STAVOLTA VOGLIAMO RACCONTARE DI NOI:
A CHE SERVE, A CHI SERVE CALABRIA.LIVE

di SANTO STRATI – A chi serve, a cosa serve questo giornale? Costretti a una “pausa tecnica” per tutto il mese di agosto per un adeguamento e aggiornamento del sistema editoriale del quotidiano digitale, cogliamo l’occasione per parlare di noi e di quello che abbiamo fatto, di quello che facciamo e di quello che contiamo di fare in futuro.

Calabria.Live serve i calabresi (non “ai“) e la puntualizzazione è necessaria perché il compito di un giornale è informare e, allo stesso tempo, formare l’opinione pubblica, in totale autonomia e nel pieno rispetto della terzietà nei confronti delle notizie.

Dal primo giorno (era il 1° gennaio 2017) abbiamo chiarito che ci sarebbero stati pochi amici e molti “nemic” poiché avremmo riferito senza alcuna indulgenza tutto ciò che riguardava il territorio (ignorando volutamente i fatti di cronaca nera) senza guardare in faccia a nessuno (amici o nemici), raccontando chi fa bene e chi fa male alla Calabria. E abbiamo avviato (seguiti – che soddisfazione! – anche da altre testate) una nuova narrazione di questa terra bellissima e sfortunata. Abbiamo parlato delle sue bellezze, delle sue risorse umane (straordinarie) e della sua gente, della pochezza di certi politici e della capacità di altri (pochi), orientati lodevolmente solo verso il bene comune. Di come trasformare le opportunità del territorio, e di come fermare lo spreco di fondi inutilizzati o, peggio, sperperati. Un candido intendimento, che però siamo riusciti a far diventare realtà (e ci sono le collezioni di questo giornale a documentarlo e raccontarlo: 10mila pagine prodotte solo nel 2024!).

Non tifiamo per nessuno (né a destra, sinistra o altro) ma solo per chi vuole bene alla Calabria e sogna il suo sviluppo pensando alle generazioni future. E quindi abbiamo riferito di ogni iniziativa, indipendentemente dall’appartenenza politica o partitica, che fosse a vantaggio dei calabresi e del loro territorio, ma abbiamo altresì documentato (anche qui senza guardare in faccia a nessuno, senza favoritismi o coperture) illogicità, provvedimenti e attività che colpivano gli interessi della Calabria.

Alcuni giornali sono schierati politicamente (più o meno palesemente) noi siamo schierati solo con la Calabria e i calabresi. Non soltanto quelli che vivono, operano, studiano e lavorano in Calabria, ma anche quelli dell’ “altra” Calabria fatta di sei milioni di persone distribuite in Italia e nel mondo. La diaspora calabrese ha portato la sua gente a lasciare il territorio, in minima parte per scelta personale, ma soprattutto per mancanza di lavoro e prospettive. E sono tantissimi, in verità, con l’orgoglio della propria appartenenza, che sognano di poter tornare e far crescere i figli in una terra che avrebbe tutte le caratteristiche per potersi definire felice.

Ma non bastano l’aria pulita, gli 800 km di costa, i parchi naturali, la ricchezza del patrimonio archeologico e l’intelligenza dei suoi abitanti: serve crescita e sviluppo, che si ottengono creando opportunità e occasioni  di lavoro.

Su questo tema – lo sanno i nostri lettori – non ci siamo mai risparmiati né ci fermeremo a stigmatizzare occasioni perdute, mancate realizzazioni, illusorie promesse e ingenerose disattenzioni verso giovani e donne di questo territorio.

Anche se ci sono segnali importanti di questa amministrazione regionale verso donne, giovani e lavoro, in realtà è stato fatto ancora troppo poco e prevale su tutto una invincibile burocrazia (a cui la compianta presidente Santelli aveva dichiarato guerra a tutto campo cominciando a smantellare i “macigni” che sopravvivono in Cittadella).

È stata e sarà una battaglia quella per donne, giovani e sviluppo che continueremo a testa alta, senza condizionamenti.

Ma non è un lavoro di poco impegno, vagliare il mare di notizie che ogni giorno invade la redazione, riscrivere tutto (non pubblichiamo comunicati in fotocopia), selezionare le immagini, titolare e passare il menabò (la sequenza delle pagine e la posizione di articoli e foto) ai grafici per produrre, tutti i giorni, per 365 giorni l’anno, il giornale che, puntualmente, arriva alle 7 del mattino sul telefonino. Un buongiorno gradito a molti, che spesso fa venire l’orticaria a qualcuno per le notizie “indigeste” (ma vere, verificate puntualmente col massimo rigore) che pubblica. Però – bisogna constatare – che pochi considerano quanto costi tale impegno. È un’attività editoriale privata, ma non è stata scelta per far soldi, bensì per amore della Calabria, però se vengono meno le risorse esterne (abbonamenti, pubblicità, comunicazione istituzionale) diventa difficile fare investimenti, assumere personale, formare nuovi giornalisti (è un sogno poter mettere su una squadra di giovani a cui insegnare il mestiere senza teorie ma solo con la pratica quotidiana) e ampliare la platea dei collaboratori. Poter finanziare inchieste difficili (perché soprattutto hanno un costo) e retribuire i collaboratori che, fino a oggi, generosamente hanno messo a disposizione i loro scritti, le foto, idee e suggerimenti.

Un quotidiano è un’opera collettiva, con un comandante e tanti marinai che ogni giorno fanno salpare la nave verso i lettori. Un quotidiano è un miracolo che si ripete ogni giorno: al mattino ci sono gli appuntamenti e le scadenze della giornata, le idee da sviluppare e su cui confrontarsi in redazione, il tema della prima pagina da scegliere e i titoli da inventare, poi improvvisamente questa massa informe di notizie e di immagini prende consistenza e diventa il giornale del giorno dopo. Tutto questo significa organizzazione, impegno e tanto lavoro. E tanti costi. Ma zero aiuti: non sussidi discutibili, ma il sostegno del giornale attraverso l’utilizzo di pagine a pagamento per comunicare l’attività istituzionale di Regione, Province, Comuni, enti territoriali, etc, per promuovere eventi e iniziative del territorio, oppure per illustrare mediante pagine pubblicitarie prodotti e attività commerciali. Con la diffusione (in corso di certificazione di primario ente europeo) di Calabria.Live (600mila contatti ogni giorno, in tutto il mondo, 150mila solo in Calabria) non sarebbe soldi mal spesi. E invece constatiamo, con amarezza, che tantissimi (aziende, enti, organizzazioni culturali, etc) a Calabria.Live mandano regolarmente info e foto chiedendo a gran voce attenzione e la pubblicazione delle notizie, solo che poi comprano pagine di pubblicità presso altre testate. La domanda è fin troppo ovvia: ma se apparire su questo giornale “è importante“, perché non è ugualmente importante utilizzare le sue pagine per la pubblicità. Che oltretutto, per le istituzioni è un obbligo di legge, ma per le aziende è un costo interamente deducibile dalle tasse. E tanti imprenditori versano ogni anno centinaia di migliaia di euro di tasse, senza investire un centesimo in promozione e pubblicità (su qualunque mezzo, non necessariamente su Calabria.Live).

