Escursione di “Gente in Aspromonte” sulle tracce dell’Anello di Monte Seduto e Laghetto Marzanello

L’associazione escursionistica “Gente in Aspromonte” propone, per domenica 8 ottobre, un itinerario che riguarda L’Anello di Monte Seduto e Laghetto Marzanello.

Il percorso si svolge quasi interamente nel bosco e si snoda attraverso ampie e distese faggete, abetaie e qualche pineta, su piste ben individuabili. Una vera e propria immersione totale nella natura più incontaminata dove nel silenzio della montagna si possono apprezzare scenari suggestivi, come il cinguettio degli uccelli e il fruscio dei passi sul tappeto di foglie secche che ricoprono le piste.

Monte Seduto era un crocevia per i pellegrini che si recavano a Fabrizia in occasione della festa di Sant’Antonio e a Serra per la Festa di San Bruno ma anche per i fedeli che dalle Serre raggiungevano il Santuario di San Nicodemo a Mammola.

Anticamente era considerata una mulattiera molto importante, perché era usata per collegare i Comuni di Galatro, Giffone, Passo di Croceferrata, Fabrizia, Serra San Bruno e Pizzo Calabro sul Tirreno. Al porto di Pizzo arrivavano le navi dal nord cariche di merluzzo secco (lo “Stocco”), poi attraverso questa via veniva trasportato a dorso di mulo fino a raggiungere Mammola. Attualmente una diramazione di questa mulattiera in direzione di Passo di Croceferrata è stata trasformata in una grossa arteria stradale, finalizzata ad avvicinare la Provincia di Reggio Calabria con quella di Vibo Valentia attraverso la catena delle Serre, completando così la Strada della Cresta Appenninica.

L’itinerario, completamente compreso nelle Serre Calabresi, poco più a nord della Limina, al confine del Parco Nazionale dell’Aspromonte non presenta particolari difficoltà, ed è accessibile anche ai camminatori meno esperti. Si parte da Monte Seduto (mt.1143) che è la parte più alta del territorio di Mammola, ai confini con i Comuni di Galatro, Giffone e Grotteria. Da Monte Seduto ci immettiamo nella strada principale, in terra battuta che scende a Mammola e si snoda attraverso ampie e distese faggete, abetaie e qualche pineta. Dopo circa 40 minuti, si arriva quindi sulla prima altura denominata Monte Cresta a mt. 1040 da dove si può ammirare una suggestiva veduta che domina una vasta vallata. Avanzando in direzione sud, il nostro itinerario incrocerà i sentieri: “Sentiero Italia”, “Sentiero del Brigante” e “Il Cammino della Fede”. Si prosegue in mezzo a rigogliosi faggi e attraverso un percorso in salita e in discesa di un quarto d’ora di cammino si arriva al laghetto Marzanello. Posizionato in una suggestiva valle naturale, contornato da un fitto bosco di abeti e pini, è utilizzato per la pesca sportiva ed il servizio antincendio, anche se è ancora da completare e valorizzare con aree attrezzate per il pic-nic. Il sentiero che costeggia il laghetto a questo punto comincia a salire gradatamente sempre in mezzo a maestosi faggi; in questa zona si possono raccogliere numerose specie di funghi (porcini, rositi, colombine e galletti) in tutti i periodi dell’anno, per le favorevoli condizioni climatiche. Il percorso continua poi su un vecchio sentiero in terra battuta in direzione della località Vardaro, e dopo 10 minuti si arriva alla “Casermetta” (caserma del CFS abbandonata da molti anni). Si riprende il sentiero che ricomincia a salire dolcemente, sempre in mezzo a maestosi faggi e dopo circa 40 minuti siamo al punto di partenza.

La prenotazione all’Escursione si può fare, telefonando al 348.8134091 o inviando una email a info@genteinaspromonte.it. (rrc)

REGGIO CALABRIA – Escursione di “Gente in Aspromonte” sulle tracce del “Passo della Croce”

L’associazione escursionistica “Gente in Aspromonte” propone, per domenica 1 ottobre, un itinerario che riguarda il Passo della Croce lungo il Cammino della fede.

Nel IX secolo alcuni monaci bizantini, spinti verso i confini dell’impero dalla furia iconoclasta, o in fuga dalla Sicilia a causa delle incursioni saracene, giunsero nel cuore dell’Aspromonte e, attratti dal fascino dei luoghi fondarono una piccola colonia ed una chiesa, dove oggi sorge il Santuario della Madonna della Montagna.
Al Passo della Croce tutti i pellegrini lasciavano cadere la pietra, presa lungo il sentiero e portata a spalla in segno di espiazione dei propri peccati (la pietra era proporzionata alle proprie forze!). Ancora oggi sono visibili parecchi cumuli di queste pietre votive.

Memorabile e simbolico, a tal proposito, è l’episodio narrato dallo scrittore Corrado Alvaro nel 1912, nella sua prima opera “Polsi nell’arte, nella leggenda e nella storia”. Racconta di una donna incinta, che recatasi in pellegrinaggio presso la “Madonna della Montagna”, in un momento di riposo, stanca ed assetata, dopo aver pregato la Vergine, vide apparire per incanto ai suoi piedi una fontana d’acqua freschissima. Ed è proprio quella che noi oggi conosciamo come “Fontana della Pregna”.

La natura mutevole ci accompagna per tutto il percorso, con il paesaggio dei boschi dell’Aspromonte che si trasformano e profumano di essenze diverse, mentre le fiumare mutano aspetto anche esse per via delle rocce di diversa composizione. Le sorgenti ci ricordano leggende lontane, mentre il sentiero ci porta in una profonda e remota vallata, intorno a cui convergono alte e scoscese pareti. Lo scenario è sorprendente, in alto ci sovrasta il massiccio di Pietra Castello e in basso intravediamo ciò che resta del lago Costantino. Questo tratto del Cammino della Fede è sicuramente il più suggestivo, per raggiungere a piedi il santuario di Polsi, in quanto si percorrono le antiche vie dei pellegrini e dei viandanti che si recavano nel famoso luogo di culto.

