Sanità: le Case di Comunità sono una sfida da affrontare per la Regione Calabria

di ANGELO PALMIERI – In Calabria parlare di sanità territoriale significa affrontare una sfida innanzitutto sociale. Le Case della Comunità non sono semplici edifici sanitari: rappresentano un cambio di paradigma che scalfisce il primato dell’ospedale come unico presidio di cura e restituisce al territorio la dignità di luogo terapeutico e relazionale.  La salute non è solo atto clinico: è relazione, intreccio di capitale sociale, appartenenze e memorie collettive. La CdC diventa così un’infrastruttura di legami, una piazza sanitaria dove la cura smette di essere gesto tecnico e diventa pratica di cittadinanza. Qui confluiscono fragilità individuali e responsabilità collettive, prossimità dei professionisti e autonomia dei cittadini.

Fratture storiche e nuove diseguaglianze

La Calabria vive da decenni forti squilibri tra costa e montagna, centri urbani e aree interne. Oltre il 30% della popolazione risiede in comuni sotto i 5.000 abitanti, spesso in zone montane o collinari, con viabilità fragile, trasporti intermittenti e una rete digitale discontinua. Queste condizioni creano una “doppia distanza”: fisica – perché i servizi sono lontani – e simbolica, perché chi vive nei piccoli centri sviluppa una percezione di esclusione e sfiducia verso le istituzioni. Il risultato è un ricorso massiccio alla mobilità sanitaria: nel 2022 la spesa per cure fuori regione ha raggiunto 304,8 milioni di euro, un esborso che non è più una libera scelta ma necessità imposta da carenze strutturali. In queste comunità un banale controllo medico può trasformarsi in un viaggio di ore, mentre per un anziano solo o una famiglia senza mezzi adeguati il diritto alla salute diventa un percorso a ostacoli. Qui le Case della Comunità devono nascere come presidi permanenti, non solo per garantire servizi di base ma per ricostruire fiducia e capitale sociale.

La cura che coinvolge

Il cuore del modello è la presa in carico proattiva: intercettare i bisogni prima che esplodano in emergenza. Il Punto Unico di Accesso (PUA) e l’Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM) non sono sportelli burocratici, ma porte civiche della salute, dove la biografia della persona – clinica, economica e relazionale – viene ascoltata nella sua interezza. Da questo ascolto nasce il Piano Assistenziale Individualizzato (PAI) digitale, un patto di corresponsabilità che unisce istituzioni, operatori e cittadini. Così la cura diventa progetto di vita e il welfare si trasforma in pratica di co-produzione del benessere, rafforzando fiducia e legami di comunità.

Governance e partecipazione

In un territorio segnato da frammentazioni istituzionali, la Direzione di Distretto diventa cabina di regia per sanità e sociale, mentre il Comitato di Comunità apre le decisioni a cittadini, operatori e Terzo Settore.  La misurazione tramite indicatori pubblici – dalle ospedalizzazioni evitabili alla soddisfazione degli utenti – non è burocrazia: è atto di democrazia sanitaria, perché rende la comunità co-valutatrice delle politiche e riduce gli spazi di opacità.

Digital divide e nuove cittadinanze

Il potenziale della telemedicina e del PAI elettronico è enorme, ma rischia di restare privilegio urbano se non si interviene sul digital divide. In molte zone interne la connessione è instabile, le competenze digitali scarse, i dispositivi costosi. Servono quindi facilitatori di comunità e programmi di alfabetizzazione tecnologica, perché l’innovazione diventi infrastruttura di cittadinanza, capace di abbattere barriere e portare il sapere clinico fin dentro i borghi più remoti.

Oltre l’emergenza: salute mentale e minori

Fra le sfide più urgenti spicca la salute mentale, soprattutto quella giovanile. Dopo la pandemia disturbi d’ansia, depressione e dipendenze hanno conosciuto un incremento allarmante. Le Case della Comunità possono diventare centri di prevenzione e resilienza, ospitando neuropsichiatria infantile, servizi per le dipendenze (SERD) e centri di salute mentale (CSM). Portare questi servizi vicino alle famiglie significa intercettare precocemente il disagio, ridurre l’abbandono scolastico e rafforzare la capacità delle comunità di sostenere i più giovani. Significa anche promuovere programmi di alfabetizzazione emotiva e gruppi di sostegno a genitori e insegnanti, trasformando la cura in educazione civica e capitale sociale. La telepsichiatria, se ben integrata, può raggiungere le aree più isolate, riducendo lo stigma e le barriere geografiche. In questo senso la salute mentale non è un capitolo marginale: è fondamento di sviluppo comunitario, perché una regione che custodisce l’equilibrio emotivo delle nuove generazioni costruisce coesione e futuro.