Anche ipotizzando l’assenza di cultura di impresa che non fa comprendere agli imprenditori l’opportunità di promuovere l’attività togliendo soldi dalle tasse e non dagli utili dell’azienda, sorge comunque il sospetto che l’ “indifferenza” nei confronti di Calabria.Live e il suo conseguente mancato sostegno abbiano altre motivazioni. Che non stiamo a indicare, ma che ci convincono sempre di più che non bisogna mollare: la strada dell’informazione pulita, corretta e puntuale rimane vincente. Per i nostri lettori e per chi realizza Calabria.Live.

Abbiamo dato e diamo ogni giorno un’immagine diversa, positiva della Calabria, come nessuno – scusate ma non è presunzione – ha fatto mai con i media di questa regione. E dunque è giusto continuare a chiedersi “ma a che serve questo quotidiano”? Con il suo supplemento domenicale abbiamo raccontato (e continueremo a raccontare), grazie a Pino Nano e altre illustri firme) le storie di calabresi – sparsi in ogni angolo della Terra – che ce l’hanno fatta, che hanno saputo conquistare le vette del successo personale, con il cuore rivolto sempre verso la propria terra. Personaggi, uomini e donne di Calabria, che hanno dato e danno lustro alla propria terra e meritano di essere adeguatamente valorizzati e fatti conoscere, soprattutto dai giovani.

Abbiamo sempre sostenuto che la cosiddetta “calabresità” ha bisogno di essere messa in risalto perché costituisce un modello importante per le nuove generazioni, anche per chi è nato altrove, pur avendo solidissime radici calabresi. E crediamo di esserci riusciti facendo conoscere centinaia e centinaia di calabresi “illustri” in gran parte “sconosciuti” ai nostri stessi conterranei. È la risposta al razzismo strisciante, ai preconcetti che, ahimè, hanno a lungo devastato questa terra e la sua gente. Trenta-quarant’anni fa c’era chi si vergognava di indicare le proprie origini, nei curricula, o addirittura

temeva che una laurea conseguita al Sud potesse sminuire competenze e capacità. Oggi abbiamo tre Atenei che sfiorano l’eccellenza e attraggono studenti da ogni parte del mondo. È la Calabria che vince sapendo di poter contare su un capitale umano unico e invidiabilissimo. Ed è la Calabria che questo giornale ha raccontato e continua a raccontare ogni giorno. Ecco la “diversità” narrativa: basta con morti ammazzati, ‘ndrangheta e malaffare (non è, ovviamente, che non parlandone si dissolvono magicamente), ma l’Italia, il mondo aveva e ha bisogno di conoscere  l’altra faccia di una terra sulle cui sponde è nata la civiltà continentale. Dove, quando a Roma si pascolavano le pecore, si praticava il teatro, si dibatteva di etica (Pitagora) si scrivevano le prime leggi (Zaleuco) e si formava la filosofia e la cultura del mondo futuro (Gioacchino da Fiore, Campanella, Telesio).

Del resto non abbiamo trascurato di valorizzare i nostri scrittori e i nostri poeti, i nostri artisti e la grande forza culturale che la Calabria ha saputo esprimere nei secoli e continua a mostrare a tanti che sconoscono capacità e talenti del nostro patrimonio culturale. Ecco, a nostro avviso, mancava un modo di comunicare questa straordinaria varietà di contenuti (cultura, arte, patrimonio artistico  e paesaggistico, tradizioni e storia millenaria) che sono stati negli anni trascurati dai media nazionali e mondiali per riferire soltanto di una Calabria del malaffare, terra di mafia e ‘ndrangheta, di morti ammazzati e di altre orribili realtà criminali. Questo ha significato per anni la inevitabile distruzione della reputazione della regione, per tale motivo abbiamo ritenuto necessaria una narrazione diversa per far conoscere la vera Calabria, quella positiva, generosa e produttiva, quella dell’accoglienza e dell’inclusione sociale, quella che produce cultura in quantità industriale ma esporta, ahimè, cervelli. Quella che gli italiani e non solo hanno cominciato a conoscere grazie anche alle nostre pagine.

È orgoglio, non presunzione, raccontare tutto ciò e l’interesse suscitato dalle nostre pagine. È puro orgoglio poter dire di aver contribuito – anche in minima parte – a ricostruire una reputazione andata in frantumi, demolendo giorno per giorno pregiudizi e preconcetti.

Ma i nostri “suggerimenti” non hanno trovato accoglienza nelle stanze del potere: non servono gadget inutili per propagandare le ricchezze della regione, serve visione del futuro e programmi di accoglienza  e facility per un turismo che può diventare una leva formidabile di sviluppo con la creazione di nuove e larghissime possibilità di occupazione per i nostri ragazzi. Le possibilità attrattive di questa terra sono utilizzate forse appena al 5%: guardate i numeri del turismo del Trentino, della Puglia, della dirimpettaia Sicilia: in questa terra ci sono centinaia di ragioni per attrarre turismo, ma mancano strutture ricettive, mancano la logistica e le comodità degli spostamenti, manca anche una cultura d’impresa turistica che andrebbe sviluppata e formata.

Questo era, è, l’obiettivo di questa testata, ma il territorio inteso come Istituzioni e Imprese ha deluso qualsiasi aspettativa, ignorando questo strumento di comunicazione sulla cui autorevolezza e indipendenza sono gli altri a riferire, o a volte pensando di volerlo/poterlo ostacolare.

In tempi di crisi economica, fare un giornale gratuito è forse l’unica possibilità di abituare alla lettura i giovani e permettere a tutti di informarsi a costo zero, sul modello (sbagliato) della Rete. Con la differenza che nella rete imperano le fake-news alla ricerca di click-bait che portano ricchezza ai titolari di siti, ma confondono le idee e innestano modi di vedere fortemente viziati di falso. I giornali – quelli fatti da giornalisti con il culto della deontologia e del rigore informativo – è bene ricordarlo, offrono ben altro.

Ma un giornale – come prodotto industriale del pensiero – costa, come qualsiasi altra produzione e avrebbe diritto di avere non sussidi (che sarebbero un modo nascosto di captatio benevolentiae) bensì riconosciuto il ruolo di strumento di comunicazione cui affidare informazioni istituzionali o commerciali. Cosa che non è mai avvenuta in questi nove anni di vita – salvo modestissime eccezioni del Consiglio regionale e di qualche generosa azienda del territorio. Con una insopportabile – scusate lo sfogo – indifferenza verso il lavoro di chi cerca di contribuire allo sviluppo di questa terra. Un territorio che conta – e nessuno lo sa – migliaia di aziende con fatturati milionari e un’Istituzione come la Regione che ignora le realtà dell’informazione locale mentre investe in iniziative di dubbio risultato.

Una Regione che per la Cultura – a parole – investe tanto, poi nei fatti si perde in bandi improponibili e impraticabili per associazioni enti no-profit e imprenditori del settore.

