La liquirizia di Calabria in prima linea contro il covid. La radice della pianta officinale, secondo una ricerca appena pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Foods, mostra la sua capacità inibitoria nella replicazione del virus. La glicirrizina, il composto principale della radice di liquirizia, può dunque diventare una formidabile molecola antivirale in grado di contrastare il coronavirus, soprattutto in funzione di prevenzione. È un’ulteriore conferma che sul cibo e gli alimenti (di qualità) dovranno venire gli strumenti farmacologici che permetteranno di arrivare a un vaccino di sicura efficacia.
Di liquirizia la Calabria è piena: solo nella nostra regione vanta dal 2011 la Denominazione d’origine protetta (Dop) e si concentra qui l’80 per cento della produzione nazionale. Diventa, quindi, rilevante il ruolo che la nostra regione può assumere a livello di ricerca scientifica, considerando la qualità e la specificità di numerosi prodotti tipici presenti solo sul nostro territorio. Basti per tutti il Bergamotto di Reggio Calabria, coltivato nella fascia costiera da Villa San Giovanni fino a Monasterace, di cui la Calabria vanta l’esclusiva produzione mondiale, le cui straordinarie caratteristiche terapeutiche in crescita continua non smettono di sorprendere la comunità scientifica. La Calabria con i suoi prodotti naturali della terra, un’alimentazione sana e genuina, e la grande competenza dei suoi ricercatori nelle tre Università si avvia a vivere una nuova importante esperienza nel mondo della scienza. E da ultimo non si dimentichi il nascente Dulbecco Institute che sta sorgendo a Lamezia Terme, fucina di nuove sperimentazioni e scuola di eccellenza (guidata da due premi Nobel e dal prof. Roberto Crea di rinomanza internazionale) per le nuove generazioni di ricercatori.
E proprio dall’Università Mediterranea di Reggio arriva la ricerca pubblicata da Foods. Gli studi sono stati condotti dalla prof.ssa Mariateresa Russo del Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio insieme con la prof.ssa Luisa Manina della Sapienza e con il prof. Alberto Ritieni del Dipartimento Farmacia dell’Università di Napoli in collaborazione con la professoressa Michela Grosso del Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche.
La chimica degli alimenti gioca un ruolo strategico nella ricerca scientifica: gli approcci basati sugli alimenti generalmente offrono grandi vantaggi nel ridurre gli effetti collaterali negativi rispetto ad approcci convenzionali. Non bisogna sottovalutare che, sebbene i micronutrienti siano composti sicuri con importante attività preventiva e co-terapeutica, queste molecole agiscono sul nostro sistema biologico e, quindi, è importante assumere alimenti e/o integratori nelle dosi corrette, con il supporto di esperti e solo quando necessario. È stato ampiamente dimostrato che dosi eccessive di vitamine, principalmente lipofile, o minerali possono provocare effetti collaterali dannosi per la salute umana. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), ha più volte messo in evidenza che la principale strategia preventiva contro le malattie, compresa quella da COVID-19, è il consumo di una dieta sana ed equilibrata, mentre l’uso di integratori dovrebbe essere raccomandato solo quando realmente necessario.
Riferisce lo studio che l’industrializzazione della trasformazione degli alimenti ha progressivamente ridotto il valore nutrizionale e funzionale degli alimenti e l’uso eccessivo di alimenti ultraprocessati ha favorito condizioni di morbilità come obesità, diabete, malattie cardiovascolari, ecc. che rendono gli individui più suscettibili alle malattie infettive. In questo contesto la pandemia COVID-19 potrebbe essere la prima di molte altre crisi sanitarie globali che potrebbero essere ulteriormente esacerbate da un sistema immunitario progressivamente indebolito. Oggi più che mai, quindi, la comunità scientifica coinvolta nella ricerca in campo alimentare, e della chimica degli alimenti in particolare, può e deve giocare un ruolo strategico nel proporre un nuovo approccio globale e sostenibile al cibo e al suo consumo. Queste evidenze hanno ispirato lo studio condotto e pubblicato e che dimostra come gli alimenti possano svolgere un ruolo privilegiato nella prevenzione e/o nel supporto dei protocolli terapeutici convenzionali per affrontare con più successo anche gli effetti della pandemia da COVID-19. La ricerca ha analizzato criticamente lo stato dell’arte sia degli studi clinici sul ruolo dei micro/macronutrienti alimentari e di alcune diete nel rafforzamento del sistema immunitario o in protocolli di supporto alle terapie, che degli studi in silico, ossia frutto di simulazioni al computer (che, comunque, necessitano degli approfondimenti e delle conferme di ulteriori studi), focalizzati sulle interazioni chimiche di specifici composti degli alimenti in grado di interferire con il ciclo infettivo virale di SARS-CoV-2.