Una sfida culturale e politica

Costruire una sanità di prossimità in Calabria significa riconoscere il territorio come risorsa e non come problema.

Le Case della Comunità possono diventare luoghi di ricomposizione delle disuguaglianze e di costruzione di capitale sociale, dando concretezza all’articolo 32 della Costituzione. Perché questa rivoluzione silenziosa si compia occorrono tre condizioni imprescindibili: presidi permanenti nelle aree interne, investimenti seri in infrastrutture materiali e digitali e una governance trasparente che metta al centro la partecipazione civica.

E qui il discorso si fa inevitabilmente politico. Il presidente della Regione non può limitarsi a enunciare buone intenzioni o a rincorrere slogan elettorali.

Le Case della Comunità richiedono visione, programmazione e capacità di misurare risultati, non annunci ad effetto. E occorre dirlo con chiarezza: gli interessi consolidati di alcune potenti famiglie calabresi che da anni prosperano sulla sanità privata, alimentando un “out of pocket” studiato a tavolino con complicità silenziose, continuano a drenare risorse e a indebolire il servizio pubblico. Senza un contrasto netto a queste logiche speculative, ogni piano di riforma rischia di restare lettera morta. Su questo terreno, quello della sanità territoriale e della giustizia sociale, si misurerà la credibilità della prossima guida regionale. La Calabria non ha bisogno di promesse, ma di scelte coraggiose: portare la cura dove oggi ci sono solo distanze, costruire fiducia dove oggi regna sfiducia, trasformare il Pnrr da occasione finanziaria a patto civico con le comunità.

Chi siede a Palazzo Campanella dovrà dimostrare che la salute non è merce elettorale ma diritto vivo e misurabile, capace di trasformare le aree interne da periferia dimenticata a cuore pulsante della rinascita calabrese.

[Courtesy OpenCalabria]

PNRR E SANITÀ IN CALABRIA: NON SI DEVE
ABBASSARE LA GUARDIA SU INTERVENTI

di RUBENS CURIA E FRANCESCO COSTANTINONelle scorse settimane i media regionali  hanno registrato vari interventi pubblici sui dati del monitoraggio mensile  della Misura 6 del Pnrr derivanti dall’estrazione dei dati in piattaforma Regis. 

Alla luce di ciò che è stato pubblicato, ci è sembrato utile aggiungere anche il nostro intervento almeno per ciò che riguarda le misure M6C1I1.1 CdC – Case della Comunità, M6.C1I1.2.2.1  COT – Centrali Operative Territoriali e M6.C1I1.3 (OdC) – Ospedali di Comunità.

Le nostre valutazioni derivano, esclusivamente, dai dati resi pubblici sulla piattaforma Regis dedicata e pertanto va subito precisato che sulla stessa piattaforma viene specificato che  alcuni dei dati pubblicati risultano difformi da quelli derivanti dall’acquisizione delle informazioni per le vie brevi con i diretti responsabili dei vari interventi, pertanto le procedure potrebbero essere in uno stato più avanzato.

M6C1I1.1 CdC – 61 Case della Comunità previste dal Cis

Le procedure sono state avviate per tutte le CdC previste dal Contratto Istituzionale di Sviluppo.

I Lavori risultano avviati per 29 Case della Comunità e di queste solo 1 registra criticità al raggiungimento del target entro le tempistiche dettate dal CIS (31.03/2026).

Dei rimanenti 32  interventi  13 hanno terminato l’iter progettuale e approvato il Progetto Esecutivo anche se per  8 progetti si registrano forti rischi al raggiungimento del target.

Ben 19 Case della Comunità hanno il Progetto Esecutivo ancora in fase di redazione, verifica o al quale sono state richieste integrazioni o pareri e permessi non richiesti durante l’iter progettuale e ben 17 di queste registrano forti rischi al raggiungimento del target finale del 31/03/2026.