È una delusione assistere a questa indifferenza “istituzionale” mentre cresce il consenso per Calabria.Live e le sue iniziative di informazione e divulgazione culturale. Non si tratta di destinare discutibili prebende a una o all’altra testata, bensì di ragionare in termini obiettivi e valutare l’impegno profuso, investendo in comunicazione istituzionale, come peraltro prescrive la legge 150. E la stessa delusione deriva dalla mancata risposta degli operatori commerciali della regione che ignorano i ritorni di immagine che una testata autorevole e indipendente è in grado di restituire, oltre ai risparmi fiscali che gli investimenti pubblicitari producono.

Manca la cultura d’impresa, in Calabria, ma manca soprattutto una grande sensibilità a captare il cambiamento e sostenerne la crescita. Quella sensibilità che, invece, centinaia di migliaia di lettori ogni giorno mostrano apprezzando il nostro impegno e la nostra indipendenza totale.

Questa pausa “tecnica” può essere, dunque, un motivo di riflessione per quanti hanno responsabilità nella pubblica amministrazione (Regione, province, Comuni) o nelle attività economiche, con una domanda: serve il quotidiano Calabria.Live? Serve una voce libera e non condizionabile che ogni giorno racconta le storie della Calabria che cresce e guarda al futuro?

I giornali si mantengono con le vendite, gli abbonamenti e la pubblicità: Calabria.Live non è in vendita (in tutti i sensi) e ha molti abbonati sostenitori che volontariamente offrono il loro contributo, ma la pubblicità  e la comunicazione istituzionale? Dove stanno? In troppi (a livello di investimento pubblicitario e di comunicazione) ignorano questa testata e a pensar male si fa peccato, ma spesso – diceva Andreotti – ci si azzecca. Ma togliere l’ossigeno vitale a un giornale non significa decretare la morte delle idee di chi lo realizza e del confronto, che trovano oggi mille modi per circolare comunque. Calabria.Live è anche sul web e sui social (è nato su Internet), ma la “fisicità” delle pagine digitali è sicuramente un modo non evanescente di stimolare il dibattito, avviare il dialogo, discutere e ragionare, senza l’opzione di far scomparire qualcosa con un semplice click. Le pagine rimangono, a presente e futura memoria, non sono post da modificare o cancellare a piacimento. Questa è la differenza con la Rete.

A Dio piacendo, ci rivediamo su queste pagine a settembre. (s)

Giustizia e informazione: Un rapporto da scoprire e valorizzare

di FRANCO BARTUCCIÈ sul tema La comunicazione della giustizia nell’era della trasformazione digitale. Regole deontologiche e normative di riferimento che avvocati, magistrati e organi di stampa, con la partecipazione di accademici esperti, si sono confrontati a Cosenza, nella Biblioteca “M. Arnoni” del Tribunale cosentino, su iniziativa dell’Associazione Rete Nazionale Forense (Rnf) della sezione territoriale calabra, in collaborazione con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza, della Fondazione Scuola Forense della Provincia di Cosenza, dell’Ordine regionale dei Giornalisti e del Circolo della Stampa “Maria Rosaria Sessa” di Cosenza.

Un seminario finalizzato all’attribuzione di crediti formativi, sia per gli avvocati che per i giornalisti, ma che per gli argomenti trattati ha rappresentato un punto di appoggio straordinario ai fini di un incontro che si potrebbe definire storico e strategico nella costruzione di un rapporto di collaborazione avendo un denominatore comune nel dare valore alla “Giustizia” mediante l’esercizio delle proprie professionalità con alla base il rispetto dei rispettivi codici deontologici.

Un seminario moderato dal giornalista, scrittore, studioso ed esperto dei fenomeni mafiosi e di criminologia, Arcangelo Badolati, che ha visto in base al programma gli interventi: del prof. Fabrizio Sigillò, dell’Università “Magna Grecia” di Catanzaro; dell’avv. Roberto Le Pera, presidente della Camera Penale di Cosenza; del dott. Giuseppe Soluri, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria; del dott. Alessandro D’Alessio, Procuratore della Repubblica del Tribunale di Castrovillari.

Un incontro che ha registrato nella parte iniziale i saluti: del Presidente del Tribunale di Cosenza, dott.ssa Maria Luisa Mingrone; del Presidente della Fondazione Scuola Forense di Cosenza, avv. Claudio De Luca; nonché del Presidente del Circolo della Stampa “Maria Rosaria Sessa” di Cosenza, il giornalista Franco Rosito, tutti concordi nel sostenere l’efficacia del tema del seminario per l’attuazione di un rapporto collaborativo tra il mondo degli avvocati e dei giornalisti, utile al mondo della giustizia.

L’incontro è stato arricchito inoltre dagli interventi programmati degli avvocati: Barbara Ciano Albanese, vice presidente della Rnf della Sezione Territoriale Calabra; nonché di Caterina De Luca, responsabile Rnf delle Pari Opportunità.

Un seminario di estrema importanza ed attualità apertosi con l’intervento introduttivo dell’avv. Leda Badolati, del foro di Palmi, Presidente della sezione territoriale Calabria di Rete Nazionale Forense (Rnf), che dopo aver salutato e ringraziato gli ospiti istituzionali e i relatori, è entrata nel merito dell’iniziativa presentando anzitutto le finalità dell’Associazione, composta da giovani avvocati, costituitasi quattro anni addietro che crede intanto nei valori della giustizia, nella sacralità del  diritto alla difesa previsto costituzionalmente, quindi nel ruolo più alto dell’Avvocato,  e nella necessità della tutela  della professione forense,  nel rispetto degli altri ruoli e della altre categorie, in quanto tutti  protagonisti di una giustizia sana.   

«Tra le nostre finalità – ha spiegato la presidente Leda Badolati – ampio spazio viene dato alla promozione di tutte quelle attività, nel campo del diritto, volte alla formazione, all’approfondimento ed al superamento delle criticità, allo studio, allo stimolo necessario a migliorare ciò che può essere migliorato nella grande dimensione della giustizia, tenendo presente le esigenze della comunità e dei cittadini, prendendo spunto dai problemi concreti esistenti, per passare dalle teorie ai fatti. Non abbiamo alcuna connotazione politica o ideologica. Vogliamo confrontarci per crescere. Una crescita effettiva non può esservi senza quella unione di forze di cui si è fatto cenno».

Da qui la collaborazione dell’associazione con le forze Istituzionali, con i Consigli dell’Ordine degli Avvocati e con le categorie professionali ed altre associazioni. L’evento ha voluto rappresentare un esempio – ha spiegato la presidente Badolati – proprio di questa commistione virtuosa esistente di professionalità interessate da uno stesso problema, quello della giustizia, che tocca tutti, anche se da diversi angoli di visuale, resa necessaria soprattutto oggi nell’era della trasformazione digitale.

«Abbiamo volutamente ipotizzato – ha precisato ancora Leda Badolati – un confronto tra avvocati, magistrati, istituzioni e organi di stampa: ognuna di queste categorie ha le proprie regole i propri codici deontologici. Eppure, a volte non riescono ad intersecarsi. Ciò può evidentemente provocare mancanza di serenità per l’uno o per l’altro operatore del diritto».