Il sentiero parte dal Passo della Cerasara a 1.400 metri di altezza. Ci immettiamo sulla sterrata che in pochi minuti ci porta al rifugio di Favazzina, subito ci troviamo sulla pista e dopo aver superato il torrente ci immettiamo nel sentiero e dopo circa 15 minuti giungiamo al casello Vocale. Il luogo è caratterizzato dalla presenza di rigogliose piante di abete rosso e da una serie di attrezzature, finalizzate al ristoro (qualche tavolo di legno e una preziosa fontana). Continuiamo lungo la pista (che è la stessa che in condizioni normali conduce a Polsi) e dopo 30 minuti arriviamo alla fontana della Croce. Abbandoniamo la pista carrabile e imbocchiamo un sentiero, ai lati del quale si trovano alcuni cumuli di pietre. Sono le pietre votive dei fedeli provenienti dal versante tirrenico che uniti in “carovane” si recavano nel famoso luogo mariano. Giungiamo quindi al casello del “Serro della Croce”, dal nome dell’omonima località.
Ci lasciamo il casello alle spalle e dopo poche decine di metri giungiamo ad una altura sgombra completamente da impedimenti visivi, una sorta di balcone panoramico a quota 1.345 m. Da qui possiamo godere di un paesaggio a 360°e spaziare con lo sguardo. Partiamo dal monte Montalto e a tutta la propaggine che degradando arriva al mare, continuiamo con l’imponente formazione rocciosa di Pietra Castello fino alle alture del piano Carrà, con in lontananza la sommità di monte Scordo e a seguire la cresta dell’Appennino, per poi ritornare nuovamente con lo sguardo a Montalto. Giù nella vallata vediamo il letto dei torrenti che poco più a valle si uniscono dando origine al torrente Bonamico. Polsi sembra ad un tiro di schioppo e un binocolo potrebbe essere utile. Questo e molto altro ancora è possibile ammirare dal belvedere del Serro della Croce. Una volta soddisfatta la naturale curiosità per l’incredibile straordinarietà dei luoghi, ci incamminiamo lungo la via del ritorno, che sostanzialmente ricalca il percorso dell’andata ma con qualche variante. Giunti alla “Fontana della Croce”, invece di ripercorrere la pista, prendiamo un sentiero posto sul lato sinistro della fontana, avendo l’accortezza di imboccare il sentiero giusto che, in leggera salita, ci porterà a visitare i rifugi Cusmano e Muccari realizzati dagli operai forestali, fruibili in caso di necessità, da tutti coloro i quali potrebbero averne bisogno. Unica avvertenza è quella di lasciare in ordine. Poco dopo ci immettiamo nuovamente sulla pista percorsa all’andata e ritorniamo sui nostri passi al punto di partenza. (rrc)

Saccomanno (Lega): Si intervenga subito con droni ed Esercito per Aspromonte che brucia

Il commissario regionale della Lega, Giacomo Saccomanno, ha chiesto di intervenire con droni ed Esercito contro gli incendi in Aspromonte.

«Che non si ripeta il dramma del passato! – ha ribadito –. È necessario far intervenire immediatamente i droni e l’esercito. Non è possibile che ogni anno si perdano ettari ed ettari di bosco per chissà quale incuria o mano nascosta! È incomprensibile di come si possano cancellare secoli di storia e di rigogliosa agricoltura in pochi attimi. Indipendentemente da possibili responsabilità, che certamente ci sono, ognuno deve intervenire e mettere a disposizione di una delle nostre più importanti ricchezze naturali tutte le proprie forze per salvaguardare una natura che ci viene invidiata da tutto il mondo».

«Che si assumano subito tutte quelle iniziative fondamentali – ha continuato – per porre fine ad una distruzione lenta, ma continua di un Aspromonte tanto tutelato e custodito dai nostri padri ed ora, fortemente, violentato forse da mani che hanno altri intollerabili interessi». (rrc)

REGGIO CALABRIA – Residenze artistiche in Aspromonte grazie ad Aspromondo

Si è tenuta nella mattinata di venerdì 21 luglio, presso il Castello Aragonese di Reggio Calabria, la conferenza stampa di presentazione della XII edizione del Face Festival: Aspromondo, progetto di residenza artistica in Aspromonte che prenderà il via il prossimo 6 agosto: un’esperienza di immersione naturale tra i profili montani e le suggestioni ancestrali del Parco Nazionale dell’Aspromonte, nella splendida cornice dell’Ex Vivaio Forestale Cucullaro e tra i boschi di Gambarie di Santo Stefano, per riscoprire le meraviglie nascoste della “montagna bianca” in Calabria attraverso un percorso simbiotico tra arte, natura e uomo.

Il progetto è stato presentato alla presenza di Paolo Genoese, ideatore e direttore artistico del festival insieme al regista Giacomo Triglia, di Irene Calabrò, Assessore alla Cultura del Comune di Reggio Calabria, e Francesco Malara, Sindaco di Santo Stefano in Aspromonte, si è evidenziato come Face Festival si sia ormai affermato come uno tra i progetti capofila a livello territoriale nel supporto e nella creazione di dialogo tra arte, comunità e territorio. L’assessore Irene Calabrò ha sottolineato come la sinergia, la comunicazione e la promozione di quello che accade su tutto il territorio metropolitano sia importante, e che un progetto come Face Festival è capace di riverberare le sue capacità virtuose dal territorio aspromontano fino al cuore della città di Reggio Calabria.