In definitiva, su 61 Case della Comunità programmate ben 26 presentano criticità che potrebbero compromettere seriamente la loro realizzazione entro la data programmata e quindi il rischio che non solo non vengano utilizzate le risorse loro destinate ma che debbano essere restituite anche le somme già spese, ricordiamo che il Ministro Foti ha dichiarato che per ottenere un’eventuale proroga è necessario il parere favorevole dei 27 Paesi della Ue.

Dal punto di vista finanziario le tabelle di monitoraggio pubblicate destano serie preoccupazioni in quanto a fronte di un piano dei costi programmato pari a € 112.671.579, 89 risultano impegni per solo € 20.314.834,72 e pagamenti effettuati per solo € 6.488.760,20

M6.C1I1.2.2.1  COT – 20 Centrali Operative Territoriali previste dal CIS oltre  3 aggiunte successivamente in overbooking

Le procedure sono state avviate per tutte le COT previste dal Contratto Istituzionale di Sviluppo e per le 3 in overbooking.

Risultano già collaudate 20 Cot e per le 3 rimanenti, già contrattualizzate per la loro realizzazione, la situazione risulta la seguente: le Cot di Botricello e Soverato, ubicate all’interno rispettivamente dell’ OdC e della CdC, non raggiungeranno il target entro i tempi stabiliti da Cis. La Cot di Lamezia Terme registra invece problematiche di natura cantieristica in quanto  l’impresa esecutrice ha richiesto il differimento della ultimazione dei lavori, al fine di completare i lavori sugli impianti.

In definitiva, su 23 Centrali Operative Territoriali programmate solo 3 presentano criticità che potrebbero compromettere seriamente la loro realizzazione entro la data programmata.

Dal punto di vista finanziario le tabelle di monitoraggio pubblicate non destano  particolari preoccupazioni in quanto a fronte di un piano dei costi programmato pari a € 4.392.152,34 risultano impegni già assunti per € 3.661.111,19 e pagamenti già effettuati per € 2.722.222,29.

M6.C1I1.3 (OdC) 20 Ospedali di Comunità previsti dal Cis

Le procedure sono state avviate per tutti gli OdC previsti dal Contratto Istituzionale di Sviluppo.

I Lavori, per quel che risulta, sono già stati avviati per 14 Ospedali di Comunità senza che al momento si siano manifestati problemi per il raggiungimento del target  finale del 31/03/2026.

Dei rimanenti 6  interventi 2 hanno terminato l’iter progettuale e per essi non si registrano rischi per il  raggiungimento del target e 4  hanno il Progetto Esecutivo in fase di redazione, verifica o al quale sono state richieste integrazioni o pareri e permessi non richiesti durante l’iter progettuale. Di  questi ultimi 2 registrano forti rischi al raggiungimento del target finale del 31/03/2026.

Dal punto di vista finanziario le tabelle di monitoraggio pubblicate destano qualche preoccupazione in quanto a fronte di un piano dei costi programmato pari a € 59.732.975,32 risultano impegni per solo € 3.490.485,36 e pagamenti effettuati per solo € 2.573.460,46.

Più in generale, quel che maggiormente preoccupa è la circostanza che, una volta esaurite le risorse del Recovery Plan e il Piano di potenziamento dell’assistenza territoriale dovesse andare a regime per marciare solo sulle gambe del finanziamento nazionale, il peso finanziario del personale aggiuntivo necessario risulterà solo parzialmente – e in minor misura – coperto dai fondi dell’art. 1 del D.L. 34/2020 e che per i fondi mancanti si spererebbe di poter sopperire attraverso un Piano di sostenibilità basato su quattro misure di seguito indicate: Incremento del Fondo Sanitario Nazionale; riduzione delle opedalizzazioni ad alto rischio di inappropriatezza relative alle malattie croniche; riduzione degli accessi inappropriati nei Pronto soccorsi relativi ai codici bianchi e verdi; riduzione della spesa farmaceutica relativa relativa a 3 classi di alto consumo di farmaci e con il rischio di inappropriatezza.