«Dall’altro lato – ha detto – c’è una comunità ed ogni singolo cittadino che hanno diritto ad avere un’informazione corretta, trasparente, ove consentito e possibile, di quanto avviene all’interno del mondo della giustizia. Questo interno deve essere comprensibile all’esterno nel modo migliore possibile.  E ciò non può realizzarsi senza delle regole scritte e di buon senso che riguardano tutti gli operatori di giustizia ma anche chi si occupa professionalmente di veicolarne le notizie, quindi gli organi di stampa».

Come non condividere e sottolineare queste affermazioni, apprezzandone il contenuto, questo ragionamento per una “giustizia sana” ed una “società sana”, che guarda caso passa tra le competenze e le funzioni di quel giornalista, operatore nel mondo della informazione e della  comunicazione istituzionale, che ha in una legge dello stato sulla trasparenza e il diritto d’informazione, la 150/2000, la sua impronta di riconoscimento con l’attivazione e la funzione dell’ufficio stampa negli Enti pubblici e che a distanza quasi di un quarto di secolo viene ancora disconosciuta anche nei Tribunali.

La trasparenza valore di buon governo nella società

Toccando questo tema la Presidente della sezione territoriale calabrese dell’associazione Rnf, Leda Badolati, ha ricordato una delibera del CSM in cui è scritto: «Trasparenza e comprensibilità della giurisdizione non confliggono con il carattere riservato, talora segreto, della funzione. Esse, correttamente interpretate, aumentano la fiducia dei cittadini nella giustizia e nello Stato di diritto, rafforzano l’indipendenza della magistratura e, più in generale, l’autorevolezza delle Istituzioni».

«Rammento che oggi – ha precisato – la comunicazione è veloce, immediata ed è messa nelle mani di tutti attraverso i famigerati social. Per ciò che attiene la nostra categoria di avvocati, come per tutte le professioni, oggi mediante le tecnologie è infatti possibile generare una vasta rete di relazioni e contatti, aumentando la propria visibilità. Ma ciò dovrebbe avvenire nel rispetto dei fondamentali principi deontologici, cardini della professione, quali decoro e dignità professionale; le informazioni che un avvocato fornisce devono essere ispirate anche alla non equivocità, veridicità e alla trasparenza».

Ancora oltre ha pure ricordato l’art. 35 del codice rubricato “Dovere di corretta informazione”, nel quale si afferma che: «L’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza,  (contrasto dei fenomeni di pubblicità occulta o comunque subliminale) segretezza e riservatezza………non deve dare informazioni comparative con altri professionisti,  ingannevoli, denigratorie……Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione».

Come pure l’art. 17 che interviene sulla “Informazione nell’esercizio dell’attività professionale”. 

«Esistono chiari doveri dell’Avvocato – ha proseguito il presidente Leda Badolati –sia nei rapporti con gli organi di informazione (art. 18), che nei rapporti con i magistrati (art. 53). Le parole ricorrenti nel codice dell’avvocato sono dignità, rispetto, decoro, verità, correttezza trasparenza, segretezza e riservatezza, decoro. Occorre capire come tali principi generali possano essere compatibili nell’era della comunicazione social. È chiaro che la modernizzazione della professione è necessaria e consentita, ma rimane ferma la necessità di mantenere un equilibrio soprattutto etico che caratterizza l’attività dell’avvocato nel senso più alto”. 

«Lo stesso vale – ha detto ancora la relatrice – per le altre categorie professionali interessate da questo tema. Anche il magistrato, ha il dovere di fare ogni sforzo affinché l’informazione che viene resa poi al pubblico sia un’informazione corretta, così come il Giornalista forse dovrebbe ricercare un equilibrio tra la velocità sempre crescente che caratterizza l’informazione moderna con l’esigenza di un contenuto chiaro, corretto e non approssimativo».

Insomma gli aspetti problematici circa la comunicazione della giustizia sono ancora tanti, come tante sono le interpretazioni delle normative di riferimento e troppe le incertezze.

«È auspicabile pertanto che in questo ambito, come del resto in vari settori della vita – ha concluso la presidente Leda Badolati – ci sia la voglia di dialogare funzionalmente, serenamente, ma anche di trovare soluzioni concrete, al fine di non lasciarsi travolgere da un eccesso di fluidità potenzialmente pericolosa, e  di continuare a credere tutti nel salvifico rispetto dei valori a tutela della dignità di ciascuna categoria, e di ogni cittadino  della comunità della quale tutti facciamo parte».  

Un intervento stimolante e completo su un argomento di particolare delicatezza e per questo necessario nel trovare le giuste soluzioni per una sua efficacia pratica nei rapporti tra le tre figure professionali messe in evidenza nell’ambito del mondo giudiziario in rapporto alla società, sottoposto a valutazione ed analisi da parte di tutti i relatori previsti nel programma in precedenza indicati.

Un dibattito aperto a scrivere una nuova pagina di storia   

Ci sono stati dei passaggi nei vari interventi che hanno comunque attirato l’attenzione in coloro che ne hanno seguito l’andamento come uditore interessato ad acquisire crediti professionali ed accrescere nella conoscenza per un arricchimento del proprio bagaglio culturale, soprattutto in ambito giornalistico.

Il primo pensiero è legato all’affermazione del Presidente nazionale della Rnf, avv. Angelo Ruberto, quando ha affermato che «l’informazione deve essere libera. Però bisogna fare attenzione quando si danno le notizie. Rispettare le persone e la Costituzione, non solo quando fa comodo. E ricordarsi che c’è un articolo, il 27, che dice che l’imputato o l’indagato non è colpevole fino alla sentenza definitiva».

Delle frasi che rientrano nella normalità dei commenti e delle dichiarazioni di fronte ai vari casi di giustizia trattati. Ma qui entra in gioco il “fattore umano”, legato alla dimensione culturale di ciascun professionista, giudice o normale cittadino nel contesto lavorativo quanto nella società. Un fattore umano che viene trascurato e non considerato nella sua giusta dimensione, che invece andrebbe ad equilibrare la giustezza dei rapporti per la costruzione di un modo di vivere diverso in una società più giusta e socialmente sana ed umana.

Come non considerare poi la dichiarazione del presidente della Camera Penale di Cosenza, Roberto Le Pera, quando ha affermato che «in Italia oggi oltre ai tribunali, c’è quello più importante per l’opinione pubblica, che è il tribunale della pubblica opinione, in cui il giornalista ha una sua funzione rilevante».

Certo che ha una funzione rilevante in quanto il bravo giornalista, quello d’inchiesta, è un ricercatore della “verità” dei fatti, che poi in concreto né l’avvocato e neanche il giudice/magistrato prende in considerazione per l’indagine e le procedure processuali delle cause. A volte si creano negli indagati, sicuri nell’essere nel giusto, delle situazioni di imbarazzo e timori nei confronti della magistratura che portano a creare una barriera invalicabile che potrebbe cadere qualora si avesse consapevolezza reciproca nell’accettare il confronto/dialogo di chiarimento, superando le lungaggini processuali.

