di SANTO STRATI – Tra populismo di ritorno, sovranismo mascherato, una sinistra senza identità e in caduta libera e un centro – da molti vagheggiato – in cerca di spazi, agli elettori oggi non si presenta un’offerta in alcun modo allettante. Anzi, saranno in tanti a guardare con sollievo la fine di questa orrenda e volgarissima campagna elettorale dove è prevalso il dileggio dell’avversario, la sua demonizzazione (da una parte e dall’altra), piuttosto che un confronto leale tra programmi e idee. E quando la politica scende a livelli così bassi, con una disaffezione fin troppo evidente, è ovvio che il populismo, quello becero e più insidioso, riesce a trovare spazi insperati.
Cosa resterà ai quasi quattro milioni di ragazzi che oggi, per la prima volta, si avvicineranno (?) alle urne, con la facoltà di esprimere il voto anche per la Camera alta (in precedenza votavano per il Senato solo i maggiori di 25 anni)? Non sappiamo la percentuale di quanti rinunceranno per fattori oggettivi (il non voto di chi studia e lavora lontano dal luogo di residenza è un’infame situazione che il Parlamento si è rifiutato di sanare) o per scelta ideologica, o, peggio ancora, per disinteresse totale e rifiuto della politica. Ma sarebbe un grave errore immaginare che ai giovani la politica non interessi, è semmai il contrario: è la politica che si è disinteressata delle nuove generazioni, declinando in quest’occasione una serie di verbi al presente indicativo, dimenticando di usare il tempo futuro. Una scelta scellerata che avrà il suo peso nella formazione delle future classi dirigenti: i nostri ragazzi, quelli bravi, laureati a pieni voti e con lode, ma anche quelli con un voto di laurea risicato, hanno imparato a proprie spese che la Calabria non è un paese per giovani. C’è chi il trolley l’ha preparato già dal primo anno di università, rinunciando, ahimè, a tre atenei che nella loro terra sfiorano l’eccellenza ma pur preparando una classe formata e competente di laureati, soprattutto, in campo scientifico, non vedono offerta poi alcuna opportunità di lavoro, di crescita delle competenze, di utilizzo delle capacità dei loro laureati. È colpa della politica regionale, si potrebbe dire per assolvere i governanti che si sono succeduti in 50 anni di Regione pur con lampanti indizi di colpevolezza, ma in realtà è tutto il sistema nazionale che viaggia su binari paralleli a rafforzare l’odioso divario. Nord e Sud continuano a essere separati grazie a una politica miope e occupata a spremere il Sud (ricco serbatoio di competenze formate a spese dei meridionali) e a valorizzare le già ricche regioni del Nord.
Una delle prime scelleratezze che il probabile governo che ci toccherà subire (vista l’impossibilità per gli elettori di scegliere a piacimento i propri rappresentanti) riguarda l’ampliamento del divario, ovvero l’applicazione dell’autonomia differenziata, dove a far testo sarà l’incostituzionale criterio della “spesa storica”: più hai speso (avendo le risorse), più avrai; meno hai investito (per mancanza di fondi destinati al Sud, spesso inutilizzati per incapacità), meno ti tocca. Questo significherà disagi ulteriori per le popolazioni meridionali, ma ai politici che nelle ultime settimane hanno riscoperto il Sud per fare incetta di voti con marketing social-populista, poco importa. Stasera in molti prepareranno i fazzoletti per dire addio ai Palazzi e qualcuno festeggerà l’insperata rimonta.
È facile trascinare le folle, con spregiudicate tattiche subliminali di pseudo-convincimento, giocando la carta del reddito di cittadinanza. “Giuseppi” Conte – che qualcuno continua a ritenere ingenuamente l'”avvocato del popolo” – ha giocato sporco – diciamo la verità – facendo balenare la possibile cancellazione del reddito di cittadinanza da parte degli avversari e terrorizzando una schiera di disgraziati che nella stragrande maggioranza dei casi sopravvive grazie a questo strumento di welfare sociale. In Calabria, per dire, sono circa 220mila i percettori del reddito di cittadinanza e probabilmente altrettanti sono coloro che aspirano a poterlo ottenere: una massa incredibile di elettori presi per la gola (ci si consenta questa crudezza) con la garanzia del mantenimento del reddito di cittadinanza, ma solo se premiati dal voto. In verità, Conte, da buon incantatore di serpenti, ops – scusate – di folle di disperati adoranti non ha fatto altro che cogliere al balzo l’opportunità che i suoi amici e avversari gli hanno offerto. Nessuno dei politici ha capito cosa significa per milioni di italiani poter contare su una risorsa mensile assicurata per consentire una qualche sopravvivenza: lo strumento è giusto, ma la sua modalità di applicazione sbagliata. Va mantenuto, ma dev’esser un sostegno a chi il lavoro l’ha perduto o non riesce a trovarlo, non a chi preferisce poltrire (o lavorare in nero) e aspettare i quattrini sulla Postepay sociale. Non è un mistero che centinaia di operatori del turismo, quest’estate, si sono visti rifiutare offerte di lavoro da tantissimi giovani percettori del RdC: chi gliela faceva fare di andare a lavorare?
Stupidamente le destre, ma anche la sinistra, hanno gestito male la questione del reddito di cittadinanza e hanno offerto su un piatto d’oro una valanga di voti al partito di Conte (che col Movimento 5 sStelle crediamo abbia poco a che fare) che da dato per disperso ha riconquistato facilmente le piazze dei percettori dell’aiuto di Stato, molti disperati, troppi furbastri. Conte non ha fatto altro che cogliere il sentiment di una piazza avvilita, stufa e scontenta e trasformarlo in consenso. Un po’ quello che Grillo e i suoi hanno fatto nel 2018: allora si sono schierati contro la casta (ma poi lo sono diventati molti di loro) e hanno raccolto la rabbia e la voglia, ovvero lanciato la scommessa, di cambiamento. E qui, non tanto la destra con i suo proclami anti-profughi e il sovranismo mascherato da aspirazione al presidenzialismo (leggi potere assoluto), ha sbagliato, ma soprattutto la sinistra ha perso il treno della rinascita, trascurando la larghissima voglia di riformismo che l’avrebbe portata alla vittoria. Si è toccato con mano quanto sia distante il Paese della politica da quello reale. Ma non sperateci: nessuno farà un mea culpa e tutto resterà come prima, secondo la logica gattopardiana “cambiare tutto perché nulla cambi“.
Stasera conosceremo il nuovo volto del Paese e quali scenari si andranno a prefigurare. Se la Meloni non supera il 40% con la coalizione avrà poco da pretendere dal Paese che non ha mostrato di andare in delirio per leghisti nordisti-pentiti o fratellanze di dubbia affettuosità. Ma se Atene piange, Sparta non ride: a sinistra si raccoglieranno i cocci di una politica inesistente e il risultato sarà di una ingovernabilità assicurata. Cosa che il Paese, in questo momento, non si può permettere. Una sola proiezione possiamo permetterci, in attesa del voto: passato il 25 settembre, tutti quelli che hanno riscoperto il Sud (per ovvie necessità elettorali) se ne dimenticheranno in fretta. I nostri giovani continueranno a vedersi rubare il futuro, la Calabria sconterà più degli altri gli effetti perversi e nefasti del caro-bollette, il Ponte sullo Stretto tornerà dentro l’immutabile wish-list che il carosello della politica propina da anni a calabresi e siciliani, e la crescita e lo sviluppo del Sud resterà un sogno. Malgrado il Pnrr e le buone intenzioni del governatore Occhiuto. Buon voto a tutti. (s)