A noi sembra tutto molto illusoria la copertura finanziaria per il reclutamento del personale, soprattutto per le regioni meridionali e la Calabria in particolare, non è un caso che la Campania votò contro l’Intesa Stato -Regioni ; inoltre, ammesso che si realizzasse pienamente il Piano di Sostenibilità ipotizzato, non si comprende come potrà essere assunto, entro meno di un anno, il personale necessario (medici, infermieri, operatori sociosanitari e personale tecnicoamministrativo) al funzionamento delle nuove strutture quando ancora i relativi concorsi non sono stati nemmeno programmati.

Se si vuole raggiungere  l’obiettivo fondamentale del Pnrr che è la valorizzazione della “Medicina Territoriale” con un nuovo ed importante ruolo delle Strutture Sanitarie Territoriali Intermedie (CdC/OdC/COT) è fondamentale che le Aziende Sanitarie accelerino le varie procedure di cantiere, che il Fondo Sanitario Nazionale sia incrementato per quanto attiene alle assunzione del personale e che Azienda Zero ( non è nata anche per questo?) avvii le procedure concorsuali. (rb e fc)

[Rubens Curia e Francesco Costantino sono di Comunità Competente]

PNRR SALUTE, LA CALABRIA È INDIETRO
SERVE ACCELERARE E COLMARE DIVARI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria sono programmate 63 Case della Comunità, ma solo una è con almeno un servizio dichiarato attivo. È quanto emerso dal monitoraggio indipendente dell’Osservatorio Gimbe sul Servizio sanitario nazionale in merito sull’attuazione della Missione Salute del Pnrr.

Se si guardano i dati degli ospedali di Comunità, invece, si può notare come nella nostra regione ne sono previsti 20, ma nessuno di questi è attivo. Un miglioramento, invece, si riscontra sulla disponibilità dei documenti del Fascicolo sanitario elettronico, dove la Calabria registra un 88%, ma per il consenso alla consultazione solo l’1% della popolazione ha espresso parere positivo.

Dati che mettono nero su bianco quello che, recentemente, la consigliera del PD, Amalia Bruni, aveva denunciato: «i numeri, aggiornati al febbraio 2025 e forniti dalla stessa Regione Calabria, confermano il ritardo: Case di Comunità,  su 84,6 milioni stanziati, spesa al 5,11%; Ospedali di Comunità, su 37,6 milioni, spesa al 2,42%; Grandi Infrastrutture e Ospedali sicuri, 0,87% su oltre 24 milioni; Digitalizzazione DEA di I e II livello, 1,72% su 54,5 milioni; Grandi apparecchiature sanitarie, spesa al 15,5% su 44,7 milioni».

«Il rischio concreto – ha sottolineato – è che, se i fondi non verranno effettivamente spesi e rendicontati nei tempi stabiliti dal cronoprogramma europeo, si blocchino anche le progettazioni in corso, o si decida ancora una volta di drenare risorse dal Fondo di Coesione, già saccheggiato in passato, come nel caso del Ponte sullo Stretto».

Ma, in realtà, non è solo la Calabria a essere indietro, perché solo il 2,7% delle Case di comunità è pienamente operativo, mentre per quanto riguarda gli ospedali di comunità, nessuno ha tutti i servizi attivi e per il fascicolo sanitario elettronico nessuna regione risulta operativa al 100%. Accanto a questo quadro sconfortante, poi, si registrano «marcate diseguaglianze tra le Regioni», ha evidenziato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.

«Anche se non incidono direttamente sull’erogazione dei fondi del Pnrr – ha spiegato Cartabellotta – questi step intermedi vanno monitorati con attenzione, perché ritardi accumulati oggi potrebbero compromettere il rispetto delle scadenze europee di domani».

Per il periodo 2021-2025 risultano raggiunti tutti i target previsti: in particolare, al 31 marzo è stato raggiunto il target “Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (terza parte)”, che prevede un ulteriore incremento dei pazienti over 65 da trattare in assistenza domiciliare, al fine di raggiungere la soglia della presa in carico del 10% della popolazione in quella fascia di età.