Se il giornalista d’inchiesta è un bravo ricercatore “della verità”, l’avvocato e il giudice magistrato debbono sancirne in concorrenza il “valore” e la dignità nel percorso processuale per una giustizia sana.

Ma oggi c’è nel nostro paese il giornalista d’inchiesta – si è detto ed ha chiesto il moderatore del dibattito Arcangelo Badolati al presidente dell’Ordine dei giornalisti – competente, preparato e libero in grado di svolgere tale funzione ed essere considerato tale? 

«Credo che la sintesi della discussione sia la consapevolezza – ha dichiarato Giuseppe Soluri – che ci siano stati e ci siano degli errori da ognuna delle categorie oggetto dell’incontro. Bisogna recuperare una serenità di ragionamento senza la quale sarà impossibile arrivare a soluzioni intelligenti ed efficaci».

«Oggi è un giorno particolarmente importante – ha dichiarato il presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Cosenza, Ornella Nucci, chiamata a trarre le conclusioni del seminario – perché la credibilità della nostra professione, avvocati ma anche magistrati e di chi veicola la notizia all’esterno, ruota tutto attorno alla buona comunicazione. Allora è tempo davvero che ci si sieda a capire come poterlo eseguire correttamente. Non c’è bisogno di nuovi codici deontologici, i codici esistono già. C’è bisogno di sedersi e di essere consapevoli dell’importanza di questa funzione».

Grazie all’Associazione territoriale calabrese di Rete Nazionale Forense (Rnf), guidata dall’avv. Leda Badolati, è stata scritta nel Tribunale di Cosenza, con il seminario oggetto di questo servizio. una pagina storica di apertura e confronto per un equilibrio ideale tra giustizia ed informazione.

Bisogna soltanto dare continuità ai valori espressi, cominciando ad organizzare nei tribunali la funzionalità degli uffici stampa, come peraltro prevede la legge 150/2000, che va nella direzione di sancire la trasparenza dell’Ente o Istituzione statale, in un rapporto fiduciario tra questi ed il cittadino, quale componente di una società/collettività, per come più volte richiamata negli interventi che si sono succeduti nel corso dei lavori. (fb)

Cover Story: Pippo Marra un protagonista della società dell’informazione

di SANTO STRATI – Utilizzare la parola “visionario” è persino riduttivo: Giuseppe (per tutti Pippo) Marra è molto oltre che un visionario. “Re” dell’informazione con un gruppo multimediale internazionale che porta il suo nome (GMC) non è più, da molti anni, solo il brillante giornalista e direttore che ha portato l’Agenzia Adnkronos a traguardi stellari, bensì un eccellente e apprezzatissimo manager della comunicazione globale.Con il vantaggio di conoscere, davvero come pochi, il mondo dell’informazione.

Come Presidente dell’Adnkronos, Pippo Marra ha avuto intuizione e visione nell’immaginare la realizzazione di un gruppo di comunicazione in grado non solo di fornire – cosa che fanno tutte le agenzie di stampa – materiali informativi a giornali, televisioni e media online, bensì di “produrre” contenuti (oltre che notizie, foto e video), sì da poter proporre un’offerta mondiale unica e straordinariamente completa.

È una complessa organizzazione che ha richiesto un impegno di non poco conto, ma, dietro, c’è la capacità di Pippo Marra di aver saputo interpretare e anticipare gli scenari della comunicazione, già in tempi in cui la Rete non era ancora così sviluppata. L’esperienza, l’intuito, la competenza hanno fatto il resto. In un mondo sempre più globalizzato, sempre più assediato da montagne di fake-news, riuscire a farsi notare, apprezzare, scegliere, non è sicuramente una strada percorribile da tutti.

Lo scorso anno l’Adnkronos (adn sta per “agenzia di notizie” mentre kronos era l’agenzia giornalistica di Pietro Nenni) ha festeggiato i suoi primi 60 anni. Un evento che è stato celebrato dal Presidente Sergio Mattarella e dalla Premier Giorgia Meloni e che è servito proprio a ribadire la qualità del servizio offerto (oggi anche alle aziende) là dove la comunicazione stenta ad arrivare al pubblico o viene veicolata in modo poco professionale. Comunicare significare mediare tra la fonte e l’origine della notizia e il destinatario finale: una regola che si applica ovviamente, in primo luogo, al giornalismo, ma si attaglia perfettamente al progetto ideato e ottimamente realizzato da Pippo Marra.

In occasione del 60° anniversario, Marra ha scritto sul bel libro celebrativo una frase importante: «In tutti questi anni, Adnkronos si è globalizzata. Ha raccontato il nostro Paese e ha attraversato le sue frontiere. Passo dopo passo, abbiamo sviluppato la nostra attività instaurando rapporti di collaborazione con i principali operatori dell’informazione e della conoscenza in giro per il mondo. Ben sapendo che, di questi tempi, il mondo fa parte della quotidianità di ogni Paese e che a cavallo di quei confini occorre imparare a muoversi con professionalità, competenza, curiosità, passione civile».

Senza trascurare – aggiungiamo noi – il grande orgoglio delle proprie origini. Pippo Marra è calabrese (è nato a Castel Silano, nel Crotonese), dalla testa ai piedi. Un illustre figlio della sua amatissima terra. Un protagonista che non mai smesso di sottolineare la sua appartenenza e il suo amore per la terra che gli ha dato i natali.

Un altro dei figli di Calabria, andato via a conquistare (e c’è riuscito) il mondo, a raggiungere il successo, grazie anche a quel particolare dna che caratterizza tutti noi calabresi. Quella proprietà biologica innata che racchiude la voglia di arrivare, di vincere e farsi valere, contro qualsiasi stupida forma di ghettizzazione (un tempo da subire, senza scampo) e di razzismo. Negli anni Cinquanta a Torino apparivano sull’uscio della case “Non si affitta a meridionali” ed era avventuroso esibire la propria provenienza. Eppure, in tanti hanno saputo contrastare con la propria capacità e la voglia di successo le isterie antimeridionaliste, raggiungendo traguardi impensabili: medici, scienziati, ricercatori, uomini delle Istituzioni, artisti, poeti, letterati, etc.

Pippo Marra appartiene a quella schiera di calabresi, orgogliosi e cocciuti, forti di un senso di appartenenza unico (e da tutti invidiato) che ha reso forse più difficile il percorso, ma alla fine ha rivelato la qualità di tanti personaggi , che oggi possono e devono rappresentare un modello ideale per le nuove generazioni.

Cavaliere del Lavoro, padre entusiasta di due gemelli oggi sedicenni, una vita movimentatissima, ma riservata e sempre un passo indietro, secondo la vecchia scuola. Il racconto del suo successo è avvincente.

– L’Adnkronos è un gruppo consolidato e autorevole, conosciuto in tutto il mondo. Quanto deve questo successo alla sua calabresità?

«Non ho bisogno di ricordare il legame che ho con la mia terra e le mie radici. Per me è motivo di conforto e anche un po’ di vanto. La calabresità, se così vogliamo chiamarla, fa parte della mia vita e della mia personalità. D’altra parte, come si dice oggi, il mondo è “glocal”, un impasto di ragioni ataviche e di apertura verso altri territori e altre culture. L’importante è non dimenticare mai le proprie origini. Tanto più quando quelle stesse origini appartengono a un’infinità di persone che si sono distinte e realizzate trovandosi a dover uscire dai propri confini di casa.