Per il Sindaco Francesco Malara «la presenza di tanto ossigeno e tanto fresco, di cui il nostro territorio è ricco, è uno degli ingredienti principali capaci di fare girare al meglio il cervello degli artisti che avremo il piacere di ospitare», chiosa ironicamente, rimettendo in luce in realtà l’importanza strategica del dialogo tra territorio e artisti coinvolti: «Gli artisti all’interno di un bosco bellissimo sperimenteranno e daranno vita alle loro creazione, permettendo a tutta la cittadinanza di godere di una passeggiata di tipo diverso! Fare un passeggiata nel bosco a Gambarie sarà un modo per celebrare la natura con l’arte!».

«Un festival che non avrebbe la sua poetica senza il suo radicamento territoriale, un appuntamento che acquista il proprio valore anche grazie a questo radicamento» – sottolinea il Direttore Artistico Paolo Genoese, che racconta come il processo culturale stia crescendo e che il bosco degli artisti sia stato visitato finora da 3500 persone, dando atto a «una purificazione per chi lo visita, grazie alla possibilità di ammirare opere d’arte in un contesto naturalistico di assoluto pregio, godendo di un panorama incredibile che si affaccia sullo Stretto».

Preview del Festival fissata il 31 luglio con il workshop “Adotta un robot” tenuto dall’artista, graphic designer, art director, Massimo Sirelli in collaborazione con il Museo e Parco archeologico nazionale di Locri Epizefiri. Un appuntamento per grandi e piccini che potranno esplorare e costruire misurando la loro creatività il loro Robot giocattolo, utilizzando materiali di recupero, lasciandosi guidare da un’artista, punto di riferimento in Italia per l’arte applicata al concetto di upcycling, quella forma di creatività attraverso la quale materiali di scarto vengono trasformati in oggetti di valore esponenziale.

I creativi protagonisti della residenza, in partenza il 6 agosto, realizzeranno le loro opere in uno scenario naturalistico fortemente suggestivo, dalla bellezza autentica e “selvaggia”, attivando attraverso il linguaggio artistico, curiosità e interazione da parte di un numero sempre crescente di visitatori, di un piccolo museo incastonato nei boschi calabresi.

Da Maria Wozniak artista tessile e stilista canadese che si ispira all’ambiente naturale e all’esplorazione di pratiche sostenibili, al collettivo Zeroottouno la cui poetica artistica va verso una graduale attenzione al lavorio tecnico e all’uso alternato di procedimenti tradizionali e tecnologici che li ha portati oggi a spaziare il loro operato, dalla ceramica, alla scultura, alla meccanica, all’elettronica, alla fotografia, antropologia e geografia, passando per lo scultore Tonino Denami che nel marmo e nel legno incide la sua poetica legata all’essenziale, l’arte del togliere e il collettivo artistico multidisciplinare Galleria Technè che esplora il rapporto tra l’uomo e ambiente urbano o naturale, tra sé stessi e il mondo.

E ancora l’artista visivo Giuseppe Negro, che dal recupero, rilettura e rivisitazione di quanto attiene al passato basa gli elementi fondanti della sua ricerca, una sorta di metodologia nella sua complessa operazione artistica, che si sostanzia della necessità di far rivivere la memoria sopita dal tempo e minacciata dall’oblio, lo scultore Paolo Infortuna la cui ricerca artistica si muove lungo linee e forme dal linguaggio universale di conoscenza e confronto, la scenografa Federica Sorace che orienta la sua ricerca su interattività e multimedialità, Larissa Mollace il cui stile personale è ibrido tra fotografia e inchiostro, la scultrice e scenografa Tamara Marino il cui linguaggio artistico sperimentale miscela tutte le principali arti figurative, cercando connessioni coi nuovi linguaggi performativi e musicali e altri ancora da annunciare nei prossimi giorni.

L’idea generatrice del progetto è quella di ospitare, creativi provenienti dalle Accademie di Belle Arti italiane nonché artisti uniti da un comune obiettivo: realizzare in Aspromonte un museo a cielo aperto: il bosco degli artisti: per chi vuole scoprire le bellezze del territorio montano attraverso sentieri naturalistici e da oggi anche percorsi artistici.

Obiettivo principale del progetto è quello di valorizzare in modo totalmente inedito il territorio: il Massiccio Montuoso dell’Appennino Calabro, attivando processi e scambi creativi, volti alla creazione di un nuovo sentiero, un nuovo luogo, che possa essere conosciuto con uno sguardo attento e innovativo puntando sulla forza dell’arte contemporanea e della sinergia magica fra luogo e artisti.

Lanciata sulle pagine social la call per giovani registe/i che vogliano raccontare per immagini attraverso un corto il rapporto fra arte e natura, attraverso il loro linguaggio espressivo, amplificando la mission del progetto.

Il Festival lancia infine viviAspromondo: la possibilità di collaborare con alcuni degli artisti in residenza e interagire attraverso un percorso di costruzione partecipata alle opere che arricchiranno quest’anno il Bosco degli artisti.

Un progetto dal valore fortemente sociale che risiede in una caleidoscopio di risorse e di stimoli tradizionali e moderni che attraverso l’evento diventano proposte concrete di rinnovamento culturale per la Calabria.

Face Festival 12 – Aspromondo è tra gli Eventi di promozione culturale 2022 cofinanziati dalla Regione Calabria, con risorse Pac 2014/2020-Azione 6.8.3. (rrc)

COSOLETO (RC) – “Gente in Aspromonte” in visita al Santo Redentore

L’associazione escursionistica “Gente in Aspromonte” organizza una nuova tappa del suo percorso su Le Grandi Vie dell’Aspromonte. Domenica 16 luglio sarà la volta del Santo Redentore che interesserà i Comuni di Cosoleto, San Luca e Samo.

Raduno ore 10:30 bivio Montalto, partenza escursione ore: 10:45, (per quelli della Ionica incontro ore: 9.00 al Centro commerciale Center-Gross – Bovalino; per quelli di Reggio e Tirrenica indicazioni per Gambarie – Montalto).