«Tuttavia – osserva il Presidente – persistono grandi disparità regionali, sia nel numero di assistiti a domicilio, sia nella tipologia di servizi offerti». Infatti, come documentato dal Report Agenas sul monitoraggio del Dm 77 – aggiornato a dicembre 2024 – solo Molise, Provincia Autonoma di Trento, Umbria e Valle D’Aosta garantiscono in tutti i distretti sanitari gli 8 servizi previsti (Figura 1): nelle altre Regioni le principali carenze riguardano l’assistenza del medico e del pediatra di famiglia, l’assistenza specialistica, i servizi socio-assistenziali e la fornitura di farmaci e dispositivi.

Per quanto riguarda la riforma dell’assistenza territoriale, guardando i dati nazionali, emerge come «a tre anni dall’adozione del Dm 77, la riforma dell’assistenza territoriale procede a rilento, con forti diseguaglianze tra le Regioni, in particolare nell’attivazione e nella piena operatività delle Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità. Lo confermano i dati elaborati dalla Fondazione Gimbe a partire dal Report Agenas sul monitoraggio del DM 77, aggiornati al 20 dicembre 2024».

«Il potenziamento dell’assistenza territoriale – ha proseguito Cartabellotta – è la chiave per decongestionare ospedali e pronto soccorso e garantire una reale sanità di prossimità. Tuttavia, i dati ufficiali trasmessi dalle Regioni dimostrano che nonostante i fondi già stanziati, il ritmo resta inaccettabilmente lento».

Al 20 dicembre 2024, su 1.717 CdC previste, per 1.068 (62,2%) le Regioni non hanno dichiarato attivo alcun servizio tra quelli previsti dal Dm 77; per 485 strutture (28,2%) è stato dichiarato attivo almeno un servizio e solo per 164 (9,6%) tutti i servizi obbligatori sono stati dichiarati attivi. Di queste ultime, tuttavia, soltanto 46 (2,7% del totale) risultavano pienamente operative, cioè con presenza sia medica che infermieristica.

«Tenendo conto – ha precisato Cartabellotta – che tra le Case della Comunità senza servizi attivi rientrano anche quelle non ancora realizzate o in fase di riconversione, resta evidente il forte ritardo accumulato sulla tabella di marcia e, soprattutto, la distanza abissale tra le Regioni».

Sempre guardando i dati nazionali, «solo quattro Regioni superano il 50% di CdC con almeno un servizio dichiarato attivo: Emilia-Romagna (70,6%), Lombardia (66,7%), Veneto (62,6%) e Marche (55,2%). Sei Regioni si collocano tra il 25% e il 50%: Molise (38,5%), Liguria (33,3%), Piemonte (29,5%), Umbria (27,3%), Toscana (26,9%), Lazio (26,5%)».

«In altre cinque Regioni la percentuale varia dallo 0,8% della Puglia al 5% della Sardegna, mentre in sei Regioni non risulta attiva alcuna CdC. Considerando solo le CdC con tutti i servizi dichiarati attivi, la media nazionale si attesta al 6,9% per quelle prive di personale medico e infermieristico e al 2,7% per quelle pienamente funzionanti. Le differenze tra Regioni dipendono non solo dal completamento delle strutture, ma soprattutto dalla disponibilità di personale. In tutte le Regioni, fatta eccezione per il Molise, la quota di CdC pienamente operative è sempre inferiore rispetto a quelle che hanno attivato tutti i servizi».

Anche sul fronte degli Ospedali di comunità, «al 20 dicembre 2024, dei 568 Ospedali di Comunità previsti, solo 124 (21,8%) risultano avere almeno un servizio attivo (Tabella 2), per un totale di quasi 2.100 posti letto. In termini assoluti, i numeri più alti si registrano in Veneto (n. 43), Lombardia (n. 25) ed Emilia-Romagna (n. 21). Altre dieci Regioni hanno attivato almeno un OdC: dagli 8 della Puglia a un solo OdC in Campania e Sardegna. Otto Regioni restano invece ancora a quota zero».

«Rispetto alle Case della Comunità – ha commentato Cartabellotta – lo stato di attuazione degli Ospedali di Comunità appare ancora più indietro: non solo sul piano strutturale, ma anche perché nessuna Regione ha attivato tutti i servizi previsti dal DM 77». Infatti, per essere pienamente operativi, gli OdC devono garantire presenza medica per almeno 4,5 ore al giorno sei giorni su sette, assistenza infermieristica continuativa (H24 7/7 giorni), la figura del case manager, posti letto per pazienti con demenza o disturbi comportamentali e spazi dedicati alla riabilitazione motoria».