Le sperimentazioni cliniche, oggetto dello studio, sono condotte con lo scopo di fornire indicazioni sull’efficacia dei protocolli testati in relazione ai composti, alle dosi, alle modalità di somministrazione, ecc., elementi necessari per identificare le molecole candidabili nella progettazione e formulazione di alimenti funzionali, integratori o, anche, farmaci. Gli studi clinici analizzati sono stati quelli focalizzati su specifici alimenti e micronutrienti che possono rappresentare una nuova frontiera non solo per il disegno di alimenti funzionali ma una risorsa importante soprattutto per anziani o individui immunodepressi o comunità ad alto rischio come quelle degli ospedali o delle case di riposo.
Numerosi studi approfondiscono il ruolo di specifici nutrienti e di integratori dietetici sulla funzionalità del sistema Immunitario, in una vasta gamma di soggetti umani, inclusi anziani, bambini ed adulti. Un introito ottimale di nutrienti, vitamine, antiossidanti e sostanze naturali in grado di ridurre lo stress e regolare lo stato metabolico genera un complessivo miglioramento della risposta di tipo specifico attivata dal sistema immunitario verso microrganismi patogeni.
Tra i micronutrienti, vitamine e minerali sono fondamentali per il nostro benessere, in quanto prendono parte a molti processi biologici e biochimici umani e sono coinvolti nel rafforzamento del sistema immunitario. Il ruolo di alcuni micronutrienti come agenti di supporto nella prevenzione e nel trattamento di infezioni virali del tratto respiratorio è stato già ampiamente dimostrato ma, nel caso di COVID-19, molti studi clinici sono attualmente in corso. Tra questi sono allo studio gli effetti di trattamenti profilattici a base di integratori con vitamina C o vitamina D o zinco. Anche il ruolo delle vitamine A, B ed E ben accertato nel rafforzamento del sistema immunitario, deve tenere conto di aspetti quali ad esempio che l’integrazione di vitamina A riduce l’incidenza di malattie respiratorie solo nei soggetti con malnutrizione o, al contrario, un aumento dei rischi di malattia in caso di normale apporto nutrizionale, la sua carenza compromette sia l’immunità innata perché riduce la funzionalità di neutrofili, macrofagi e linfociti Natural Killer, sia l’immunità acquisita dato che svolge un ruolo importante nello sviluppo dei linfociti Th1, Th2 e B. Va anche sottolineato il ruolo della vitamina E nella prevenzione delle malattie respiratorie. In un recente studio clinico, l’integrazione giornaliera di vitamina E ha migliorato l’attività del sistema immunitario soggetti con deficienze immunitarie.
Di un certo rilievo risulta poi lo studio, questo già in fase clinica, che riguarda l’efficacia della quercetina sia come profilassi che nel trattamento nei pazienti positivi. Altri studi clinici riguardano l’efficacia del miele naturale e dei semi di cumino nero nel ridurre i sintomi del COVID-19, e l’efficacia di diversi regimi dietetici tra cui la dieta chetogenica. Questo ultimo studio è supportato sia da studi precedenti sull’efficacia dei corpi chetonici nel ridurre la durata della ventilazione artificiale e gli eventi infiammatori, sia dalle evidenze cliniche che correlano la eccessiva assunzione di zuccheri raffinati con l’insulino-resistenza e l’alterazione della funzionalità del sistema immunitario. Un aspetto importante da considerare nello sforzo corale di comprendere l’attività e l’efficacia dei nutrienti e dei composti bioattivi degli alimenti è la loro biodisponibilità: merita approfondimenti sia nello studio dell’efficacia degli alimenti che degli integratori alimentari.
Tra gli studi di simulazione al computer riportati nel lavoro pubblicato, degni di nota sono quelli condotti su composti come la glicirrizina, la glabridina, l’acido glicirretico e polifenoli, tra cui l’acido caffeico, il resveratrolo, la δ-viniferina e miricitrina, il kaempferolo, la curcumina e la demetoxicurcumina, la catechina, la epicatechina gallato, la quercetina, l’esperetina, esperidina, e miscele di composti derivati da matrici alimentari e tra questi l’aglio. L’estratto di aglio testato, costituto principalmente da composti organosolforati (in particolare, il disolfuro di allile, il trisolfuro di allile, il tetrasolfuro di diallile e il trisolfuro e il 2-propenil propile) ha mostrato un’attività multitargeting molto promettente, bloccando il SARS-CoV-2 a due livelli: nella fase di ingresso, interagendo con il recettore ospite ACE2, e durante le fasi di replicazione e trascrizione.
