LA NUOVA EMIGRAZIONE DAL SUD AL NORD
È ANCHE FAVORITA DAL GOVERNO MELONI?

di MASSIMO MASTRUZZO – Avevo già scritto di come fosse forte il sospetto che favorire l’emigrazione dei giovani da Sud verso Nord fosse il reale motivo di tale astio di questo governo verso il RdC, uno strumento che volente o nolente, e con tutti i suoi difetti da correggere, dalla sua comparsa aveva dato la possibilità di una scelta: restare (o meglio resistere) o emigrare. Opzione che i cittadini del Sud-Italia non hanno mai avuto il privilegio di avere. Mentre sarebbe bastato offrire le stesse opportunità, e soprattutto lo stesso diritto di accesso al lavoro in tutta Italia, per ridurre notevolmente la platea di accesso al RdC.

Diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova»
Indizio n.1: Il Pnrr, ottenuto per eliminare le diseguaglianze territoriali, di giorno in giorno viene sempre più dirottato dal Sud verso l’industria del Nord Italia. La prova più recente sono i 16 miliardi che il ministro Raffaele Fitto ha spostato dai Comuni alle grandi imprese del Nord Italia.
Indizio n.2: Hanno fatto saltare il progetto per la costruzione di 2.190 asili nido per 264 mila bambini. Un diritto essenziale negato, oltre che un danno per tantissime mamme lavoratrici al Sud e un’opportunità di lavoro mancata per insegnanti, personale scolastico e addetti ai trasporti.
Indizio n.3: A Milano inaugurano le linee metro più veloci d’Europa, mentre in Basilicata chiude ogni tipo di trasporto su rotaia, il nuovo treno “veloce” Bari-Napoli è più lento di quello vecchio e in Sicilia per andare da Siracusa e Trapani (266 chilometri) si impiegano 11 ore e 21 minuti.

Basterebbero questi tre indizi per avvalorare la prova che (ri)sbloccare l’emigrazione dei giovani da Sud verso Nord sembra essere l’assurdo progetto del governo Meloni, ma la prova decisiva (non me ne vogliano Lee Child e Tom Cruise) è rappresentata dagli incentivi in partenza necessari per assumere giovani Neet, cioè ragazzi entro i 29 anni che non studiano e non lavorano.

Disoccupati al sud, soldi al nord
Neet (Not in Education, Employment or Training) è l’Indicatore atto a individuare la quota di popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non è né occupata né inserita in un percorso di istruzione o di formazione.
Il problema è che in Italia sono oltre 3 milioni, un quarto del totale e nessuno nell’Unione europea ne ha così tanti: lo ha ricordato anche il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nella sua relazione annuale. «Se ne deve tener conto nel ridefinire le priorità per lo sviluppo economico e sociale…».

Il numero di coloro che non studiano e non lavorano cambia però notevolmente anche in base all’area geografica di riferimento.

Nel Nord Italia, infatti, la percentuale rilevata dall’Istat è del 20% del Nord-Ovest e del 18% del Nord-Est, nel Centro del 23% e nel Sud Italia si tocca il 39%. Una disparità fortissima che dovrebbe far preoccupare.

Neet un fenomeno che nel sud Italia coinvolge più di un giovane su quattro
L’enorme incongruenza è che il riparto fra le regioni ignora i fabbisogni e orienta ingiustificatamente i fondi dove il fenomeno è meno grave: In Veneto dove l’incidenza dei Neet è del 13% sono disponibili 8 milioni. Alla Campania, che ha più abitanti e una incidenza dei Neet del 27%, toccano 7,5 milioni. In Sicilia, dove la quota Neet arriva al 30%, appena 5 milioni. A fronte di questi dati appare facile pensare male: possibile che l’obiettivo di Meloni Salvini e Tajani sia (ri)favorire l’emigrazione dei giovani da Sud verso Nord? (mm)

(Massimo Mastruzzo è componente del Direttivo Nazionale Met – Movimento Equità Territoriale)

Lotta alla criminalità, l’assessore Pietropaolo plaude al lavoro del governo Meloni

«Sul contrasto alle mafie il governo Meloni ha messo in campo un impegno senza precedenti: dalla difesa dell’ergastolo ostativo e del carcere duro per i boss, alla messa in sicurezza delle norme sulle intercettazioni nei delitti di criminalità organizzata dopo la sentenza della Cassazione che metteva a rischio tantissimi processi in corso, il potenziamento dell’attività volta all’assegnazione dei beni confiscati, aumentata del 79 per cento. Basta quindi con le fake news come quelle espresse dal responsabile di Libera, secondo cui ci sarebbe un depotenziamento della lotta alla mafia da parte del governo».