La cima di Montalto domina con i suoi 1956 m. di altezza l’intero massiccio aspromontano. Da essa, a raggera, si dipartono innumerevoli profonde e strette vallate, una più bella e differente dell’altra, ognuna con una storia da raccontare: quella della “La Verde” e i suoi profondi canyon, quella dell’Amendolea e il suo popolo grecanico che ci ha vissuto per lunghissimi secoli, quella della Bonamico ed il suo lago naturale ormai estinto, tutte valli un tempo navigabili. A fare da cornice a questa spettacolare visuale, il più grande vulcano attivo d’Europa: l’Etna, ed ancora le Isole Eolie e la dorsale appenninica che procede con le Serre, la Sila ed il Pollino.

Il percorso ha anche una valenza religiosa. Era il 23 settembre del 1901. Sulla vetta più alta dell’Aspromonte, Montalto (1956 metri sul livello del mare), la maestosa statua del Cristo Redentore trovava collocazione. Su un terreno donato dal Barone Stranges di San Luca. L’opera in bronzo fu realizzata dall’artista reggino Francesco Jerace, in occasione del Giubileo del 1900 voluto da papa Leone XIII. È una delle 20 realizzate in quell’anno collocate su altrettante vette italiane.

Interesse anche dal punto di vista storico Sulla cima è stato posto un punto trigonometrico della rete geodetica nazionale istituito sin dal 1869, appartenente alla rete fondamentale nazionale. Per festeggiare il Giubileo del 1901 sulla cima è stata posta una statua del Redentore in bronzo (si veda Statue del Redentore per il Giubileo del 1900), il 23 settembre del 1901 dal cardinale Portanova. Quella attuale, invece è stata creata dallo scultore reggino Michele di Raco. Sempre in vetta è posta anche una rosa dei venti in bronzo su base di granito posta dal Gea (Gruppo Escursionisti d’Aspromonte) nel 1994.

Si parte dalla base di Montalto si imbocca il sentiero che si addentra nel bosco delimitato di una staccionata in abbandono, con frequenti aree di sosta fornite di panchine ora in stato d’abbandono, dalla salita molto dolce che si trova a sud – sud ovest – si sale in circa 30 minuti. Qui il panorama è grandioso, i nostri occhi potranno spaziare a 360° (visibilità permettendo) tra i due mari Ionio-Tirreno, da Roccella Ionica al Porto di Gioia Tauro, nonché tra le cime a Nord-Est quali Monte Cannavi, Monte Fistocchio, Monte Scorda, e più a Sud la valle delle Grandi Pietre, Pietra Cappa-Pietra Lunga-Pietra Castello. Saziati i nostri sensi proseguiremo verso la vetta più alta del massiccio dell’Aspromonte dove si erge la statua del Redentore in bronzo, eretta nell’anno 1901. Vi è anche una rosa dei venti in bronzo su base in granito posta dal Gruppo Escursionisti d’Aspromonte (Gea) nel 1994, inoltre vi è un pilastrino in rappresentante un punto Trigonometrico di Prim’ordine posto dall’Istituto Geografico Militare (Igm) all’inizio del 1900, coincidente con vertice Trigonometrico della rete Catastale.

Anche da qui il panorama sa di magia, se il cielo è sereno, ad ovest è possibile vedere ergersi nella sua maestosità il Monte Etna. Riprendiamo il sentiero che scende verso Polsi al primo tornante giriamo a sinistra e i pochi minuti siamo sulla strada asfaltata si prosegue per un centinaio di metri per prendere la strada che scende a San Luca seguendo il sentiero a sinistra della strada dopo 20 minuti siamo all’indicazione acqua Selvatica, si prosegue sulla sterrata sul sentiero Delianuova – Bova è una carrareccia quasi tutta in piano (molto monotona e rilassante), su questa ci sarà un affaccio verso Puntone l’Albara e più avanti, al bivio per Materazzelli, una ampia e gradevole radura verdeggiante. Pochi minuti di cammino sul sentiero Italia e siamo al punto di partenza. (rrc)

CAULONIA MARINA (RC) – Continuano le escursioni sull’Aspromonte

L’associazione escursionistica “Gente in Aspromonte” continua con i suoi percorsi sulle Grandi vie dell’Aspromonte. Domenica 2 luglio ci sarà l’appuntamento con Ferdinandea.

Il primo raduno è previsto alle 9.30 alla Rotonda di Caulonia Marina, secondo raduno previsto alle 10.30 nel piazzale Ferdinandea.

La Ferdinandea è una meta turistica, ben conosciuta per i suoi percorsi naturalistici, ma del passato è rimasto ben poco. Inizialmente tenuta di caccia dei Borbone, fu poi trasformata in centro siderurgico, con due opifici che lavoravano il minerale di ferro, proveniente dalle miniere del vicino Monte Stella. Il territorio fa parte del Parco naturale regionale delle Serre e la vegetazione è formata per l’80% da piante di abete bianco, faggio e pino rosso, mentre il rimanente è coperto da piante di castagno, querce, pioppo e altre essenze. La tenuta si presenta rigogliosa, pulita e ben curata, oltre ad essere in piena vegetazione e riproduzione.

Ci sono motivi di interesse religioso come la visita alla “Chiesa Vecchia” della Ferdinandea, Stilo (Rc). Si presume che il villaggio sia sorto nel periodo aragonese, intorno al 1300. La prima attestazione documentata di questo villaggio risale al 1602. Esistono i ruderi di una chiesa dedicata a San Giovanni Battista del 1700 con cripta e costruita su una precedente chiesa di legno.

Tanti anche gli spunti dal punto di vista storico perché ci troviamo nel versante ionico della Calabria e delle Serre Calabre, in un territorio da sempre ricco di minerali e con condizioni morfologiche e idriche tali, da favorire la nascita e il progredire della prima industrializzazione del Mezzogiorno d’Italia. Questa è “Ferdinandea.”!! Nel 1833 Ferdinando II di Borbone si reca nella zona per inaugurare le nuove ferriere, costruite sulle rovine delle Ferriere del Piano della Chiesa. L’area prenderà il nome in suo onore. Le ferriere sarebbero servite per produrre ghisa in supporto a quelle di Mongiana raggiungibili da un tratturo.