È stato il mio caso, e quello di moltissimi altri. Molti dei quali hanno dato lustro alla loro terra anche da lontano, migrando e piantando radici in mondi lontani».

– Come spiega questo forte di appartenenza che caratterizza tanti uomini e donne che hanno raggiunto posizioni apicali, in ogni parte del mondo, che si scopre hanno in comune l’origine calabrese?

«La Calabria è una terra di grande autenticità. Una terra a volte ferina ma sempre generosa. Che ti lascia dentro un’impronta che non viene mai sbiadita per quanto ti capiti di approdare altrove. L’emigrazione in un certo senso (qualche volta un senso amaro) fa parte del nostro destino. Ma per quanto si giri il mondo ci resta sempre dentro l’anima una traccia profonda del nostro passato, delle nostre famiglie, dei nostri ricordi. Vale per molti luoghi, è ovvio. Non voglio essere troppo campanilista. Ma quella traccia la si ritrova particolarmente in una gran quantità di calabresi che hanno fatto i mestieri più diversi. Spesso con risultati che meritano almeno un pizzico di orgoglio di campanile».

– Lei è nato nel Crotonese, a Castelsilano, un paesino con meno di 1000 anime. Conoscendo la sua riservatezza, è troppo chiederle di ricordare luoghi e persone della sua vita?

«Non amo mai parlare troppo di me. Un certo grado di riservatezza fa parte anch’esso di quelle radici di cui parlavo prima. Sono i fatti che parlano di noi più di quanto non facciano il nostro orgoglio e il nostro compiacimento.

Ho molti amici, moltissime persone a cui sento di dovere tantissimo. Li ricordo quotidianamente, senza mai esibire troppo i miei sentimenti. Mi viene da dire che anche questo fa parte di un certo spirito calabrese. Quanto alla mia famiglia, mia moglie, i miei figli, ho la fortuna di godere del loro amore infinito e di poterlo infinitamente ricambiare. Non c’è bisogno, credo, di aggiungere altro».

– Roma ha rappresentato la grande svolta. La sua Agenzia stava vicino ai Palazzi del potere e ne riferiva puntualmente e in modo imparziale segreti, vizi e virtù. Come ha conquistato il suo spazio tra i giornali, facendosi largo tra le due Agenzie di stampa più importanti?

«Non mi sento così vicino alla Roma dei palazzi. Li conosco, li esploro, qualche volta ovviamente li frequento. Ma la forza e il valore di una grande fonte di comunicazione, quale è l’Adnkronos, sta soprattutto nella sua capacità di scrutare un mondo più vasto di quello che domina le prime pagine. Stiamo raccontando il potere, cercando di decifrare la sua evoluzione. E uno dei nostri privilegi è la costante interlocuzione con quelle forze e quegli ambienti che possono fare la differenza in ragione del peso che hanno nei destini del mondo e del nostro Paese».

– Il medagliere di ogni giornalista, qualche volta, è fatto di scoop. Ne possiamo ricordare qualcuno che l’ha vista protagonista?

Da questo punto di vista, se posso citare un episodio, uno solo, è l’intervista che a suo tempo ci concesse il Santo Padre, parlando per la prima volta con un’agenzia di stampa. Molte delle cose che Papa Francesco ha rivelato nel suo libro, appena dato alle stampe, si possono rintracciare in quella conversazione lontana, che a suo tempo destò grande curiosità. Ma il mondo è fatto anche da tante altre voci e il nostro compito è appunto quello di rivelarne tutta la complessità».

– Dall’Agenzia di Notizie (Adn) al Gruppo Marra Comunicazione. Ci racconti questo percorso e quanti e quali personaggi l’hanno aiutata o creato difficoltà? È nota la sua profonda amicizia col Presidente Cossiga. Che ricordo conserva?

«Lei mi ricorda che c’è un lungo percorso alle mie spalle ed è ovvio che di quel percorso facciano parte tante amicizie e tanti legami. Con il presidente Cossiga ho avuto una lunga consuetudine, fin da prima che diventasse Capo dello Stato, e lungamente anche dopo, negli anni che per lui furono più amari.

Ricordo con emozione tante conversazioni che spaziavano dai destini politici agli aspetti più umani, quasi intimi. Cossiga era un uomo di profonda cultura, di grande passione pubblica ma anche di umanità curiosa, affettuosa, mai banale. Ho sempre tenuto per me quelle conversazioni ed esse continueranno a restare dentro di me, come a sottolineare un patto di mutua, amichevole riservatezza che ci ha sempre legato.

Da lui ho impaurato molto e considero uno dei grandi privilegi della vita essere stati così vicini nelle contingenze e nelle vicissitudini più diverse – e più appassionanti – che abbiamo attraversato.

– Il Palazzo dell’Informazione a piazza Mastai, a Roma, è il suo gioiello. Com’è nata l’idea e come l’ha poi realizzata?

«Si cresce, ci si espande e tutto questo a volte diventa più visibile, quasi simbolico. Il Palazzo dell’informazione è un luogo di incontro tra persone che hanno le conoscenze e le esperienze più varie. Da parte mia, ovviamente, c’è un certo orgoglio nel vedere anche fisicamente, logisticamente, la crescita del nostro gruppo. Ma ricordo sempre che tutto questo non lo facciamo mai da soli. Ci confrontiamo con persone e mondi che sono spesso al di fuori della nostra routine lavorativa. Aver pensato a un ambiente nel quale le persone potessero trovarsi a proprio agio, scambiarsi opinioni e risultati, confrontarsi con le più diverse sensibilità resta un punto fermo della nostra politica. Il Palazzo lo evidenzia, ma non lo imprigiona. Non è un castello crociato di quelli che si edificavano nel lontano Medio Evo. Piuttosto è una frontiera che si attraversa quotidianamente e liberamente. In questo è davvero un luogo simbolico. Evoca un’accoglienza, mai una chiusura. Lo vedo e lo vivo come un pezzo della nostra identità sempre in cammino».

– Roma è la città più grande della Calabria: ci vivono circa 600 mila calabresi. E tra questi: illustri chirurghi, scienziati, grand commis di Stato, uomini delle Istituzioni, personaggi dell’economia, della finanza, dell’Università, della politica. Chi frequenta e chi sono i suoi amici più cari?

«Di amici ne ho e ne ho avuti tanti. Ma tutti questi nostri legami per me non sono mai per me la ragione di un’esibizione, tanto meno di un’ostentazione. Il mio carattere e la natura del mio lavoro mi spingono a dialogare a tutto campo, ad avere curiosità per le persone più diverse, a stringere amicizie anche con chi svolge attività e coltiva pensieri diversi dai miei. L’ho già detto e mi ripeto. Non amo mettere in vetrina i miei legami, non lo considero appropriato. Quello che conta, per me, è lavorare in squadra, valorizzare le persone con cui condivido la fatica, aprirmi ad ambienti nuovi.