Incoraggianti, invece, i dati sulle Centrali Operative Territoriali, che «risultano attivate in tutte le Regioni. Al 31 dicembre 2024, su 650 Cot programmate, 642 risultavano pienamente funzionanti, di cui 480 hanno contribuito al raggiungimento del target europeo».

Per quanto riguarda il Fascicolo sanitario elettronico, «secondo la Corte dei Conti, il cronoprogramma ha già subìto ritardi: la milestone sulla piena interoperabilità nazionale, inizialmente prevista per giugno 2024, è stata posticipata a dicembre 2024, mentre la digitalizzazione nativa dei documenti è attesa per giugno 2025».

«Senza la piena operatività del Fse su tutto il territorio nazionale e senza il consenso dei cittadini alla consultazione dei documenti – avverte Cartabellotta –  rischiamo di centrare i target solo sulla carta per incassare i fondi, ma di lasciare la digitalizzazione del SSN incompiuta, frammentata e inefficace».

Al 30 novembre 2024, secondo i dati elaborati dal portale Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, nessuna Regione rende disponibili tutte le 16 tipologie di documenti previste dal DM 7 settembre 2023. Il grado di completezza varia sensibilmente tra le Regioni: si va dal 94% di Lazio, Piemonte e Sardegna al 63% di Marche e Puglia.

Al 30 novembre 2024 (al 31 ottobre 2024 per le Marche), solo il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione del Fse da parte di medici e operatori del SSN, con forti disomogeneità regionali: dall’1% in Abruzzo, Calabria, Campania e Molise all’89% in Emilia-Romagna. Tra le Regioni del Mezzogiorno, solo la Puglia supera la media nazionale (42%) con un tasso di adesione del 71% (Figura 7). «La scarsa adesione da parte dei cittadini – spiega il Presidente – soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, è un segnale preoccupante di sfiducia nella sicurezza dei dati personali e nella reale utilità del FSE».

«A poco più di un anno dalla rendicontazione finale della Missione Salute del Pnrr – ha spiegato Cartabellotta – l’avanzamento di Case e Ospedali di Comunità procede ancora troppo lentamente e con velocità profondamente diverse tra le Regioni».

Ma il problema principale è che, oltre ai ritardi infrastrutturali, il “pieno funzionamento” delle strutture – requisito indispensabile per la rendicontazione finale – è pesantemente ostacolato dalla carenza di personale sanitario, in particolare infermieristico, una vera emergenza nazionale. Nel caso delle Case della Comunità pesa poi anche l’assenza di un reale coinvolgimento dei medici di famiglia, perno insostituibile dell’assistenza territoriale».

«È, dunque – ha concluso – indispensabile accelerare in maniera sinergica su più fronti, per scongiurare rischi concreti. Il primo, da evitare ad ogni costo, è quello di non raggiungere i target europei e dover restituire il contributo a fondo perduto. Il secondo è di raggiungere il target nazionale, senza però ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali, che rischiano anzi di ampliarsi. Il terzo, il più grave, è “portare i soldi a casa” senza produrre benefici reali per cittadini e pazienti, lasciando in eredità solo scatole vuote e una digitalizzazione incompleta, a fronte di un indebitamento scaricato sulle generazioni future». (ams)

Convocata per mercoledì seduta Commissione Vigilanza su Ospedali e Case di Comunità

Mercoledì 29 gennaio, alle 10, è convocata un’audizione della Commissione Speciale Vigilanza per fare il punto sui progetti degli Ospedali e delle Case di Comunità.

«Ho avviato un percorso per il monitoraggio sullo stato dell’arte dei lavori di realizzazione delle Case e degli Ospedali di Comunità nella Regione Calabria – ha dichiarato il Presidente della Commissione speciale di Vigilanza in Consiglio regionale, Domenico Giannetta – per acquisire elementi di conoscenza puntuali e precisi, con cui intendo realizzare un dossier da mettere a disposizione del Consiglio regionale, della Giunta regionale e in particolare del Commissario straordinario per il Piano di Rientro».

