Una chiusura di classe, con il grande sassofonista Bobby Watson, per la rassegna Reggio in Jazz, promossa dall’Associazione Naima, che ha travalicato i limiti territoriali della provincia con un sold out di presenze da ogni parte della regione e dalla vicina Sicilia. Una kermesse giunta alla sua 11ma edizione, che mostra la sua maturità e la validità di una formula che la iscrive tra le grandi manifestazioni musicali internazionali di musica jazz. Merito di Peppe Tuffo, presidente dell’Associazione Naima e dei suoi collaboratori che hanno saputo costruire un magnifico festival, apprezzatisismo dagli appassionati. Forse, per il futuro bisognerà pensare a una location più ampia, visto che molti spettatori hanno dovuto rinunciare allo spettacolo visto il tutto esaurito per il concerto finale al Teatro Metropolitano di Reggio.
Introdotto da un emozionato Peppe Tuffo – presidente di “Naima”, che ha fatto ammenda coi tanti concittadini appassionati di musica purtroppo rimasti fuori a causa del “tutto esaurito”, Bobby Watson ha subito dato prova della sua maestria con scale vertiginose, sentitissimi assoli, citazioni celebri (Misty) o spiritose (The Sailor’s Hornpipe di Sammy Lerner, ovvero il tema musicale che contribuì alla fortuna del cartoon “Braccio di ferro” o, se preferite, “Popeye”).
Aperta una breccia imbracciando il suo sax alto, Watson ha offerto un’emozione dietro l’altra con la coralità di Sweet Dreams, in cui anche Sanna ha dato dimostrazione del suo talento improvvisativo. E soprattutto, introdotto dal contrappunto contrabbassistico di Florio, «il brano che nell’85 ha cambiato la mia vita», come l’ha definito dal palco: Appointment in Milano, intensa e divertente al tempo stesso, composizione da cui nacque il legame a doppio filo col nostro Paese.
Quando il quartetto di Bob Watson torna in scena per il primo “bis” e intona la famosissima Moanin’, scritta nel ’58 dal pianista Bobby Timmons per il mitico gruppo di Art Blakey, i Jazz Messengers – di cui lo stesso Timmons faceva parte -, il pubblico è già in piedi per il giusto tributo al grande sassofonista .
Profilo e modo di fare on stage che per molti versi ricordano un altro grande pilastro del sax su scala mondiale come Sonny Rollins, Bobby Watson è stato a sua volta per lunghi, intensi anni partner in note del mitico batterista Art Blakey quale componente di vaglia dei suoi Jazz Messengers, di cui – raccogliendo il testimone del grande Benny Golson – fu pure il direttore musicale dal 1977 al 1981. E il sassofonista di Lawrence, cresciuto anche musicalmente nella vicina Kansas City, è riuscito a fare rapidamente sold out per la sua attesa esibizione, ma al contempo a stregare l’esigente pubblico reggino, accompagnato sul palco del “Metropolitano” da tre valenti ed esperti musicisti: il pianista Domenico Sanna, il contrabbassista Vincenzo Florio e il batterista Marco Valeri. «Per me, è come un ritorno a casa», aveva confidato Watson poco prima del live: in Calabria infatti aveva già suonato tempo fa, con “giganti” del jazz del calibro dello stesso Blakey e George Coleman.
Dalla stessa incisione “italiana” di 34 anni fa per Red Records, immediatamente dopo è la volta di una ballad dolcissima: fra tom-tom e timpano, il batterista Valeri impugna le mazze per scandire il tempo di Love remains, “l’amore resta”. Un brano ispirato a una grande coppia, Nelson e Winnie Mandela, e che Watson dedica così come l’intera esibizione alla moglie Pamela Baskin, con cui il sassofonista forma un’affiatatissima coppia artistica, visto che la consorte “Pam” – sua compagna di vita ormai dal 1971, quando si conobbero a un concerto di Pat Metheny – è pure una magnifica pianista jazz, cantante e compositrice.
Il “professor” Watson – oggi affianca l’insegnamento in Conservatorio alla sua prestigiosa attività concertistica in tutto il pianeta –, a 66 anni suonati non si ferma un istante, continua a emozionare, sudare e stupire, con la magia di (I’m) Always missing you, la folle scala discendente iniziale (e quelle successive) di If Bird could see me now, struggente «preacher blues», come l’ha definita lui stesso e poi, nota come nota, con la fierezza di chi anche socialmente ha sempre sostenuto black music ed empowerment afroamericano, la rapidissima Ballando.
Chiusura con un generoso duplice bis: la scoppiettante reinterpretazione di Moanin’ durante la quale Watson si e infine E.T.A. (sigla che sta per Estimated time of arrival, “tempo stimato d’arrivo”), una sorta di “variazione sul tema” della coltraniana Lazy Bird scritta nell’emozionante attesa per la nascita di Lafiya, la prima figlia avuta da Bobby e Pam, oggi apprezzata fotografa e graphic designer. (mp)