro il 2026, un “sistema infrastrutturale moderno, digitalizzato e sostenibile”, e interessa principalmente gli investimenti in ambito ferroviario e, in secondo luogo, la sicurezza stradale. A tal proposito, sono due le componenti fondamentali: la prima riguarda “il trasferimento della titolarità delle opere d’arte (ponti, viadotti e cavalcavia) relative alle strade di secondo livello ai titolari delle strade di primo livello (autostrade e strade extraurbane principali)”, mentre la seconda prevede, grazie a 1,45 miliardi di euro, l’attuazione delle Linee guida previste dal decreto ministeriale 578 del 2020 “per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza e il monitoraggio dei ponti esistenti”.

Inoltre, è direttamente collegato al Pnrr il Piano Nazionale Complementare (Pnc) che riguarda il miglioramento della sicurezza, della mobilità e dell’accessibilità di circa 2 mila chilometri di strade provinciali e comunali.

Il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili ha approvato i relativi piani d’intervento, che prevedono un investimento di 300 milioni di euro finanziato dal Pnc. A questi si aggiungono ulteriori 450 milioni per la sicurezza di 12.000 tra ponti, viadotti e tunnel della rete viaria principale, 6.500 dei quali saranno dotati di sistemi di monitoraggio dinamico per il controllo da remoto.

Quanti di questi interventi realisticamente saranno realizzati nel Mezzogiorno e in Calabria?

C’è da chiedersi con immediatezza: in questa enorme disponibilità monetaria, Longobucco, il suo ponte, il suo popolo e la voglia di vivere il futuro troveranno spazio e risposte?

Si può accettare che con tutti questi soldi a disposizione, lo Stato centrale non riesce a trovare la parte necessaria per Longobucco?

In buona sostanza i soldi, e non gli slogan e gli annunci, verranno spesi per superare i ritardi che il Mezzogiorno paga in termini sostanziali rispetto al Nord e che oggi rappresentano questa enorme area territoriale come la più debole e povera dell’occidente?

Il crollo del Ponte di Longobucco è lo schermo più vasto e limpido dove si possono leggere le tante storture e le infinite contraddizioni della storica contrapposizione Nord e Sud che e’ la vera debolezza italiana.

E c’è da riflettere compiutamente sul perché queste aree meridionali del Paese puntualmente consegnano larghi consensi elettorali al sistema governativo Nordcentrico.

E poi in aggiunta vi è da chiedersi se le classi dirigenti nazionali, non solo quelle relative all’articolazione politica, abbiano la  consapevolezza  reale che il mezzogiorno è fondamentale e necessario all’ Italia sia per fattori interni economici e demografici, sia per fattori esterni, dovuti all’unicità della nostra collocazione territoriale che ci  consegna la funzione  impareggiabile di snodo tra est e ovest, o meglio dire tra Sud e Nord del mondo?

Rispetto a tale consapevolezza e realtà dei fatti, vi è’ la visione e la volontà di assumere una scelta di investire sul mezzogiorno in termini di infrastrutture materiali e immateriali per sanare i divari che fino ad oggi hanno reso debole e poco competitiva l’Italia nel contesto globale?

Ecco perché Longobucco è assolutamente importante come non mai. Ed ecco perché Longobucco e i tanti Longobucco sparsi nel mezzogiorno parlano all’Italia.

Su questo aspetto ritengo vi siano le condizioni reali per segnare nettamente una linea di rottura e vera discontinuità rispetto al passato. Ed ecco perché ritengo che Longobucco mai come adesso interessi l’Italia. (gt)