A tu per tu con Andrea Agostinelli, presidente dell’Autorità Portuale

di GREGORIO CORIGLIANONelle mie giornate di mare da… passeggio, non sempre si fanno begli incontri, per fortuna che c’è un lungomare da fare invidia ad altre località più accorsate, per cui, giocoforza incontri un amico, un vecchio-giovane compagno di scuola, un telespettatore del tg regionale della Rai che ha ancora memoria di quando facevo il piccolo anchor man in Calabria –anni passati ma sempre vividi- ed interrompi la corsa al venticello iodato, almeno per i saluti.

Non avrei mai immaginato di aver avuto per compagno di mare da passeggio nientedimeno che Andrea Agostinelli. Agostinelli, e chi è costui, mi direte. Chi ha familiarità col porto, con la piana di San Ferdinando-Gioia Tauro (a quando un referendum per istituirla anche formalmente?) non può non sapere che è il gran visir dell’intero orbe terracqueo tirreno-ionico calabrese, più o meno. Insomma il presidente dell’autorità portuale. Urca! Gli sguardi si incontrano, eravamo uno verso Nicotera, l’altro verso il porto e ci scappa un toh! Ci eravamo visti qualche volta ad uno dei tanti convegni parolai di cui la Calabria è la regina, ma senza aver avuto la possibilità allungare il brodo, come l’acqua del mare di sera, quando si riesce a fare un tuffo, perché è cessato lo scarico di ogni ben di… Satana.

E siccome gli incontri si sono susseguiti, com’ finita? O iniziata? Che siamo andati davanti desco, di un localino, niente male, sul lungomare. Ci scambiamo i cellulari e finiamo, condividendolo, al Gibrain. Ero di fronte ad un Ammiraglio, una qualifica che è superiore allo stesso general dell’Esercito. Vuoi mettere? Di generali, tanti. Di Ammiragli, pochi. Toscaneggiando e non poco – l’uomo è di Livorno- mi dice che il suo sogno era quello di fare l’avvocato, poi però le scuole dell’avvocatura, dalle sue parti, non lo hanno convinto e si tuffò in mare, partecipando, dopo la laurea ad un corso di allievo ufficiale di Marina. Vinto? Terzo su scala nazionale ed eccolo, sottotenente di vascello effettivo. Monfalcone, caposezione accademico navale, comandante di qui, comandante di lì. Comando generale. Comandante Capitaneria di porto a Reggio Calabria e, quel che più conta, direttore marittimo, con un esercito da marinai alle dipendenze: tra Reggio Calabria, Vibo Valentia, Crotone, Corigliano Calabro, Gioia Tauro. E metti che a cena Agostinelli – Corigliano, arriva ad un certo punto, il conoscitore della Piana per eccellenza, Agostino Pantano, da collega professionista che le ha girate tutte e tutti, agenzie, televisioni e quotidiani.  Saluta, si avvicina e manco a dirsi, dice di conoscere opere e virtù dell’Agostinelli, ansie e preoccupazioni, impegni e desideri.

«Parli te o parlo io, col Corigliano – dice l’ammiraglio –. No, parli lei», dico. «Siamo a cena insieme perché lei mi dica la sua esperienza di vita, dopo quella accademica, in questa terra». «Devo proprio?». «Se vuole, certo». Tornato al ministero, l’incontro e la conoscenza col ministro del Rio, fu un colpo di fulmine.

Due ore di colloquio ed ecco l’Agostinelli, commissario dell’Autorità portuale non fosse altro che per le sue conoscenze del mondo del mare e quel che altrettanto conta della Calabria marittima. Da commissario a presidente, non facile, il passo è stato breve. Dopo Buscemi, Guacci e Grimaldi ecco il nostro toscanaccio buono a scegliere ancora una volta il mare calabrese. Dire che ha sacrificato la vita al lavoro, è scontato, si capisce da come si accalora, al sorso di Madre Goccia, e dagli occhi con cui mi guarda. Due figlie, una a Copenaghen, l’altra in Cattolica a Roma. Di loro e solo di loro ha una profonda nostalgia, da buon padre di famiglia. Ma tant’è.

Ha voluto la bicicletta ed ora… è al timone del vascello. Un mestiere nuovissimo anche per lui che, abituato a vedere i porti dal profilo della sicurezza è passato a quello della produttività, allo sviluppo dei traffici. Non sono quale sia stato il meno difficile. Non me lo dice nettamente, ma è chiaro. «La vostra è un terra difficile, lei lo sa». A quel punto sismo passati al tu confidenziale, perché il cuore dell’Andrea di Livorno si era aperto sempre di più. Te la dico tutta, anche da ammiraglio della Marina. Questo compito, sia pure ingrato, è affascinante perché «puoi modificare il corso delle cose, col tuo impegno, con i progetti che metti in campo. Per questo, nella solitudine, è nato un grande amore! Durerà, non lo so», mi dice. Si sente in un certo senso, un carcerato in Calabria… la vita non è facile, qui. «Tutte le cose fatte non contano più, conta solo il futuro: ed il campo lo dobbiamo arare  ».