Il percorso inserito nel Parco Regionale delle Serre.

La Ferdinandea è una vasta tenuta di circa 3600 ettari, tra gli 800 e i 1400 metri di altitudine, quasi interamente coperta da boschi di alto fusto, dove predominano il faggio e l’abete ed è compresa nei territori dei Comuni di Stilo, Bivongi, Brognaturo, Mongiana e Serra San Bruno, Il polo siderurgico della Ferdinandea si articolava, oltre che nella fonderia, in tredici ferriere sparse lungo il corso dello Stilaro e del Ruggero. Il tempo sembra essersi fermato al secolo scorso, tra questi boschi che custodiscono tante meraviglie; non solo quindi luoghi naturalistici bellissimi, ma veri tesori dell’archeologia industriale, chiesette, antiche ferriere, centrali idroelettriche, resi ancora più suggestivi dalla natura che li avvolge.

Seguendo la strada sterrata sulla destra della vecchia fonderia, si scende tra gli alberi attraverso un percorso affascinante che si snoda su un antico sentiero, caratterizzato da lunghi tratti lastricati in pietra. Dopo aver superato quello che ora è un edificio per il ricovero del bestiame, si attraversa un ponte sopra il piccolo torrente Stilaro, fino a raggiungere i resti del raccordo delle condotte forzate proveniente dalla diga Giulia e dalla diga sul torrente Ruggiero. Nella tenuta vi sono le sorgenti di cinque fiumi: il Don Luca, il Ruggiero, la Mula, lo Stilaro e l’Assi. (rrc)

Mettere in atto tecniche di sopravvivenza nella “Missione Aspromonte”

Sabato 3 giugno, alle 9, sui sentieri percorsi dai paracadutisti della Nembo durante la battaglia dello Zillastro, partirà la “Missione Aspromonte” uno specifico stage di perfezionamento che nasce con l’obiettivo di qualificare operatori di settore e non, per affrontare e superare le criticità sempre più avverse della montagna. Un addestramento pratico finalizzato ad acquisire le conoscenze di base su come agire in situazioni di emergenza nell’ambiente aspromontano per soccorrere un infortunato e, in casi estremi, di tentare di salvare una vita mettendo in atto tecniche di sicurezza, manovre di primo soccorso, rianimazione cardio polmonare con anche l’impiego del defibrillatore.

Grazie a esercitazioni residenziali in bosco e laboratori didattici a cielo aperto (outdoor education), sarà quindi possibile mettere in pratica “specifiche tecniche di sopravvivenza” attraverso un mirato apprendimento esperienziale esclusivo sviluppato gratuitamente da UniReggio e destinato non solo agli studenti dei corsi Oss, Guardie ecologiche, Osss, ma rivolto anche a tutti coloro che frequentano l’ambiente montano come lavoratori, abitanti delle frazioni montane, guide, escursionisti, istruttori, sportivi, camminatori, bikers, ecc. che, per qualsivoglia ragione, possono trovarsi a dover fronteggiare una emergenza sanitaria lungo i sentieri nei paesi più isolati.

UniReggio affida a Cosimo Sframeli il comando della Missione Aspromonte sullo Zillastro e l’addestramento alla sopravvivenza in montagna, a Antonino Falcomatà l’inquadramento geografico e promozione dell’area, mentre al corpo docenti dei corsi Oss e Osss le manovre di primo soccorso e gestione delle emergenze.

«Poche regole utili e intelligenti possono salvare una vita – dice il presidente Paolo Ferrara – È proprio grazie alle esperienze dei corsi Oss, Osss e Guardie ecologiche, UniReggio ha sviluppato gratuitamente un processo metodologico innovativo che illustra, attraverso pratiche di educazione all’aperto, conoscenze di base e procedure di sicurezza per affrontare e agire in situazioni di emergenza in Aspromonte, utili per soccorrere un infortunato e tentare, in casi estremi, di salvare una vita mettendo in atto manovre di primo soccorso». (rrc)

Ambiente Mare Italia: In Aspromonte è già emergenza incendi

L’Associazione Ambiente Mare Italia ha invitato le istituzioni e le autorità preposte a una maggiore vigilanza per salvaguardare il patrimonio boschivo e ha invitato i cittadini a segnalare alle autorità fatti o eventi che possano causare incendi pericolosi o dannosi.

«L’Estate è da poco iniziata – viene spiegato in una nota – e già il nostro territorio vive una vera e propria emergenza incendi. La memoria ci riporta all’estate scorsa, quando a seguito di una serie di incendi, appiccati dolosamente, un patrimonio boschivo secolare, unitamente a migliaia di specie animale, sono andati distrutti sulle roccaforti aspromontane».

