di SANTO STRATI – Sfuma completamente l’ipotesi Conte Ter e si apre una strada in discesa per un governo istituzionale di altissimo profilo a guida di Mario Draghi. L’ex presidente della BCE ed ex governatore della Banca d’Italia, non sarà entusiasta, vista la sua riluttanza a entrare in politica, ma il suo senso dello Stato gli impedirà di negare il suo aiuto per la soluzione di una crisi che appare, a questo punto, davvero irreversibile. Mattarella lo ha convocato a mezzogiorno al Quirinale per affidargli l’incarico e difficilmente troverà un rifiuto. La storia si ripete: capitò con Ciampi (1993) che mise in piedi il primo governo guidato da un non parlamentare e preparò la sua strada al Quirinale. Un percorso che si attaglia perfettamente a Mario Draghi.
Il suo governo dovrà affrontare grandi sfide, ma l’appello del Presidente Mattarella alla responsabilità a tutte le forze politiche dovrebbe consentire un percorso quantomeno in discesa. Il Recovery Plan, già nella nuova bozza licenziata il 12 gennaio scorso continua a ignorare la Calabria: il nuovo governo dovrà porre rimedio per rispetto alle popolazioni del Mezzogiorno, ma soprattutto di una regione che non può restare a guardare l’ultimo treno che passa e che non ferma in alcuna delle sue stazioni. È presto per essere ottimisti sul Recovery, ma si può essere abbastanza ottimisti su come la soluzione “istituzionale” per la crisi di governo possa offrire la migliore via d’uscita alla situazione politica che rischia di ingessare irrimediabilmente il nostro Paese.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ieri sera, ha spiegato agli italiani, dopo il fallimento della missione esplorativa del presidente Fico, perché non si può andare a nuove elezioni. La soluzione più ovvia vista l’assenza di una maggioranza in grado di sostenere un governo, ma la pandemia, i rischi di incremento pesante di contagi (come è successo nei Paesi in cui si è votato, nonostante la crisi sanitaria) e soprattutto i tempi tecnici per ridare al Paese un governo in piena efficienza dopo il responso delle urne, non consentono di praticare questa via. Quindi, facendo appello a tutte le forze politiche, il presidente Mattarella ha sottolineato la necessità della nascita di un governo istituzionale, di altissimo profilo, in grado di gestire la crisi sanitaria, la campagna vaccinale e la crisi economico-finanziaria, ma soprattutto di rispettare l’improrogabile scadenza del Recovery Plan che va presentato entro aprile all’Europa. Con il rischio più che evidente di mancare questa straordinaria opportunità che l’Europa ci offre, in termini di aiuti monetari, per ricostruire, rimettere in piedi l’economia, ripartire.
L’opzione governo istituzionale (ovvero tecnico con la partecipazione di esponenti di tutti i partiti dell’arco costituzionale) il presidente Mattarella l’aveva messa da conto, proprio in considerazione dell’impossibilità di poter pensare al ricorso alle urne. Un’elezione politica significa contatti, comizi, inevitabili assembramenti. E poi il ricorso alle urne ha una tempistica che l’Italia in questo momento non si può permettere: Mattarella ha ricordato che nel 2013 ci vollero quattro mesi prima che il governo nato dalle urne prendesse pieno potere, addirittura cinque mesi quello del 2018. Non ce lo possiamo permettere – ha detto praticamente Mattarella – abbiamo bisogno di un governo che non svolga solo ordinaria amministrazione, ma sia nella pienezza dei poteri per affrontare i grandi problemi da risolvere: pandemia, crisi economica, welfare e aiuto ad una società di nuovi poveri in continua ascesa.
Chiuso definitivamente il capitolo elezioni anticipate, giacché nessuno può immaginare di mettere in discussione le solidissime argomentazioni del Presidente, si deve pensare, adesso, a fare in fretta. Dove non trova spazio la logica da manuale Cencelli della prima Repubblica e dove le “poltrone” non vengono assegnate in base al peso della formazione di appartenenza. Servono tecnici e personalità competenti, di alto profilo morale ma anche di grande capacità operativa. Il modello di riferimento c’è, la Große Koalition, la grande coalizione, che la cancelliera Merkel nel 2005 riuscì a mettere insieme, dopo le elezioni tedesche che non avevano prodotto una maggioranza in grado di dar vita a un esecutivo. Un modello, in piccolo, tentato anche da Enrico Letta defenestrato poi dallo stesso Renzi che ha provocato la crisi odierna. Una crisi inspiegabile se non si considera la disperata esigenza di visibilità dell’ex presidente del Consiglio: ha vinto la prima mano, nel senso che ha ottenuto il quarto d’ora di notorietà che aveva perduto, ma s’è giocato il banco, attirandosi l’ira degli italiani, giustamente indignati di fronte al mercatino delle poltrone che indecorosamente la politica ha offerto nelle ultime 48 ore. Serve il ritorno alla serietà, alla dignità della politica, ne abbiamo bisogno tutti. E Draghi è l’unica risposta. (s)