È quanto afferma l’assessore ai Beni confiscati della Regione Calabria, Filippo Pietropaolo, che aggiunge: «Quanto alle risorse destinate ai beni confiscati, è forse opportuno chiarire per l’ennesima volta – dopo i chiarimenti del ministro Raffaele Fitto e del sottosegretario all’Interno con delega ai beni confiscati Wanda Ferro – che non c’è alcun definanziamento, ma è prevista la sostituzione delle fonti di finanziamento, spostandole sulle politiche di coesione, proprio per salvare e consentire l’effettiva realizzazione dei progetti inseriti nel Pnrr. I precedenti governi avevano infatti inserito progetti che prevedevano un’aggiudicazione anticipata a giugno 2023, quando siamo già ad agosto: tempi del tutto incompatibili con le rigide ed intransigenti regole di rendicontazione del Pnrr. Al di là delle polemiche false e strumentali, il governo ha quindi salvato questi progetti, scongiurandone l’inevitabile definanziamento». (rcz)

PRIMO SERIO TEST PER IL GOVERNO MELONI
IL DEF DEVE INDICARE OBIETTIVI E RISORSE

di ERCOLE INCALZA – Si avvicina una scadenza non facile per l’attuale Governo, una scadenza non facile per l’attuale maggioranza: la redazione del primo Documento di Economia e Finanza (DEF) della nuova Legislatura. Senza dubbio la redazione e la approvazione della prima Legge di Stabilità, provvedimento prodotto in poco più di due mesi, è stato un banco di prova intenso e complesso ma, in fondo, una buona parte, almeno come riferimento di base, era stato inserito nella Nota di Adeguamento al Documento di Economia e Finanza prodotto dal Governo Draghi. Ora, invece, penso che il DEF si caratterizzerà come il vero manifesto dell’attuale Governo; in realtà sarà qualcosa di diverso dal programma di Governo perché il programma di Governo di solito è una elencazione più che di “obiettivi” di “speranze”; quasi una elencazione degli impegni e, al tempo stesso, degli scenari che il Governo intende raggiungere. Invece il DEF deve raccontarci, in modo analitico non solo gli “obiettivi” ma anche gli strumenti e le risorse necessarie per poterli concretamente realizzare.

Ed allora voglio solo prendere alcuni esempi, alcuni ambiti tematici che sicuramente conterrà questo atto chiave della intera Legislatura. Sono convinto che il DEF ci anticiperà le emergenze che caratterizzeranno sia il corrente anno 2023, sia quelle che direttamente o indirettamente si protrarranno per la intera Legislatura. Mi soffermerò, in particolare, su due emergenze che incideranno in modo sostanziale, ripeto, sul presente e sul futuro dell’intera Legislatura, mi riferisco alla:

Rilettura integrale del PNRR, del PNC, dei Fondi di Sviluppo e Coesione e del REPowerEU e delle Reti TEN – T

Definizione dell’autonomia differenziata delle nostre realtà regionali

In merito alla rilettura integrale del complesso strumento pianificatorio condiviso e supportato finanziariamente anche dalla Unione Europea, ho, in più occasioni, anticipato la forte criticità di un simile complesso impianto programmatico, ho più volte riportato dati da cui è emersa chiaramente la necessità di rivedere non parzialmente ma integralmente non solo il PNRR ed il PNC, non solo il Fondo di Sviluppo e Coesione sia quello relativo al periodo 2014 – 2020 che quello relativo al periodo 2021 – 2027, ma anche il REPowerEU ed il nuovo programma delle Reti Trans European Network (TEN – T). Questa rilettura sostanziale, sono sicuro, avrà un denominatore comune: la reale correlazione tra la scelta progettuale e la capacità di garantirne la realizzazione, cioè la concreta e misurabile capacità di attivare la spesa. Prende corpo così quella condizione che, come accennato prima, distingue un atto programmatico generico ed il DEF, non c’è infatti una elencazione di speranze ma una misurabile elencazione di interventi e quindi di cantieri da aprire e di Stati Avanzamento Lavori (SAL). È apprezzabile la felice intuizione del Ministro Raffaele Fitto di non ghettizzare i vari progetti, le varie aree programmatiche, all’interno di distinti Piani ma ritenere quegli impianti strategici solo come riferimenti temporali in cui insilare le varie proposte rendendo così possibile il raggiungimento di tre distinte finalità:

– rispettare le scadenze temporali finali e cioè il 2023 per il Programma 2014 – 2020 del Fondo di Sviluppo e Coesione, il 2026 per il PNRR ed il PNC ed il 2029 per il Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027

– consentire un avvio organico e difendibile sia in termini progettuali che temporali del REPowerEU; un Piano ricordo voluto dalla Commissione europea per rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina

– superare, intervenendo subito, le cause legate alla capacità di attivare la spesa, quali, solo a titolo di esempio, quelle legate alla carenza di strutture e di personale adeguato soprattutto nella fase istruttoria delle proposte progettuali

Nell’elencare le azioni, gli strumenti necessari per garantire tali finalità penso sarà opportuno raccontare agli Uffici competenti della Unione Europea la serie di ostacoli che vive il nostro Paese: uno di tali ostacoli è quello legato alla prolungata stasi della Pubblica Amministrazione nel portare avanti gli investimenti nel comparto delle infrastrutture dal 2014 ad oggi, praticamente negli ultimi dieci anni, l’altro ostacolo è legato ad una difficile susseguenza temporale nella approvazione delle proposte progettuali. Ho già ricordato in passato che sul valore globale del PNRR e del PNC pari a circa 222 miliardi di euro, la componente legata alle infrastrutture (ferrovie, riqualificazione urbana, edilizia sanitaria, edilizia scolastica, idrogeologia ecc.) incide per un importo di oltre 120 miliardi e, all’interno di tale valore, oltre 30 miliardi sono dedicati ad interventi nei Comuni; in particolare il numero dei progetti presentati dai Comuni supera le 64.000 unità e a detta del Presidente dell’ANCI De Caro senza un aumento sostanziale del personale preposto alla istruttoria delle proposte si rischia di non riuscire a dare concreta attivazione della spesa e a non rispettare la scadenza del 2026.

Per questa serie di criticità spero che il DEF prospetti una opportunità che ritengo ormai quasi obbligatoria: coinvolgere il privato, coinvolgere le grandi strutture gestionali del Paese come l’ENEL, l’ENI, le Ferrovie dello Stato, ecc. Coinvolgere cioè questi organismi proprio per venire incontro a quelle realtà territoriali, a quelle stazioni appaltanti che, per una serie di motivi, non sono in grado, nel breve periodo, di dare corso davvero alla spesa. Lo ricordo sempre: il sistema ferroviario ad alta velocità si è potuto realizzare grazie al coinvolgimento dell’IRI, dell’ENI, della FIAT e della Montedison.

In merito alla definizione dell’autonomia differenziata nelle nostre realtà regionali, ricordo che la concessione di “forme e condizioni particolari di autonomia” alle Regioni a statuto ordinario sono previste dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, tale articolo sottolinea come possano essere attribuite “con legge dello Stato su iniziativa della Regione interessata”. Questo comma però non è mai stato attuato, soprattutto a causa delle grandi differenze economiche e sociali tra Regioni. Uno dei punti più contestati della proposta, infatti, è quello relativo al finanziamento dei livelli essenziali di prestazione (LEP) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e che in base alla Costituzione tutelano i “diritti civili e sociali” di cittadine e cittadini. L’entità di questi finanziamenti andrebbe stabilita prima delle richieste di autonomia, in modo tale da avere chiaro di quante risorse ha bisogno ogni Regione richiedente. Ma secondo il disegno di legge, che dà al Governo un anno di tempo per decidere i LEP, le Regioni potranno formulare un’intesa anche senza il decreto del presidente del Consiglio che dovrebbe stabilire l’entità dei LEP, distribuendo così i finanziamenti in base alla spesa storica della Regione nell’ambito specifico in cui chiede l’autonomia. Questo particolare e complesso argomento dovrebbe trovare, a mio avviso, proprio nel DEF, un adeguato e difendibile itinerario; forse in proposito sarà utile ricordare che il Disegno di Legge del Ministro Calderoli è relativo solo alle Regioni a Statuto ordinario e quindi nel Mezzogiorno assisteremmo ad una reale discrasia procedurale tra le Regioni Sardegna e Sicilia e le altre sei Regioni. Sicuramente si supererà anche questa sostanziale anomalia istituzionale ma nel DEF dovrà essere invece chiarita subito come garantire la realizzazione dei LEP e la loro reale copertura finanziaria.

Non ho voluto affrontare il tema delle possibili “tendenze” legate alla crescita del Paese perché sicuramente il DEF le conterrà ampiamente sulla base delle indicazioni fornite circa dieci giorni prima della sua presentazione alle Camere dall’ISTAT, tuttavia ritengo che il lavoro che il Governo porterà avanti in questo prima semestre dell’anno, sì anche in un nuovo rapporto con il Sud, in un nuovo rapporto anche con le politiche esterne al Sud, potrà modificare, anche in modo imprevedibile, le previsioni di breve , medio e lungo periodo prodotte da un approccio tipicamente econometrico quale quello che ha caratterizzato i vari DEF della ultima Legislatura. (ei)