«Per giorni – spiega la nota – il fuoco ha pressoché distrutto ettari ed ettari di macchia mediterranea con danni per milioni di euro. Le foreste sono uno scrigno di biodiversità, ospitando l’80 per cento delle specie animali e floreali terrestri e sono necessarie per mitigare l’effetto serra, i cambiamenti climatici e a contrastare l’innalzamento della temperatura globale».
«Gli incendi che stanno divampando in questi giorni in Calabria – prosegue la nota – mettono a rischio le nostre foreste, causando una perdita di biodiversità genetica, il rilascio e immissione in atmosfera di quantità enormi di anidride carbonica e altri gas serra».
«Secondo i dati dell’European Forest Fire Information System (Effis) pubblicati nel mese di agosto del 2021 – spiega l’Ami – dall’inizio dell’anno nella nostra Penisola erano bruciati 102.933 ettari di terreno, un’area grande quanto 140mila campi da calcio. La situazione, dal mese di agosto, è andata peggiorando a causa dei continui incendi che hanno colpito la penisola ed in particolare il sud Italia».
«Questo accadeva lo scorso anno e non vorremmo rivivere questa situazione anche quest’anno – commenta Francesca Rogolino, delegata di Ambiente Mare Italia – AMI Reggio Calabria –. Forti di questa nefasta esperienza oggi sollecitiamo le Autorità preposte, ma anche i semplici cittadini, ad attivarsi in funzione preventiva. È necessario programmare ogni iniziativa tesa a individuare eventuali responsabilità dirette, prevenendo, attraverso una seria azione di vigilanza ogni eventuale focolaio».
«Ambiente Mare Italia – AMI – conclude la nota – ricorda l’importanza che gli alberi hanno nel proteggerci dall’inquinamento atmosferico, causa di diverse patologie, ma anche dalle ondate di caldo torrido, come quella che stiamo attraversando in queste settimane. Ambiente Mare Italia – AMI invita, pertanto, le Istituzioni e le Autorità preposte ad una maggiore vigilanza e ad attuare politiche di sensibilizzazione al rispetto del nostro polmone. AMI invita anche i cittadini a segnalare alle Autorità fatti o eventi che possano causare degli incendi pericolosi e dannosi al nostro patrimonio boschivo». (rrc)

Successo per il campo estivo della Folgore in Aspromonte

di COSIMO SFRAMELI – Adunata di uomini liberi in Aspromonte. Paracadutisti dell’A.N.P.d’I. (Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia) di Reggio Calabria e Cosenza, ricchi di passione e di amore per la Patria, in raduno sui Piani dello Zillastro. 

Un agire diverso da quello faccendiero, spettacolare, aziendale. Un agire fine, attento ai gemiti dello spirito, che ama il piccolo e l’invisibile. Un agire che ritrova lo stile e l’energia di un amore forte e paziente, capace di donare senza nulla chiedere in cambio. Amici che praticano la legalità, contro una rassegnazione e un moralismo interpretato, a favore di una società che celebra i giovani in virtù del proprio passato, presente e avvenire.  

L’ultimo fine settimana di giugno 2022,  nella montagna dell’Aspromonte, esattamente sull’altopiano dello “Zillastro”, in prossimità del Monumento, eretto anni addietro, all’interno di un’ampia pineta, per ricordare la cruenta battaglia ingaggiata l’8 settembre 1943 da 400 Paracadutisti, appartenenti all’VIII Btg. del 185° Rgt. della Divisione Nembo, contro 5.000 soldati del reparto anglocanadese Nova Scotia,  puntuali al raduno i Parà della X Zona, in particolare quelli delle Sezioni di Reggio Calabria e Cosenza. Fonte Canadese, che relazionò sulla battaglia, afferma: «Gli Italiani combatterono ferocemente e questo fu il più notevole scontro, considerato l’atteggiamento supino adottato dalle altre truppe italiane incontrate fino ad ora».

All’appello hanno risposto i Paracadutisti Pino Perrone (Consigliere Nazionale ANPd’I), Nunzio Mileto (Presidente ANPd’I di Reggio Calabria), Piero Preite (Presidente ANPd’I Cosenza), Antonella Bossio, Antonio Nucera, Nino Chilà, Francesco Giovinazzo, Francesco Sergi, Antonio Coniglio, Cosimo Sframeli. Presenti anche Gianluca Napoli, Gianluca Pagliaro, Angelo Zito, dell’Associazione “SOS metal detector nazionale ETS”, impegnati in una interessante, quanto mai singolare, opera di ricerca storica.  

Dopo l’alza bandiera, suddivisi in piccole squadre, hanno approntato la zona bivacco, eseguiti lavori di pulizia e manutenzione del Monumento, nonché in perlustrazione accertare testimonianze del passato.

Il rancio, preparato dal Paracadutista Nino Chilà, è stato “ottimo e abbondante” apprezzato da tutti. All’improvviso, un nubifragio durato un paio d’ore, ma che non scompone nessun Paracadutista. Dopo la pioggia battente e le nuvole continue, uno spiraglio di sole ha finalmente fatto capolino riscaldando la terra e l’aria.

L’occasione migliore per eseguire una escursione in luoghi pieni di fascino naturalistico e di storia: “Aria di Vento”, dalla cui sommità, quale miglior premio per il faticoso impegno, ai loro occhi si è spalancato un panorama mozzafiato. Durante il percorso aspromontano, tra sentieri sterrati e impervi, hanno pure goduto di luoghi incontaminati, sconosciuti ai più, ricchi di fascino e ricchi di memoria.

Al tramonto, i Parà rientrano al campo-base dove hanno reso gli onori e ammainato la bandiera. A seguire non si sono risparmiati davanti ai formaggi, salame e capicollo locali, nonché alle grigliate di carne, “innaffiando” con ottimo vino. Al calar della notte, alimentato il fuoco del cuore, hanno dato fondo ai fiaschi di grappa, intonando, come consuetudine, i canti inneggianti ai valori di amicizia e fratellanza.

Prima di ritirarsi, i Paracadutisti, raccolti in semicerchio innanzi al Monumento illuminato dalla luna, hanno reso atti di riverenza ai caduti di tutte le guerre e battaglie, recitando la Preghiera del Paracadutista.

Il giorno successivo, smantellato il campo, hanno effettuato una seconda escursione nel Parco Nazionale d’Aspromonte, ricco di conglomerati rocciosi, a cui il vento e l’acqua hanno dato forme caratteristiche, ripercorrendo ripidissimi assolati sentieri, tra eriche, lentisco, mirto, corbezzoli, castagni e lecci, e respirando forti fragranze fra cespugli di menta e di origano, accompagnati dal maestoso volteggiare di aquile e falchi librarsi nell’azzurro del cielo.