Il ruolo della glicirrizina, che è il composto principale della radice di liquirizia – pianta officinale la cui produzione nazionale si concentra per l’80 % in Calabria – è stato a lungo studiato in altri studi in vitro per infezioni virali, tra cui l’HIV-1 e il virus dell’epatite C e, di recente, anche contro SARS-CoV2. Gli studi condotti hanno dimostrato che la glicirrizina inibisce la replicazione virale e le prime fasi del ciclo di replicazione. Gli effetti contro SARS-CoV-2 della glicirrizina sono stati condotti, al momento, attraverso studi di simulazione al computer. L’importanza della liquirizia come fonte di composti attivi è stata confermata anche da uno studio sulla glabridina e sull’acido glicirretico, altri composti presenti nella radice di liquirizia, che hanno mostrato la più alta attività di legame tra 2906 molecole testate. La capacità di questi composti di impedire l’ingresso del virus in caso di bassa carica virale è stata ulteriormente confermata in uno studio in vitro.
Tra i polifenoli, un’ampia classe di composti noti per le loro proprietà antiossidanti, antitumorale, antibatterica, sono stati presi in esame sia studi condotti sull’attività contro i virus respiratori che gli studi in silico su SARS-CoV-2. Altri studi in silico hanno mostrato che l’acido caffeico, un acido fenolico ampiamente presente in una ampia varietà di alimenti (come frutta, verdura, caffè e propoli presenta una potente attività al livello del recettore ACE2 confermata specificatamente anche nel caso del SARS-CoV-2, attivi anche altri due composti polifenolici della propoli, crisina e galangina.
Anche il ben noto resveratrolo, presente in molti alimenti tra cui il vino rosso, ha mostrato attività contro SARS-CoV in uno studio in vitro e un’elevata affinità di legame e la massima selettività per il complesso ACE2, confrontato con altri composti stilbenoidi testati in uno studio in silico. Altri polifenoli presenti nelle matrici alimentari tra cui campferolo, curcumina, demetoxicurcumina, quercetina, catechina ed epicatechingallato, sono stati studiati come potenziali inibitori del COVID-19. Queste molecole hanno, in effetti, mostrato un’elevata affinità di legame con COVID-19. Tra questi il campferolo, presente principalmente nel tè e in alcune verdure (tra cui spinaci, broccoli, cavoli), ha mostrato, nello studio considerato, l’attività più elevata.
Molto interessanti si sono rivelati, infine, gli studi sull’esperetina, un flavonoide presente nel pericarpo e nell’albedo degli agrumi tra cui arancio e mandarino. Questo flavonoide, ha mostrato, in un recente studio in vitro, un’inibizione dose-dipendente mentre uno studio in silico, il suo potenziale nell’inibire il recettore ACE2, suggerendo che questa molecola potrebbe legarsi all’ACE2 e interferire così con l’infezione da SARS-CoV-2. L’esperidina, un glicoside dell’esperitina, ha mostrato un interessante potenziale di inibizione di molte proteine correlate a SARS-CoV-2 interferendo con il ciclo virale.
Questi risultati sottolineano l’importanza e la necessità di proseguire con ulteriori studi focalizzati sia sulle molecole ma anche sui processi di estrazione e isolamento dei fitocomplessi.
Proprio sull’isolamento di queste molecole sono in corso alcuni programmi di ricerca coordinati dal gruppo di chimica degli alimenti della prof.ssa Russo, della Mediterranea di Reggio Calabria, in collaborazione con il team del prof. Luca Rastrelli dell’Università di Salerno e con alcune imprese calabresi focalizzata su tecniche green per l’estrazione dei principi attivi dai sottoprodotti della lavorazione della liquirizia e degli agrumi – in linea con il nuovo paradigma basato sull’economia circolare – e la progettazione di specifiche formulazioni nutraceutiche alcune delle quali finalizzate all’integrazione di diete chetogeniche nell’ambito di un programma di ricerca sviluppato in seno al Nutriketo-La, il laboratorio di Nutrizione clinica del P.O. Moscati di Avellino e dell’Università di Salerno che, peraltro, in un recente studio computazionale, ha effettuato uno screening di oltre 30.000 molecole naturali da piante, funghi e organismi marini per identificare le strutture che hanno maggiori probabilità di legarsi all’enzima TMPRSS2 inibendolo.
Una delle proteine utilizzate dal coronavirus per infettare le cellule è proprio l’enzima TMPRSS2, una proteina endoteliale della superficie delle cellule che è coinvolta nell’entrata e nella diffusione virale dei coronavirus, compreso il SARS-CoV-2. La più promettente è risultato il geniposide della gardenia. Grande interesse anche molecole da piante della tradizione Ayurveda (orthosiphon, ashwagandha, garcinia, ocimum) per il loro già consolidato uso in prodotti fitoterapici. Sono al momento sottoposte a screening ulteriori molecole estratti da specie mediterranea nell’ambito della consolidata collaborazione tra il Dipartimento di Agraria della Mediterranea di Reggio Calabria e l’Università di Salerno. (scd)