«Ringrazio tutti i dirigenti generali e i Commissari straordinari delle Asp calabresi e il dirigente generale del Dipartimento Salute e Welfare della Regione Calabria – ha concluso –, per avere accolto l’invito a partecipare alle audizioni. Sarà un momento di ascolto e confronto molto interessante e importante per i calabresi». (rrc)

L’OPINIONE / Santo Biondo: Occorrono 1,4 mld per il personale sanitario in Case e Ospedali di Comunità

di SANTO BIONDO – Sulla medicina territoriale, il Governo continua a tenere nascosto il tema delle risorse economiche. In risposta alla pubblicazione, di qualche giorno fa, del nostro report sulla Missione 6 del Pnrr, Agenas ufficializza le linee di indirizzo per l’attuazione del modello organizzativo delle Case di Comunità e Ospedali, omettendo però, ancora una volta, di quantificare le risorse economiche necessarie per le assunzioni di personale sanitario da adibire al funzionamento delle Case e Ospedali di Comunità.

Il nostro lavoro di analisi ha evidenziato che, a tale scopo, occorrono circa 1,4 miliardi da destinare al personale del comparto (infermieri, infermieri di comunità, Oss e personale di supporto) al quale si dovrà aggiungere il finanziamento per i medici. Una somma molto lontana da quanto stanziato dal Governo con legge dello Stato (considerato che il Pnrr non consente di finanziare assunzioni), che si attesta invece a 250 milioni di euro per il 2025 e 250 milioni di euro per il 2026. Una cifra che, se confermata, andrebbe purtroppo a sancire il fallimento della Missione 6 Salute.

Inoltre, la previsione dell’infermiere di famiglia o di comunità ha costituito un’innovazione importante, ma i dati oggi ci dicono che nonostante il DM77 ne richieda 25/30 mila in servizio, in Italia se ne contano a malapena 3000.

Senza alcuna assunzione di nuovo personale, il rischio potrebbe essere quello di creare la figura dell’IFoC attraverso un travaso di personale sanitario dall’area ospedaliera all’area territoriale. Ciò è in totale contrapposizione con l’obiettivo sbandierato dal Governo di voler abbattere le liste d’attesa nella Sanità. Con la recente pubblicazione del report abbiamo già ampiamente rappresentato che la specifica Missione 6 Salute manca di dati e di informazioni circa la sua fase d’attuazione.

Sulla realizzazione della medicina di prossimità, dunque, il Governo continua, ostinatamente, a somministrare una cura che è sbagliata e che, se protratta, andrà a ridimensionare anche i grandi proclami che lo stesso Governo sta facendo in ordine alle riforme sulla disabilità e sulla non autosufficienza. (sb)

[Santo Biondo è segretario confederale Uil]

ISOLA CAPO RIZZUTO – Consegnate chiavi per realizzare nuovo Centro Sanitario

Sono state consegnate, nei giorni scorsi, le chiavi dell’edificio comunale a Isola Capo Rizzuto per realizzare il nuovo centro sanitaria.  

Il sindaco Maria Grazia Vittimberga, accompagnata dal Presidente del Consiglio Luigi Rizzo e dall’Assessore Davide Loprete, ha infatti aperto le porte all’equipe di progettisiti che si è aggiudicata i lavori di progettazione della nuova Casa della Comunità.

Si tratta di un progetto finanziato con fondi Pnrr, con un investimento di 1,4 milioni di euro: sarà realizzato in cooperazione con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Crotone, grazie anche alla collaborazione con la Provincia di Crotone, nella persona del consigliere Raffaele Gareri e con la Regione Calabria.

Nello specifico si tratta di un Poliambulatorio dotato di medici specialisti, tra cui: pediatri, logopedisti, fisioterapisti, dietologi, tecnici della riabilitazione ma anche infermieri di famiglia, una figura di fondamentale importanza per le famiglie con all’interno persone con disabilità. Ci sarà inoltre la presenza di laboratori analisi, radiologia e altri servizi sanitari. Il progetto vedrà alcuni interventi di ristrutturazione anche al già esistente Polo Sanitario “Suggesaro”, con l’obiettivo di farlo diventare un unico grande centro che possa dare più risposte possibili alle esigenze dei cittadini. (rkr)