Nelle prime ore del pomeriggio, dopo avere consumato il rancio, i Paracadutisti,  felici di aver rivissuto intensi momenti di piena amalgama, si sono lasciati salutandosi con un ripetuto e lungo “GHERI – GHERI – GHEZ”, l’onomatopeico grido dell’aquila vibratamente echeggiato per le circostanti valli, prima di ritornare a casa alle rispettive famiglie e alla vita di tutti i giorni, aspettando il prossimo Campo della Folgore. (cs

LA NUOVA NARRAZIONE DELLA CALABRIA
UN MODELLO TRA ORGOGLIO E PREGIUDIZI

di SANTO STRATI – Tra orgoglio e pregiudizi, è assolutamente necessario tentare la via di una nuova narrazione della Calabria. Accanto all’efficienza dimostrata dal presidente Roberto Occhiuto e dalla sua squadra di Giunta, risulta evidente che non si ossa fare a meno di mettere mano alla reputazione della regione. Questa terra è stata maltrattata, vilipese, stravolta da cattiverie gratuite, la sua immagine compromessa. Il suo racconto fatalmente deviato, quasi a voler accentuare un distacco inevitabile, un divario incolmabile. E sappiamo che non è così.
Occorre ricostruire, rigenerare (questo verbo così di moda negli ultimi tempi) l’immagine della nostra meravigliosa terra perché i calabresi lo chiedono, lo pretendono (giustamente), ne sentono l’assoluto bisogno. E non è facile.
Per anni la Calabria è stata al centro dell’informazione di media nazionali e internazionali soltanto in occasione di morti ammazzati, clamorosi processi di mafia, disastri: tutto il resto è stato bellamente ignorato, a lungo, e senza ritegno, soprattutto dai media nazionali e dalla tv. Solo negli ultimi anni le sollecitazioni prodotte da più parti (e consentiteci di mettere anche le pagine di Calabria.Live) hanno destato nuova curiosità, nuova attenzione.
Come si fa una nuova narrazione? Usando prima di tutto gli strumenti della cultura. Abbiamo un modello, un esempio luminoso che può indicare il percorso ideale per rigenerare l’immagine della Calabria, il libro di Giusy Staropoli Calafati Terra Santissima (editore Laruffa) che offre un’immagine diversa della Calabria. La sua scrittura è straordinaria: la candidatura al Premio Strega è più che meritata e anche entrare nella dozzina dei finalisti sarebbe il minimo dovuto per una scrittrice di Calabria che rivela capacità e maturità letteraria di grande respiro. La storia è “calabrese” ma il racconto è universale, anzi l’ambientazione aspromontana conferisce al racconto un’inedita introspezione sia per chi questa terra la conosce bene, sia per chi ha sempre e solo associato la montagna reggina alla ‘ndrangheta. Ma anche a chi nemmeno immagina che spettacolo della natura sia tutto l’Aspromonte, con un Parco poco reclamizzato, poco conosciuto dagli escursionisti e dagli amanti del trekking.
Ricadiamo sempre nel classico errore che in 50 anni di Regione nessuno ha mai voluto risolvere e affrontare: serve una comunicazione “intelligente” (e costante) che possa dare un’immagine positiva della Calabria, ma allo stesso tempo occorre mettersi in condizione di poter accogliere quanti restano poi suggestionati da un’efficace narrazione di luoghi e genti. Quello che fa la Staropoli Calafati: “La Calabria… nessuno te la leva via di dosso. Non ti salvi da lei – scrive nel suo bellissimo romanzo –. Se la odi, o la ami, poco conta. Un giorno ti si scopre dentro e ti accorgi che ti ha sempre posseduta. Tenuta con lei. Noi siamo come gli alberi. Ogni albero è attaccato alla terra dalle radici… Perché il Sud è un destino dentro al cuore che ti prende e non lo sai lasciare…”. Bastano queste poche righe per spiegare a un non calabrese lo straordinario senso di appartenenza che contraddistingue la nostra gente, quella calabresità che va raccontata agli altri per far scoprire – come dice il presidente Occhiuto – “la Calabria che non ti aspetti”.
La Calabria è caratterizzata da tre regole di vita: partire, restare, tornare. Un modus che solo i calabresi riescono a interpretare in maniera adeguata. Soprattutto per quello che riguarda il ritorno. La “restanza” è già un atto di coraggio che nobilita il senso di appartenenza, l’amore filiale verso una madre troppo spesso matrigna con i suoi figli e invece assai più generosa con gli estranei. In questa terra si sono arricchiti tutti i “forestieri”, ma solo qualche calabrese ha avuto qualcosa in più delle tradizionali briciole. Terra di conquista, di colonizzazione, nonostante gli splendori della civiltà magnogreca e una storia millenaria fatta di caparbia resistenza al nemico e all’invasore e di un sentimento che sarebbe sbagliato chiamare rassegnazione.
La protagonista del romanzo di Giusy Staropoli Calafati è una giornalista calabrese cresciuta a Milano che “torna” e riscopre la “sua” Calabria. I modelli letterari di ispirazione sono Alvaro, Strati, Perri, La Cava, ma la scrittura della Giusy non succube ad alcuna “cambiale” dei suoi autori preferiti (e stra-amati): c’è il forte senso dell’orgoglio che è l’elemento dominante di tutto il racconto. C’è la descrizione di un Aspromonte selvaggio e affascinante, dove i pastori (di cui Alvaro ci descriveva la “dura vita”) i pochi pastori rimasti non si tramandano il lavoro, ma il legame indissolubile alla propria terra. Ed è semplicemente geniale che l’autrice faccia innamorare la protagonista di un pastore vero (che però tiene i libri vicino al letto e cioè non inculturato) ma ricco della sua coscienza di calabrese autentico, di genuino figlio della sua terra.
È la descrizione di Polsi, del culto della Madonna della Montagna che indica come raccontare le attrazioni naturali (e mistiche) di questa terra: “Tutti tenevano giunte le loro mani. Il santuario della montagna era un luogo di fede e di preghiera. Nessuno stringeva pistole o zaccagne. Le mani degli uomini e delle donne erano mani semplici, fessuriate dai calli, stanche dalla fatica. Mani sporche della terra verso cui la Madonna guardava, ed ella stessa riempiva di promesse e di grazie. Polsi sapeva come far star bene l’anima”.