Non si costruisce nulla nell’isolamento e nella solitudine. E il mestiere di comunicare si fonda appunto principalmente sull’apertura verso il prossimo. Di qui non discendono vincoli di complicità, obblighi troppo stretti. Semmai il gusto di scoprire aspetti inediti. Diciamo che in questo caso le amicizie sono una metafora della esperienza lavorativa. E il fatto di aver incontrato tanti amici avendoli conosciuti prima per ragioni professionali è una delle caratteristiche più interessanti di questo lavoro. Laddove il pubblico e il privato finiscono per interfacciassi e per crescere insieme. Non sempre all’unisono, ma quasi.

Anche in questo caso la “calabresità” è parte di questo sodalizio che lega tra loro persone diverse ma con radici comuni».

– Per concludere: un sogno nel cassetto? Quanti ne ha realizzati e cosa ha ancora in mente di fare?

«Di sogni ne ho coltivati tanti e ho avuto la fortuna di realizzarne più d’uno. Ma il vero sogno è quello di non fermarsi, di non dormire sugli allori, di non tirare mai i remi in barca. I miei collaboratori lo sanno. Sono una persona appagata ma anche inquieta, ansiosa. Non sono abituato ad accontentarmi. Penso che dentro ognuno di noi ci sia una molla che spinge sempre ad andare oltre, a cercare nuovi territori, a migliorare se stessi. Per quanto è possibile, s’intende.

È il mito di Ulisse, che non per caso approda anche in Calabria. Alla mia età potrei guardare indietro con una certa soddisfazione e decidere che ci si può accontentare. Ma poi invece ci si rende conto che dentro di noi c’è una molla che spinge ad andare sempre oltre. Un po’ per ambizione, forse. Un po’, meno, per abitudine. E un po’, di più, molto di più, perché ci si sente infine legati agli altri. Alle persone con cui si lavora, a quelle che abbiamo incontrato quasi per caso, a quelle che ci hanno sorpreso, alle moltissime a cui ci siamo affezionati e verso di cui ci sentiamo in debito. A quel punto si riprende la navigazione e si cerca un’altra rotta, un altro approdo.

Sapendo che neppure questo, però, sarà mai definitivo». (s)

Ordine, giornalisti e testate uniti contro l’attacco alla libera stampa in Calabria

«È inutile girarci attorno: in Calabria c’è una strana idea della stampa libera». Lo dicono senza mezze misure, una nota congiunta, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Calabria, Giuseppe SoluriAndrea Musmeci, segretario del sindacato Giornalisti della Calabria, Michele Albanese, presidente Uni Calabria, e i quotidiani Corriere della Calabria, Il Quotidiano del Sud, Zoom 24, La Nuova Calabria, I Calabresi, Catanzaroinforma, Calabria7, Il Crotonese, Il Giornale di CalabriaL’Eco dello Jonio e il giornalista Arcangelo Badolati.

«Viene applaudita – si legge – quando tocca “nemici”, secondo una classificazione tanto personale quanto sfuggente. Quando, invece, racconta interessi personali o di cordata diventa un nemico da combattere o, meglio ancora, da abbattere. Gli strumenti a disposizione non mancano: diffide, che preludono ad atti di mediazione, che aprono le porte a richieste di risarcimento che sfociano in querele, spesso temerarie. Gli esempi sono decine: agli imprenditori che, ritenendosi diffamati da un articolo di cronaca, arrivano a chiedere cifre a sei zeri si aggiungono quelli per i quali la richiesta di risarcimento diventa imponderabile. Politici feriti nell’orgoglio da una frase chiedono la cancellazione di un pezzo il giorno dopo la sua pubblicazione, pena una causa (milionaria anche quella?) che costringerà giornalista, direttore ed editore a girovagare per le aule dei tribunali, forse per anni. L’elenco sarebbe lunghissimo».

«Chiariamo: non si mette in dubbio – prosegue la nota – il diritto di rivolgersi a un giudice qualora ci si ritenga diffamati. Il punto è che il campionario che ogni redazione può esibire mostra richieste tanto bizzarre da far sorgere il dubbio che la vera questione sia un’altra, e cioè cercare di mettere il bavaglio alla stampa. Ci si muove nel terreno che segna la distanza tra la lesione della propria onorabilità e il tentativo di intimidire cronisti, editorialisti, testate. La sensazione è che spesso si tenda a raggiungere il secondo obiettivo. Non ci stracceremo le vesti per questo, continueremo tutti a fare il nostro lavoro. A raccontare fatti, riportare opinioni, evidenziare le incongruenze di una regione in cui il grigio si allarga sempre più».

«E ci difenderemo – si legge ancora – dalle richieste di risarcimento e dalle querele temerarie. Ciò che non possiamo più fare è restare in silenzio davanti a metodi e numeri che fanno pensare a un attacco vero e proprio alle prerogative della libera stampa. È tempo di rispondere a questa aggressione. Come? Per dirla con le parole del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, «dobbiamo garantire i giornalisti dalle azioni temerarie. I giornalisti sono chiamati in tante cause civili con risarcimenti dei danni stratosferici. E il giornalista così non può svolgere serenamente il proprio lavoro». Il magistrato, già a capo della Dda di Reggio, conosce bene la realtà calabrese».

«Nel suo intervento alla tavola rotonda internazionale – conclude la nota – organizzata a Siracusa dall’associazione “Ossigeno per l’informazione” ha proposto una soluzione: «Quali possono essere i modelli di garanzia? Quando viene chiesto il risarcimento se la querela è temeraria, il soggetto che ha citato in giudizio il giornalista se ha torto dovrebbe essere condannato al doppio del risarcimento del danno richiesto». Perché «l’informazione oggi è il cardine della democrazia». E non un accessorio da esibire a seconda della (propria) convenienza».

Francesco Pellegrini, fondatore e direttore responsabile de I Calabresi, in un suo editoriale scrive che «la denuncia che appare sul nostro ed altri giornali calabresi oggi sottoscritta da gran parte dei loro redattori ha per oggetto le cosiddette querele temerarie. Esse sono in realtà il modo con il quale l’arroganza ottusa di molti esponenti della politica, della cattiva politica, delle imprese, delle cattive imprese , della massoneria deviata, cioè della cattiva massoneria, cerca di intimidire gli operatori della libera stampa contando anche sulla lunghezza esasperante della giustizia nel giudicare molto spesso infondate le querele. Querele che hanno comunque inciso sulla qualità della vita dei destinatari per la pigrizia di alcuni magistrati che non esercitano, come il codice loro consente, il filtro delle carte imbrattate di nulla».

«L’informazione in Calabria – ha scritto ancora – soffre di molti mali oltre quello, prevalente, dell’intimidazione. Nelle sue diverse modalità soffre il peso e il condizionamento della precarietà dei giornalisti e delle retribuzioni spesso indecenti, che creano la miscela perfetta per condizionare la libertà e l’incisività della stampa».