Non ci sono anime nere (che più avanti nel racconto emergeranno per raccogliere il disprezzo di chi legge) ma una partecipata narrazione di volti, di gente, di case e di mulattiere (si aspetta ancora una strada asfaltata che porti al Santuario). E la considerazione che la scrittrice mette in bocca alla protagonista Simona Giunta (Esisteva una Calabria che andava vista con gli occhi e la profondità del cuore) riempe di significato quest’idea condivisibile di una terra che è anche Italia, anzi che ha dato il nome alla penisola e non merita l’abbandono e l’indifferenza cui è ancora troppo spesso costretta.
Non sono più i tempi di “non si affitta ai meridionali” in quella Torino resa fortunata nella fabbriche da centinaia di migliaia di calabresi, ma ancora esistono stupide logiche di superiorità e razzismo. Nord opulento e Sud povero e dimenticato: ma se non ci fosse il Mezzogiorno a chi venderebbero i loro prodotti le aziende del Nord? Per questo solo uno stupido non comprende che se va avanti il Sud va avanti tutto il Paese. E per questo, accanto alla restanza e alla partenza, esiste la molla della speranza, il ritorno.
Il romanzo della Giusy è un grande inno alla speranza proprio perché il “ritorno” non solo significa riappropriarsi della terra che ha dato i natali, ma creare sviluppo e crescita e soprattutto futuro per le nuove generazioni. Dice la protagonista: “La gente come noi, al Nord, non apparterrà mai. La Calabria ce la portiamo dentro fino alla tomba”.
Per questa ragione, la nuova narrazione della Calabria deve essere rivolta a chi la Calabria ce l’ha nel cuore (e quindi esulta per la prospettiva del ritorno) e a chi la deve scoprire. “Questa terra – scrive la Staropoli Calafati – va riconquistata, rimessa a nuovo, perché il mondo le riconosca finalmente la sua grandezza e la malavita non l’affossi uccidendola.”.
Esprime la scrittrice il sentimento di orgoglio che deve contraddistinguere ogni calabrese: il suo libro è il racconto non solo di un amore tradizionale (o non convenzionale9 tra un uomo e una donna, bensì lo straordinario amore che lega alle origini, alla propria terra.
Una terra dove la “Santa”continua sì a imperversare, ma perde ogni giorno protagonisti, gregari e soprattutto potere, grazie a magistrati e forze dell’ordine, ma anche a tantissime persone perbene, che pagano il loro impegno antimafia con intimidazioni, minacce non velate, qualche volta con la vita. Ma accanto a questa terra che non è stravolta dalla ‘ndrangheta (non in misura superiore di quando avviene nel resto d’Italia e del mondo, dove la criminalità organizzata perde colpi, ma continua a imperare) c’è un’immagine positiva fatta di persone e cose, paesaggi di sogno, mari da favola, tesori inestimabili vestigia d’un passato che fa inorgoglire anche il più scettico dei calabresi. Soprattutto quelli che vivono al di fuori della Calabria e non dimenticano, sognano, immaginano il ritorno.
Sono i testimonial d’una campagna di reputazione che non costano nulla e che aspettano solo di poter dare il proprio contributo. La diaspora calabrese ha portato in ogni angolo della terra i figli di Calabria, i quali, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno conquistato il successo, raggiungendo ruoli di prim’ordine in ogni campo. Nell’ambito della scienza (si pensi al Premio Nobel Dulbecco), della cultura, delle istituzioni. Perché il calabrese che va via (un tempo per scelta, oggi per necessità – visto che ai nostri giovani laureati non si offrono opportunità) sa che dovrà lottare il doppio rispetto a chiunque altro per superare i pregiudizi e mostrare le proprie capacità. La Calabria alleva geni (all’Unical escono giovani informatici contesi da ogni grande azienda in ogni parte del mondo), spende un sacco di soldi per formarli e dar loro le giuste competenze che poi non sarà in grado di utilizzare, a tutto vantaggio delle regioni furbe del Nord e della multinazionali che individuano subito le capacità. Ci sono centinaia, migliaia di medici, ingegneri, scienziati, esperti in tecnologia, pronti a ritornare, purché ci siano le condizioni di vita e di welfare che ancora oggi appaiono come un miraggio. E le donne, sottopagate, sfruttate, messe in disparte o, peggio, emarginate. È questa la narrazione che serve alla Calabria dove – diceva Pasolini, citato nel romanzo della Staropoli – “è stato commesso il più grave dei delitti, di cui non risponderà mai nessuno, è stata uccisa la speranza pura, quella anarchica e un po’ infantile, di chi vivendo prima della storia, ha ancora tutta la storia davanti a sé”.
Ma la speranza non è morta, anche se ci hanno provato in molti a spegnerla. Ce lo racconta questo bellissimo romanzo che dovrebbe essere fatto leggere nelle scuole, non solo calabresi, e dovrebbe diventare il manifesto della possibilità di farcela. Di raggiungere il risultato. Non sappiamo se i giurati del Premio Strega si faranno affascinare fa questo straordinario e intenso racconto d’una Calabria di 40 anni fa e dei nostri giorni, dove l’amore non trionfa, ma la speranza riluce. Quella che fa dire alla protagonista: “Quella terra è governata da tutte le specie di uomini. Essi le hanno levato via la dignità, negato ogni forma di bene, e le cose belle che aveva gliele hanno infrante selvaggiamente. Ma non la speranza e neppure il futuro”.
La Calabria scopre un’altra “vera” scrittrice, da collocare accanto ai grandi di questa terra. Giusy Staropoli Calafati merita tutto l’onore e l’orgoglio dei calabresi e la stima del mondo letterario.