«Ciascuno di noi giornalisti – e, per quanto ci riguarda, i colleghi che, liberi da ogni condizionamento, consentono a I Calabresi di essere fedele agli impegni assunti dalla testata – ha sperimentato la rabbia che suscita la querela anche solo minacciata, come altre forme di interferenza e di intimidazione, che nel passato, neppure troppo lontano, si sono camuffate perfino, con supremo sprezzo del ridicolo, nelle forme di un improbabile guasto delle stampatrici di un quotidiano».

«In questo contesto – ha proseguito – ormai insopportabile si iscrive il documento al quale i redattori de I  Calabresi hanno aderito. Non basterà a fermare l’improntitudine di quanti si sentono gratificati solo da una stampa ossequiente e timorosa.
Chi ama l’odore del giornalismo libero non vi rinuncerà. Ne siano consapevoli. Se la Calabria piange quanto a libera informazione, l’Italia non ride. Nel rapporto sulla libertà di stampa dello scorso anno il nostro Paese compare al 77° posto ( per altre fonti il 41°), ben oltre la seconda metà classifica in cui compaiono 130 Stati nei quali la libertà di stampa è ostacolata e perseguita. Non è un caso che tra gli ultimi classificati troviamo il Brasile di Bolsonaro e la Russia del nuovo zar Putin».

«È un dato che preoccupa ed offende – ha concluso – specie perché ad esso concorre per la sua parte la Calabria che fa dire a un commentatore autorevole che «essa non ha una società civile, perché non ha un’opinione pubblica, per mancanza di un’informazione libera». E, aggiungiamo, tutelata dalle trappole piazzate dentro e fuori dalle aule dei Tribunali». (rrm)

 

Dalla Regione 1 milione di euro a sostegno dell’informazione calabrese

È 1 milione di euro la somma stanziata dalla Regione Calabria a sostegno del sistema dei media calabresi. Obiettivo dell’Avviso, pubblicato oggi dall’assessorato allo Sviluppo economico, guidato dall’assessore Fausto Orsomarso, finalizzato «a fornire un reale sostegno economico agli operatori del settore media e informazione, al fine di fronteggiare l’emergenza e di supportare il rilancio della produttività calabrese».

«Abbiamo sempre guardato con grande rispetto, in un periodo troppo spesso contrassegnato da fake news, alla vera editoria, quella che ha sempre garantito una corretta informazione in Calabria. Ci auguriamo – ha dichiarato Orsomarso – che questo sostegno, che ha un’intensità legata al numero dei dipendenti delle aziende, oltre a essere un impulso per lo sviluppo economico della regione, rappresenti anche un contributo importante per garantire gli stipendi di giornalisti e operatori, in un momento difficile come quello attuale».

«Sostenere questo settore, per noi – ha aggiunto – è un atto doveroso. La prossima settimana, inoltre, pubblicheremo bandi a sostegno di cinema, teatri, discoteche e piscine. Continuiamo a lavorare, provando a supplire anche ai ritardi del Governo».

Il bando segue la deliberazione della Giunta dello scorso 15 aprile. L’obiettivo dell’avviso è quello di «promuovere e implementare interventi a sostegno di tutto il sistema imprenditoriale e produttivo regionale colpito dagli effetti della pandemia da Covid-19, dando impulso ad azioni in grado di dare slancio all’economia calabrese, puntando sulla rivitalizzazione di settori chiave, come quello della comunicazione, in una complessiva strategia di ripresa».

Nel bando è previsto «di dover procedere, con i successivi provvedimenti di approvazione delle operazioni ammesse, al trasferimento a Fincalabra spa, società in house alla Regione Calabria e soggetto gestore dell’operazione, delle somme effettivamente necessarie per la concessione dei contributi alle imprese beneficiarie».

Sono destinatari dell’avviso «le società editrici, cooperative e associazioni editoriali, con sede legale, ovvero sede operativa principale e attività produttiva in Calabria, che editano testate giornalistiche cartacee e online; le società radiotelevisive locali che hanno sede legale e operano in Calabria e che producono e diffondono informazione e format giornalistici di carattere locale con frequenza quotidiana».

Sono destinatari dell’avviso «le società editrici, cooperative e associazioni editoriali, con sede legale, ovvero sede operativa principale e attività produttiva in Calabria, che editano testate giornalistiche cartacee e online; le società radiotelevisive locali che hanno sede legale e operano in Calabria e che producono e diffondono informazione e format giornalistici di carattere locale con frequenza quotidiana». (rcz)

Covid-19/ Gli illogici attacchi alla diffusione dei giornali in Calabria

Un appello ai prefetti, ai commissari prefettizi, ai sindaci calabresi e, in particolare, al presidente della Regione Calabria, Jole Santelli, affinché mettano «fine, ognuno in base al proprio ruolo, alle inaccettabili iniziative personali di agenti e funzionari della Polizia locale o degli stessi sindaci che continuano a ritenere le edicole e, quindi, la vendita dei giornali un servizio superfluo e non essenziale, tanto da voler impedire ai furgoni che trasportano i giornali di entrare nei comuni ed ai lettori di andare in edicola».

A rivolgerlo sono il segretario del sindacato Giornalisti della Calabria e segretario aggiunto della Fnsi, Carlo Parisi, e il presidente dell’Unione Cronisti della Calabria, nonché responsabile Fnsi della Legalità, Michele Albanese: «Vogliamo ricordare – sottolineano – che la diffusione dei giornali è considerata un pubblico servizio in tutti i decreti emanati dal Governo, eppure registriamo iniziative personali che stanno mettendo in crisi la catena della distribuzione e della vendita dei giornali in Calabria. Giornali che contribuiscono, in queste giornate di emergenza per il Coronavirus, a divulgare notizie utili ed essenziali per i cittadini».

«Ai prefetti – aggiungono Parisi e Albanese – chiediamo di vigilare ed eventualmente intervenire su chi si adoperi per vietare la distribuzione dei giornali e l’accesso alle edicole, che può essere chiamato a rispondere di interruzione di pubblico servizio».

Al governatore Santelli, il aindacato Giornalisti e l’Unci della Calabria chiedono di «emanare una circolare chiara ed esplicativa da inviare a tutti i sindaci della regione e ai rispettivi comandi di Polizia locale, onde evitare che venga interrotto un servizio primario per i cittadini».

«Ci auguriamo – concludono Parisi e Albanese – di non dover registrare, anche nei prossimi giorni, difficoltà nella distribuzione dei giornali nei diversi centri della Calabria. Allo stesso modo auspichiamo di non doverci trovare, ancora, di fronte a sindaci che dispongono la chiusura domenicale delle edicole o, addirittura, ad agenti che negano l’accesso ai territori comunali ai furgoni della distribuzione dei giornali, fermando un servizio, lo ripetiamo, essenziale per i cittadini».

A Castrovillari, infatti, nonostante il sindaco Domenico Lo Polito ritenga «fondamentale il diritto all’informazione, soprattutto in un momento così delicato per la comunità», i vigili urbani hanno fermato un furgone carico di giornali e, soltanto dopo lunghe discussioni e consulenze telefoniche, agli autisti è stata “concessa” la possibilità di consegnarli.

(Courtesy Giornalistitalia.it)